2
da cui si osserva detto fenomeno, e fornire la chiave di lettura per
mezzo della quale possano esserne esaminate le ripercussioni negli
ambiti prefigurati. Questa operazione di carattere generale e
forzatamente limitata, a fronte della inesauribile cospicuità delle fonti,
consentirà inoltre di affrontare l’argomento da un angolo di visuale
personale, che si discosta da entrambi i poli dialettici intorno a cui si
discute sul fenomeno in esame, per riassumerli entrambi in una sintesi
che tenga conto delle riflessioni meditate, e dei risultati raggiunti da
entrambe le posizioni.
Sicuramente qualsiasi tipo di definizione, pur se partorita dalla
mente più illuminata, non può assurgere al ruolo di contenitore a tenuta
stagna di un “mostro” capace di “giocare con lo spazio e con il tempo
alla velocità di un battito d’ali di farfalla” come la globalizzazione; ma
di questo è ovvio anche i meno avvezzi all’argomento possono avere
percezione. Per questa ragione, le prospettive da cui si può osservare
detto fenomeno pluridimensionale sono molteplici, anche se la dottrina
in sostanza le ha ridotte a due: una sottolinea il lato evolutivo, l’altra
quello rivoluzionario della civiltà globale
1
.
1
Per uno spunto sull’ analisi degli aspetti evolutivi e rivoluzionari della globalizzazione si veda
M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale,
Bologna, Il Mulino, 2000, pag. 11 ss.
3
1. II. – L’approccio tradizionale
Fra gli approcci più riusciti del primo tipo, che nella letteratura del
campo viene inquadrato come tradizionale, ci si può accostare a una
definizione che metta in risalto le capacità che offre la nuova modernità
di collegare luoghi distanti fra loro, consentendo una continua
ridondanza di influenze reciproche
2
. Consimili considerazioni sono
svolte da molti autori, che nell’insistere sulle capacità inclusive del
libero commercio internazionale nello stabilire legami tra paesi e
popoli distanti, individua nella globalizzazione una sorta di
prosecuzione del mercantilismo e del colonialismo.
L’approccio tradizionale quindi non sembra individuare nette cesure
con il passato, tendendo a osservare gli spaventosi cambiamenti
imposti nei modi di pensare, relazionarsi, vivere nel villaggio globale,
come fossero figli di un futuro già scritto.
Innegabilmente la componente evolutiva non può essere trascurata,
specie al livello economico che costituisce il motore principale delle
spinte globalizzanti. Si può allora certamente affermare, che il conio
dell’allora neologismo “Globalization” ad opera della rivista
2
Cfr., A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino, p.71
4
Economist nel ’62, rappresentasse null’altro che un nome che desse
un’identità a una realtà già immanente da tempi remoti.
Spingendosi per un momento oltre il fenomeno capitalistico, alcuni
hanno individuato radici della globalizzazione già dal medioevo: allora
sono state individuate le prime istanze verso il superamento del
particolarismo a livello giuridico, appagate dalla nascita dello ius
commune che avrebbe avuto il compito di regolare l’azione delle genti
più disparate. Ritornando però al principale motore della
globalizzazione, un economia ormai insofferente alle limitazioni dei
confini domestici e ansiosa di entrare in contatto con le realtà fino ad
allora più ignote, intraprende il suo cammino di sviluppo solo a partire
dal XVI secolo. Al tempo, questa era ancora fortemente condizionata
dalle politiche statali, ma di lì a poco avrebbe mostrato le proprie
capacità di essere precorritrice di un nuovo ordine: il mercantilismo e i
suoi sviluppi successivi sono le più compiute espressioni della
progressiva autonomizzazione dell’economia dai cardini entro cui essa
era costretta dalla ragion di stato, e la dimostrazione dell’acquisizione
delle forze necessarie per rivendicare l’indifferenza verso le
legittimanti logiche statuali.
5
Questa posizione viene condivisa e avanzata
3
, spingendo al punto di
sostenere che la globalizzazione abbia da sempre fatto parte della storia
del genere umano, tanto che non si possa sostenere che essa sia un
prodotto rivoluzionario della modernità. In sostanza secondo i
sostenitori di questa tesi saremmo semplici eredi di essa, capaci di
mettere a frutto le enormi potenzialità di una tecnologia sempre più
capace di amplificarne gli effetti, in maniera esponenziale rispetto al
passato. Gli eroi della globalizzazione non sarebbero quindi
necessariamente gli attuali ingegneri informatici o aerospaziali, ma più
semplicemente i mercanti, cartografi esploratori del passato, spinti dal
desiderio della corsa verso un ignoto che finalmente cominciava a non
essere più tale. Sono questi i risultati di lente trasformazioni che si
riflettono nel presente sul nuovo ruolo dell’economia autopropulsiva e
autolegittimantesi rispetto allo Stato. Azzardando un po’, si potrebbe
dunque parlare di un nuovo colonialismo, con un rinnovato proprio
cast di attori. Le mire espansionistiche degli Stati sono state sostituite
dalle ragioni economiche delle nuove imprese multinazionali, dotate
oggi degli strumenti di potere necessari per emanciparsi dagli Stati e
3
Cfr. P. Sloterdijk, Globalizzazione, storia di un antico inganno, nel contributo di D. Ferro in
www.lapadania.com del 28/05/2002
6
ricercare mete sempre più convenienti per localizzare le proprie
produzioni.
Di certo la globalizzazione come fenomeno multidimensionale
investe anche aspetti sociali, culturali e politici di cui sarebbe improbo
compito dare conto in queste brevi riflessioni, ma certamente anche su
di essi non può che riflettersi il tipo di approccio con cui ci si accosta al
fenomeno. A livello sociale le istituzioni tradizionali, subiscono una
ridefinizione dei propri contorni che coinvolge prima fra tutte la
famiglia. Abbandonato il modello arcaico su base verticale, prendono
corpo gruppi sociali sempre più su base orizzontale. Essi non
poggiano più su relazioni di natura autoritativa, ma sono basate sul
dialogo e la comunicazione fra i componenti del gruppo, una acquisita
pari importanza tra uomini e donne nel contesto domestico e una
meritoria rivalutazione del ruolo dei giovani, sempre più consapevoli e
partecipi nelle scelte degli indirizzi di vita familiare. Questo modello è
stato anche definito come “democrazia delle emozioni”
4
, per
trasportare sul piano sociale l’unica forma di agire politico accettabile
contro ogni forma di totalitarismo - come è in effetti la democrazia -
verso una società prossima all’integrazione quale quella del terzo
4
Si veda A. Giddens Il mondo che cambia Bologna, Il Mulino, 1999.
7
millennio. In effetti anche la democrazia viene sconvolta
dall’evoluzione generata dalle sfide della globalizzazione.
A più voci si denuncia il crescente senso di delusione verso le
tradizionali democrazie rappresentative, a causa della crisi di sovranità
che gli Stati subiscono in conseguenza della globalizzazione dei
mercati. Il rimedio allora potrebbe consistere in un ripensamento delle
istituzioni statali, impegnandole nell’amplificazione del dialogo sociale
e della disponibilità verso le istanze della società civile nei vari livelli
locali. Le istituzioni democratiche tradizionali, sono colpite da una
forte crisi di legittimazione e funzionamento, non essendo in grado di
rispondere agli eterogenei bisogni emergenti nella vita associata. Da
qui il bisogno di un approfondimento della democrazia, una
“democrazia democratizzante”
5
che abbia il compito di far promuovere
la cultura civica, l’adozione di misure anti-corruzione e la trasparenza
nell’azione dei governi attraverso il dialogo e la mediazione tra le
istanze sociali in conflitto.
Orbene, sia dal punto di vista economico che dai caleidoscopici
angoli di visuale dai quali si voglia osservare il fenomeno in oggetto,
l’approccio tradizionale palesa un accostamento abbastanza moderato.
5
Cfr. A.Giddens, cit., p.85
8
Esso procede gradualmente nella descrizione dell’evoluzione
economica globale e affida comunque alle istituzioni tradizionali il
compito di adattarsi alla globalizzazione . L’impatto inevitabile con
nuove sfide viene pertanto affrontato dai teorici di questo indirizzo
attraverso una congerie di soluzioni costruttive, limitate tuttavia
dall’utilizzo – seppur in chiave rivisitata – di strumenti di stampo
tradizionale, che in ultima analisi riposano pur sempre sull’ormai
minacciata sovranità dello Stato. Questo, da detentore del controllo sul
proprio territorio e su tutto ciò che su di esso risiede quale monopolista
nell’uso legittimo della violenza, sembra oggi come aggredito da tutte
quelle forze prima d’ora tenute sotto controllo. Divincolatesi dalla
morsa costrittiva entro la quale erano soffocate, queste schizzano
adesso disordinatamente in tutte le direzioni come particelle in
entropia, comprimendo la “superficie” d’azione sulla quale lo Stato era
in precedenza in grado di muoversi liberamente.
9
1. III. – L’approccio rivoluzionario
Tutt’altro spirito quello che anima i fautori dell’indirizzo che vede
nella globalizzazione un fenomeno dai tratti rivoluzionari. Questi,
irrequieti e maggiormente progressisti, enfatizzano lo stravolgimento
dei tradizionali rapporti d’ordine e di potere che hanno caratterizzato
nel passato gli Stati di diritto.
Emblematico in questo senso un approccio che sottolinea le forze
caotiche della globalizzazione vista come “svalutazione dell’ordine in
quanto tale”. Secondo quest’ottica la circostanza che le vicende umane
si svolgano su scala globale, lungi dal significare che sia più agevole
controllarne le conseguenze, rende l’individuo uno spettatore passivo
della continua e imprevedibile trasformazione delle frontiere, delle
istituzioni e di tutto ciò con cui queste hanno legami di influenza. Detta
impostazione, è ampiamente riconducibile al pensiero di quegli autori
che tratteggiano la nuova modernità come lontana dal consueto
modello di società disciplinata, fondata su ordine e prevedibilità,
nonché rassicurata dalla certezza nei rapporti sociali, economici e
giuridici
6
. La nuova era è contrassegnata da un rischio pervasivo,
6
Si veda in particolar modo, M.R. Ferrarese, cit. p.31 ss
10
diverso da quello col quale l’uomo ha avuto a che fare nel passato: non
si tratta più solo del rischio ambientale capace d’incidere sulle sorti
dell’economia agricola, ma neanche del rischio “calcolato” frutto di
valutazioni inerenti la tradizionale economia commerciale basata
sull’industria. Il nuovo modello di rischio è tutto esterno, creato e
assecondato dalle speculazioni dell’economia finanziaria diffusa su
scala mondiale, appetibile in quanto decontestualizzata da ogni
riferimento territoriale e capace di generare immensi profitti senza
dispendio di energie.
In detto contesto si manifesta palese il portato rivoluzionario della
globalizzazione
7
, portata per necessità a scalzare dal trono le vecchie
istituzioni per far spazio ai nuovi attori dello scenario globale:
multinazionali, corporations, law firms e ogni altra presenza in grado
di erodere a proprio vantaggio la sovranità detenuta dallo Stato. In
sostanza – secondo il presente indirizzo - il rapporto tra Stato e mercato
subirebbe una funzionalizzazione alla rovescia rispetto al modello
comune. Le imprese, favorite dalle immense risorse che la tecnologia
fornisce, possono slegarsi da qualunque riferimento territoriale.
7
Per un approfondimento sui nuovi attori temi e problemi della globalizzazione si veda M.R.
Ferrarese, op. cit., pag.57 e ss.
11
Delocalizzare la produzione a distanze quasi siderali rispetto alla
propria sede naturale è un’operazione che comporta solo la stipula di
un contratto di appalto della produzione. Inoltre, la possibilità di
accordi vantaggiosi con i paesi a basso costo di lavoro, garantisce alle
corporations un’immensa riserva di potere nei confronti degli Stati,
costantemente minacciati dallo spauracchio di un esodo verso più
allettanti lidi, che genererebbe ingenti perdite all’economia locale. La
ragion di stato dunque, deve piegarsi alla ratio economica e approntare
le nuove risposte a una realtà capace di privarsi di ogni riferimento
spaziale e temporale. Oltre alla rivoluzione spaziale, innescata dalle
moderne tecnologie e dalle risorse telematiche in grado di connettere le
zone più distanti fra loro del globo in pochi secondi, anche la
dimensione temporale sembra colpita dalle profonde trasformazioni
indotte dall’era globale. Un aspetto è sicuramente misurabile in termini
di risparmio di tempo che le transazioni dell’economia finanziaria
consentono. Imponenti mobilitazioni di ingenti flussi di capitali
rappresentati da pacchetti di azioni, transitano lungo cavi a fibra ottica
per apparire quali registrazioni contabili sugli schermi di sofisticate
postazioni multimediali. Ma a un livello più profondo, sono le stesse
coordinate temporali del passato, presente e futuro a subire una
12
rimodulazione nei rapporti reciproci. Si è anche parlato in questo senso
di una “modernità liquida
8
”. Questa costituirebbe la metafora di una
nuova era basata sul presente, un presente che riduce a mere appendici
di sé il passato e il futuro. Il peso della tradizione sarebbe nella nuova
modernità fortemente ridimensionato dall’ansia di inventare il proprio
futuro, sciogliendo lacci e laccioli che vincolavano ineludibilmente
l’uomo al passato. Ma questo stesso futuro non può essere progettato
con gli strumenti che le tradizionali istituzioni mettono a disposizione,
facendo sì che “il presente si trasformi in una sorta di nuovo passato
per i propri posteri”. In sostanza questo complesso ragionamento
testimonia l’orientamento del filone rivoluzionario, a sostenere
l’inadeguatezza del diritto positivo sostanziato in leggi e codificazioni
come risposta a una modernità flessibile, proiettata in un presente
imprevedibile, dinamico incontrollabile e soprattutto inidoneo a causa
dei suoi frenetici ritmi a piegarsi a una programmazione di lungo
periodo. Le ripercussioni di ciò si presentano ovviamente anche
nell’economia. La moderna economia finanziaria, ha alla base un’etica
che non associa a un criterio meritocratico la produzione dei redditi.
8
Le tematiche del rapporto tra la globalizzazione e la dimensione temporale sono ampiamente
trattate da M.R. Ferrarese, in Il diritto al presente, Globalizzazione e tempo delle istituzioni,
Bologna, Il Mulino, 2002.
13
Essa può concedersi di bypassare un passato di meriti lavorativi,
attraverso l’affidamento al rischio di pure logiche speculative, la
produzione di immense fortune.
Tutto questo è ottenibile nell’arco di un breve termine, e in maniera
indifferente rispetto a ciò che è passato, così come ad esiti futuri. Ogni
attività umana sarebbe come plasmata e rimodellata sull’ipertrofico
movimento di un presente “stretched”, ovvero “stiracchiato, allungato”
e per questo colmo di forature e discontinuità. La metafora rende
dunque l’idea dell’assenza di qualsiasi vincolo e qualsivoglia schema
di costrizione che ingabbi il tempo presente nelle maglie del rispetto
della tradizione, o nel progetto del futuro, rendendolo pertanto
maggiormente idoneo a rapportarsi alle sfide della corsa verso l’ignoto
prospettate dalla globalizzazione.
14
1. IV. – La prospettiva personale
In definitiva, quale che sia l’indirizzo prescelto ci sembra che
nessuna delle due correnti di pensiero possa essere trascurata.
Entrambe da punti di luce distinti individuano aspetti significativi del
fenomeno, fornendo con l’occhio del critico le considerazioni più
adeguate per un approccio teorico ma anche pratico a una realtà che è
cambiata, ma che indubbiamente sta ancora cambiando freneticamente,
vagando - forse neanche tanto certamente – alla ricerca di un punto di
assestamento.
Sicuramente il nuovo ordine, rappresenta uno scenario non
immaginabile fino ai tempi passati, ma affrontare la questione con lo
spirito del copernicanesimo sembra eccessivo. Si può certamente dire
che lo sviluppo delle economie su scala globale, aspetto centrale della
globalizzazione, abbia raggiunto dimensioni difficili persino da
quantificare, ma probabilmente questi risultati sono il prodotto di una
lunga evoluzione, di uno sviluppo già scritto dalla storia del
capitalismo, e che oggi riscontra quantitativamente un’accelerazione di
tipo progressivo. Nessun risultato di tal fatta avrebbe potuto essere
raggiunto se a consolidarlo non vi fossero secoli di esperienze fatte di
15
piccoli e grandi precursori, che di epoca in epoca hanno potuto
beneficiare delle risorse più o meno tecnologiche a loro disposizione.
Una rivoluzione è in grado di cambiare istantaneamente l’ordine
precostituito, sostituendo un nuovo sistema a quello precedente. Ma
ormai, da tempo è parecchio difficile concepire uno stravolgimento di
tal fatta, essendo la cultura e le menti moderne, abbondantemente
educate a prevenire invenzioni e innovazioni cui i nostri antenati non
potevano avvicinarsi neppure con uno sforzo di fantasia. Questo è un
segno che la cultura dell’uomo moderno è gia consapevole delle
proprie potenzialità, cosciente dell’assenza di limiti alle proprie
capacità realizzative, consapevole che nulla è fuori dalla propria
portata.
Forse è questo il tratto veramente rivoluzionario della nuova era,
sapere di avere il mondo in pugno e dover solo attendere il tempo
necessario per relegarlo totalmente al proprio servizio. Di fatto,
questo è quanto le dinamiche dei mass-media stanno attualmente
realizzando, generando una cultura globale scevra da qualsiasi limite.
Nascendo in quanto cultura dei media e dell’immagine, legata
principalmente ai consumi più che ai bisogni, essa non può che parlare
il linguaggio del “branding”, tradotto nelle nuove tecniche di