II Gli errori passati
2.1 Da Rio a Johannesburg, la lunga parabola
Nel giugno del 1992 fu organizzata a Rio de Janeiro una delle più
importanti conferenze mondiali sulla sostenibilità. L’evento fu promosso
dalle Nazioni Unite e vi presero parte delegazioni governative e capi di
stato in rappresentanza di 183 nazioni. Secondo l’opinione pubblica è
stato l’incontro che ha avuto il maggior impatto mediatico tra quelli
organizzati dall’ ONU.
In quell’occasione, i governanti e molti cittadini del mondo presero
coscienza delle sfide urgenti a cui stava andando incontro l’umanità sul
finire del XX secolo. Dopo il vertice di Stoccolma del 1972, in cui per la
prima volta viene fissato in agenda dai paesi ricchi un dibattito del genere,
l’ Earth Summit di Rio rappresenta un cambiamento di mentalità.
Le luci del mondo furono puntate sui lavori della United Nations
Conference on Enviroment and Development (UNCED), che si riunì per
undici giorni, definiti all’epoca, “entusiasmanti”.
Dalla conferenza videro la luce quattro importanti documenti, che tutt’oggi
rappresentano un riferimento di base per i problemi attuali: la
dichiarazione di Rio, l’ Agenda 21, le convenzioni sul clima (UNFCCC) e la
biodiversità (UNCBD), e la comunemente nota “dichiarazione sulle
foreste”. Per complessità, rilevanza e portata innovativa l’ Agenda 21 è
unanimemente considerata la più importante delle quattro carte. Il nome
stesso “Agenda 21” fa riferimento ai temi chiave socio-ambientali da
mettere in agenda per il XXI secolo.
I punti più significativi dei quattro documenti possono essere riassunti
come segue:
Dichiarazione di Rio: raccoglie una serie di 27 principi generali di
ordine etico che tutte le nazioni dovrebbero ottemperare. Tra i
principali ricordiamo: l'uomo è al centro dello "sviluppo sostenibile"
(principio 1); gli Stati hanno sovranità sulle proprie risorse e non
devono causare danni ai paesi confinanti (principio 2); l'eliminazione
della povertà è requisito primario per lo sviluppo sostenibile
(principio 5); deve instaurarsi un’alleanza mondiale nello sforzo
comune di salvaguardia dell’ambiente e gli stati hanno una
responsabilità comune ma differenziata di fronte alle problematiche
e alle responsabilità che riguardano la tutela ambientale (principio
7); una politica di prevenzione nella protezione dell'ambiente va
adottata anche in assenza di certezza scientifica, ovvero deve valere
2
il “principio precauzionale” (principio 15).
2
G. GARAGUSO e S. MARCHISIO (a cura di) (1993). Rio 1992: Vertice
per la Terra, Milano, Franco Angeli.
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Agenda 21: rappresenta un documento suddiviso in 40 sottosezioni
che raccoglie, definisce e sistematizza non solo gli obiettivi auspicati
per uno sviluppo sostenibile, ma anche gli strumenti e le modalità
pratiche per raggiungerli. Tocca uno dei momenti più alti della
sensibilità umana in campo ambientale, concentrando in un unico
estratto le visioni di un crogiolo di culture.
Non ha carattere giuridicamente vincolante per gli stati firmatari ma
non per questo ne è pregiudicata la sua limpidezza: prevede, per la
realizzazione del programma, un investimento annuo di 600 miliardi
di dollari, di cui 125 a carico dei paesi ricchi per abbattere il divario
col terzo mondo. Il periodo decorre dal Gennaio 1993 e si protrae
per sette anni.
UNFCCC: ha un preciso scopo, quello di affrontare il cambiamento
climatico in corso. I paesi partecipanti prendono coscienza della
necessità di un’immediata riduzione dei gas serra, generati da
combustibili fossili a loro volta prodotti dalle attività umane. Dato
che si è ritenuto il “primo mondo” il principale responsabile delle
emissioni e di conseguenza del cambiamento climatico, tocca a lui
l’intero onere di abbattere tali inquinanti.
UNCBD: parte dall’evidenza dell’impoverimento della biosfera di
specie animali e vegetali connesso all’attività umana, in particolare
ai disboscamenti. La finalità della direttiva è conservare l’attuale
patrimonio naturale per le generazioni a venire, secondo un principio
di solidarietà. Anch’ essa, come la precedente, è una legge quadro a
cui non è seguito un decreto attuativo, chiamato nella formulazione
dell’ ONU “protocollo”.
Dichiarazione sulle foreste: impone un generale obbligo morale a
tutela delle foreste, senza tuttavia essere corredata da alcuna forza
applicativa.
Come già desumibile dal prospetto qui riportato, all’ampia mole di principi
e raccomandazioni non ha fatto seguito una uguale solerte normativa di
dettaglio, che imponesse agli stati firmatari obblighi e tempistiche
sostanziali oltre che formali. Mancando lo strumento cardine di un codice
normativo ai suoi albori, cioè la sanzione, possiamo intuire la
fondamentale pecca del Summit.
Se ciò sia stato dovuto a una scelta razionale improntata alla più ampia
fiducia nei sottoscriventi o alla pura logica di interessi di parte, non spetta
a noi dirlo.
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Quello che possiamo fare è citare dati certi che ci aiutino a capire
3
l’effettivo successo del summit, al di là delle dichiarazioni istituzionali :
parliamo degli aiuti allo sviluppo, che a Rio i paesi ricchi si sono impegnati
a raddoppiare portandoli dallo 0,35% allo 0,70% del loro PIL. Otto anni
dopo, invece del promesso aumento del 100%, hanno subito un crollo del
37%, passando da 69 a 53 miliardi di dollari in valore assoluto e dallo
4
0,35% allo 0,22% del prodotto interno lordo dei paesi OCSE”.
Benchè l’ impatto delle misure prese a Rio fu alquanto modesto, se non in
certi casi inconsistente, dal Summit emersero importanti principi a
riguardo della tutela dell’ambiente, la cui portata universale è ancora oggi
riconosciuta.
In particolare i principi sono quattro:
1. Principio di solidarietà: sia in senso intergenerazionale, sia in
direzione orizzontale, verso i paesi meno sviluppati.
2. Principio di equità: è giusto sobbarcarsi degli impegni in proporzione
alle responsabilità in gioco.
3. Principio di democrazia: la global governance delle questioni
internazionali deve riflettere al massimo grado la multilateralità e la
democraticità dei sistemi occidentali.
4. Principio di sussidiarietà: in una scala bottom-up delle organizzazioni
coinvolte il livello più prossimo al cittadino è da preferire a meno di
prova contraria.
La marcia forzata verso un futuro sostenibile va avanti, tra principi e
dichiarazioni d’intenti disattese, e si arriva così al 1997, anno in cui prende
il via la Conferenza di Kyoto in Giappone. Dall’1 al 10 Dicembre, i
rappresentanti di 169 Stati si riuniscono per trovare un accordo
internazionale vincolante in materia ambientale.
Dopo una lunga concertazione preparatoria, verrà approvato un
documento, sotto forma di protocollo. In questo si riaffermava la necessità
di un taglio netto delle emissioni, in dettaglio stabilisce che le emissioni di
gas serra dei paesi industrializzati dovranno diminuire del 5,2% rispetto ai
livelli del 1990, tenuto come anno base, entro un periodo compreso tra il
2008 e il 2012.
Molti dubbi sono stati avanzati dalla comunità scientifica in merito alla
consistenza di questi tagli. L’Intergovernmental Panel on Climate Change
3
Alla sua chiusura, Maurice Strong, segretario generale della conferenza, definì il summit ―un momento storico
per l’umanità‖.
4
Greco P. e Salimbeni A. (2003). “Lo sviluppo insostenibile” . Milano: Bruno Mondadori.
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(IPCC), composto da un gruppo di scienziati delle Nazioni Unite, valutò tra
il 60% e l’80% la riduzione dei gas serra necessaria a fermare il
mutamento climatico, da parte però di tutti i paesi, non solo quelli
5
industrializzati.
Il protocollo di Kyoto sarebbe stato vincolante solo quando ratificato da
almeno il 55% dei paesi firmatari che, complessivamente, dovranno
raggiungere almeno il 55% delle emissioni totali.
Il target del 5,2% non fu uniforme, all’UE e la Svizzera spettò l’8%, agli
USA il 7% e al Giappone il 6%.
A prima vista, il mondo aveva preso la giusta strada dello sviluppo
sostenibile, seguendo i principi della multilateralità e della concretezza.
Nel 2002, però, gli Stati Uniti, pur dichiarando formalmente il loro
impegno, di fatto disattesero l’adesione al protocollo, prevedendo una
diminuzione relativa fortemente deficitaria, definita addirittura da
6
Bruxelles “ un sostanziale incremento delle emissioni”.
Osservando i punti cruciali della questione, si può capire la gravità della
rinuncia americana: se viene meno il principale potenziale acquirente di
crediti d’emissione, il prezzo di mercato degli stessi scende notevolmente,
rendendo più oneroso per la Russia rinnovare la sua industria per vendere
i crediti d’emissione. Una nuova guerra fredda sembra profilarsi sul piano
ambientale.
Nel febbraio del 2005 la Duma russa approva finalmente il protocollo,
superando così il forte scetticismo di ampie frange dell’establishment
russo. Il consigliere economico presidenziale, Andrei Illarionov, ha parlato
di "atto politico destinato a danneggiare gli interessi nazionali della
7
Russia".
In definitiva la diplomazia ambientale mondiale esce, da Rio prima e da
Kyoto poi, frammentata e indebolita, avendo spesso mostrato posizioni
contrapposte. L’opinione pubblica resta a guardare, frustrata dalle grandi
speranze poi disattese e in balia delle dichiarazioni di rito.
Forse l’unica realtà che persegue, con tutte le difficoltà esposte, la
decisione presa è l’Unione Europea, o meglio alcune sue parti. Le riduzioni
di CO2 più significative avvengono in Germania, grazie alla
ristrutturazione dei Lander orientali, altamente energivori, in Lussemburgo
per il rinnovamento dell’industria dell’acciaio e in Inghilterra per il
passaggio dal carbon fossile al gas.
E’ in questo clima di incertezza e attesa che il 26 Agosto 2002 aprono i
battenti del “World Summit on Sustainable Development” a Johannesburg,
Sudafrica. Esattamente dieci anni dopo l’incontro sudamericano, il primo
5
IPCC (1992) — The Supplementary Report to the
IPCC Scientific Assessment. The 1992 report of the IPCC Scientific
Assessment Working Group.
6
Wallstrom M. (2003). Etat de la ratificazione du protocole de Kyoto, Note d’ information. Working paper.
Bruxelles
7
http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/esteri/russiakyoto/russiakyoto/russiakyoto.html
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mondo è appena uscito da una breve ma allarmante recessione e l’attacco
alle Torri Gemelle, dell’anno prima, ha minato la naturale fiducia verso un
futuro sempre migliore.
I temi trattati in agenda sono nove: Millennium Development Goals,
acqua, energia, salute, agricoltura, biodiversità e sistemi naturali,
globalizzazione, modelli di consumo e di produzione, Africa. Passiamo ora
in rassegna a quali conclusioni si è giunti sui temi che ci interessano più
da vicino.
Acqua: viene stabilito l’obiettivo di ridurre del 50% il numero delle
persone che non hanno accesso all’acqua potabile e/o a un sistema
fognario. Scadenza 2015.
Energia: si “raccomanda” a tutte le nazioni di incentivare la
transizione energetica verso un uso più consistente delle energie
rinnovabili, senza però definire né tempi né modi d’attuazione.
Agricoltura: il più spinoso nodo della questione, i sussidi europei e
americani che ostacolano l’ingresso di prodotti agricoli del terzo
mondo, non vengono aboliti.
Globalizzazione: si riafferma la promessa dei paesi ricchi di portare
allo 0,7% del PIL il quantitativo di aiuti al terzo mondo. Viene persa
l’occasione di designare un organo sovranazionale investito
ufficialmente dell’autorità in materia ambientale.
Modelli di produzione e consumo: il modello di produzione
capitalistico non viene messo in discussione, anzi viene riaffermato:
“trade and not aid” è il nuovo slogan in campo di aiuti umanitari. Si
incomincia a delineare un approccio totalmente diverso agli insoluti
problemi del terzo mondo: creare un circolo virtuoso attraverso il
commercio, lasciando alla mano invisibile del mercato, solo
marginalmente guidata, il compito di sollevare dal bisogno queste
sfortunate popolazioni.
Come abbiamo potuto notare, molto spesso gli obiettivi prefissati
rappresentano solo generici intendimenti difficilmente traducibili in un
impegno concreto.
Un unanime giudizio accorda nel riconoscere in 562 micro-progetti di
sviluppo sostenibile l’unico risvolto pratico del Summit. Essi rappresentano
iniziative rivolte al terzo mondo a capitale misto (pubblico-privato) che
rispondono sempre alla logica del “trade not aid”.
In cifre: il pacchetto di progetti prevede un impegno monetario di circa
1,5 miliardi di dollari, la centesima parte di quanto i paesi ricchi avessero
promesso a Rio, dieci anni prima.
Concludendo, si può affermare che il vertice di Johannesburg non abbia
rappresentato una svolta importante nel quadro degli impegni dei governi
a favore di un futuro sostenibile e che le logiche del business miope e dei
rapporti di forza siano prevalse sui principi di solidarietà, equità e
responsabilità appena prima statuiti.
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