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Edgar Allan Poe
Roger Corman
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1. Introduzione
Nel 2016 Roger Corman ha compiuto novant’anni, di questi novant’anni, una
settantina li ha vissuti all’insegna della passione per il cinema. Passione diventa-
ta nel frattempo un lavoro ricco di soddisfazioni, l’ultima delle quali è certamen-
te il conferimento dell’Oscar alla carriera nel 2010.
In Italia, Roger Corman non è mai stato annoverato tra i nomi più celebri della
cinematografia internazionale, eppure la sua mole di lavoro e il suo contributo
alla settima arte hanno pochi eguali nel mondo. Degli oltre trecento film, tra
quelli diretti, prodotti e distribuiti, probabilmente l’opera che più gli ha garanti-
to fama e risalto internazionale resta il ciclo delle sette pellicole ispirate ai rac-
conti di Edgar Allan Poe e girate a tempo record nell’arco di quattro anni, tra il
1960 e il 1964. Ma se Corman è stato ed è un personaggio di successo, conside-
rato da tutti gli addetti ai lavori uno dei grandi maestri ancora viventi del cinema
del secondo novecento, la parabola di Edgar Allan Poe, mirabile fonte
d’ispirazione per questo ciclo di film, è stata quanto di più tragico e fallimentare
si possa immaginare. Edgar Allan Poe, la cui spiccata sensibilità è stata messa a
dura prova dalle tante e tristi vicende che hanno accompagnato la sua pur breve
vita, oggi rappresenta indubitabilmente uno dei maestri della letteratura mon-
diale. Forse è proprio grazie alla sua storia travagliata che il valore della sua ope-
ra è risultato tanto elevato e inossidabile nel tempo. Certo, un riconoscimento
tardivo quello attribuito allo scrittore di Boston, che non è servito ad alleviargli
un’esistenza sempre vissuta al limite della povertà, ma comunque avvenuto in
tempo per farlo diventare il principale punto di riferimento del cinema di gene-
re, fin dal suo timido esordio nei primi anni del Novecento. Se oggi i film
dell’orrore sono quelli che sono lo dobbiamo a Poe, se abbiamo conosciuto per-
sonaggi come Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Maigret, Nero Wolfe e tanti altri,
protagonisti amatissimi di innumerevoli romanzi e film, lo dobbiamo all’Auguste
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Dupin di Poe. Possiamo tranquillamente affermare che il genio letterario di Poe
è stato più fruttuoso per il Novecento che per il suo secolo d’appartenenza.
Analogamente, l’apporto di Roger Corman nel cinema non è stato da meno.
Corman ha rappresentato un modello per tutti quelli che sono venuti dopo. Re-
gisti come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich, James
Cameron, Joe Dante, si sono formati presso la sua factory. Ma anche attori
emergenti come Jack Nicholson, Peter Fonda, Dennis Hopper, Charles Bronson,
tutti destinati a diventare star indiscusse, hanno recitato da semisconosciuti
nelle sue produzioni a basso costo. Forse, uno dei meriti maggiori di Corman è
proprio stato quello di aver fatto finalmente conoscere al pubblico di massa
l’opera di Poe, opera dalle atmosfere tetre e crepuscolari, confinata fino a quel
momento nell’empireo della grande letteratura anglosassone, materia di studio
di programmi scolastici e accademici. Il grande successo del ciclo dedicato a Poe,
infatti, potrebbe essere paragonato a ciò che è stato in tempi più recenti il fe-
nomeno legato alla saga tolkeniana diretta da Peter Jackson: la riscoperta di un
grande della letteratura, ma anche un notevole ritorno economico per
l’industria cinematografica. Certo il paragone è senz’altro azzardato, se conside-
riamo la disparità di mezzi e di tecnologia del ciclo di Corman rispetto alla trilo-
gia di Jackson. Del resto il genio di Corman è stato proprio quello di realizzare
piccoli capolavori con budget ridotti, lontano dall’opulenza delle majors holly-
woodiane. Un po’ come Edgar Allan Poe è riuscito a scrivere i suoi capolavori da
semisconosciuto, pagato una miseria dagli editori dell’epoca.
Ebbene, da tali premesse, si può agevolmente concludere che entrambi, pur ap-
partenendo a epoche e ambiti artistici differenti, hanno rappresentato allo stes-
so modo un modello e un esempio da imitare, qualcosa di unico e tuttora ine-
guagliato.
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2. Edgar Allan Poe, capostipite di un genere
Edgar Poe nasce a Boston il 19 gennaio del 1809 da
David Poe e Elizabeth Arnold, una coppia di attori
itineranti. Dopo appena un anno il padre se ne va di
casa, mentre la madre morirà l’anno successivo di
tubercolosi polmonare. Il piccolo Edgar, secondoge-
nito di tre fratelli, viene affidato così alla famiglia di
un ricco commerciante scozzese, John Allan, che lo
farà battezzare col suo nome ma che non lo adotterà
mai ufficialmente. Edgar Allan Poe trascorre parte
della sua giovinezza tra la Scozia e Londra con gli Allan, e qui riceve
un’educazione tipicamente inglese che lo influenzerà per tutta la sua attività let-
teraria. Tornato negli Stati Uniti, iniziano le prime incomprensioni col patrigno,
che porteranno Allan a rinnegare il giovane Edgar e ad escluderlo dal testamen-
to. Per Poe iniziano i primi tormenti: l’insofferenza nel condurre una vita scandi-
ta dalla rigida etichetta sociale dell’epoca si manifesta soprattutto nella sua in-
capacità di adeguarsi alle regole dell’università così come alla disciplina della
carriera militare che tenta senza successo, forse più per impressionare il padre
adottivo che non per vera vocazione. Rotti definitivamente i rapporti con Allan,
Edgar trova sistemazione a Baltimora, nella casa della zia e della nonna paterna,
nel frattempo tenta la carriera di scrittore a New York pubblicando le sue prime
opere. Il problema tuttavia è che, nell’America dell’epoca, per uno scrittore è
quasi impossibile mantenersi coi proventi del proprio lavoro, mancando di fatto
una precisa legislazione sul diritto d’autore; la sua attività letteraria, pertanto,
procede sempre tra grandi difficoltà economiche.
Poe esordisce scrivendo raccolte di poesie, successivamente si dedica alla prosa
privilegiando la forma del racconto. E sarà proprio tra le sue numerose short
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stories che si trovano i suoi più grandi capolavori, le storie che lo hanno reso ce-
lebre nel mondo soprattutto dopo la sua scomparsa. In vita, per mantenersi,
Poe alternerà a quello di scrittore il mestiere di giornalista (anch’esso sottopa-
gato) per alcune testate come il Messenger di Richmond, il Burton Magazine, Il
Graham Magazine, l’Evening Mirror e il Broadway Journal di cui diventerà il pro-
prietario e che fallirà poco dopo. Anche se le storie pubblicate nelle riviste con
cui collabora gli procurano una certa fama, così come pure le sue recensioni e gli
articoli di critico, rimane costantemente appena sopra lo stato di miseria.
Scriverà di lui Charles Baudelaire:
[…] gli Stati Uniti furono per Poe una vasta gabbia, una grande azienda di con-
tabilità, e che per tutta la vita egli fece sinistri sforzi per sfuggire all’influenza di
quell’atmosfera antipatica… Si riconosce che era difficile assumere Poe in una
rivista, e che erano costretti a pagarlo meno di altri , perché scriveva in uno stile
troppo al di sopra del volgo.
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La vita affettiva di Edgar Allan Poe è martoriata da delusioni e lutti: così come il
suo primo amore adolescenziale, pure Virginia Clemm, la giovanissima sposa,
nonché sua cugina, muore lasciando in Edgar un profondo turbamento psicofisi-
co che rappresenterà perfettamente nelle storie dedicate alle sue eroine lette-
rarie, come Elenoire, Berenice, Morella, Ligeia. Nei suoi racconti il senso della
perdita dell’amata è uno dei luoghi specifici più ricorrenti. Poe è sempre più
preda della depressione e spesso cerca di affogare le sue angosce nell’alcol, col
solo risultato di peggiorare ancor più i già complicati rapporti con chi lo circon-
da. Lo scrittore morirà a Baltimora, in circostanze tuttora avvolte da mistero, il 7
ottobre 1849, dopo quattro giorni di agonia trascorsi in ospedale, essendo stato
ritrovato per strada in stato di delirio e profonda prostrazione. Nessuno saprà
mai con esattezza cosa successe allo scrittore, ma tuttora restano in piedi due
ipotesi: la prima è che fosse stato ubriacato per usarlo come elettore coatto, la
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Charles Baudelaire, Edgar Allan Poe, Passigli, Firenze, 2001, p. 21.
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seconda è che avesse contratto la rabbia (quest’ultima più attendibile). In patria
e in Inghilterra l’eredità letteraria di Poe sarà osteggiata per tutto l’Ottocento a
causa della sua dubbia reputazione e di una campagna diffamatoria operata da
alcuni nemici dello scrittore. Solo nel Novecento la sua immagine sarà riabilitata
e il suo lavoro finalmente riconosciuto come uno dei più importanti contributi
alla letteratura anglosassone (e americana) di ogni tempo. Considerato
l’inventore del racconto poliziesco, Poe inaugura, col suo Auguste Dupin, la figu-
ra dell’investigatore che si affida all’intuito e che ispirerà personaggi come Sher-
lock Holmes e Hercule Poirot.
Ma Poe è soprattutto il primo scrittore americano ad essere profondamente in-
fluenzato dalla cultura europea, e quindi, di fatto, il primo ad assumere una net-
ta dimensione occidentale. Forse è anche per questo che un altro grande lette-
rato europeo, Charles Baudelaire, ne sposerà la causa, considerandolo una sorta
di specchio ideale di se stesso, divulgandone l’opera in Francia e nel resto del
continente.
Oggi Poe è considerato un classico della letteratura angloamericana, studiato
nei licei e nelle università, preso come modello della corrente letteraria gotico-
romantica, e, soprattutto, visto come il più grande maestro di tutti i tempi del
genere horror.
Eppure nei suoi racconti non compaiono mai né mostri, né creature soprannatu-
rali, né demoni. Protagonista delle sue storie è solitamente un uomo i cui mostri
albergano all’interno della propria anima; l’uomo tormentato dal ricordo di
amori perduti, dalla disperazione per l’irrisolvibile, dalla consapevolezza
dell’ineluttabilità della morte e dall’angoscia che ne scaturisce. La paura ha il
volto indefinito dell’ignoto, del buio oltre la porta che prima o poi tutti siamo
chiamati a oltrepassare. La morte, il trapasso e il suo labile confine con la vita
sono le ossessioni irrisolte che Poe trasmette nei suoi racconti.