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Introduzione
L'attuazione dell'articolo 1 della legge 107 del 2015 ha normato, all'interno della
scuola italiana, l'educazione alle differenze. Non si è trattato dell'inserimento di una
nuova disciplina, ma della promozione di un approccio trasversale e interdisciplinare,
atto a formare persone capaci di costruire una propria identità, nel rispetto delle
proprie e altrui specificità, con l'obiettivo di creare una società plurale e aperta.
Questo obiettivo accomuna l'educazione alle differenze con l'educazione civica,
disciplina entrata a far parte delle materie scolastiche da settembre 2020.
L'educazione alle differenze si accosta, inoltre, al processo di inclusione degli alunni
diversamente abili, determinato da un lungo percorso storico che, dalla fine
dell'Ottocento in poi, ha visto il passaggio dall'esclusione in scuole speciali,
all'integrazione nelle classi “normali”, fino ad oggi in cui il concetto di inclusione
non si riferisce più solamente alla disabilità, ma comprende la valorizzazione delle
diversità di tutti e di ciascuno. Sulla base di questo processo, l'attuale paradigma di
normalità appare quantomai obsoleto e inadatto per comprendere la complessità del
mondo globalizzato in cui viviamo. Il concetto di normalità, come lo conosciamo
oggi, si è sviluppato dalla fine del XIX secolo a opera dei teorici dell'eugenetica i
quali, mediante l'applicazione della statistica agli esseri umani, hanno preteso di
rendere scientifica la classificazione degli individui in due categorie: normali e
anormali. Essere normali ha quindi assunto il significato di rientrare in misurazioni
standard sia a livello fisico, tramite misurazione antropometriche, sia a livello
mentale, con i test d'intelligenza.
I primi anni del Novecento si sono quindi caratterizzati per l'ossessione verso il
miglioramento della razza umana, arrivando a concepire, ad esempio, le leggi sulla
sterilizzazione forzata. La teoria darwiniana della selezione naturale fu, inoltre,
utilizzata come base scientifica per sostenere una gerarchia tra le razze, creando il
fenomeno dell'etnocentrismo e, di conseguenza, del razzismo.
Proprio durante un affondo sul tema del razzismo progressista, durante il corso di
Etnografia delle Organizzazioni tenuto dalla Prof.ssa Chiara Brambilla presso
l'Università degli Studi di Bergamo, una collega di corso ha condiviso un passo del
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libro di Ellen Key, Il secolo del bambino, nel quale l'autrice esprimeva con forza le
sue ideologie eugenetiche, in accordo con le teorie di Francis Galton.
Si è manifestato quindi l'interesse ad approfondire quanto, tra la fine dell'Ottocento e
l'inizio del Novecento, le influenze esercitate dalle teorie eugenetiche fossero
permeate nella pedagogia, in particolare negli scritti di due figure, Ellen Key e Maria
Montessori, quali rappresentanti significative del panorama scolastico del
Novecento.
Il lavoro si è focalizzato, inoltre, nell'approfondire le modalità in cui le tendenze
eugenetiche nella pedagogia si siano concretizzate all'interno delle istituzioni
scolastiche sia tramite una specifica formazione per gli insegnanti, sia con
l'introduzione degli strumenti antropometrici all'interno delle classi scolastiche.
Infine, l'elaborato si è focalizzato sull'ipotesi che l'educazione alle differenze
rappresenti oggi uno strumento sul quale fare leva per cambiare il paradigma
dominante di normalità, a favore della valorizzazione della diversità. Sebbene a
livello teorico e normativo, negli ultimi anni, i passi in avanti rispetto al tema della
diversità siano stati importanti, nella cultura permangono, anche a livello inconscio,
stereotipi che consolidano un significato riduttivo e categorizzante di normalità.
Emergono, inoltre, con prepotenza, fenomeni legati al neo-razzismo e al bullismo che
ostacolano il cambiamento culturale a favore del mantenimento dello status quo o,
addirittura, auspicano un ritorno al passato. Promuovere, a livello culturale, un
cambiamento di paradigma, significa considerare la normalità come un concetto
complesso e interrelato con quello che è considerato il suo opposto, la diversità.
Riferendoci all'immagine rappresentata dal simbolo cinese del Tao, vediamo la
normalità comprendere in sé stessa la diversità in quanto un aspetto è parte dell'altro
e viceversa. Questo sguardo porta a concepire che la diversità è insita nella normalità
di ogni essere umano. Proprio per questo, valorizzare le differenze significa
insegnare ai bambini che possono accettarsi e mostrarsi per come sono, “proprio” e
non “nonostante” le particolari caratteristiche che li contraddistinguono.
Il percorso di approfondimento delle tematiche sopracitate è iniziato con una parte
bibliografica condotta mediante un approfondito studio dei testi e una ricerca
d'archivio presso la biblioteca Angelo Maj di Bergamo, per la consultazione
dell'opera, fuori catalogo, di Maria Montessori, Antropologia Pedagogica.
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La parte di ricerca-azione, invece, è stata condotta tramite la partecipazione al
progetto europeo ProSocial Values al quale hanno aderito 18 scuole e 680 studenti di
6 diversi Paesi europei: Macedonia, Lituania, Bulgaria, Turchia, Italia e Spagna. Per
l'Italia, hanno partecipato sette scuole, tra le quali le classi terze dell'Istituto
Donadoni di Sarnico (Bg), in cui lavoro. Le attività proposte per la partecipazione
alla ricerca-azione sono state racchiuse nel progetto “Oltre i miei confini”, ideato sia
prendendo spunto dai lavori sulle mappe e i confini della Prof.ssa Brambilla, sia
attingendo agli strumenti didattici condivisi durante la formazione rivolta agli
insegnanti aderenti al progetto ProSocial Values. La fase di ricerca-azione ha previsto
la somministrazione di due differenti questionari di autoriflessione, relativi agli
atteggiamenti dei bambini verso gli altri, uno rivolto agli alunni e uno agli insegnanti.
Il progetto ha previsto anche l'utilizzo di risorse tecnologiche quali la piattaforma per
la creazione di mappe interattive Storymaps Js.
Con questo sfondo di riferimento teorico-concettuale e metodologico, la tesi si
sviluppa in cinque capitoli. Nel primo capitolo si approfondisce il periodo di nascita
dell'eugenetica e lo sviluppo del paradigma di normalità. Viene inoltre affrontato il
tema del femminismo eugenico. Il secondo capitolo approfondisce nello specifico il
tema del femminismo italiano e delle influenze in esso apportate dal pensiero di
Ellen Key. Il capitolo prosegue poi prendendo in esame il testo Il secolo del bambino
della Key e approfondendo l'origine del Metodo di Maria Montessori con il testo
Antropologia Pedagogica. Si indaga, in particolare, la presenza di influenze
eugenetiche nelle teorie espresse in questi scritti, soffermandosi su due aspetti relativi
al pensiero montessoriano, l'utilizzo delle carte biografiche e la teoria dell'uomo
medio. Il terzo capitolo si focalizza inizialmente sul percorso storico dal positivismo
al fascismo, soffermandosi poi sul percorso normativo della scuola italiana
dall'esclusione dei bambini diversamente abili alla loro inclusione. Un affondo finale
illustra le novità apportate nel panorama scolastico dalla recente legge sull'inclusione
e si interroga sulle prospettive future del processo inclusivo. Nel quarto capitolo si fa
riferimento all'interpretazione antropologica delle organizzazioni, utile a considerare
l'organizzazione scolastica come un sistema complesso da cui è necessario partire per
creare un nuovo paradigma di normalità. Si sottolinea anche l'importanza di
soffermarsi sul linguaggio come creatore di significati che, all'interno delle
6
organizzazioni, ha assunto dal neoliberismo ad oggi, una pericolosa inclinazione
verso l'individualismo che ha pervaso anche l'organizzazione scolastica. Il
riferimento all'antropologia è poi stato applicato all'educazione per evidenziare il
passaggio dall'antropologia pedagogica montessoriana che auspicava l'avvento, in
tutte le scuole, di classi organizzate come laboratori scientifici, a un'antropologia
come educazione, come teorizzato da Tim Ingold, capace invece di trasformare le
classi in comunità di relazioni in cui dal dialogo possano emergere nuovi significati
condivisi. Infine, il capitolo affronta nello specifico le normative che hanno
introdotto l'educazione alle differenze nella scuola italiana. Il quinto e ultimo
capitolo illustra il progetto europeo di ricerca-azione ProSocial Values e lo
svolgimento delle sue fasi all'interno dell'Istituto Donadoni di Sarnico (Bg). Sono
inoltre illustrate nel dettaglio le attività del progetto “Oltre i miei confini”, svolte
nelle classi terze dell'istituto, progettate per la partecipazione alla ricerca-azione con
l'obiettivo di sviluppare le competenze prosociali relative al riconoscimento e alla
valorizzazione delle proprie e altrui differenze. Il capitolo si conclude riportando i
risultati del progetto di ricerca-azione ProSocial Values e i rimandi dei bambini sul
percorso svolto, in particolare in relazione alla loro percezione del concetto di
confine.
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1. La normalità diventa scienza
1.1. La scienza positivista
1
Il filosofo Henri de Saint Simon utilizzò per la prima volta il termine postivisme nel
1820, per definire il metodo rigoroso delle scienze fondate sull'osservazione dei fatti
e sulla verifica sperimentale delle teorie.
In un contesto storico contrassegnato dalla rivoluzione industriale e dal consolidarsi
degli stati liberali e degli imperi coloniali, il ritorno alle idee di stampo illuminista
portò nuovamente all'esaltazione della ragione e ripropose il primato delle scienze e
del metodo scientifico.
Auguste Comte, discepolo di Saint Simon, considerato il fondatore del Positivismo,
esaltando la conoscenza scientifica come unica strada percorribile per conoscere la
realtà, mirava a screditare la metafisica sostenendo l'indiscusso primato del metodo
scientifico che, secondo la sua teoria, poteva essere applicato a tutte le sfere della
conoscenza. Nelle Riflessioni filosofiche sulla scienza e gli scienziati del 1826,
Comte sosteneva che con la nascita dell’industria e della scienza era emerso un
nuovo tipo d’intellettuale, non più il cortigiano erudito dei tempi passati, subordinato
al potere, ma lo scienziato in possesso di un sapere utile e universalmente valido al
quale viene affidato il ruolo di guida della società.
Il positivismo ha posto al centro della propria riflessione la scienza quale motore di
sviluppo e la fiducia nel metodo scientifico, ritenuto in grado di indicare le vie verso
una conoscenza delle leggi che regolano la natura e verso una moderna
riorganizzazione della società. Tale orientamento ha caratterizzato un’intera fase
della cultura europea, coinvolgendo i diversi campi del sapere: dalla filosofia alla
pedagogia, all'antropologia, alla sociologia, alla psicologia, al diritto e ad altri settori
come l’arte, la musica e la religione. Lo sviluppo dell’industria e della tecnica e le
1
Bocchi G., Ceruti M., Origini di storie, Feltrinelli, Milano, 2009, p.146-185 e Dei F.,
Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, 2016, pp.35-50.
8
continue scoperte delle scienze determinarono all'epoca una diffusa credenza in un
progresso irreversibile.
Nel 1859, con l’uscita del libro On the origin of species
2
di Charles Darwin, la teoria
dell’evoluzione fu suffragata sul piano scientifico: le origini dell’uomo erano
spiegabili con le medesime leggi di selezione ed evoluzione, applicabili a ogni forma
di vita. Secondo Darwin la lotta per la sopravvivenza scaturiva da mutevoli e
imprevedibili relazioni che s'instauravano nell’ambiente. Il comportamento si
definiva quale strategia di adattamento all’ambiente, l’azione umana era quindi
mossa dal bisogno.
Herbert Spencer, teorico del darwinismo sociale vide nel bisogno e nell’adattamento
i criteri fondamentali per interpretare il processo educativo. Egli riteneva che la
libera competizione fosse alla base di un progresso crescente e che la sopravvivenza
del più adatto implicasse la capacità di adattamento all’ambiente: «l’intero sforzo
della natura è di sbarazzarsi dei falliti della vita, ripulendo il mondo della loro
presenza e facendo spazio ai migliori.»
3
In breve tempo le teorie darwiniane e concezioni positiviste si diffusero ben oltre i
confini inglesi, facendolo diventare, a metà dell’Ottocento, un fenomeno
internazionale.
In Italia il positivismo prese avvio dal processo di unificazione nazionale. L’Italia
arrivò all’unità politica e statale più tardi degli altri paesi europei e qui il positivismo
permeò il tessuto culturale nei vari campi: filosofico, giuridico, criminologico,
storico, medico, psicologico. Particolarmente incisive per l’influenza che ebbero
anche in ambito pedagogico, furono le teorie nel campo dell'analisi della criminalità,
con gli studi di Cesare Lombroso e della psicologia con Giuseppe Sergi.
Durante questo periodo la pedagogia fu paragonata alla medicina, poiché derivata da
altre scienze, qualificandosi quale scienza della prevenzione e dell’intervento. Nuove
discipline come l’antropologia pedagogica e la psicologia fornirono strumenti
fondamentali per il rinnovamento dell’insegnamento scolastico.
Il medico e pedagogista Ugo Pizzoli fondò nel 1901 un Laboratorio di Pedagogia
scientifica, dove tennero lezioni agli insegnanti anche Giuseppe Sergi e Maria
Montessori. Il principio che animava il lavoro di Pizzoli era lo studio metodico
2
Darwin C., L'origine della specie, Zanichelli, Bologna, 2019 [ed.or.1859].
3
Losurdo D., Controstoria del liberalismo, Laterza, Roma-Bari, 2005, p.213.
9
dell’educando, condotto sotto la guida dell’antropologia pedagogica e della
psicologia sperimentale, raccogliendo dati anamnestici e prendendo misure
antropometriche.
I principi fondamentali del positivismo che a fine '800 influirono sulla cultura e sugli
sviluppi storici degli anni successivi furono: l'utilizzo del metodo scientifico basato
sull'analisi di fatti concreti e oggettivi come unico strumento valido di conoscenza
della realtà; le teorie darwiniane, in particolare il criterio di selezione naturale per il
quale i più deboli soccombono rispetto ai più forti; la totale fiducia nella scienza e
nella tecnica come vie maestre per il progresso e il miglioramento dell'uomo.
In questo contesto storico, parallelamente agli studi di Darwin, ritornò in auge il
concetto di razza. Utilizzato fin dal 1500 per indicare individui che appartengono a
un gruppo di parentela, questo termine si affermò nell’Ottocento per riferirsi a uno
stesso gruppo caratterizzato da specificità somatiche, intellettuali e comportamentali
che si supponeva avessero un’origine biologica trasmessa per via ereditaria.
Contemporaneamente alla diffusione del termine razza, si propagarono anche le
prime teorie razziste. Con il Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane
4
del
1853, Gobineau teorizzò il “degenerativismo”, un modello paradigmatico delle teorie
razziste. Gli assunti di base furono:
- la naturalizzazione di ogni tipo di differenza tra le culture;
- l’affermazione di una rigida gerarchia tra le razze, secondo cui la razza bianca
era superiore alle altre;
- l’orrore per la mescolanza delle razze: il meticciamento produrrebbe la
perdita della purezza delle culture.
Secondo Gobineu la razza bianca, creatrice di una società evoluta, era superiore a
ogni altra razza. Una delle caratteristiche che dimostravano la superiorità della razza
bianca era la bellezza; la proporzione dei tratti fisici, insieme ai risultati scientifici e
tecnologici dimostravano, secondo Gobineau, la superiorità della civiltà occidentale.
Egli, in aperto contrasto con la tradizione illuminista, teorizzò un razzismo
reazionario. Secondo le sue teorie, l'uomo non tendeva verso la perfezione, non era in
4
Goubineau J.A., Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, Edizioni di Ar, Avellino,
2010 [ed.or.1853].
10
evoluzione costante anzi, il mescolamento delle razze, minandone la purezza,
avrebbe avuto come conseguenza la degenerazione dell'umanità.
Gli evoluzionisti, a differenza di Goubineau, sostenevano che l’origine delle culture
era una sola. Le variazioni tra culture sarebbero determinate dalle diverse modalità di
adattamento all'ambiente di ciascuna società e dal fatto che alcune di queste si
evolvono più velocemente delle altre. Le culture “primitive” in quest'ottica
etnocentrica, rappresenterebbero l'infanzia dell'umanità; la loro unica possibilità di
evolversi deriverebbe dall'opera civilizzatrice dei Paesi più sviluppati.
Il razzismo progressista abbracciando le teorie evoluzioniste di Darwin portò, a fine
'800, alla diffusione e legittimazione di pratiche d’ingegneria biologica, come
l'eugenetica che, secondo Fabio Dei: «stanno probabilmente alla base delle più
disastrose manifestazioni contemporanee del razzismo.».
5
1.2. La nascita dell’eugenetica e del concetto di
normalità
6
La fondazione di un progetto moderno di miglioramento della popolazione umana,
strettamente collegata al darwinismo e alla sua teoria della selezione naturale, fu
sviluppata dal 1860 da Sir Francis Galton, cugino di Charles Darwin. Il suo intento
era di utilizzare la statistica, applicandola all'ereditarietà dei caratteri, per migliorare
la razza umana.
Nel 1883 Galton coniò il nome “eugenetica” (dal greco εὐγενής, eughenès: "ben
nato", da εὖ, èu, "buono", e γένος, ghènos, "razza", "parentela", "stirpe"), fondando
la sua ricerca sulla teoria del determinismo biologico. Tale teoria era basata
sull'assunto che i geni determinassero interamente il carattere umano, quest'ultimo
non sarebbe quindi influenzabile dall'educazione o dalle condizioni di vita.
In Inghilterra, le idee di Galton si diffusero anche a causa delle problematiche sociali
e di salute che, con l'avvento della rivoluzione industriale, sembravano moltiplicarsi.
5
Dei F., Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna, 2016, p. 38.
6
Scaraffia L. Per una storia dell’eugenetica. Il pericolo nasce dalle buone intenzioni,
Morcelliana, Brescia, 2012, pp.39-42 e Medeghini R. (a cura di), Norma e normalità nei disability
studies, Erickson, Trento, 2015, pp. 40-48.
11
Tubercolosi, sifilide, alcolismo apparvero come manifestazioni di una
contaminazione della specie umana di difetti congeniti, soprattutto tra la popolazione
più povera. Per Galton, infatti, le classi sociali possedevano qualità trasmissibili
ereditariamente ed era necessario evitare il mescolamento tra persone appartenenti a
diversi ceti sociali, per evitare la scomparsa dei caratteri migliori della specie umana,
propri delle élite della società.
Lo scopo di Galton fu di scoprire le leggi dell'ereditarietà e di comprenderne il
meccanismo di trasmissione; a tal proposito egli asseriva che fosse possibile produrre
una razza umana sovra dotata attraverso matrimoni programmati durante diverse
generazioni consecutive.
Per dare una base scientifica al suo progetto, Galton utilizzò la statistica, servendosi
della funzione inventata da Carl Friedrich Gauss.
Gauss, nello studio dei moti dei pianeti del sistema solare, inventò il metodo dei
minimi quadrati, con l'intento di ridurre al minimo gli errori di misurazione. Lo
strumento che utilizzò per le misurazioni fu la variabile casuale normale ossia la
curva che descrive il comportamento e l'entità degli errori di misurazione tramite un
grafico a campana chiamato appunto curva degli errori.
Galton intuì che la curva di Gauss poteva essere applicata anche a fenomeni che non
riguardavano gli “errori” matematici e iniziò ad applicarla prima ai vegetali e poi alle
popolazioni umane. Il termine “normale” iniziò a essere utilizzato per definire i dati
generali che rappresentavano un fenomeno “normale” ovvero la “norma” per
qualsiasi distribuzione presente in natura.
Egli applicò la “distribuzione normale” alla popolazione sotto esame, quindi misurò
la variazione rispetto alla media dei vari elementi. Partendo dalle piante, cominciò
poi a raccogliere i dati sulla costituzione fisica e il peso della popolazione britannica.
Galton quindi utilizzò uno strumento scientifico come la curva di Gauss, per
misurare le caratteristiche umane, definendo la normalità in ciò che rientrava nella
media e la devianza nell'allontanamento da tale media.
I concetti di normalità, norma e media iniziarono così a entrare nella cultura europea
dalla metà dell'Ottocento. Poco prima di Galton, fu lo studioso di statistica francese
Adolphe Quètelet a porre le basi per l'utilizzo scientifico del concetto di norma. In
particolare, con la sua teoria dell'homme moyen teorizzò un ideale uomo medio che
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incarnasse tutti gli attributi umani distribuiti statisticamente sulla curva standard a
campana. Agli estremi di questa curva si collocavano le persone devianti, fuori dalla
norma.
La statistica legata all'eugenetica creò l'assunto secondo il quale la popolazione
potesse essere normata e suddivisa in due parti: popolazione standard (nella norma) e
sottopopolazione non standard (fuori dalla norma).
[...]Esiste un rapporto simbiotico tra istanze della scienza statistica e istanze
dell’eugenetica. Infatti, entrambe introducono nella società il concetto di norma
e soprattutto di corpo normale — e così, di fatto, creano il concetto di corpo
disabile.
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Per Quètelet l'uomo medio incarnava gli ideali di bellezza dell'antica Grecia; le
misurazioni antropometriche iniziarono quindi a essere utilizzate per valutare quanto
una persona fosse lontana dalla media della sua razza e per sostenere le teorie che
ritenevano la razza bianca superiore alle altre. Le misure delle statue greche furono
usate come esempio di perfezione, bisogna però considerare che per i greci queste
proporzioni ideali non fossero caratteristiche degli uomini, ma degli dei. Gli uomini
avevano dei tratti simili al divino ma nessun uomo avrebbe potuto incarnare tutte le
perfette misure corporee che caratterizzavano la bellezza di un Dio. A fine Ottocento
invece l’ideale di perfezione greco fu applicato all’uomo e l’eugenetica propose gli
strumenti della statistica e dell’antropometria come metodi scientifici per classificare
gli esseri umani in normali o devianti e per intervenire a favore del perfezionamento
della razza umana.
Fu ancora di Galton l'idea di cambiare nome della “curva degli errori” indicandola
come “curva di distribuzione normale” che fu poi chiamata “deviazione standard”,
termine tutt'oggi utilizzato nelle valutazioni psicodiagnostiche.
Per i suoi interessi eugenetici Galton cambiò inoltre il modo di utilizzare la curva
gaussiana introducendo la misurazione del mediano anziché della media:
Se un tratto, diciamo l’intelligenza, viene considerato dal punto di vista della
sua media, allora è la maggioranza della gente a determinare il grado che
dovrebbe avere l’intelligenza — e quindi quest’ultima sarebbe definita sulla
7
Medeghini R. (a cura di), Norma e normalità nei disability studies, Erickson, Trento, 2015,
p. 44.