4
delle gemme preziose all’interno di questo paese, infatti, può rappresentare un
caso esemplificativo di quello che nei primi due capitoli si cercherà di spiegare.
Nel primo capitolo sarà descritto il contesto socio-politico internazionale in cui la
questione del lavoro minorile si delinea e si sviluppa. Attraverso l’analisi dei
principi fondamentali della contemporanea globalizzazione economica
(liberalizzazione dei mercati, delocalizzazione e rilocalizzazione transnazionale
dei processi produttivi delle Imprese multinazionali ed investimenti diretti
all’estero), si farà riferimento alla perdurante e crescente concorrenza economica
che, attivatasi a livello internazionale e sostenuta da Organizzazioni
internazionali quali il WTO (World Trade Organization), la WB (World Bank) e
il IMF (International Monetary Fund), sembra ricadere negativamente sui pesi
più poveri e meno industrializzati. Questi ultimi, infatti, schiacciati da un debito
sempre più pressante, mettono spesso in atto regolamentazioni volte ad attrarre
gli investimenti di paesi e multinazionali estere2. Tutto questo, attuato per non
rimanere esclusi dai commerci internazionali e dalla corsa ad una concorrenza
sempre più frenetica, si traduce molte volte nella concessione di manodopera a
basso costo (spesso minorile) e in sgravi fiscali o facilitazioni, per chi investe in
quei luoghi, sotto il punto di vista legislativo. Verrà analizzato, quindi, il ruolo
svolto dalle istituzioni di cui sopra, evidenziando l’apporto che esse danno, a
partire dalle modalità con cui al loro interno vengono prese le decisioni e definite
le varie politiche di indirizzo, nella creazione di una globalizzazione iniqua e
squilibrata.3 All’interno dei processi di governance globale, definita come
“sistema di ruoli e di istituzioni creato dalla comunità internazionale e da attori
privati per amministrare affari economici, politici, e sociali”, difatti, la creazione
2
Osservatorio sull’economia globale e sul commercio internazionale (www.tradewarch.it )
3
Associazione Mani Tese, Dossier a cura di M.Cutillo, 2006“Dallo sfruttamento all’istruzione”
www.manitese.it
5
di equilibri precari che fanno pendere la bilancia quasi sempre dalla parte dei
paesi più ricchi, contribuisce ad indebolire notevolmente il potere di ogni singolo
stato nell’implementazione ed attuazione di qualsiasi politica. Ci troviamo,
appunto, di fronte ad un parziale “svuotamento” delle sovranità statali, le quali,
nel momento in cui si trovano a combattere con tematiche ormai di portata
globale, sono costrette a cedere una parte dei propri poteri a quelli che sono gli
attori della governance globale. Questo, se dal punto di vista dei paesi
industrializzati crea pochi problemi, dal punto di vista dei PVS sembra produrre,
invece, parecchie difficoltà. Prendendo come esempio il fattore economico della
globalizzazione, infatti, si può notare che le politiche stabilite nei contesti
internazionali vengono definite con un’ottica quasi sempre orientata verso i
sistemi politico-economici dei paesi più ricchi; ciò comporterà da un lato
l’applicazione, da parte dei pvs, di orientamenti politici poco adatti alle proprie
condizioni socio-economiche, dall’altro il mancato raggiungimento di quella
good governance auspicata dall’ILO all’interno della quale i fattori positivi e
quelli negativi scaturiti dalle politiche intraprese, dovrebbero essere equamente
distribuiti dagli attori in gioco. Questi i fattori principali che, a volte in modo più
esplicito, altre volte meno, sono diventati oggetto di grandi critiche e proteste da
parte delle organizzazioni della cosiddetta Global civil society. Dopo aver
passato in rassegna alcune delle maggiori teorie che tentano di definire il
soggetto appena citato, si cercherà di delinearne i cambiamenti e gli sviluppi
negli ultimi anni, concentrando l’attenzione soprattutto sulle azioni e
mobilitazioni che, relativamente a determinate questioni di particolare rilevanza
etica e morale, esse portano avanti. Negli ultimi venti anni, infatti, non solo è
notevolmente aumentato il numero di quelle organizzazioni che, ad esempio,
risultano in status consultivo all’interno delle Nazioni Unite, ma sono
considerevolmente aumentate anche le azioni in sostegno e promozione di quelle
6
questioni, come il lavoro minorile, a cui per molti anni è stata data relativa
attenzione da parte dell’opinione pubblica. Così si passeranno in rassegna i vari
progetti che il movimento per l’abolizione del lavoro minorile, chiaro esempio di
quello che viene definito “movimento a rete transnazionale”, ha portato avanti
conducendo spesso, all’interno delle agende politiche nazionali ed internazionali
la issue in questione.
La stesura del primo capitolo, così come avverrà per gli altri, sarà condotta
attraverso l’analisi di testi, documenti e siti web all’interno dei quali sono state
rintracciate le tesi principali a cui si farà riferimento. Per cercare di avvalorare e
sostenere la tesi secondo cui i processi di concorrenza economica attivati nei
mercati internazionali producono effetti negativi all’interno dei pvs (almeno per
ciò che concerne i diritti di ogni lavoratore), sono stati presi in considerazione,
oltre ai vari testi indicati in bibliografia (di cui si è proceduto ad un ampia
consultazione), dati elaborati dal WTO e dalla Commissione Europea sulle
esportazioni e sul commercio mondiale; sono stati analizzati i siti web
dell’Osservatorio sull’economia globale e sul commercio internazionale(trade
watch), e quello della Campagna mondiale per la riforma della Banca Mondiale;
è stato esaminato, infine, un documento dell’India Commettee of Netherlands
(all’interno del quale, attraverso l’analisi specifica delle industrie indiane di
gemme preziose, vengono genericamente valutati gli effetti distorsivi della
globalizzazione economica soprattutto sullo sfruttamento del lavoro minorile).
Con riferimento alla società civile globale invece, oltre alle varie definizioni cui
si farà riferimento, verranno analizzati, in particolare, un working paper
dell’Università cattolica di Leuven (più precisamente del Leuven
Interdisciplinary Research Group on International Agreements and Sustainable
Development) in cui viene descritto, quale esempio di movimento a rete
transnazionale, lo sviluppo del movimento per l’abolizione del lavoro minorile
7
negli ultimi anni, ed un report dell’ILO in cui vengono ugualmente delineati i
progressi del movimento in questione. Per provare a capire quale sia stato
l’apporto che queste organizzazioni hanno dato affinché il problema in oggetto
fosse posto all’attenzione delle agende internazionali, si accennerà a varie azioni
che negli ultimi anni sembrano essere state le più significative e, soprattutto, si
provvederà, nel secondo capitolo, alla descrizione delle legislazioni
internazionali che disciplinano la materia in oggetto. Attraverso
l’approfondimento dei siti web e tramite la lettura dei testi delle varie
Convenzioni, saranno esaminati i progressi ed i passi avanti fatti dalle Nazioni
Unite e dall’International Labour Organization (ILO) nella regolazione del
problema in questione. Si descriveranno non solo i contenuti ed i principi
rintracciabili all’interno alle varie Convenzioni, ma si cercherà di capire anche lo
stato di applicazione di esse all’interno dei vari paesi. Nell’elaborazione di
importanti Convenzioni internazionali, quali ad esempio la n.182 dell’ILO, si
cercherà di analizzare il notevole contributo che alcune organizzazioni della
società civile organizzata hanno apportato nella promozione, all’interno di vari
paesi del mondo, della Convenzione stessa o nell’implementazione di programmi
specifici come l’IPEC (International Programm on the Elimination of Child
Labour). Si passerà, quindi, alla descrizione del dibattito internazionale che,
delineato dall’UNICEF, prevede tre approcci principali al lavoro minorile. Il
primo, rintracciabile nelle politiche dell’ILO, fa capo ad una visione
“abolizionista” e totalmente negativa della questione in oggetto, considerando la
scuola come l’unico e possibile luogo di crescita per ogni minore. Il secondo
approccio, definito “pragmatico”, considerando il lavoro minorile un dato di fatto
ed una realtà comunque esistente in molti luoghi, auspica ad una regolazione
vigile ed attenta di esso con il fine di eliminarne lo sfruttamento e le condizioni
più deplorevoli; il terzo orientamento teorico, quello della “valorizzazione
8
critica”, ribaltando completamente le abituali visioni del bambino spensierato e
dedito al gioco e alla scolarizzazione, considera il luogo di lavoro un ambiente
che, come tanti altri, possa contribuire ad un sano e corretto sviluppo del minore;
questo tipo di pensiero, confacente soprattutto alle realtà socio-economiche dei
paesi del sud del mondo, è ampiamente sostenuto dai NATS (Ninos y
Adolescentes Trabayadores). Questo gruppo di organizzazioni, autogestite dagli
stessi bambini lavoratori, sostiene attivamente in tutto il pianeta il diritto per ogni
adolescente di poter lavorare con gli stessi diritti e doveri di qualsiasi persona
adulta affinché, nella propria crescita personale, il lavoro possa rappresentare una
valida agenzia di socializzazione e sviluppo al pari dell’ambiente scolastico. Un
altro movimento che sarà descritto in tal senso, è la Global March che,
sostenendo l’approccio pragmatico, ha attraversato una miriade di paesi nella
promozione del diritto di ogni bambino a vedere rispettati quei principi standard
stabiliti per ogni lavoratore a livello internazionale; nel momento in cui un
adolescente sia costretto a dover lavorare, infatti, è bene che lo faccia in
condizioni adeguate per il suo sviluppo e la sua crescita (proprio per questo la
Global March è la prima sostenitrice e promotrice della Convenzione ILO n.182
sulle peggiori forme di lavoro).
I contenuti e le argomentazioni fino ad ora delineati, saranno approfonditi nel
terzo ed ultimo capitolo attraverso la descrizione del caso specifico dello
sfruttamento del lavoro minorile nelle industrie di lavorazione di gemme preziose
in India. Nel primo paragrafo si descriveranno le condizioni lavorative e socio-
economiche familiari dei bambini utilizzati all’interno di questo tipo di mercato e
si farà riferimento alle dinamiche e alle caratteristiche del commercio delle
gemme preziose. Le informazioni saranno tratte da una ricerca effettuata sul
campo da Neera Burra, un’antropologa sociale indiana oggi collaboratrice
dell’UNDP (United Nation Development Programme) dell’India in qualità di
9
Assistant Resident Representative e Senior Social Development Advisor. La
ricerca, commissionata e finanziata dall’UNICEF, prevedeva interventi ed
interviste sul campo (cioè nelle industrie di lavorazione di gemme preziose nella
città di Jaipur del Rajastan) non solo ai ragazzi direttamente coinvolti, ma anche
alle famiglie e ai datori di lavoro, con il fine di dare una visione d’insieme di
quel mercato che, all’interno dell’India, produce nel 90% dei casi per il
commercio estero. Si accennerà, quindi, attraverso la lettura dei dati pubblicati
dal “Gem and Jewellery Export Promotion Council (GJEPC)” dell’India,
all’andamento delle esportazioni in questo campo tra il 1991 ed il 2006 cercando
di capire se la tesi, sostenuta anche da M.Kruijtbosch dell’ “India Commettee of
The Netherlands” nel report “Child and Adult Labour in the export-oriented
garment and gem polishing industry of India” e descritta anche nel primo
capitolo del presente lavoro, secondo cui la concorrenza sfrenata e la smodata
apertura dei mercati internazionali abbiano contribuito alla corsa al ribasso dei
costi ed alla crescita del lavoro minorile, sia sostenibile. Successivamente si
cercherà di dare una visione più generale del lavoro minorile e della sua
regolamentazione all’interno dell’India, andando a conoscere quali Convenzioni
internazionali questo paese debba ancora ratificare e il perché non lo abbia
ancora fatto. Di qui, si descriveranno le posizioni dei vari organismi
internazionali in merito alla situazione fino ad ora descritta, facendo riferimento
soprattutto ad un report dell’ILO incentrato proprio sulle condizioni del lavoro
minorile nelle industrie di pietre preziose, ai programmi attivati e sostenuti
dall’UNICEF, ed all’attivazione ed implementazione del programma IPEC-India
all’interno del paese grazie soprattutto al sostegno di organizzazioni non
governative e, più genericamente, della società civile organizzata. Si concluderà
il capitolo con la descrizione di alcuni interventi e di alcune azioni portate avanti
dalle organizzazioni della società civile indiana in sostegno della issue in oggetto;
10
si cercherà di capire se queste ultime abbiano contribuito al miglioramento, o
almeno alla maggiore “pubblicità” della questione cercando, quindi, di capire se
sia sostenibile o meno la seconda ipotesi del presente lavoro che, assecondata già
nei precedenti capitoli, si chiede quale sia l’effettivo e reale contributo della
società civile organizzata nella promozione di determinate questioni all’interno
delle agende politiche, o nell’implementazione di determinate politiche.
11
CAPITOLO I
GLOBALIZZAZIONE, GLOBAL GOVERNANCE,
E GLOBAL CIVIL SOCIETY
1. La globalizzazione dei mercati: aspetti principali.
Gli ultimi due decenni hanno visto la crescente transnazionalizzazione delle
relazioni economiche giocare un ruolo determinante all’interno dei mercati
nazionali ed internazionali. La globalizzazione, vista quale fenomeno di continue
e sempre più sconfinate relazioni tra gli esseri viventi e, quindi, tra imprese e
poteri politici, ha fatto il suo ingresso anche all’interno dei mercati finanziari
attivando in maniera esponenziale quei meccanismi di libero mercato che già dal
secondo dopoguerra erano stati intrapresi da molti paesi. Ma cosa si intende
esattamente per globalizzazione economica? In realtà, non esistendo una
definizione univoca del termine, c’è chi, come Hirst e Thompson, parla più che
altro di “internazionalizzazione dell’attività economica” individuando, in questo
modo, un sistema politico – economico mondiale in cui i processi di
interdipendenza ed integrazione convivono con la perdurante importanza dei
sistemi politico – economici nazionali4. Altro è il punto di vista di chi, come Held
e McGrew, propone una visione secondo la quale ci troviamo in
un’epoca dominata da una crescente frammentazione dell’economia
mondiale in una molteplicità di zone economiche regionali dominate
4
Hirst P., Thompson G.,1996 “Globalization in Question” Polity Press, Cambridge.
12
dalle potenti forze mercantilistiche della competizione e della rivalità
economica nazionale.5
Secondo l’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development),
invece
la globalizzazione è quel processo mediante il quale i mercati e la
produzione nei diversi paesi sono sempre più interdipendenti in
corrispondenza alla dinamica degli scambi di beni e servizi e ai
movimenti di capitali e di tecnologie.
Ma quali sono i segni distintivi di quella che, a questo punto, potremmo definire
“integrazione economica internazionale”? Sostanzialmente, possiamo rinvenire
tre principi fondamentali su cui si basano, ad oggi, i mercati mondiali e grazie ai
quali possiamo riconoscere e definire un’economia come “internazionale”:
− Liberalizzazione dei mercati;
− Delocalizzazione e rilocalizzazione transnazionale dei processi produttivi;
− Investimenti diretti all’estero (IDE).
Insieme ai suddetti principi, vediamo comparire sulla scena vecchi e nuovi
soggetti, istituzionali e non, protagonisti dei mercati finanziari internazionali
quali: le imprese multinazionali o transnazionali (da qui in avanti IM), e
istituzioni transnazionali come l’International Monetary Found (IMF), il World
Trade Organization (WTO), e la World Bank (WB).
Dal 1948 ad oggi la quasi totalità dei paesi ha intrapreso un tipo di economia
volta all’apertura degli scambi internazionali sia relativamente alle merci che, più
tardi, ai servizi. Questo indirizzo è stato incoraggiato non solo dalle teorie
economiche che fin dai primi anni del XIX secolo hanno sottolineato
l’importanza e la convenienza, per i paesi che le avrebbero messe in atto, di
politiche volte all’eliminazione di barriere protezionistiche, ma anche da quegli
5
Held D., Mc Grew A., 2003 “globalismo e antiglobalismo” Il Mulino, Bologna.
13
ideologi del neoliberismo che, utilizzando il termine globalizzazione spesso in
modo improprio6, hanno reso comune il concetto secondo cui un paese è ricco o
povero se riesce o meno a sottrarre spazi commerciali ad altri e a non farsi
sottrarre quelli che ha, con il risultato che lo sviluppo e l’occupazione di ciascun
paese dipendono interamente dalla competitività nella cosiddetta economia
globale7. Effettivamente, esaminando i dati degli ultimi cinquanta anni si può
affermare che il mondo ha aumentato la propria ricchezza complessiva di circa
sei volte ed il volume delle esportazioni di quasi venti volte, e che i paesi che
hanno aperto i loro mercati, hanno beneficiato di una crescita maggiore rispetto a
coloro che hanno mantenuto indirizzi protezionistici8. Ma, in relazione proprio a
quest’ultimo punto, sarebbe bene individuare con maggiore precisione quali
siano i paesi che effettivamente partecipano in maniera sostanziale ai commerci
transnazionali beneficiando, in questo modo, dei conseguenti effetti positivi.
Infatti, il 50% del commercio mondiale è detenuto dai paesi industrializzati del
“nord del mondo” circostanza che favorisce i paesi più sviluppati.9 Ciò non vuol
dire che i paesi in via di sviluppo siano rimasti esclusi dai processi di libero
scambio che hanno interessato il resto del mondo; anzi, dai primi anni Ottanta si
è potuto notare un loro crescente ingresso all’interno dei mercati mondiali grazie
soprattutto ad alcuni fattori fondamentali che caratterizzano quei luoghi, tra cui la
capacità e la facilità di attrarre gli investimenti stranieri e la presenza di una
manodopera a costi notevolmente inferiori. Tuttavia, il fatto di avere una
manodopera a basso costo rappresenta un vantaggio molto importante ma allo
6
Si è utilizzato l’aggettivo “improprio” rispetto alla definizione che di globalizzazione economica
è stata data poco più sopra.
7
Afrune R. , 2002 “Conflitto insanabile tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo:nel
binomio liberalizzazione del commercio e diritti del lavoratore:questione di principio o di
convenienza economica?”Working Paper Università degli studi di Brescia
( www.intrade.jus.unibs.)
8
Fonte: dati WTO dal 1950 al 2000 (in A. Parenti, 2002 “Il Wto” Il Mulino)
9
Fonte: dati Commissione Europea (in A. Parenti, 2002 “Il Wto” Il Mulino)
14
stesso tempo molto discusso in quanto, approfittando di costi più contenuti, di
minori tutele sindacali rispetto a quelle occidentali e di legislazioni nazionali
meno severe in materia di diritti dei lavoratori, gli imprenditori avranno,
ovviamente, tutto l’interesse di investire le proprie risorse proprio in quei paesi10.
Questi meccanismi instauratisi negli ultimi decenni, cresciuti vertiginosamente in
termini di trasferimenti di alcune fasi o, spesso, di interi processi della
produzione di un prodotto in altre aree del globo, hanno provocato, com’era
prevedibile, effetti devastanti per molte categorie di lavoratori:
nel paese di origine, infatti, migliaia di lavoratori vengono privati del
loro posto di lavoro iniziale, e nel paese in cui la produzione è stata
trasferita, migliaia di nuovi lavoratori vengono sfruttati a fronte di un
salario ridicolo11.
Quello che più colpisce, inoltre, è che l’output di quello che viene prodotto dalle
industrie o IM delocalizzate viene successivamente importato nel paese di origine
in cui le stesse hanno creato disoccupazione generando sperequazione, anziché
ricchezza. In questo modo, infatti, non si arricchisce nessuno, se non le
multinazionali ed i gruppi industriali artefici di questi meccanismi aziendali.
Sempre secondo E.Benetazzo, questo porterà, inevitabilmente, al collasso di
entrambe i paesi coinvolti: il primo sarà condotto verso una progressiva incapacità
di consumo a causa di un calo sostanziale del reddito, il secondo, pur abbagliato
inizialmente da una flebile crescita dell’occupazione, continuerà comunque ad
avere una popolazione con una capacità di spesa inferiore rispetto agli altri12.
Per questo motivo, quindi, le IM scelgono sempre più spesso, per i loro
investimenti, i paesi in via di sviluppo (PVS). Questi ultimi, infatti, schiacciati da
10
Associazione Mani Tese, Dossier a cura di M.Cutillo“Dallo sfruttamento all’istruzione”
www.manitese.it
11
Benetazzo E., 2006 “Best Befor – Preparati al peggio” Macro Edizioni.
12
Ibd.