2
Introduzione
La complessità che caratterizza la società odierna e la lunga fase di trasformazione
planetaria hanno indubbiamente lasciato tracce nel vivere quotidiano, racchiudendo
nell’ampio termine di “globalizzazione” una miriade di significati che si relazionano con i
processi di multiculturalità, mutabilità e cambiamenti sociali, economici, politici e
assiologici tipici della “società della conoscenza”, locuzione che ha assunto sempre
maggior importanza nella descrizione della società odierna nella quale la conoscenza
assume, dal punto di vista economico, sociale e politico un’innegabile centralità nei
processi di vita, delineando profili di crescita e competitività fondati sul sapere, sulla
ricerca e sull’innovazione
1
. L’esigenza formativa si profila pertanto come continua
riqualificazione e revisione delle conoscenze e competenze possedute e utilizzate in
contesti facilmente reversibili
2
. I rapidi cambiamenti si sono concretizzati, in alcune
occasioni, in crisi di valori e degli istituti classici di riferimento caratterizzati da una
sempre più evidente eterogeneità e dalla contraddizione dei modelli e delle proposte
culturali presenti nei vari contesti di vita i quali, non di rado, hanno portato ad uno scenario
di disorientamento e di fragilità. L’orientarsi fra le molteplici idee nel tentativo di definire
con coerenza la propria esistenza pare essere impresa non del tutto semplice, richiedendo
un duro lavoro per l’individuo che si trova ad affrontare una miriade di ostacoli per
rispondere al proprio bisogno di autorealizzazione personale
3
. La questione ontologica che
emerge rivela un’“emergenza educativa” ascrivibile, tra le diverse cause, all’abdicazione
degli adulti rispetto al compito educativo. La metamorfosi della condizione umana ha
segnato in profondità gli stili di vita delle nuove generazioni rilevando un atteggiamento
oramai diffuso, caratterizzato dalla propensione a vivere esclusivamente nel presente,
temendo il futuro, considerato solamente come una minaccia e tagliando gli ormeggi con il
passato, percepito come inutile peso dal quale liberarsi
4
. L’espressione per denominare tale
atteggiamento potrebbe essere quella di anestesia della storia, tipico dell’individuo che si
concepisce autopoietico, mosso dalla convinzione e dalla certezza di iniziare daccapo e in
solitudine la storia, rispondendo così, con il suo venire ad essere nel mondo, al compito di
1
Knowledge society in "Lessico del XXI Secolo", Treccani, il portale del sapere, consultato 20/08/2021, URL:
https://www.treccani.it/enciclopedia/knowledge-society_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/
2
Olimpo, 2010 citato in L. Ariemma, pp. 5-6, consultato 20/08/2021, Disponibile su :
http://nuovadidattica.lascuolaconvoi.it/agire-educativo/4-il-lavoro-educativo-nei-contesti-formali-
informali-e-diffusi-non-formali/societa-della-conoscenza/
3
Margiotta, U., Zambianchi, E., (2014) La trama enattiva della relazione educativa nello sviluppo della
genitorialità [tesi di dottorato], p.257, Università Ca' Foscari Venezia, DOI: 10.7346/-fei-IX-04-11_25.,
Disponibile su: https://ojs.pensamultimedia.it/index.php/siref/article/view/926/897
4
A. Bellingreri, La consegna, Morcelliana, 2019, p. 5.
3
conferire senso alla totalità del reale
5
. Si scorge una celebrazione esaltata ed erronea
dell’autonomia e della libertà personale, intese come fattori immancabili affinché al
soggetto sia consentito esprimere preferenze, effettuare delle scelte e tracciare il proprio
piano di vita, senza essere ostacolato da nessuno; il “modello” di uomo, frutto di tale
scenario, è allora quello del self-made-man, ovvero dell’uomo che si fa da solo, che non
sente il bisogno delle relazioni per scoprire e conoscere se stesso e che non si dimostra in
grado di “riconoscere”, ne tanto meno ringraziare o interrogarsi su quel legame con la
storia che lo precede e che lo costituisce e con le relazioni, familiari e non, che da sempre
lo segnano
6
. Una vera e propria crisi della memoria si esprime attraverso la perdita di
ancoraggio con la vita e con le esperienze dalle generazioni che hanno preceduto il
soggetto
7
. Occorre ricordare come la storia riguardi l’uomo e la sua attività e non esiste
società che non costruisca il racconto di se stessa. Alla storia l’uomo si rivolge nel
tentativo di trovare di trovare risposta al bisogno che lo segna e che si esplica attraverso le
domande su “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”, rilevando così la funzione
sociale della storia
8
. In quanto memoria è proprio la storia che stabilisce le identità che
nascono dal passato; assolve al compito di delineare il passato sul quale si viene a costruire
il futuro; conferma o smentisce credenze del passato; offre visioni per affrontare vecchi e
nuovi problemi
9
. È in questa fase storica caratterizzata da un’assolutizzazione del presente
che si avverte la necessità di riflettere sulle categorie temporali del passato e del futuro,
spesso estromesso dal dibattito sociale, culturale, politico ed economico
10
. In particolar
modo emerge la necessità di recuperare quel filo della tradizione che legava tra loro le
generazioni e che, facendosi sempre più sottile, adesso pare essersi spezzato
11
. Emerge in
questo scenario la denuncia, già evidenziata da Arendt, di una perdita della memoria, la
quale si delinea come problema politico e in particolar modo pedagogico, da considerare
rivolgendo lo sguardo non tanto agli eredi, e quindi alle nuove generazioni che avrebbero
dovuto ricevere “il testamento”, ovvero ciò lega i beni del passato a un momento futuro;
ma ai testimoni, a chi, nelle vesti di educatore, avrebbe dovuto lasciare in eredità e rendersi
5
Ivi, p. 6.
6
G. D’Addelfio, M. Vinciguerra, Affettività ed etica nelle relazioni educative familiari. Percorsi di Philosophy
for Children and Community, Franco Angeli, 2020, p. 133.
7
A. Bellingreri, La consegna, Morcelliana, 2019, p. 16.
8
G. Galasso, 2015 citato in A. Criscenti Grassi, 2016, p. 19.
9
Criscenti Grassi, A., La ricerca storica in educazione e i nuovi orientamenti storiografici, in A. Criscenti
Grassi (a cura di), A proposito dell'History Manifesto. Nuove tendenze per la ricerca storico-educativa,
Fondazione Vito Fazio Allmayer, 2016, p. 19.
10
Ivi, p. 20.
11
H. Arendt, 1999 citato in G. D’Addelfio, M. Vinciguerra, 2019, p. 136.
4
responsabile di una consegna
12
. Si comprende il significato di un dato che insorge nella
società contemporanea, una vera e propria rottura del patto intergenerazionale
caratterizzata da difficoltà crescenti nelle comunicazioni tra le generazioni dei genitori e
dei figli: si tratta di veri e propri blocchi comunicativi che interessano anche le stesse
parole presenti nel vocabolario essenziale della vita quotidiana che, sia a scuola che in
famiglia, appaiono equivoche e assumono significati diversi nella comprensione che
entrambi i soggetti coinvolti nella conversazione, ne danno. È un fenomeno che, alla luce
delle nuove emergenze educative, non può essere trascurato se si considerano le
ripercussioni ad esso collegate per le esistenze, in particolar modo dei figli, i quali vengono
segnati da ferite educative e finiscono per ritrovarsi da soli nell’affrontare gli ostacoli che
la vita mette di fronte, ricercando o inventando un senso da conferire alla realtà che li
circonda
13
. Si tratta di una ferita letale anche per l’educazione che diventa vittima di uno
stravolgimento di senso che rende improbabile la stessa azione educativa e la realizzazione
delle due istanze essenziali : la prima, definita istanza esistenziale, mirata alla
realizzazione di sé e alla tensione ad una vita piena e tale, desiderabile e preferibile rispetto
al semplice vivere o addirittura al farsi vivere; l’altra istanza, denominata istanza storica,
connessa alla possibilità di ricevere in dono e acquisire dalle generazioni precedenti,
un’eredità di senso, ovvero un ideale etico di vita buona, un auspicio per la realizzazione di
sé con e per gli altri
14
. In questo scenario odierno e nel bel mezzo di queste temperie
postmoderne in cui prevale un’esistenza inautentica, soltanto in incontro autentico, nei
contesti della vita quotidiana, in famiglia, a scuola o nel gruppo dei pari, può risvegliare e
destare il soggetto dalla condizione nella quale si ritrova ad essere, uno stato definito di
sonnambulismo esistenziale.
Il seguente testo si compone di quattro capitoli. Nel primo capitolo viene effettuata una
ricognizione empirica che, attraverso un’attenta osservazione, consente di effettuare una
prima descrizione della situazione odierna rispetto ai fenomeni evidenti e alla crisi
educativa emergente. Nello specifico l’attenzione sarà rivolta ai profili sociologici e
pedagogici che delineano la società postmoderna, segnata da una “liquidità” che connota i
valori, le idee e i punti di riferimento con i quali gli individui si relazionano o almeno,
nello scenario di disorientamento nel quale vivono, cercano di relazionarsi. Il termine
“Liquid modernity”, coniato dal sociologo Zygmunt Bauman, si riferisce, infatti, agli
12
Ibidem.
13
A. Bellingreri, La consegna, Morcelliana, 2019, p. 19.
14
Ivi, p. 20.
5
aspetti di fragilità, vulnerabilità e forte inclinazione al cambiamento costante che
contraddistinguono la società della modernità liquida. Essere moderni, in tal senso,
significa “modernizzare” in maniera quasi compulsiva e ossessiva nel tentativo di sostituire
strutture precedenti, considerate obsolete e ormai scadute. La stessa struttura identitaria
del soggetto viene messa alla prova e rimane vittima di un meccanismo che la vede
definirsi, demolirsi e ridefinirsi temporaneamente, rispondendo al bisogno di modernità e
al bisogno distruttivo di essere sempre “post-qualcosa”. In quella che sembra essere una
corsa verso il raggiungimento del miglioramento personale finale, l’individuo finisce però
per smarrire se stesso e perdere la via per realizzarsi nel suo essere evento persona,
prediligendo identità “usa e getta” ed immagini distorte del sé che riflettono prototipi
impersonali. Il nostro tempo poi, sotto diversi punti di vista, appare caratterizzato da un
vero e proprio culto delle emozioni, quest’ultime intese come l’espressione più sincera e in
tal senso autentica della soggettività individuale. Tale “culto”, ormai diventato
l’atteggiamento naturale tipico della nostra società, ha investito e influenzato in profondità
i diversi ambiti educativi, dalla famiglia alla scuola, conquistando il valore di criterio guida
del nostro stare al mondo. Immancabili sono le conseguenze per le nuove generazioni, per i
figli e per gli alunni che si ritrovano coinvolti in relazioni educative nelle quali le emozioni
assumono un posto privilegiato, enfatizzando così il mondo delle forti emozioni e
denigrando, o addirittura annullando, quello delle regole. Si rende evidente uno squilibrio
tra il contatto, inteso come capacità dell’educatore di riconoscere i vissuti emotivi
dell’altro e di saper esprimere a sua volta i propri, aprendo quello spazio in grado di
rispondere al bisogno di intimità, e il controllo, inteso come capacità di dare indicazioni,
orientare e guidare, supportando alcuni comportamenti e sanzionandone altri. Tali caratteri
prevalenti nelle relazioni educative, comportano delle conseguenze dirette sul bambino
che, nel suo cammino di compimento come persona, rimane intrappolato nel culto delle
emozioni e nel culto dell’Io, impedendo così di rispondere al desiderio autentico che lo
segna e che coincide con la scoperta del proprio sé. Scenario comune è quello che vede i
bambini destinati ad interiorizzare un’immagine distorta dell’amore genitoriale che risulta
essere per loro dannoso e che contribuisce alla nascita del bambino denominato “sovrano”,
un bambino senza regole, troppo libero ma fragile e poco autonomo. Con l’adolescenza
egli diventerà un adolescente narciso, promotore dell’amor proprio, espressione utilizzata
dal filosofo Jean-Jacques Rousseau con la quale intendeva riferirsi al sentimento negativo
che porta gli uomini a farsi del male tra di loro. Se l’amor di sé era da considerarsi come
sentimento positivo volto alla cura, al benessere e al mantenimento di integrità della
propria persona, arricchito dalla pietà, che provoca nell’uomo un’istintiva avversione nel
6
vedere soffrire l’altro in quanto suo simile, con l’amor proprio l’uomo mette al centro
esclusivamente se stesso e i propri bisogni, ponendolo in un continuo confronto, se non
addirittura scontro, con l’altro e conducendolo a mostrare perennemente di essere migliore
dell’altro e migliore di sé. La strada verso il processo di mascheramento del sé appare
allora prossima e questa lo allontanerà sempre di più dalla sua originaria identità,
costringendolo ad adottare di volta in volta identità fittizie, da utilizzare all’occasione e da
demolire quando non se ne sente più il bisogno. In questa crisi identitaria e in questa
situazione di disorientamento che la contraddistingue, soltanto un incontro autentico potrà
offrire al soggetto uno sguardo nuovo, capace di guardare le cose delle realtà come se le
guardasse per la prima volta. Tale sguardo offrirà alla persona la possibilità di guardarsi
anche con occhi nuovi, smantellando quell’essere fittizio verso il quale si stava dirigendo,
o risignificando quello che si era già costruito; soltanto in questo modo egli potrà
incamminarsi verso quel percorso che lo condurrà a colmare il vuoto identitario che lo
segna. Le seguenti riflessioni, facilmente riscontrabili nella società odierna, vengono
arricchite da un confronto che vede protagonisti i Millennials, etichetta con la quale si
intente riferirsi ai soggetti nati tra gli inizi degli anni 80 e la fine degli anni 90, e la
generazione Alpha, etichetta utilizzata per denominare le generazioni di nati tra il 2010 e il
2020. Si propone un ritratto sociologico di quelle che sono state denominate generazioni
“figlie dell’immediatezza” e per le quali sono stati adottati aggettivi divenuti spesso
pregiudizi difficili da smontare. L’attenzione viene rivolta nello specifico, oltre che nei
confronti degli atteggiamenti tipici che sembrano prevalenti, al versante educativo e in
particolar modo verso la crisi educativa che ha segnato, e che segna, entrambe le
generazioni in questione. Nell’ottica di proposte educative volte a colmare il vuoto
ereditario lasciato dalle generazioni precedenti e la crisi generativa evidenziata, l’impegno
deve essere rivolto al possibile scenario già in corso che vede gli individui vittime di una
crisi delle autorità, ovvero di quella figura in grado di mettere in discussione quanto
ricevuto dalla storia, meditare su di esso ed esserne testimone. L’attuale ritratto delle
famiglie “autopoietiche” e “affettive” diventa un primo punto di partenza per indagare
sulle conseguenze di una crescita, non solo psicofisica, del bambino in questo scenario di
trambusto e sul ricorrente “problema della felicità”, in questa occasione non più solamente
relativo ai valori e ai beni materiali ma a quelli incentrati sulla realizzazione individuale e
su una garanzia di espressione e autonomia personale. Occorre interrogarsi su quale
educazione debba strutturarsi per la società contemporanea rapportandola ad alcune
categorie che sembrano caratterizzare l’atteggiamento diffuso nell’uomo del nostro tempo.
Nel rapporto con una nuova educazione, gli educatori sono chiamati ad una doppia sfida
7
che riguarda non soltanto le loro responsabilità educative, ma riguarda soprattutto loro
stessi, l’insieme di modelli e di valori che sono in grado di incarnare e manifestare e la loro
capacità di rinnovarsi, sperimentarsi e riscoprirsi. Nel delicato percorso di crescita
dell’educando, la professione dell’educatore appare deputata di grandi responsabilità e
risiede nelle mani del maestro la capacità di saper orientare e motivare le generazioni
affinché sappiano rispondere adeguatamente all’invito di un compito esistenziale che li
vede coinvolti in prima persona.
Il secondo capitolo propone una riflessione volta a cogliere l’educazione come fenomeno
umano universale, intendendolo nel suo valore di bisogno individuale e fatto sociale.
Sull’avvertita necessità di educazione e sulla sua presunta data di nascita si potrebbe
piuttosto rispondere assumendo tale processo come risposta al bisogno che nasce con
l’umanità stessa e che si presenta per ogni soggetto, come autentica possibilità di
realizzarsi come persona e come cittadino, sostenendo la tesi di un’educazione concepita
come fatto individuale e sociale. Il perché l’educazione possa essere giudicata in questi
termini lo suggerisce il significato stesso della parola educare che, dal latino educĕre,
diviene espressione diretta dell’azione di “trarre verso il fuori” ciò che risiede dentro
l’individuo e per il quale quest’ultimo gode del diritto quanto del dovere di trovarvi
risposta, richiamando la responsabilità di chi, nelle vesti di educatore, assume l’impegno di
essere portavoce e compagno di viaggio in questa impresa di scoperta, decifrazione e
realizzazione di sé. L’educazione, così pensata, può essere compresa in maniera arricchita
ricercando legami con le epoche passate ed esplorando le idee che di educazione si sono
date nel corso del tempo. Ogni società umana, in quanto produttrice di cultura, ha elaborato
ed esplicato dei “modelli” educativi che rispecchiano i valori e i punti di riferimento della
cultura in questione e lo stesso modo di intendere e rendere concreta il concetto di
educazione. In tal senso l’educazione è stata da sempre un “problema” al quale trovare
soluzione e risposta, in relazione al carattere di essenzialità e di necessità che riveste per il
soggetto in crescita. L’uomo per sua natura è indeterminato e le risorse ambientali, le
esperienze familiari ed extrafamiliari e le influenze culturali, sin dal momento della sua
nascita si mostreranno a lui come possibilità per diventare un certo tipo di persona. Di
questi fattori però non deve essere dimenticato quello che è il progetto personale di sé,
nascosto e custodito dentro ogni individuo che rimane in attesa di essere riconosciuto e
tratto fuori. In questo caso ci si riferisce al bisogno di autorealizzazione, inteso come
desiderio di vita piena e totale. Ecco che l’educazione si presenta come chiave per cogliere
e scoprire il segreto che ciascuno dentro di sé custodisce, arrivando ad un passo dal cuore