INTRODUZIONE
In microeconomia si è abituati a concepire gli individui come agenti pienamente
consapevoli delle loro scelte, con una razionalità assoluta e pieno accesso alle
informazioni.
Parafrasando Thaler (2009) :
[l’Homo Oeconomicus] ha le stesse facoltà mentali intellettuali di Albert Einstein, una capacità di
memoria paragonabile a quella del Big Blu e una forza di volontà degna di Gandhi. Le persone che
conosciamo non sono fatte così. Le persone vere riescono a malapena a fare una divisione lunga
senza usare la calcolatrice, qualche volta dimenticano il compleanno del marito o della moglie e il
giorno di Capodanno accusano i postumi di una lunga bevuta. Non appartengono alla specie
dell’Homo Oeconomicus, ma a quella dell’Homo Sapiens.
Come afferma Sanjit Dhami (2016) un impressionante numero dettagliato di prove
sperimentali, neuro-economiche e sul campo, basato su diversi decenni di lavoro,
ha sollevato serie preoccupazioni circa le ipotesi e le previsioni fondamentali dei
modelli neoclassici. Ciò è stato accompagnato da impressionanti sviluppi teorici,
attingendo a intuizioni dalla psicologia, dalla biologia, dall'antropologia, dalla
sociologia e da altre scienze sociali, note come economia comportamentale. Questi
modelli hanno avuto un successo empirico molto maggiore rispetto ai modelli
neoclassici.
Grazie alle nuove tecnologie è possibile in maniera sempre più veloce avere accesso
a diverse informazioni, è impensabile comunque affermare che ogni consumatore
sappia appieno tutte le alternative offerte dal mercato con la descrizione completa
delle caratteristiche dei diversi prodotti. Anche perché, se da una parte Internet
permette di trovare rapidamente moltissimi forum sul quale informarsi, è vero anche
che attraverso la pubblicità mirata dei social, si ha sempre meno nella home a
disposizione diverse alternative, in quanto l’algoritmo tende a fare vedere ciò che
secondo lui è già consono a noi.
Lo studio dell’uomo così imperfetto appare di notevole interesse nel campo del
marketing, nel quale una delle sue P recita appunto promozione e quindi anche il
raggiungere il pubblico cercando di farsi scegliere rispetto ai competitors.
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In questo elaborato si cercherà di indagare sull’economia comportamentale,
andando a capire l’irrazionalità dell’essere umano e come questa possa essere
usata per fargli prendere una decisione piuttosto che un’altra.
Nel primo capitolo si partirà da capire cos’è l’economia comportamentale e quali le
peculiarità che la caratterizzano come approccio rispetto all’economia tradizionale.
Ci si concentrerà poi sulla sua evoluzione nel corso del tempo. Infatti le primordiali
idee sulle emozioni e la loro influenza sulle decisioni risalgono proprio da economisti
neoclassici che hanno influenzato importanti esponenti come Herbert Simon e
George Katona, i quali arricchirono di molto gli studi in merito. Parlando dei meriti
più recenti non si possono non citare Daniel Kahneman e Amos Tversky, che
assieme a Richard Thaler hanno portato importanti ricerche e studi sul settore.
Nel secondo capitolo si entrerà nel dettaglio delle euristiche, ossia degli errori
cognitivi che influenzano inconsapevolmente le decisioni dei consumatori. Queste
possono essere interpretate come vere e proprie scorciatoie mentali messe in atto
da ciascun individuo, difficilmente evitabili e in grado di porre dei pregiudizi (bias)
nelle nostre scelte.
Tre sono le euristiche più importanti descritte da Kahneman e Tversky. L’euristica
della rappresentatività, della disponibilità e dell’ancoraggio.
La prima interviene ogni volta che si deve stimare una probabilità, ad esempio, a
seguito di diverse uscite di colore rosso nella roulette, gli scommettitori penseranno
che sarà inevitabile che esca il nero, questi errori cognitivi chiamati con il termine di
fallacia dello scommettitore, sono diretta conseguenza di questa euristica.
La seconda tiene conto invece dei giudizi su eventi futuri, valutando come più
probabili scenari che riescono a venire in mente già facilmente. Gli incidenti aerei
sono sovrastimati ad esempio come stima, venendo giudicati molto più frequenti di
quanto realmente non lo siano.
La terza, come il nome fa intendere, si riferisce invece al fatto che spesso, quanto si
devono dare delle stime numeriche, si tende appunto ad ancorarci ad un qualche
valore. Anche cifre lette poco prime, altamente improbabili, vengono usate come
base per la formulazione.
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In seguito verrà trattata nel dettaglio la Prospect Theory di Kahneman e Tversky,
modello utile a capire come prendono le decisioni gli individui e le possibili
applicazioni dell’economia comportamentale nel marketing e nel pricing.
L’ultimo capitolo è dedicato ad un particolare fenomeno chiamato priming. Questo
non è altro che l’influenza sulle decisioni causata da stimoli del passato a cui si è
stati esposti nel passato come ad esempio parole lette e suoni ascoltati.
Anche in questo caso si passerà ad analizzare come il marketing interpreta questo
fenomeno all’interno del proprio campo, scoprendo quanto i prime siano
quotidianamente usati senza che gli individui lo sappiano.
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CAPITOLO 1
1.1 Cos’è l’economia comportamentale
Come già il nome può fare intendere l’economia comportamentale è la branca
dell’economia che analizza il comportamento e le decisioni degli individui. È
fortemente legata alla psicologia, come dimostra d’altronde la seconda parte del
suo nome, derivante dal comportamentismo di Watson, ossia l’approccio secondo
cui le azioni dell’uomo possono essere studiate scientificamente. Mullainathan e
Thaler (2000), la definiscono infatti come la combinazione tra economia e psicologia
che indaga su cosa accade nei mercati in cui gli agenti mostrano limitazioni e
complicazioni.
Si discosta dall’economia classica nella quale vi era la concezione che gli individui
fossero completamente razionali, il cosiddetto Homo Oeconomicus, idealizzato da
Walras. Secondo gli economisti comportamentali gli individui non sono
completamente razionali ma commettono errori nella formulazione delle scelte,
questi bias sono causati dalle cosiddette euristiche, ossia particolari meccanismi
cognitivi che influenzano in maniera inconsapevole le scelte delle persone.
Camerer (2005) afferma come questa disciplina non sia altro che il risultato
inevitabile dell’allentamento della perfetta razionalità. Come la concorrenza perfetta
e l'informazione perfetta, l'assunzione della razionalità dell'agente perfetto è un utile
caso limite nella teoria economica, usato spesso nelle simulazioni e teorie
economiche ma che non rispetta la realtà.
L’economia classica appare quindi troppo rigida per spiegare le scelte decisionali.
Un interessante parallelismo, che calza perfettamente con quanto si può esprimere
per la razionalità assoluta, è posto da Rubistein (2006) il quale afferma che
come nel caso delle favole, i modelli nella teoria dell'economia sono derivati da
osservazioni del mondo reale, ma non sono pensati per essere gustabili. Inoltre,
sempre come nelle favole, i modelli hanno una portata limitata.
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Il modelli neoclassici vengono definiti da Gilboa et al. (2014) come spesso visti in
modo diverso rispetto ai modelli delle scienze in cui prevale l’ordine; la teoria
dell'economia sembra valutare la generalità e la semplicità a scapito
dell'accuratezza; ci si aspetta infatti che i modelli trasmettano un messaggio molto
più che descrivere una realtà ben definita; questi modelli sono spesso simili alle
osservazioni o all'esperimento mentale; e il teorico economico in genere non è
tenuto a specificare chiaramente dove il suo modello potrebbe essere applicabile e
come.
Nel corso degli anni, questa disciplina è stata accolta sempre maggiormente
dall’ambiente accademico, tanto che alcuni suoi importanti esponenti hanno
ricevuto il prestigioso premio Nobel per l’economia, come Daniel Kahneman nel
2002 e Richard Thaler nel 2017, per i loro studi e scoperte apportate in questo
campo.
Nonostante possano sembrare idee recenti già Adam Smith nel suo Theory of Moral
Sentiment (1759) riconobbe l’importanza delle emozioni, delle preferenze sociali, ma
anche dell’altruismo dell'avversione alla perdita e della forza di volontà.
Così come nel suo Brief Account of a General Mathematical Theory of Political
Economy, William Stanley Javons (1866) anticipò la svolta quantitativa e cognitiva
dell'economia, affermando che i sentimenti sono quantità suscettibili di trattamento
scientifico, aprendo così la strada a molti concetti futuri, affermando come “ogni
piacere o dolore futuro atteso ci colpisce con sentimenti simili nel tempo presente,
ma con un'intensità diminuita in una certa proporzione alla sua incertezza e alla sua
lontananza nel tempo”.
1.2 Come si differenzia dall’economia tradizionale
Per capire nel dettaglio cos’è l’economia comportamentale, occorre comprendere
quali siano le principali differenze rispetto l’economia tradizionale. Come riporta
Tomer (2007), è da notare come in primo luogo l’economia comportamentale non è
riferita a un’ideologia politica economica, come è invece il caso di altre scuole di
pensiero economiche (es: liberismo), e ciò che la distingue è il suo approccio
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