Introduzione
Lo spazio rappresenta una dimensione dell' abitare un “mondo vitale”
(Vidal de la Blache, 1922) in cui si crea una relazione di totale ed inconscio
coinvolgimento con il proprio luogo, tanto da identificarsi con l' ambiente
vissuto (Simonicca, 2006: 22).
Se, da un lato il territorio, viene concepito come un organismo altamente
complesso, in continua evoluzione e formato da luoghi dotati di una certa
identità storica, dall' altra si è assistito e si assiste tutt' ora ad un processo di
sfruttamento incessante ed insostenibile che ha portato ad una forma di
“liberazione dal territorio” (Magnaghi, 2000: 16). Il dominio delle funzioni
economiche di produzione, consumo e circolazione delle merci ha portato ad
una certa marginalizzazione dello spazio pubblico, ad un' omologazione dei
luoghi e ad una perdita di saperi locali (Magnaghi, 2000: 24). Il locale e la sua
riscoperta sono oggi elementi in bilico fra i processi di omologazione e
distinzione globalizzanti che rischiano talvolta di sfociare in nuovi localismi.
L' Ecomuseo può essere, dunque, un utile strumento per la progettazione dello
sviluppo locale sostenibile, per la gestione e la valorizzazione del proprio patrimonio?
Una possibile soluzione alle schizofreniche sfide della deterritorializzazione? Lo “sforzo
collettivo” può, quindi, rappresentare una strategia vincente nei programmi di sviluppo
locale?
La tesi che cercherò di sostenere è quella del valore dell' ecomuseo, non
solo quale strumento ideologico, una linea a di pensiero da seguire nelle
pratiche di progettazione locale, ma anche un interessante strumento per
cambiare il destino di territori e culture che sembrano destinate al declino.
L' occasione per la stesura di questa tesi è stata la collaborazione, durata
all' incirca nove mesi, con il Laboratorio21 del Comune di Corbetta, principale
partner dell' Ecomuseo dei Comuni dell' Est Ticino. Questa esperienza mi ha
permesso di conoscere alcuni importanti meccanismi che pongono le
4
fondamenta ai processi di coinvolgimento pubblico e per la costruzione degli
ecomusei. Questa è stata, inoltre, un' opportunità per osservare un ambiente che
non appartiene al mio vissuto quotidiano e che mi ha permesso di riflettere e
vivere con più consapevolezza, responsabilità e coscienza il mio territorio.
Credo che la conservazione, in senso ampio, delle bellezze naturali, patrimoni,
saperi, sia un concetto superabile: il nostro sguardo deve essere rivolto al
presente, ma soprattutto al futuro. Se, come credo e vorrei sostenere, la
valorizzazione passa prima dalla coscienza e dalla consapevolezza condivisa,
gli ecomusei, quale strumento di sviluppo locale partecipato, potrebbero
rappresentare una svolta al nostro statico sguardo e permetterci di rivolgerci ad
un futuribile più sostenibile.
Le tecniche di ricerca a cui mi sono affidata, con la collaborazione degli
operatori locali, sono state le interviste strutturate, che in totale superano la
centinaia, alcuni sopralluoghi per catturare immagini fotografiche e la
consultazione di documentazione storica e d' archivio per la realizzazione delle
schede del patrimonio materiale visitabili sul sito di Agenda21 dei comuni dell'
Est Ticino.
L' elaborato si sviluppa in tre capitoli, uno teorico, uno in cui espongo
alcuni casi significativi e l' ultimo in cui analizzo la mia personale esperienza all'
interno dell' Ecomuseo dei Comuni dell' Est Ticino.
Il primo capitolo, “La Nuova Museologia e gli Ecomusei”, rappresenta il
manifesto ideologico nel quale gli ecomusei pongono radici. Le rivoluzioni
culturali degli anni Sessanta investirono anche il panorama museale e
permisero di ricercare e disegnare un diverso, più aperto e democratico
approccio con il “patrimonio culturale” attraverso nuove esperienze museali e
successivamente attraverso la “creazione” degli ecomusei. L' identità locale, la
condivisione delle conoscenze, la riflessione sull' evoluzione del proprio
territoriol e la partecipazione alla costruzione del proprio abitare divengono
aspetti centrali nella riflessione teorica di Rivière e De Varine, gli inventori di
questo straordinario strumento di sviluppo locale che è l'ecomuseo. Le culture
5
locali si compongono, tuttavia di un mosaico di culture ed esperienze personali,
di soggetti portatori di interessi individuali talvolta difficili da coniugare con il
“bene collettivo”. Dal coinvolgimento e dalla partecipazione di un intera
comunità ai progetti museali possono quindi, talvolta, scaturire conflitti. Il
capitolo si conclude con una breve analisi del panorama legislativo italiano in
tema di ecomusei: una peculiarità che distingue il nostro Paese da molti contesti
internazionali.
Nel secondo capitolo vengono analizzati alcuni principali bacini di
diffusione degli ecomusei con particolare attenzione a tre casi europei, Le
Creusot, Bergslagen e Barroso. L' ecomuseo è un progetto flessibile e in continua
evoluzione che, per lo meno negli intenti, si dovrebbe autosostenere: l'
autosufficienza economica spesso viene perseguita attraverso alcuni progetti
esclusivamente turistici. L' ecomuseo è, tuttavia, per prima cosa, uno strumento
a servizio dei propri cittadini, che migliora il rapporto con il proprio
patrimonio, rende più consapevoli del proprio territorio e migliora la qualità
della vita. In Italia il fenomeno degli ecomusei supera numericamente qualsiasi
altra esperienza a livello globale. Questo proliferare di esperienze potrebbe
suggerire una certa superficialità del fenomeno, o una certa leggerezza nell'
uso-abuso di questo “strumento-marchio” di progettazione locale partecipata.
Gli ecomusei costringono, dunque, ad uno sguardo più approfondito, ad
un' indagine più accurata rispetto alle pratiche della quotidianità, ad una
visione più ampia e densa del prodotto culturale di una storia esclusivamente
locale. In questa prospettiva la memoria, l' identità ed i patrimoni individuali e
collettivi che costruiscono il “racconto locale”, diventano necessari per esplorare
e comprendere gli ecomusei. L' Ecomuseo dei Comuni dell' Est Ticino ha
rappresentato una irripetibile occasione per sbirciare da vicino le pratiche che
conducono alla creazione di un' ecomuseo. Quest' ultimo capitolo è una
parentesi aperta in un discorso ancora tutto da costruire dove ho tentato di
individuare alcuni punti fermi nella pratica del metaprogetto ecomuseale.
Consapevole dei limiti, spero che questo elaborato possa essere, come lo è
6
stato per me, uno spunto di riflessione, un' occasione per ripensare e dare un
senso più pieno al rapporto che abbiamo con l' ambiente che ci circonda.
7
INDICE CAPITOLO PRIMO- La “Nuova Museologia” e gli Ecomusei
1. MUSEI “IN CRISI” E NUOVE TENDENZE MUSEALI
1.1 Primi passi verso l’ “ecomuseo”: “museo all’ aperto”e “Heimatsmuseum”
2. NASCITA E DEFINIZIONE DI UN’ IDEA: GLI ECOMUSEI IN TEORIA
2.1 Ecomusei e democrazia
3. EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO REGIONALE
1. MUSEI “IN CRISI” E NUOVE TENDENZE MUSEALI
Il territorio è una delle opere d’ arte più alte che il genere umano esprime:
esso è il prodotto di un’ interazione continua fra le donne, gli uomini e la natura
stessa. È un atto d’ amore degli uomini, che si crea attraverso la fecondazione da
parte della natura sulla cultura (Magnaghi, 2000: 9)”, un ecosistema generato
dalle società antropiche e naturali. L’ idea rinascimentale del paesaggio come
evento culturale è stata, nel corso della storia umana, progressivamente
espropriata del suo più profondo significato, legittimando deturpazioni,
violenze e inquinamenti. La liberazione dal “valore del territorio” mostra oggi
più che mai tutta la sua disarmonia: le metropoli hanno fagocitato risorse di cui
è necessario riappropriarsi e riscoprire per rilanciare territori autosostenibili e
stabilire nuove alleanze fra la Natura e l’ Umanità. In un approccio territorialista,
perciò, l’ individuazione e la riscoperta dell’ identità locale sono le chiavi
fondamentali per dare vita a nuovi processi di “bonifica” e
riterritorializzazione. Questi stimoli, essenziali per il rilancio territoriale
culturale e turistico, vengono appieno racchiusi nell’ idea di ecomuseo, che
rappresenta perciò oggi una nuova spinta, una delle possibili risposte per
ripensare i territori e il turismo dotato di senso che ad esso si lega. Musei ed
ecomusei, con modalità diverse, sono custodi di patrimoni artistici, ambientali,
8
educativi e culturali in senso più ampio. Per comprendere la nascita e l’
evoluzione delle istituzioni ecomuseali è necessario ricostruire a piccole tappe
la storia dei musei e delle varie forme museali che da essi hanno tratto origine e
che, nel tempo, ne hanno ribaltato le consolidate tradizioni.
Il termine “museo”, nel passato, evocava spesso l' idea di un’ istituzione
chiusa, delegata alla raccolta, alla selezione e alla custodia di oggetti salvati
dalla distruzione presentati al visitatore in maniera didattica. Un luogo, così
definito, ha in verità rappresentato, nel passato così come oggi, solo uno dei
possibili approcci alla conservazione degli oggetti che costituivano la cultura di
un popolo. Per rendere accessibile la lettura di segni, oggetti, memorie, le civiltà
antiche celebravano riti che si svolgevano nei teatri, santuari o chiese. Le
architetture divenivano così i contenitori della trasmissione di una cultura resa
maggiormente comprensibile. Questa “museografia primitiva” dipinge una
realtà più efficace e più strettamente legata alla società (Basso Peressut, 1985:
168) Accanto a grandi monumenti la storia di un popolo, della sua cultura e
della sua trasmissione è fatta di testi, oggetti, ma anche di contesti e territori-
sistemi che legano insieme beni isolati attraverso cui leggere il passato. Il
territorio, così inteso, è il vero museo della storia della natura e degli uomini, un
“museo diffuso”, dove le opere sono conservate nel luogo d’ origine e dove non
vi sono visitatori ma abitanti (De Varine, 1973: 242-249). Questa concezione
innovativa porta necessariamente ad una riflessione sull’ istituzione museale,
sulla sua “crisi” e sulla sua possibile rinascita.
Negli ultimi decenni, l’ attenzione alla conservazione culturale ed
ambientale insieme ha portato alla trasformazione di alcuni luoghi definiti “di
interesse” in parchi naturalistici, riserve, ecomusei e molte altre istituzioni che
tendono talvolta a mantenere quella cultura della separatezza fra “raro e
comune”, “naturale e artificiale”, tipica del museo-tempio, replicando (Basso
Peressut, 1985: 173) alcuni difetti dei musei del passato.
I musei ed i monumenti possono essere considerati dei media e come tali,
mezzi autorevoli di comunicazione e costruzione di una realtà sociale. Il museo
9
diviene così uno spazio dove le società continuano a costruire e riprodurre se
stesse (Tota, 1999: 78-79). I monumenti come i musei sono sempre documenti,
una “forma culturale della memoria” (Tota, 1999: 81) che nasce e si configura
come portatrice di un messaggio di un’ ideologia dominante, che parla e
racconta qualcosa. Il crescente interesse verso queste strutture che conservano il
passato, le tradizioni, l’ anima dei popoli si lega necessariamente alla memoria
collettiva, alla riflessione e all’ identificazione che i membri di una comunità
trovano in questo luogo (Lugli-Pinna-Vercelloni, 2005: 10).
Figura 1. Il caso più estremo di museo tradizionale, distante dall' ambiente e dalla comunità.
Fonte: Davis (1999)
La tradizione museale, subisce una profonda rivoluzione soprattutto a
partire dal secondo dopoguerra, passando da un mero luogo di conservazione e
contemplazione ad un luogo che ha un’ importante funzione educativa di
massa. Negli anni Sessanta e Settanta persino gli esperti del settore museale
cominciavano a disilludersi sulla possibilità di una rinascita del “museo
tradizionale”: gli sforzi effettuati per rinnovare le strutture come, ad esempio,
nuove architetture più funzionali ed accoglienti, nuove forme espositive a tema
10
AMBIENTE
MUSEO
COMUNITÀ
ed un diverso coinvolgimento didattico avevano portato a risultati disastrosi
per le finanze di questa antica istituzione e all’ irrefrenabile, talvolta
contraddittorio processo del “commercio della cultura” (De Varine, 2005: 242). I
musei venivano spesso accusati della scarsa attenzione dedicata ai bisogni
sociali e culturali del grande pubblico: essi tendevano a “prestare un servizio
esclusivo” ad una audience privilegiata, evitando di coinvolgere la classe media
nel progetto educativo del museo stesso (Low, 1942: 71). Questa riflessione
permise di sviluppare percorsi sperimentali che avrebbero, in seguito,
sovvertito alcune regole della tradizione museale (Ribaldi , 2005: 25).
Un primo importante passo risale al 1966, anno in cui il colosso
Smithsonian Institution lancia l’ idea di un neighborhood museum nel quartiere-
ghetto di Anacostia, nella città di Washington D.C. Questo museo venne
considerato il risultato più rivoluzionario di una situazione di generale crisi
delle professioni museali e della stessa istituzione (Getlein-Lewis, 1980). Il piano
fu largamente pubblicizzato dallo Smithsonian, che tentava così di rispondere al
generale fallimento dei musei nel coinvolgimento di un più ampio pubblico
(Kinard, 1985: 220). L’ esperimento trovò la comunità di Anacostia, nella
periferia sud orientale della città, entusiasta: il teatro locale, con la
collaborazione dei residenti, fu convertito all’ interno dell’ Anacostia Community
Museum, in uno spazio d’ esposizione di oggetti selezionati, mostre ed
esibizioni che avevano l’ intenzione di rafforzare l’ identità della comunità nera
e “interpretare, preservare e studiare” l’ eredità della cultura africana. L’
interazione ed il dialogo costante vennero, in questa esperienza, contrapposte
alla conservazione e all’ esposizione di opere che, tradizionalmente erano gli
elementi al centro del museo-tempio. Dopo le mostre sulla cultura
afroamericana, un’ esposizione che, nel bene e nel male , catturò l’ attenzione
locale, rispetto ad un problema che da tempo affliggeva l’ area, fu quella
intitolata “The Rat-Man’ s invited affliction”. Essa ebbe il merito di sensibilizzare e
dare delle risposte mediche, scientifiche e sociologiche, senza alcuna demagogia
politica.
11
Figura 2. Punti di contatto delle nuove forme museali
Fonte: Peter Davis (1999)
Nello stesso periodo il fermento per questa “rivoluzione” museale
riguardò non solo i paesi “a sviluppo avanzato”, bensì anche i paesi “in via di
sviluppo”. In Brasile la “museologia della liberazione” incoraggiò una maggiore
presa di coscienza da parte dei cittadini costruita attraverso un’ interazione
continua nel tempo fra le persone e il patrimonio culturale: una consapevolezza
possibile, solo attraverso l’ appropriazione ed il godimento del loisir, che libera
l’ uomo dalla tirannia del tempo lavorativo e consente una realizzazione più
piena della propria cittadinanza (Dumazedier, 1985).
Il concetto di “patrimonio culturale” ha subito nell’arco di un secolo
importanti rivoluzioni nel significato: esso è stato progressivamente arricchito
nel senso estetico da significati sociali, come l’ inclusione di oggetti della
cultura popolare nell’ esposizione tradizionale del museo, e di recente il
sovrapporsi di paradigmi ambientali, culturali ed economici che lo hanno legato
più strettamente al passato. Il patrimonio culturale è quindi costituito da beni
materiali ed immateriali, luoghi, ambienti, paesaggi, linguaggi o musiche e
dalla loro interpretazione (Bortolotti-Calidoni-Mascheroni-Mattozzi, 2008: 19).
12
AMBIENTE
MUSEO
COMUNITÀ