4
ad impiegarlo con correttezza, a custodirlo e, quasi sempre, ad
attribuirgli massima attenzione e considerazione. Spesso i nostri
sentimenti verso il denaro sono una reazione, anche inconsapevole, ai
comportamenti dell’ambiente in cui siamo cresciuti e, talvolta, parlare di
denaro in famiglia può essere un tabù così come il parlare di sesso
(Francescato, 1999).
Non è ancora chiaro in quale misura le caratteristiche socio-
demografiche, la nazionalità e l’educazione ricevuta in famiglia
influiscono sulle credenze e i comportamenti economici dell’individuo
(Furnham, 1999a): un discreto numero di ricercatori, tuttavia, hanno
analizzato la non facile tematica della “paghetta” (Carnet-Verzat C. &
Wolff F.C., 2002; Furnham, 1999b; Furnham A. & Thomas P., 1984;
Miller & Young 1990).
In Europa sempre più genitori decidono di assegnare una paghetta ai
propri figli anche se in Italia tale abitudine è in lento ma costante declino
(Doxa Junior, 2004); quello della paghetta sembra, però, essere un buon
metodo per insegnare il valore dei soldi agli adolescenti; infatti, sono
proprio gli anni adolescenziali quelli in cui deve essere pedagogicamente
impartito ai ragazzi il senso di responsabilità nel gestire l’economia. Il
valore dei soldi, quindi, deve godere di priorità nel processo educativo
perché il rischio è di formare delle persone che, una volta superata la
fase evolutiva, non siano abbastanza mature da questo punto di vista per
gestire la propria vita economica (Priller P. 2004).
Consultando la letteratura, mi sono reso conto che non esistono studi
italiani che indagano la valenza psicologica della gestione precoce del
denaro. Sono disponibili molti questionari relativi ad argomenti
economici, ciascuno con caratteristiche differenti, anche se la maggior
parte di questi questionari non hanno fondamenta teoriche e sono stati
5
creati al solo scopo di aiutare le aziende nelle indagini di mercato e, di
conseguenza, nel marketing (Webley et al. 2004).
Questo lavoro di tesi assume, quindi, un carattere esplorativo e si pone
come obiettivo quello di analizzare qualitativamente, in un campione di
soggetti, l’influenza del denaro ricevuta nella famiglia d’origine.
Nel primo capitolo tracciamo un quadro generale della letteratura,
passando in rassegna i principali studi psicologici aventi come tema
centrale il denaro, al fine di offrire una panoramica della letteratura
psicoanalitica, psicosociale e della psicologia generale relativa al tema
affrontato.
Nel secondo capitolo si descriverà in che modo l’acquisizione del
concetto di denaro dei giovani sia influenzata dalla famiglia d’origine,
valutando i contributi empirici internazionali, e si cercherà di fornire un
quadro esemplificativo della realtà italiana sul comportamento
economico dei giovani.
Nel terzo capitolo, infine, sarà presentata la ricerca qualitativa effettuata
con la descrizione del campione, delle procedure utilizzate e dei risultati
ottenuti, ponendo una particolare attenzione ai tests statistici utilizzati e
al confronto tra la diversa educazione economica ricevuta dagli uomini e
dalle donne.
6
CAPITOLO PRIMO
IL DENARO
“Colui che ama il denaro
non è appagato dal denaro”
(Ecclesiaste, 10, 19)
1.1 Cenni sulla storia del denaro
Presso molte civiltà antiche1 la distribuzione dei beni era effettuata da
unità politiche amministrative e religiose centrali, a cui i produttori
cedevano tutta la ricchezza prodotta. Polanyi (1968) osserva che nelle
economie antiche, basate sul pagamento dei tributi e sulla
redistribuzione, “i beni ricevuti in pagamento dal centro ne escono e
sono consumati. Essi assicurano la sussistenza dell’esercito, della
burocrazia e della forza lavoro, siano pagati sotto forma di salari, di
mercede dei soldati o sotto altre forme. Il personale dei templi consuma
gran parte dei pagamenti in natura ricevuti dal tempio. Le materie prime
sono utilizzate per equipaggiare l’esercito, per opere pubbliche e per le
esportazioni dello stato… in tal modo i mezzi di pagamento sono
distrutti” 2.
Con l’avvento della proprietà privata moderna, ogni individuo deve
provvedere da sé ai suoi bisogni, per cui il denaro contante diventa un
vero e proprio sistema informativo decentralizzato, che testimonia la
capacità economica del suo possessore (Polanyi 1968).
Il baratto diretto (ossia merce qualsiasi in cambio di merce qualsiasi e,
comunque, prodotta prima degli scambi) era vincolato all’immediato
1
Per esempio la civiltà Mesopotamica.
2
Si veda Polanyi (1968, p. 182).
7
consumo, quindi inadatto per uno sviluppo su vasta scala del commercio.
Ciò ha sollecitato la nascita di un intermediario, di una merce
considerata al di sopra di tutte le altre ma corrispondente al loro valore3,
creando così una merce-denaro che poteva corrispondere ad un metallo
prezioso. inizialmente l’oro, l’argento e altri metalli venivano scambiati
in lingotti sui quali era impresso il peso e il valore; in seguito, furono
scambiati in pezzi senza forma il cui valore poteva essere determinato
solo dal peso; poi, ancora, in lingotti di misura standard di uguale peso e
forma ed, infine, in monete che portavano impresso il proprio valore che
diventa, così, anche un segno. Si passa, quindi, dalla moneta che si pesa
alla moneta che si conta.
Questo passaggio ha portato importantissime modificazioni sul piano
economico e psicologico. Infatti, la sicurezza sul valore reale della
moneta come simbolo si può ottenere solo se si è certi della
corrispondenza con la moneta come merce preziosa, ovvero “il processo
di astrazione del denaro reca con sé vantaggi economici come la
velocizzazione degli scambi, e “costi” psicologici, come la necessità di
un adattamento cognitivo e l’aumento dell’insicurezza sulla costanza
temporale del valore4” . Secondo Vilar (1991), il ritratto del sovrano sul
pezzo monetario rappresentava la garanzia legale e una rassicurazione
psicologica sulla legalità del conio. Gli Stati, quindi, iniziano ad imporre
una propria moneta, scegliendo un segno monetario preciso e
affermando l’esclusiva produzione materiale e l’eventuale ritiro dalla
circolazione.
Il rapporto conflittuale tra moneta metallica come segno e come riserva
di metallo prezioso nasce sia per esigenze di circolazione delle merci, sia
per le fluttuazioni dell’estrazione d’oro e d’argento, sia per fatti
3
Si veda Hicks (1979, p. 10).
4
Si veda Ferrari (1999, p. 173).
8
accidentali che, infine, per la convenienza dei sovrani e dei governi. Una
particolare difficoltà nasceva quando il sistema monetario di uno Stato
era rappresentato dalla circolazione di monete sia in oro che in argento.
Il bimetallismo, infatti, introduceva una particolare instabilità che si
verificava quando la disponibilità di uno dei due metalli cambiava, per
un aumento o una diminuzione della sua produzione. Per esempio, nella
Milano del Settecento circolavano circa cinquanta tipi differenti di
monete d’oro e d’argento; il territorio, con forti interscambi commerciali,
importava costantemente zecchini veneziani, fiorentini, romani e
genovesi, ducatoni savoiardi, doppie spagnole, creando un sistema
bimetallico multivalutario che rendeva, così, impossibile una
rappresentazione sociale “corretta” della moneta corrente. Per questo
motivo, tutte le monetazioni dovevano essere rese equivalenti - da un
abile governo monetario - ad una moneta ideale o immaginaria che
rendesse certo il loro reale contenuto prezioso e giustamente
corrispondente al valore commerciale di oro e argento (Verri 1762).
Per la circolazione di denaro cartaceo bisogna attendere il XVII secolo,
quando in Europa le banche e gli orefici cominciarono a diffondere
documenti cartacei che dichiaravano l’obbligazione a rimborsare, su
semplice richiesta, somme in denaro metallico depositate presso di loro.
Questi documenti non vennero utilizzati dai depositari solo come
semplici ricevute di un deposito, ma anche come comodi strumenti di
pagamento. La moneta cartacea moderna nasce, quindi, come esatto
corrispettivo della moneta metallica, ovvero ad ogni certificato emesso
dalla banca corrispondeva una identica quantità di moneta metallica
depositata nei forzieri della banca stessa. La libera emissione di questi
biglietti non era altro che una promessa di pagamento, in attesa di un
saldo definitivo. Tuttavia, ogni legame con l’oro finì il 15 agosto 1971
quando il presidente degli Stati Uniti Nixon annunciò la fine della
9
convertibilità in oro del dollaro che, secondo gli accordi di Bretton
Woods dopo la Seconda Guerra Mondiale, era la sola valuta che doveva
mantenere una parità con il prezioso metallo. La definitiva rinuncia alla
moneta-merce ha favorito la circolazione e semplificato enormemente i
pagamenti. Soprattutto nei pagamenti di grandi cifre, la moneta è oggi
smaterializzata anche sul piano della sua manifestazione visiva: i
trasferimenti di denaro altro non sono, infatti, che variazioni di conti
realizzate attraverso reti telematiche tra le banche e la Banca Centrale.
Anche se per i pagamenti minori prevalgono ancora la cartamoneta e gli
assegni, si moltiplicano i servizi di pagamento come le carte di credito,
che assumono progressivamente la funzione di “moneta polimorfa
smaterializzata”. In questo modo, la crescente tensione a diventare
semplici espressioni numeriche e registrazioni contabili, fanno si che
l’uomo moderno non riesca più a ricevere una rassicurazione, anche
istituzionale, dal denaro.
Sul piano psicologico, la fonte di fiducia ora risiede nella sicurezza sulla
capacità di governare e sulla credibilità di chi emette le banconote, che
dal 1999 nel nostro Paese è rappresentato dalla Banca Centrale Europea.
Possiamo affermare, quindi, che uno dei principali ruoli della moderna
Banca Centrale è, appunto, quello di “difendere rigorosamente il
sentimento di fiducia nella stabilità e il riconoscimento percettivo del
valore dei segni monetari” (Ferrari 1999): è opportuno, quindi, che la
Banca Centrale operi nel modo giusto affinché non ci siano verso la
moneta variazioni negative nella psicologia dei suoi detentori; non si
esagera, quindi, se si afferma che uno dei ruoli fondamentali della
moderna banca risieda nella sfera psicologica.
10
1.2 Psicologia e Denaro
Il denaro è chiaramente al centro degli interessi dell’economia, a volte
definita la scienza che si occupa dei “valori misurabili tramite moneta”
(Williams 1981, p. 13). E’ tuttavia stato oggetto di numerosi studi anche
da parte di altre discipline scientifiche, a partire dalla sociologia e
dall’antropologia.
Per quanto riguarda la psicologia, sarebbe strano pensare che la scienza
che si definisce “lo studio del comportamento umano” non abbia
esaustivamente affrontato questo argomento centrale nella propria
prospettiva. Sembra invece unanime (Ferrari e Romano 1999; Furnham e
Argyle 1998) che il denaro, nella storia ormai più che centenaria di
questa disciplina, sia stato nettamente trascurato. Furnham e Argyle
(1998) notano che è raro che in un manuale di psicologia sia
riscontrabile la voce “denaro” nell’indice analitico. E’ inoltre curioso
notare che nessuno fra gli psicologi che si sono occupati delle
motivazioni umane (si pensi, ad esempio, a Maslow o a McClelland)
abbia ritenuto opportuno postulare l’esistenza di un primario bisogno di
accumulare ricchezza. Bisogna, comunque, riconoscere che un po’ tutte
le correnti psicologiche e i settori d’applicazione hanno avuto a che fare
con studi riguardanti il denaro.
La psicoanalisi, a partire dallo stesso Freud, si è occupata del
simbolismo inconscio della moneta; è piuttosto nota, infatti, la sua teoria
relativa al legame fra erotismo anale e interesse nei confronti del denaro
(Freud 1908; 1914; 1915; 1932). I comportamentisti hanno trattato tale
argomento all’interno del loro paradigma, considerandolo come una
potente forma di rinforzo.
La psicologia dello sviluppo ha, invece, studiato le rappresentazioni del
denaro nel corso della maturazione psicologica dei bambini. In questa
11
ottica, gli psicologi hanno sviluppato due tipi di approcci per la
comprensione dei comportamenti economici degli individui: il primo
ricerca le origini del comportamento economico nell’infanzia (Freud
1908); l’altro traccia lo sviluppo della comprensione infantile del mondo
economico attraverso l’uso del modello a stadi di Piaget. Entrambi gli
approcci, però, non sembrano essere del tutto esaustivi, in quanto il
primo sottovaluta l’importanza dell’esperienza adulta e, in particolare,
l’impatto dei limiti e delle opportunità economiche mentre le teorie
piagetiane degli stadi sopravvalutano il significato dell’adeguamento al
mondo economico adulto e minimizzano l’importanza del
comportamento autonomo del bambino.
Il padre della psicoanalisi Freud considerava sia l’approccio degli adulti
al denaro sia tutto ciò che concerne la moneta stessa come una
conseguenza dell’erotismo anale. In particolare, l’ordine e le
conseguenti manie per la pulizia deriverebbero da una formazione
reattiva nei confronti del primario interesse del bambino per le feci;
l’ostinazione sarebbe legata al piacere di trattenere le feci ed espellerle
solo di propria iniziativa, mentre la parsimonia o l’avarizia deriverebbe
da una forte associazione simbolica tra i prodotti del proprio corpo, in
particolare le feci, e il denaro. Tale simbolizzazione avverrebbe già in
tenera età e sarebbe dovuta all’osservazione, da parte del bambino,
dell’atteggiamento dei genitori nei confronti dei propri escrementi si
connota in modo profondamente ambivalente: da una parte sono visti
come sporchi e repellenti ma dall’altra sono in qualche misura tenuti in
gran considerazione, dato l’interesse che i genitori manifestano
nell’educazione alla pulizia del figlio. Un atteggiamento del tutto simile
è riscontrabile nei confronti del denaro; infatti, anche se da un lato è
sicuramente valutato e ritenuto della massima importanza, esso è anche
considerato “sporco”, “vile” e frutto del demonio. Sarebbe poi
12
l’educazione, ed un successivo processo di sublimazione, a rafforzare
questo legame simbolico rimuovendo e spostando, però, il primitivo
interesse fecale verso un più accettabile e tollerato amore per la
ricchezza. In questo modo sarebbero spiegabili alcuni stereotipi
caratteriali: a seconda del tipo di educazione ricevuta rispetto alle
necessità corporali, il bambino potrà diventare avaro (un “anale
ritentivo”) se l’educazione ricevuta sarà stata precoce e rigida oppure,
nel caso contrario, potrà essere portato a sperperare il proprio denaro
(“anale espulsivo”). L’approccio neopiagetiano al denaro ci offre,
invece, una visione assai differente: non ci dice nulla del denaro di per sé
ma rivela come i bambini arrivino a comprenderne l’uso.
Un diverso tipo di approccio alla teoria dello sviluppo è l’approccio
psicosociale di Erikson (1963; 1982). L’autore ha suggerito che esistono
otto diversi stadi dello sviluppo psicosociale, ciascuno dei quali è
caratterizzato da compiti di sviluppo prototipici e distintive crisi
psicosociali che possono emergere e che devono essere superate per
progredire e passare allo stadio successivo di sviluppo. In altre parole, il
modello di Erikson mostra un percorso a scalini: le risorse con cui
affrontare i problemi e le sfide del livello successivo sono fornite dalle
conquiste ottenute nel piano precedente. Newman e Newman (1991)
estendono questo approccio e ritengono che esista un numero
relativamente limitato di compiti, parecchi dei quali hanno carattere
economico, che dominano gli sforzi di una persona.
I cognitivisti hanno mostrato la frequente irrazionalità del
comportamento economico, in contrapposizione alla visione di “homo
oeconomicus” tipico della teoria della scelta razionale di matrice
neoclassica.
La psicologia clinica ha fornito una tassonomia di comportamenti
patologici nell’utilizzo del denaro, mentre settori di ricerca psicologica
13
più sperimentali hanno condotto studi dedicati al denaro utilizzando
un’ottica meno clinica; sono stati pubblicati, infatti, diversi lavori la
maggior parte dei quali ha usufruito di tecniche di indagine quali
interviste e questionari, mentre un numero più limitato di ricerche ha
utilizzato esperimenti di laboratorio o situazioni ecologiche. I primi studi
si sono concentrati prevalentemente sugli aspetti percettivi delle monete
e delle banconote, mentre in tempi più recenti hanno trovato spazio
ricerche imperniate sulle emozioni connesse all’uso del denaro e sui
problemi cognitivi che ne derivano.
In un esperimento sulla percezione delle monete, Bruner e Goodman
(1947) hanno ipotizzano che la percezione psicofisica degli oggetti sia
influenzata da due fattori psicologici: il valore soggettivamente attribuito
all’oggetto e il bisogno oggettivo. In questo senso, la percezione delle
dimensioni delle monete sarebbe sovrastimata rispetto ad oggetti neutri
dello stesso ordine di grandezza a causa del valore socialmente attribuito
al denaro; inoltre, questo fenomeno avverrebbe in misura maggiore per
le persone che si trovano in una condizione di bisogno come, ad
esempio, chi appartiene agli strati meno ricchi della società.
E’ stato anche dimostrato che le dimensioni delle monete influenzano il
giudizio sul loro valore (Bousted et al. 1992); ne consegue che le
persone tendono a valutare di più le monete di dimensioni maggiori, al di
là del loro valore nominale. Tutti questi lavori mostrano che la
percezione del denaro non è quasi mai libera da illusioni o distorsioni,
che solo in parte possono essere spiegate da fattori economici.
Il concetto di denaro è apparentemente in stretta connessione con la
razionalità attribuita all’homo economicus. Simmel (1971) suggeriva che
l’utilizzo di questo concetto avesse in sé una sorta di potere
razionalizzante, promuovendo il pensiero astratto nell’uomo: “il denaro,
intervenendo tra l’uomo e le cose, rende possibile all’uomo un esistenza
14
per così dire astratta, un essere libero da immediati riguardi alle cose e
da un’immediata relazione con esse, senza il quale non esisterebbe una
certa probabilità di sviluppo della nostra interiorità. […] Ciò è
condizionato dal fatto che il denaro ci risparmia in sempre crescente
misura i contatti immediati con le cose, mentre nello stesso tempo ci
facilita infinitamente la loro dominazione e la scelta di ciò che ci piace”
(Simmel 1971, pp. 169-170).
Quest’ipotesi è stata ripresa da Lane (1991), il quale afferma che il
denaro, in quanto segno, sarebbe un vero e proprio “economizzatore di
funzioni cognitive”; infatti, il concetto di denaro fornisce la base per la
costruzione di schemi con cui rappresentare la realtà in maniera
cognitivamente più semplice: per esempio, il concetto di povertà è più
facilmente esprimibile in termini di reddito o di patrimonio monetario
piuttosto che facendo riferimento all’insieme di oggetti posseduti o a
disposizione di un individuo. Inoltre, il denaro permette la costruzione di
scenari paralleli in cui scegliere le opportunità economicamente più
vantaggiose: si pensi alla scelta di investire un capitale, in cui le
differenti opzioni determinano diverse rappresentazioni mentali delle
situazioni conseguenti. Il denaro contribuisce, infine,ad una maggiore
astrazione del concetto di causalità, nel senso che permette di superare i
vincoli fisici del rapporto causa – effetto; ad esempio nel momento in cui
si pianificano le conseguenze delle proprie operazioni economiche
(spese, risparmi, investimenti). Occorre però precisare che da queste
considerazioni non è certo possibile trarre un’equivalenza tra denaro e
razionalità. Lane stesso nota gli effetti distorcenti del denaro, inteso in
questo caso come simbolo, nei confronti della razionalità. La distinzione
tra segno e simbolo è quindi fondamentale: in quanto segno, infatti, il
denaro permette effettivamente i vantaggi cognitivi sopra descritti, ma
come simbolo in un certo senso si autonomizza, diviene oggetto di
15
desiderio in quanto tale e, come già Marx e Keynes avevano indicato, si
pone all’uomo come fine e non più come mezzo, producendo vere e
proprie nevrosi che si manifestano in ossessioni per il risparmio o in
comportamenti razionalmente inspiegabili (si pensi alla categoria degli
overspender).
Il concetto stesso di denaro, inoltre, sembra rifiutare una definizione
univoca: per esso è stata utilizzata la categoria del “polimorfismo”
(Snelder et al. 1992), che include quei concetti che non vengono definiti
sulla base degli attributi comuni degli oggetti rappresentati ma in base
alla somiglianza fra tali oggetti. Nello studio di Snelder e collaboratori si
dimostra che esiste un giudizio di tipicità nei confronti del denaro: il
contante in forma di banconota è il prototipo di denaro, seguito dalle
monete metalliche e dagli assegni, mentre gli oggetti meno tipicamente
giudicati come denaro si sono dimostrati i francobolli, i conti corrente e i
diamanti. Rumiati e Lotto (1996) confermano, in una ricerca condotta
nel contesto italiano, l’ipotesi del polimorfismo del denaro. Attraverso
l’analisi fattoriale, gli autori individuano tre fattori che definiscono
altrettante categorie sintetiche: il denaro correntemente in circolazione,
quello bancario e, infine, i vari sostituti del denaro.
Lea, Tarpy e Webley (1987), considerando la frammentarietà delle
ricerche psicologiche, hanno cercato di fornire una completa teoria
psicologica del denaro; questi autori considerano il denaro come un
simbolo multiforme, che può operare mentalmente a diversi livelli di
misurazione: a livello nominale, innanzitutto, opera per equivalenze, nel
senso che un certo tipo di denaro può essere scambiato per una certa
categoria e quantità di beni (Thaler e Shefrin 1988). A livello ordinale,
invece, assume varie forme che possono appunto essere ordinate per
preferenze o, come visto a proposito del polimorfismo, per tipicità. A
livello di intervalli e rapporti, infine, opera in termini matematici e
16
questo è il sistema utilizzato nelle società moderne. I bambini
apprendono l’utilizzo del denaro passando progressivamente attraverso
questi tre livelli. Nonostante ciò, però, ancora oggi alcune forme di
denaro possono essere preferite ad altre in particolari occasioni: per
esempio, alcuni tagli possono essere spesi prima di altri per delle
caratteristiche puramente percettive. Il denaro non è quindi tutto uguale,
ma spesso viene utilizzato in funzione delle caratteristiche che gli
vengono attribuite dalla società.
1.2.1 Approcci al risparmio
Nello sviluppo storico del pensiero neoclassico, gli studi sul risparmio
sono stati per lungo tempo influenzati dal progetto scientifico
marginalista. Il principale sostenitore di questo pensiero è stato
sicuramente Jevons5, secondo il quale la valutazione economica avviene
per “confronto sequenziale di singole minime unità di beni acquisiti e
ceduti” ossia, nello scambio, ogni individuo cede un bene
sottoponendosi ad una pena (utilità negativa o disutilità) in cambio di un
altro bene che, invece, gli procura un piacere (utilità). Gli individui
cercano di acquisire il maggior numero possibile di unità di ogni singolo
bene, anche se ciascuna unità procura un’utilità diversa: decrescente per i
beni acquisiti e crescente per quelli ceduti. La soddisfazione o la pena
generata da variazioni unitarie della disponibilità dei beni è
tradizionalmente indicata come “utilità marginale”. Il risparmiatore, in
questa visione, è essenzialmente un ottimizzatore intertemporale
dell’utile derivante dal suo reddito; di conseguenza, il comportamento di
risparmio è il naturale risultato del calcolo utilitaristico tra le varie
opzioni di consumo offerte dal mercato.
5
William Stanley Jevons (1835-1882) pubblica la sua opera principale The Theory of Political
Economy nel 1871
17
Nella seconda metà degli anni trenta, Keynes (1937) arricchisce la teoria
semplicistica della psicologia del consumatore, proposta dalla tradizione
neoclassica, proponendo l’esistenza di una pluralità di motivazioni al
risparmio e facendo della psicologia del risparmio un campo di indagine
sia empirica che teorica.
Un pioniere della psicologia economica è stato certamente Katona
(1951). Il ricercatore americano, allievo di Lewin e Wertheimer, ha
indagato l’influsso sul ciclo economico degli atteggiamenti verso il
consumo e il risparmio. Il metodo utilizzato è stato il panel di
consumatori: un campione permanente di individui intervistati con
regolarità nel corso del tempo. Questo filone di ricerca ha evidenziato la
distanza tra la semplificazione dell’economia teorica e la realtà; infatti, il
risparmio è apparso subito come un comportamento complesso e
soggetto a variazioni imponenti, secondo il luogo e il tempo della sua
osservazione. Nelle indagini di Katona sono emerse delle variazioni
significative legate a variabili ambientali, culturali e sociali; inoltre, è
stato rilevato che la propensione al risparmio varia da Paese a Paese e
che aumenta negli anni di maggior reddito. Katona (1975) distingue
diversi tipi di risparmio, sul piano dei comportamenti e delle
motivazioni: si hanno, così, il “risparmio discrezionale” ed il “risparmio
contrattuale”. Il primo è più soggetto a variazioni, più instabile rispetto
al secondo costituito, per esempio, dai fondi pensione e sorretto da un
obbligo esterno a versare rate o quote periodiche, anche per molti anni.
Aggiunge, poi, il “risparmio residuale”, rappresentato dalle somme
disponibili sulle quali non c’è stata ancora una decisione di spesa o di
investimento finanziario. Inoltre, Katona distingue tra forme di risparmio
più o meno consapevoli.