INTRODUZIONE
“L’economia è parte integrante, essenziale della vita civile. Attraverso lo studio del
corpo sociale, del suo funzionamento e delle condizioni per il suo benessere,
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l’economista è in grado di porsi al servizio della comunità e del bene comune”.
Con queste parole Antonio Fazio, governatore della Banca d‟Italia dal 1993 al 2005,
ha iniziato la Conferenza sulla Finanza svoltasi a Roma il 22 marzo 2002. Il tema
centrale della conferenza verteva sul ruolo dell‟etica e della ragione morale in un settore
che stava perdendo di vista questi principi. L‟ex governatore ha sottolineato nel suo
discorso i punti fondamentali su cui intervenire. Ha indicato il lavoro, la produzione e
gli scambi, che non devono essere unicamente considerati in un‟ottica di mera ricerca
del profitto, la quale, nel caso in cui venisse presa come unico riferimento, finirebbe con
il trovare nelle attività illegali, socialmente dannose, che ledono gli interessi generali e
l‟ordine sul quale si reggono la società e la stessa economia il suo habitat più idoneo.
Ha evidenziato come il mercato necessiti di regole certe, obiettive e trasparenti per ben
operare, per creare ricchezza. Anche la società, sia quella nazionale sia quella
internazionale, fonda a sua volta la propria stabilità sulla giustizia distributiva, ricercata
attraverso l‟opera degli stati e la cooperazione internazionale.
Rispetto a tutti questi punti l‟etica si deve configurare come una “linea guida”, che si
articola secondo i principi classici della giustizia commutativa essendo una vera e
propria esigenza dell‟economia, non solo della coscienza umana.
Tali considerazioni sul ruolo dell‟etica nell‟economia arrivano alla fine di un
processo di “ripensamento dell‟economia” iniziato già negli anni ottanta, dovuto alla
progressiva perdita di valori etici e morali che in passato caratterizzavano le scienze
economiche. Questo processo è originato da molteplici eventi o fattori.
Il primo riguarda gli scandali finanziari, le truffe e gli altri comportamenti illegali e
immorali, i grandi fallimenti di società prestigiose, sempre presenti nel corso della storia
ma notevolmente accentuati nel corso degli ultimi venti anni. Casi come quello di
Enron, Worldcom, Conseco degli anni duemila, il caso Texaco di fine anni ottanta, e
anche i casi di Parmalat e Cirio relativamente al contesto italiano, hanno provocato
reazioni durissime tra la società e l‟opinione pubblica sia perché oltre a colpire
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Edmond Malinvaud, Conferenza sulla finanza: Che cosa si deve intendere per finanza giusta?
Roma, 22 marzo 2002; presentazione di Antonio Fazio. Roma, Banca d'Italia, 2003.
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direttamente i dipendenti e gli azionisti, hanno coinvolto anche migliaia di pubblici
risparmiatori sia la quantità di illeciti commessi, accantonando qualsiasi forma di etica e
giudizio morale.
Anche le crisi finanziarie ed economiche hanno contribuito a sollevare sentimenti di
sfiducia verso le autorità nazionali e mondiali e verso le istituzioni economiche,
reclamando il ritorno a regimi più etici dell‟economia e della finanza. L‟ultimo secolo è
stato caratterizzato da crisi gravissime in campo economico a partire dalla grande crisi
del 1929, la crisi petrolifera degli anni settanta, la bolla della New Economy e l‟attuale
crisi finanziaria, alle quali vanno aggiunte la crisi economica dovuta alla speculazione
dei bulbi di tulipano in Olanda nel diciassettesimo secolo o la crisi e il conseguente
fallimento della Compagnia del Mississippi e della Compagnia dei Mari del Sud del
secolo successivo, solo per citarne alcune. Comune denominatore di tutti i fallimenti
economici sono i successivi interventi legislativi volti ad aggiornare la disciplina e
riportare l‟economia a livelli più etici e morali.
Un secondo fattore consiste nella natura delle dinamiche socio-economiche connesse
alle logiche della globalizzazione. Nell‟era della globalizzazione, infatti, le normative e
le tutele non possono più essere quelle introdotte negli anni cinquanta. Necessitano di
un forte adeguamento al fine di preservare la sostanza di importanti conquiste in tema di
lavoro e condizioni sociali garantendo un nuovo sistema di diritti e doveri di solidarietà.
Sono indispensabili regole sempre più dettagliate compatibili con lo stimolo della
capacità d‟intrapresa. I controlli sull‟economia e sulla finanza devono avere
costantemente come obiettivo la tutela degli interessi generali, esigendo coerenza e
preclusione nei confronti di interessi di parte.
Un altro elemento che ha spinto la ricerca del legame tra etica ed economia è il
concetto di “felicità”, inteso come massimizzazione del piacere e di soddisfazione delle
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proprie preferenze grazie all‟incremento del reddito. La ricerca realizzata da Easterlin
evidenzia come, oltre un certo livello quantitativo, si assiste a una inversione della
correlazione positiva tra reddito e percezione personale della felicità. Secondo questa
teoria, che prende il nome di “paradosso della felicità”, il trend originatosi sarebbe in
grado di spiegare il probabile gap tra ricchezza economica e benessere personale e
sociale.
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R. Easterlin, Building a better Theory of Well-Being, University of Southern California, marzo
2003.
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Figura 1.1. Paradosso della felicità.
I fattori che influenzano la felicità dell‟individuo non si limitano al semplice
possedimento di ricchezza monetaria e beni materiali ma comprendono anche la
realizzazione della persona, le relazioni familiari e di amicizia, la partecipazione sociale
e politica, il tempo libero e il godimento di risorse naturali e ambientali. Per questa
ragione anche l‟attività economica deve inserirsi in un contesto di “vita etica”, che cerca
di raggiungere fini esistenziali non riconducibili all‟accumulazione di beni materiali.
Causa del ripensamento dell‟economia è attribuibile anche ad un nuovo modo di
vedere i problemi riguardanti i principi etici e morali da parte delle imprese, chiamato
Responsabilità Sociale d’Impresa. Nella visione tradizionale l‟impresa aveva un solo
scopo funzionale, vale a dire quello di produrre un profitto. Nella concezione di impresa
odierna tale visione è totalmente superata: non si prendono più in considerazione solo
gli interessi degli azionisti di maggioranza, gli shareholders, ma assumono un ruolo
sempre più importante gli stakeholders, termine che indica tutti quei soggetti che hanno
un qualche legame e interesse con l‟attività aziendale e con i quali l‟impresa interagisce
sia al suo interno, come i dipendenti, i clienti e i fornitori , sia all‟esterno, come le
istituzioni pubbliche, i soggetti esterni e l‟ambiente esterno. Questa concezione
dell‟impresa è stata ben accettata anche dalle istituzioni dato che si allinea con la nuova
politica normativa liberal-democratica, che impone di presentare le attività economiche,
e più in generale qualsiasi stato delle cose, accettabili da un punto di vista morale a tutti
i membri della collettività. La Responsabilità Sociale tenta anche di risolvere un
problema di ordine gerarchico: mentre i classici processi decisionali su cui si fondano il
mercato e la democrazia sono processi bottom up, nel senso che le decisioni partono dal
basso, l‟impresa nella visione più classica si fonda su processi decisionali top down.
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Porre l‟attenzione sugli stakeholders rappresenta una valida soluzione a questa
anomalia.
Non bisogna dimenticare che anche l‟incredibile sviluppo finanziario degli ultimi
anni ha creato conseguenze che hanno portato le ragioni etiche ad essere trascurate: una
colpa grave che viene attribuita alla finanza e alla globalizzazione è quella di aver creato
una netta separazione tra impresa, profitto e territorio rendendoli svincolati da un punto
di vista fisico. Un esempio classico è un operatore borsistico newyorkese che è
totalmente disinteressato alle vicende di un operaio indiano. Per queste ragioni la nuova
visione di economia socialmente responsabile, che operando sempre in merito alla
salvaguardia e alla creazione di valore per l‟impresa, agisce in un ottica di lungo
periodo e pone l‟attenzione sui rischi e i pericoli che sono connessi allo sviluppo
economico.
Tuttavia occorre precisare che la colpa del distaccamento dei principi etici da quelli
economici non può essere imputata esclusivamente alle scienze economiche. Dagli anni
settanta, se da un lato molti economisti si sono mossi abbracciando i principi morali
sostenendo l‟inadeguatezza delle categorie e delle formule dell‟economia del benessere
di Pareto, è altrettanto vero che molti filosofi non hanno indirizzato la propria attenzione
su materie strettamente economiche ma rimanendo sempre nel campo umanistico e
sociale. Questa situazione non ha giovato all‟etica, in quanto non si è giunti a
conclusioni pratiche e a possibili soluzioni del dilemma ma, al contrario, si è accentuato
il divario tra ragioni morali e ragioni economiche, originando sentimenti di
insoddisfazione e rinuncia tra la collettività. In particolare, la colpa che è attribuita ai
filosofi, specialmente a quelli inglesi e americani, è di concentrare i loro sforzi e le loro
ricerche su aspetti concernenti la natura del discorso etico e non sui contenuti pratici e
sull‟effettiva applicazione nel campo economico, tendendo a isolarsi dalla realtà del
mondo sociale ed economico e cercando una specie di “giustificazione” per astenersi da
un confronto duro ma necessario con l‟economia e con le sue effettive esigenze. Dal
canto loro gli economisti hanno colto la palla al balzo, accontentandosi di risolvere i
problemi di efficienza senza l‟onere di impegnarsi nella ricerca di soluzioni alternative,
ad esempio, che rispettassero le esigenze di equa distribuzione delle risorse tra la
collettività, lasciando ai pensatori il ruolo di creare aree di discussione o di indicare
differenti vie per raggiungere tali finalità, in realtà svolto solo in parte.
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In questo contesto la nascita della Finanza Etica e il forte sviluppo riscontrato negli
ultimi decenni, ha tentato di colmare il vuoto che esisteva tra il mondo finanziario ed
economico e quello sociale improntato su criteri etici e morali. Le testimonianze di
questo sviluppo sono notevoli e diffuse ormai in tutto il mondo: organizzazioni di
volontariato, associazioni, comitati, fondazioni ma anche società di persone e vere e
proprie società di capitali, cooperative sia di produzione sia di credito mosse da ragioni
etiche e sociali sono organismi che operano non solo a livello strettamente locale per
offrire i propri servizi e il proprio sostentamento alle realtà locali, ma anche a livello
internazionale, coinvolgendo enti governativi istituzionali.
Queste manifestazioni non si limitano soltanto all‟istituzione di organismi attivi nel
campo etico e sociale ma riguardano anche i provvedimenti adottati dai governi, dalle
istituzioni economiche, dalle singole organizzazioni e dalle società per favorire la
diffusione di una vera e propria mentalità che non si basi solamente sul concetto di
massimizzazione del profitto ma che tenga conto di elementi differenti dall‟aspetto
strettamente economico, come ad esempio le condizioni sociali della collettività e la
lotta alla povertà e all‟emarginazione, il rispetto e la tutela dell‟ambiente, una più equa
distribuzione delle risorse e così via.
Questi principi rappresentano la mission di numerose organizzazioni di volontari ma
ciò che incide in maniera profonda sul tentativo di trasformazione della finanza è la
nascita di istituzione finanziarie destinate alla realizzazione di attività economiche con
finalità etiche e sociali.
Il caso più rappresentativo nel panorama italiano è rappresentato dalla nascita di
Banca Popolare Etica, un istituto di credito a tutti gli effetti che, grazie ad una specifica
organizzazione e ad un‟apposita disciplina interna, intende sostenere quei soggetti
normalmente esclusi dal circuito creditizio e quei progetti che hanno un‟elevata
rilevanza sociale e ambientale. Tra le varie attività di Banca Etica occorre anche
sottolineare l‟orientamento al microcredito, vale a dire la concessione di prestiti
normalmente di piccolo importo a favore di soggetti in difficoltà o finalizzati al
finanziamento di specifici progetti.
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CAPITOLO 1. EVOLUZIONE STORICA DELL’ETICA IN AMBITO
ECONOMICO
1.1 Cenni storici sul pensiero filosofico in materia di etica: le origini.
Prima di approfondire il discorso economico è utile fare un breve accenno al concetto
di etica, definendola come quel ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e
razionali che permettono ai comportamenti umani di essere distinti in buoni, giusti, o
moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.
Il termine deriva, infatti, dal greco antico “ethikos”, che significa letteralmente "teoria
del vivere".
Non è un caso che i primi teorici dell‟etica sono proprio di origine greca: Senofane e
Solone, che già nel cinquecento avanti Cristo parlavano del valore del virtuoso nella
società ateniese attribuito attraverso l'arte del buon governo; Pitagora, il quale sostiene
che l'etica è dotata di una forte valenza conoscitiva, in quanto è la sapienza che
attribuisce le virtù all‟anima; Empedocle, che parla di una condanna dolorosa che
l'anima deve scontare per colpe dovute a reati gravi ma che è anche l'unico mezzo di
riscatto per arrivare alla salvezza; i sofisti, veri e propri educatori civili, che sono i primi
a sostenere che le virtù sono molteplici e insegnabili a tutti; Socrate, considerato il padre
fondatore dell'etica, secondo cui il bene si realizza praticando la virtù del sapere: per
fare il bene occorre prima che l‟uomo lo conosca a fondo, non preoccupandosi di
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stabilire quali sono i casi specifici con cui si esprime la giustizia; Platone, secondo cui
il bene, che rappresenta la massima conoscenza per l‟uomo, è all‟origine di tutto ma è
un concetto differente dal piacere e dal bello, perché non è automaticamente collegato
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né all‟utilità né ad un vantaggio materiale.
Il primo ad occuparsi del rapporto e del contenzioso tra etica ed economia è
Aristotele. Sono tre i trattati di etica attribuiti ad Aristotele. Il primo, Etica Eudemia, è
scritto in forma molto concisa e quindi risulta essere meno chiaro. Il secondo, Etica
Nicomachea, è quello più noto e studiato; il terzo, Grande Etica, è molto probabilmente
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L'argomentazione di Socrate si basava sulla maieutica socratica, rivolta all'interpretazione della
natura umana, ma a differenza dei sofisti per Socrate l'etica non è insegnabile: il filosofo può solo aiutare
gli allievi a partorirla da soli.
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E. Pastorio, Storia Greca, lineamenti essenziali, Monduzzi editore, Parma, 2006.
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un prodotto della sua scuola e quindi non redatto personalmente da Aristotele. Nelle sue
opere Aristotele afferma che il bene dell'uomo non può essere prodotto
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meccanicamente, rientrando perciò nella sfera delle attività di produzione materiale,
perché tale attività ha differenti finalità dal rendere l‟uomo buono. Per questo motivo, la
filosofia, volendosi occupare del bene dell'uomo, deve occuparsi delle sue azioni e
della politica, che, nell‟ottica aristotelica, rappresenta la ricerca del bene e del vivere
bene nella dimensione della città e dello stato. Prima di occuparsi di politica, cioè del
bene comune, Aristotele pone l‟attenzione sul singolo uomo e sul concetto del bene
personale, sostenendo che ogni uomo dovrebbe conoscere il "proprio" bene,
indipendentemente dalle circostanze politiche. Il pensiero filosofico riguardante il
rapporto tra etica ed economia è riportato nella “Politica”, un saggio composto da ben
nove libri, nei quali il filosofo greco esprime una critica molto forte al comportamento
dell‟uomo che tende a porre tutta la propria attenzione e tutti i propri sforzi nella ricerca
della ricchezza. L‟economia, che in questo caso è sinonimo di “procurarsi ricchezze”,
svolge un ruolo fondamentale nella vita dell‟uomo ma non può essere considerata la
sola sfera su cui l‟individuo deve porre attenzione. Si viene così a creare un vero e
proprio “rovesciamento antropologico”, in quanto la dominanza dell‟economia e del
procurarsi ricchezze con lo scopo di soddisfare bisogni materiali assorbe tutta l‟energia
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umana, convincendo l‟uomo che questo sia il fine al quale deve convergere ogni cosa.
Nonostante le prese di coscienza dettate dalla dottrina cattolica basata sui concetti di
carità, solidarietà e rispetto in campo sociale ed economico, il legame tra etica ed
economia nel corso della storia viene pian piano trascurato fino a proclamare la quasi
totale estraneità e incompatibilità tra le due sfere. Alcuni economisti, anche se sensibili
alle tematiche etiche e sociali, sostenevano che il fine principale dell‟economia fosse il
mero accrescimento della ricchezza prodotta e tutte le altre finalità erano perciò
subordinate. I benefici del singolo e della collettività venivano, infatti, calcolati in
termini di surplus del capitale monetario e di profitto conseguito.
Per altri, invece, l‟economia risolve il conflitto morale del legame con l‟etica: l‟agire
economico è per sua natura orientato al bene, vale a dire che è vero che il
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Una differenza importante nell'etica di Aristotele è quella che corre tra azione, pràxis, e produzione,
pòiesis. La prassi è fine a se stessa, la produzione ha per scopo, o causa finale, un oggetto prodotto,
un'opera d'arte, od una merce, od anche uno scritto.
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Aristotele, Politica, libro I, capitolo 9, traduzione di R. Laurenti, Laterza, Roma 1973.
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comportamento dei singoli soggetti è guidato dall‟egoismo e dal soddisfacimento
esclusivo dei propri interessi, ma le azioni che essi pongono in essere creano come
conseguenza un beneficio a tutta la collettività. Questo principio fa sì che la scienza
economica si distacca dalle ragioni etiche senza però criticare i suoi ideali di base.
Il principale sostenitore di questa tesi è Adam Smith, che indica come tutti gli
interessi individualistici sono guidati dalla “mano invisibile”, coordinandosi tra loro
fino a giungere ad un equilibrio generale che non richiede l‟intervento di alcuna autorità
di governo. Tutto, infatti, può essere risolto grazie al meccanismo del mercato
concorrenziale, definito da Smith come il luogo dove tutti i soggetti agiscono in maniera
parametrica e atomistica, sufficiente ad assicurare l‟ammissibilità tra interessi
individuali e collettivi.
Tutto ciò però è ottenibile solamente se la totalità degli operatori di mercato seguono
e rispettano regole di comportamento comuni, dette “moralità mercantili”, e
caratterizzate da valori di onestà e fiducia reciproca. Tutto ciò che occorre per il perfetto
funzionamento della società perciò è l‟interesse personale, la moralità mercantile e un
buon sistema di leggi.
Le conclusioni di Smith sono solo la fine di un lungo processo di evoluzione del
rapporto tra moralità e scienza economica: sono intervenuti nel dibattito personaggi
illustri come Machiavelli e Montesquieu che hanno rivoluzionato il fronte della scienza
politica hanno dato il via allo studio del funzionamento dei mercati già dal seicento con
risultati che appaiono sorprendenti per l‟epoca.
Machiavelli, in particolare, é stato definito come il fondatore della moderna scienza
politica: egli definisce nettamente il campo di questa scienza, distinguendolo da quello
di altre discipline che si occupano ugualmente delle azioni dell' uomo, tra cui l'etica.
Machiavelli rivendica, inoltre, l'autonomia del campo dell'azione politica, in quanto essa
possiede leggi specifiche proprie, ragione per cui l' agire degli uomini di Stato va
studiato e valutato solamente in base a tali leggi. Qualsiasi altro criterio, sia che applichi
metodi giusti e umani piuttosto che violenti e crudeli, non é pertinente alla valutazione
politica dell‟operato, con il risultato che il pensiero di Machiavelli rappresenta una vera
e propria rivoluzione per la cultura occidentale.
Il punto di partenza per la formulazione di tali leggi é una visione crudamente
pessimistica dell'uomo, inteso come essere morale: l'uomo agli occhi di Machiavelli é
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malvagio, ma non teorizza filosoficamente le cause di tale crudeltà e non indaga
sull‟origine: non si pone il problema se tale crudeltà sia derivante dalla sua natura
oppure è una conseguenza delle azioni commesse o subite. Tuttavia si limita a
constatare empiricamente gli effetti della sua malvagità sulla realtà . Machiavelli non é
quindi il fondatore di una nuova etica, anzi, si definisce un tradizionalista che considera
"cattivo" chi uccide o non mantiene la parola data. Egli semplicemente individua un
ordine di giudizi autonomi che si regolano su altri criteri, non il bene o il male, ma
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l'utile o il danno politico.
Una teoria suggestiva e particolare che stravolge le concezioni etiche e morali
classiche viene formulata da Mandeville, il quale evidenzia come i vizi privati portino
un beneficio per tutta la collettività, nato dal fatto che tali bisogni stimolano il
commercio dei beni di lusso. Questa concezione è riassunta nell‟opera "La Favola delle
Api: vizi privati e pubblici benefici": all'origine questo alveare è prospero e potente ma
finisce per diventare povero e spopolato nel momento in cui i suoi abitanti mutano le
proprie abitudini, divenendo risparmiatori e virtuosi invece che spreconi, orgogliosi e
dediti a una vita lussuosa, quali erano in precedenza. La diminuzione dei consumi
conseguente finisce per provocare disoccupazione, depressione, e, di conseguenza,
l‟impoverimento generalizzato. Secondo Mandeville, un gruppo poco numeroso
insediato su un territorio limitato, arriva a creare una società chiusa, pacifica ed
egualitaria, senza commercio e denaro, dove i consumi sono limitati ai prodotti naturali
del luogo. All'opposto, in una società grande e popolosa, forte militarmente e propensa
all‟espansione, controllata giuridicamente e amministrativamente da un potere politico
sovrano e unitario, dedita al commercio interno ed estero, i bisogni crescenti implicano
la necessità di una moltiplicazione delle risorse disponibili, con il conseguente sviluppo
delle scienze economiche. Mandeville ha inoltre enfatizzato il ruolo dell'interesse
personale nella scelta delle azioni individuali, indicando come le azioni umane siano
indotte da considerazioni egoistiche sui desideri e sulle passioni, e illustrando i mezzi e
le modalità più semplici per soddisfarli, dal che si evince che le relazioni degli uomini
con i loro bisogni materiali sono più importanti delle relazioni degli uomini tra loro, e
che gli uomini vivono in società non perché la loro natura sia fondamentalmente sociale,
ma unicamente per soddisfare i rispettivi bisogni. Per questo motivo passioni quali
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F. Gilbert, Machiavelli e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, 1972.
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