2
essere altro che il risultato di una educazione ben riuscita (Zanniello
G., 1997, 83). A tal riguardo, la tesi personalmente sostenuta parte dal
presupposto che: se nella vita umana l’apprendimento, lo sviluppo
mentale e la promozione delle virtù e dei valori sono così strettamente
connessi, è inconcepibile che in un determinato contesto scolastico, di
qualsiasi ordine e grado, possa essere trascurata anche una delle tre
dimensioni, e a mio avviso, nella scuola dell’infanzia, è la
componente valoriale a dover essere enfatizzata, se si vuole realizzare
il desiderio comune che i bambini di oggi siano meno aggressivi,
meno violenti e più altruisti. L’educazione non può, dunque, limitarsi
a trasmettere usi e nozioni, ma deve preoccuparsi di affinare le
coscienze. Per tal motivo, tra le pressanti esigenze della società
contemporanea, emerge la necessità di potenziare le qualità morali,
per uscire dall’egocentrismo ed avvicinarsi sempre di più ad una
concezione solidale della vita, il che sembra costituire una delle
priorità concordemente avvertite (Weissbourg R., 2003, 6). In totale
spontaneità la presente stesura si innesta nella cornice dell’educazione
morale, che per la sua intensità pedagogica, non può che essere
affrontata dai diversi punti di vista ai quali dedicheremo i seguenti
capitoli:
• L’avvio della nostra riflessione filosofica e pedagogica è
costituita da un’analisi sull’attuale panorama educativo scolastico e
sul momento storico che stiamo attraversando, un momento “delicato”
di transizione, un passaggio epocale designato dal tramonto di un
mondo ed al timido albeggiare di una nuova era, di conseguenza
vengono a mancare alcune forme di sicurezza favorendo una difficoltà
di comunicazione, un clima di sottoalimentazione emotiva che
produce tra le persone ”disincontri” (Bellingreri A., 2005, 17). Per
3
quanto riguarda il mondo scolastico è evidente come tra gli insegnanti
si rendano sempre più presenti il lamento ed il rimpianto per la perdita
di incidenza della loro azione nella formazione morale degli studenti e
per disillusione, spesso diventano rigidi e direttivi nelle loro relazioni
con gli alunni, il loro comportamento tende ad essere dettato dai loro
umori e bisogni piuttosto che dalla loro consapevolezza degli altri
(Weissbourg R., 2003, 7).
Giova richiamare in tal sede una tesi «classica» anche se
nel nostro tempo evidente non appare: tra i due aspetti della realtà
pedagogica, l’educazione in generale e l’educazione morale, esiste un
nesso essenziale, tanto che diviene imprescindibile sostenere
l’educazione morale quale cuore o forma stessa dell’educare. Sta di
fatto che, nelle diverse agenzie educative: nella famiglia, nella scuola
e nei gruppi sociali, sembra che, in modo prevalente, non ci si
interessi dell’educazione morale provocando così un disorientamento
generale; pertanto qui è il fulcro della questione, e il personale
desiderio consta nel conferire, col presente elaborato, una opportunità
riflessiva fuorviando in tal modo all’indifferenza di cui golosamente si
nutre la società odierna (Bellingreri A., 2004, 93).
In questa sede il mio intento non è limitarmi ad una mera
descrizione della “malattia psicologica del nostro tempo”, a puntare il
dito contro le nuove generazioni della società occidentale, le quali
pare siano riconosciute essenzialmente per i “vissuti spenti”, segnati
dal “male di vivere”, “esistenze fratte e contrassegnate da un
pervasivo senso di indifferenza” in un “tempo di nichilismo compiuto”
(Bellingreri A, 2005, 17). L’innovatività sta nel tentativo di porre in
essere una ipotesi risolutiva che ha avvio da una critica alla ricerca
4
pedagogica attenta soprattutto a certi temi (contenuti disciplinari,
programmazione, valutazione, ecc.), prosegue denunciando alcuni
insegnanti che di fronte alla complessità di un educazione morale si
rifugiano in una dimensione di rassegnazione e rinuncia, e giunge ad
aprire un discorso (metodologico) sugli itinerari di un’educazione
morale nella scuola dell’infanzia. Ciò restituisce legittimità,
significatività, e forza progettuale al termine “educazione morale”.
Dunque, la struttura essenziale dell’ipotesi risolutiva relativa ai
problemi che abbiamo segnalato è, che urge conferire grande rilievo
all’educazione morale e che questa non può essere disgiunta dal
problema del senso della vita quale problema fondamentale per
l’uomo, e dalla coerenza nel comportamento e fedeltà a quel senso
trovato, proiettandosi in una reale dimensione di autorealizzazione e
filosofia della vita. A tal riguardo avremo modo di riflettere su quella
che viene definita la Paideia empatica: “il disegno di un ideale di vita
assiologicamente ed eticamente positivo”. É un modo nuovo di
concepire l’uomo e l’educazione del nostro tempo nella luce
intellegibile dell’essere personale che si scopre con l’amore di
predilezione empatica, quale fonte di energia creativa trasformante per
la persona che da senso ad ogni opera educativa. La paideia empatica
sceglie di assumere il nichilismo come una “situazione dell’uomo
della società contemporanea” ma non lo accetta come destino
dell’occidente e ci aiuta a condividere ed a essere pervasi di tale
dimensione, ciò solo per consentirci di assumere una posizione
positiva a tal proposito (Bellingreri, 2005, 17-18)
2
.
Di seguito andremo via via formulando il significato di
una ipotesi che sembra legittima ed accettabile in una società
2
Per approfondimenti: “Per una pedagogia dell’empatia”, 2005, Vita e Pensiero, Milano
5
democratica in quanto appare come il denominatore comune ad ogni
progetto d’uomo: la moralità quale condizione per vivere una vita
piena di significato, una grande idea dinanzi ad un mondo dubbioso,
incerto, scettico, ma al contempo assetato di giustizia e di pace.
Il discorso non può non essere immediatamente colto per i
grandi e profondi significati e per le altissime prospettive che dal
punto di vista pedagogico educativo contiene. Esso richiama un modo
di porsi davanti al significato del mondo e della vita ed, in tal senso,
un sostanziale punto di riferimento sta nel riconoscere valore e dignità
assoluta all’essere umano, quale bene prezioso da riproporre in una
scuola di tutti e per tutti (Serafini G., 1986, 6, 24).
La sfida più impegnativa per questo nostro tempo è da
ricondurre all’educazione di tutta la persona e a tutta la persona
affinché possa conseguire quella pienezza e quella unità (pensiero-
azione, coscienza-volontà) che sole le impediscono di perdersi e
dilaniarsi (Serafini G., 1986, 16). Trattasi di questioni fondamentali ed
inscindibili all’educazione, tanto che oggi l’educazione non potrebbe
non preoccuparsi del fatto che molti soffrono di vuoto esistenziale e
non porsi seri interrogativi in merito ad una simile questione.
A far luce sulla complessità dell’educazione morale un
cospicuo contributo è riscontrabile nella teoria degli ambiti elaborata
da Nucci Larry P. (2002) che affronta il problema di come si debba
definire il significato della moralità ed a come dovrebbe essere
realizzata questa educazione. La teoria degli ambiti consente anche di
capire le variazioni contestuali e culturali nei valori sociali delle
persone.
6
Le riflessioni pedagogiche affrontate nel primo capitolo
risulterebbero vane se non supportate dalle ricerche psicologiche. Per
tal motivo il capitolo tratta lo sviluppo di una intelligenza morale
secondo i diversi approcci teorici: teoria stadiale, socio-cognitivista
ed innatista.
• In quanto riflessione critica ulteriore, l’educazione morale
verrà trattata nel secondo capitolo dal punto di vista affettivo
promuovendo l’apprendimento incentrato sull’intelligenza emotiva. Si
avrà modo di constatare l’importanza di un’educazione permanente
conferita solo da un insegnamento "centrato sullo studente”, una
formazione integrale che implica lo sviluppo di tutte le dimensioni
della personalità, in primo luogo della formazione emotivo-affettiva,
quale garanzia del successo formativo. I perpetui segnali di profondo
disagio che caratterizzano la nostra società rendono all’universo
scolastico la responsabilità di introdurre programmi di
alfabetizzazione emozionale volti ad insegnare ai bambini quello che
potremmo definire l’“alfabeto emozionale” al fine di promuovere
quell’Intelligenza Emotiva di cui ci parla Goleman (2004, 54)
3
molto significativa per la nostra salute e il nostro benessere. Per questi
motivi la tesi comprende la presentazione del metodo integrato per
l’educazione socio-affettiva nella scuola dell’infanzia atto a fornire
3
Goleman è colui che ha permesso la divulgazione del concetto di Intelligenza emotiva modificando il ruolo
delle emozioni per la salute, il benessere, nella vita quotidiana, sul lavoro ed in ambito educativo, è stato
capace di comunicare con chiarezza a tutto il mondo occidentale, addetti ai lavori e non, che esistono
innumerevoli intelligenze , ma tra tutte, l’Intelligenza Emotiva è la più significativa nella vita: per la nostra
salute, per il nostro benessere, per la nostra felicità, per relazioni sane e appaganti, per il successo nel lavoro,
per essere leader di se stessi e promotori di cambiamento nella società. Dunque le risorse emotive si rivelano
decisive nella vita scolastica e lavorativa. Egli afferma che “l'attitudine emozionale è una meta-abilità, in
quanto determina quanto bene riusciamo a servirci delle nostre altre capacità, ivi incluse quelle puramente
intellettuali”
Ad avvalorare la tesi di Goleman vi sono studi internazionali i quali dimostrano che i bambini, oggi,
presentano quantità maggiori di problemi di natura emozionale (ansia e depressione, difficoltà di attenzione,
violenza e aggressività) rispetto al passato, inoltre, l’analfabetismo emozionale in età prescolare e scolare è
spesso connesso a comportamenti devianti e malesseri emozionali in età adulta (abuso di alcool e di droghe,
molestie sessuali, delinquenza, disturbi alimentari...).
7
esperienze concrete e apprendimenti significativi e non cadere nel
terribile errore di preconizzare gli apprendimenti formali, errore
spesso commesso dagli insegnanti che sono più attenti a formare un
“bambino-campione”, piuttosto che un bambino che abbia acquisito la
stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità e la motivazione al
passaggio dalla curiosità, caratterizzante la Scuola dell'Infanzia, alla
ricerca
4
.
• Nel terzo e nel quarto capitolo affronteremo la tematica
dell’educazione morale dal punto di vista comportamentale, legato a
temi diametralmente opposti: la condotta aggressiva e quella
prosociale del bambino quali interessanti spunti teorici per la pratica
educativa. A mio avviso di fondamentale importanza è per gli
educatori il fatto di non attribuire al conflitto una matrice
essenzialmente negativa. Diversamente da quanto si possa pensare, e
come chiariremo nel terzo capitolo, la modalità relazionale
conflittuale, se contenuta, comporta effetti positivi per quanto riguarda
il benessere socio-affettivo del bambino e il suo sviluppo cognitivo
(Putton A., 1994, n.5, 41-42). Esso va dunque considerato come una
delle modalità di interazione sociale insita nei bambini e che per tal
motivo vanno aiutati a sperimentare comportamenti alternativi a
quello aggressivo ed altrettanto gratificanti. In questo capitolo, più
che negli altri, viene sottolineata l’importanza della collaborazione tra
contesto scolastico e familiare nel processo di costruzione della
competenza sociale, analizzando gli stili educativi disfunzionali fino
a giungere ad uno stile educativo valido: lo stile autorevole.
4
TIBURZI FABIANA, Scuola dell'infanzia: educare o istruire?,
<http://www.rivistadidattica.com/fondamenti/fondamenti15.htm>, 2004, agg. 2007.
8
Il capitolo termina presentando tre proposte di intervento
per canalizzare il comportamento aggressivo.
• Per quanto concerne la condotta prosociale affrontata
nell’ultimo capitolo, gli studi di Robert Roche
5
dimostrano come la
prosocialità sia una via semplice e sicura per raggiungere
un'educazione emozionale orientata e diretta al benessere ed alla
salute mentale della persona, come al miglioramento della convivenza
sociale. Consiste nella forma comunicativa maggiormente evoluta,
una modalità di interazione da promuovere soprattutto con quei
bambini che manifestano problemi comportamentali e che tendono a
sviluppare un’immagine negativa di sé. Il capitolo si conclude con
un’attenta riflessione sull’urgenza di assumere una mentalità critica
verso l’informazione e i programmi televisivi violenti, per gli effetti
che ne scaturiscono.
Le suddette riflessioni poste in essere confluiranno tutte in
quest’ultimo capitolo mediante la proposta di un curricolo pro-
sociale per la scuola dell’infanzia
6
. Essa consiste essenzialmente
nell’introdurre, nei programmi scolastici, un modellamento
involontario (un curricolo implicito) da aggiungere all’ordinario
insegnamento pianificato: due itinerari interdipendenti per
l’educazione alla prosocialità, permettendo ai bambini di vivere delle
5
Robert Roche Olivar Laureato in Psicologia, e docente di Psicologia dello sviluppo all’Università Autonoma
di Barcellona e di Psicologia della coppia e delle relazioni familiari. Psicoterapeuta familiare e della coppia,
esperto in comunicazione, si occupa di consulenza, counseling, supervisione e formazione in questo ambito. È
ricercatore nel campo dei comportamenti prosociali e dirige numerose équipe per lo sviluppo e la
realizzazione di programmi per la loro promozione, uno dei fondatori ed ottimizzatori della Prosocialità a
livello internazionale.
6
Tale proposta curricolare riporta fedelmente l’architettura di un programma minimo di incremento
prosociale nella scuola materna elaborato da Roberto Roche Olivar (Direttore dell’Università Autonoma di
Barcellona – Spagna), da Silvia Romersi (laureata alla Facoltà di Psicologia della Comunicazione
dell’Università Autonoma di Barcellona) e dall’ISAC: (Istituto di Scienze dell’Apprendimento e del
Comportamento) – Taranto.
9
concrete esperienze, affinché crescano conoscendo il senso di
gratificazione che si prova nell’aiutare il prossimo. Si tratta di
promuovere in maniera pianificata il mantenimento, l’esercizio e
l’aumento della quantità e qualità degli atteggiamenti e comportamenti
prosociali. Nello scenario scolastico del nostro Paese l’opportunità di
un curricolo educativo improntato nella prosocialità risulta fortemente
innovativa. Infatti sebbene i programmi ministeriali prevedano mete
educative, che hanno a che fare con la prosocialità e, sebbene questa
sia indicata esplicitamente come una delle più importanti finalità da
perseguire nella totalità delle programmazioni di istituto, raramente è
possibile rinvenire una programmazione che preveda un esplicito
riferimento ai modi, ai tempi, ai sistemi e ai metodi da utilizzare per il
loro raggiungimento.
Credo sia legittimo attendersi che, come avviene per
l’educazione linguistica o per quella logico-matematica, etc.,
l’insegnante stabilisca che cosa intenda fare, come e quando, per
educare gli allievi a star bene con gli altri, a condividere, a prevenire e
risolvere i conflitti, ad esprimere il proprio punto di vista, ad
accogliere o rivolgere una critica, a collaborare e ad aiutare gli altri
(Salfi D., Barbara G., 1990 -1991, 52: 59).
10
Capitolo primo
ANALISI FILOSOFICA E PEDAGOGICA
DELL’EDUCAZIONE MORALE
11
Capitolo primo
ANALISI FILOSOFICA E PEDAGOGICA
DELL’EDUCAZIONE MORALE
Nel capitolo di apertura si affronta riconosce alla pedagogica
una eccessiva predilezione a temi come: contenuti disciplinari,
programmazione, esiti, trascurando l’educazione morale e tale
mancanza pare abbia influito sull’attuale panorama educativo
scolastico. In seguito ad una riflessione sui problemi della realtà
odierna ci si rende conto che a poco serve un’educazione che non sia
condizione per la formazione di salde coscienze morali. Una scuola in
una società democratica ha dunque il dovere di aiutare le nuove
generazioni a definire il loro progetto di vita costruito sulla base di
valori morali autentici. Dalle basi teoriche si apre un discorso
metodologico proponendo degli itinerari di un’educazione morale
nella scuola, focalizzando l’attenzione sulla scuola dell’infanzia,
quale luogo privilegiato. Una volta rilevato un consenso unanime
sull’urgenza dell’educazione morale, resta aperta la questione riguardo
a come dovrebbe essere realizzata questa educazione, tale controversia
è in qualche modo affrontata dalla teoria degli ambiti che per questo
motivo ha apportato un notevole contributo all’educazione morale.
Anche le ricerche psicologiche conferiscono accordo e sostegno
all’educazione morale, senza le quali, impossibile, o quantomeno,
sterile sarebbe l’elaborazione dei programmi didattici.
1. Critica pedagogica e educazione morale
L’educazione scolastica non può non farsi carico
dell’educazione morale. La società come la nostra necessita della sua
forza umanizzante. Il problema va allora posto agli educatori, che non
12
possono restare scettici o neutrali, loro per primi devono vivere la loro
esistenza segnata da un codice morale, altrimenti come possono
proporre quegli ideali, quei valori che orientano il comportamento dei
discenti? Questa domanda aiuta a comprendere come non è possibile
fermarsi agli inizi di una critica polemica e fine a se stessa, occorre
piuttosto raccogliere le sollecitazioni positive del processo di una
critica radicale che si impegna verso il ritrovamento di un senso più
vero che oltrepassa lo scetticismo.
1.1. L’attuale panorama educativo scolastico
Nonostante la doverosa premura di avvertire che non si può e
non si deve generalizzare, più segni ci lasciano intuire che i problemi
irrisolti e le situazioni ambigue siano la percentuale più cospicua
nell’attuale panorama educativo scolastico. A questo stato di cose
un contributo di chiarificazione è dato dalla ricerca pedagogica che,
attenta soprattutto a certi temi (curricolo, programmazione,
valutazione, ecc.), ha trascurato il problema dell’educazione morale,
non che questi temi non meritassero tanta attenzione, ma è solo in
questi anni che la ricerca va riprendendo le fila di un discorso forse
volutamente ignorato.
Diffuso è il bisogno di arginare violenza, intolleranza, prevaricazione
e sfruttamento, ma se il rilievo di alcuni fatti non appare complesso,
non altrettanto semplice appare l’itinerario che conduce a restituire
legittimità all’educazione morale. Non che l’abbia mai perduta,
(almeno agli occhi degli spiriti più attenti), ma occorre (ri)dimostrarne
l’ineludibilità, il significato, occorre definire un quadro di valori
morali che la scuola possa offrire all’apprezzamento libero delle
nuove generazioni, generazioni che lasciano il posto al
disorientamento, all’offuscamento di grandi ideali, o alla corsa verso
13
una soddisfazione materiale delle esigenze della natura umana, per
trovare significati veri, duraturi e che non vacillino per nutrire
l’esigenza di un vivere più elevato e di un dovere che vi corrisponda.
Ciò risuona nel bisogno e nell’urgenza di ricordare alla scuola che
deve aiutare le nuove generazioni a distinguere nella vita ciò che è
essenziale da ciò che è contingente e a manifestare, anche nella
condotta di vita, questa distinzione. Ci si rende conto che a poco serve
un’educazione che non sia condizione per la formazione di salde
coscienze morali. Occorre aiutare le nuove generazioni a costruire
nuovi valori morali, a realizzarsi, a trovare il senso della vita (Serafini
G., 1986, 6, 23).
1.1.2. Autorealizzazione e filosofia della vita
In sede di analisi delle dinamiche motivazionali si è costatata la
presenza nell’uomo a una naturale tensione all’autorealizzazione.
L’uomo si auto realizza in quanto sceglie, decide, progetta, costruisce,
ma innumerevoli sono le mete percorribili, quindi, nulla di più urgente
può esservi per l’educazione dell’aiuto al soggetto perché possa capire
chi è, chi voglia essere, che cosa vuole realizzare. Tale discorso può
essere avvertito come critica a una pratica scolastica troppo attenta
verso questioni metodologiche e didattiche perdendo di vista il che
cosa e il perché. Quel che ne sortisce spesso è un’esperienza educativa
axiologicamente debole, incapace di tenere vivo e di nutrire
l’interrogativo e l’inquietudine sul senso della presenza nel mondo,
che sono in ciascuno in quanto essere umano.
L’uomo realizza se stesso nella tensione verso un mondo di valori che
danno anima e senso al progettare e al costruire. L’uomo che si auto
realizza è quello che vive una grossa esperienza di valore, che si
traduce in comportamenti conseguenti riconducibili nella propensione
14
dell’Essere, dell’arte, della poesia, dei simboli, della trascendenza,
della religione, della musica. Occorre ribadire che non c’è
realizzazione per l’uomo fuori da un reticolo di valori, di una filosofia
della vita.
La condizione dell’uomo che realizza se stesso, non sopraggiunge
quasi per incanto con l’età adulta, né dall’età adulta la si possiede in
modo stabile, ma la si prepara negli anni dell’età evolutiva e la si
sperimenta nell’età adulta in una tensione cosante e senza fine. Di
significati forti c’è bisogno nell’età evolutiva così come nell’età
adulta, perché si possa crescere con sicurezza e perché la vita appaia
degna di essere vissuta e possa esserlo con successo (auto
realizzandosi).
Non si può pensare alla maturità senza una chiara comprensione dello
scopo della vita e della costruzione di un proprio sistema di
riferimento, trattasi dunque di una filosofia della vita in quanto
risposta al “chi sono?” e al “chi voglio essere?”, essa possiede una
forza unificante di tutta la personalità, ed è l’elemento che coagula
l’intera esperienza personale, il sostegno nelle situazioni-limite, la
condizione stessa per la salute mentale; semplicemente non c’è
realizzazione fuori di un mondo di significati forti, se manca un
consistente progetto di vita.
Se è vero che abbiamo assunto l’autorealizzazione come prospettiva
per una scuola di tutti è anche vero che essa si mostra come opzione
di valore e si consegue non come un fine in sé, ma come conseguenza
della tensione del soggetto verso un mondo di valori.
Un riscontro immediato ed evidente di quanto si è sostenuto lo si ha
nelle analisi psicologiche sullo sviluppo e sulla formazione della
personalità (Serafini G., 1986, 62-64).
15
1.1.3. Analisi psicologiche sullo sviluppo e sulla formazione della
personalità
Esemplare dal punto di vista della formazione della
personalità, appare la vicenda umana nell’adolescenza: in quella
stagione il problema si mostra in tutto il suo spessore. L’adolescenza è
come un crocevia nel quale si verifica la bontà della strada percorsa
durante l’infanzia e la fanciullezza, ci si trova dinanzi all’arduo
compito di dover fare i conti con le proprie speranze ed aspirazioni, a
dover mettere alla prova le proprie idee del mondo e della vita, e a
raccogliere le forze e saggiare i punti di riferimento per l’esperienza
successiva dell’età adulta. Una filosofia della vita, anche se non
completamente elaborata, ha da divenire, nell’adolescenza, il perno e
la forza dell’esperienza del soggetto. All’adolescente che venisse a
mancare questa forza verrebbe meno la struttura portante della nuova
identità da guadagnare. Il bisogno di significato insito nelle fibre più
intime della natura umana, qui si fa elemento di grande forza che
spinge a conoscersi, a saggiarsi, a mettersi alla prova, a verificare.
Viene spontaneo domandarsi come riescano a conciliarsi queste analisi
con il rilievo di una gioventù sempre più disincantata e pragmatica.
Pare che quel rilievo metta a nudo tutto il disagio di una situazione
nella quale l’adolescente non trova sostegni e significati forti con i
quali nutrirsi e confrontarsi (Serafini G., 1986, 64, 67).
Mentre durante l’infanzia, ma anche durante la fanciullezza, non
essendo ancora in grado di elaborare un’autonoma concezione della
vita non può che mutuarla dagli adulti con i quali il bambino viene a
contatto e dunque dall’ambiente che lo circonda. Il senso della vita,
che il mondo adulto gli offre, viene acquisito dal fanciullo in modo
spontaneo e inconscio attraverso un processo di imitazione.