Ecocidio o Genocidio? Analisi su civiltà che non erano destinate a
morire.
Introduzione
Qualche anno fa per un esame universitario lessi un saggio pubblicato nel 1997 da
Jared Diamond intitolato “Armi, Acciaio e Malattie”. Grazie a questa
pubblicazione il biologo sopracitato, che poi divenne noto quanto uno scrittore di
best-seller, ottenne un Premio Pulitzer e diventò uno degli scienziati più famosi
del mondo. Ingenuamente apprezzai a priori il senso del suo lavoro; rimasi stupito
da quella che pareva una conoscenza enciclopedica, le sue teorie sulla scomparsa
di antiche civiltà e sul perché certe società dovessero essere più forti e vigorose a
scapito di altre. Sostanzialmente il suo saggio rispondeva alla domanda sul perché
gli europei, o comunque i popoli appartenenti al Vecchio Continente, avessero
assoggettato l‟intera Terra, sottomettendo con una certa facilità civiltà tanto
diverse e lontane tra loro. Leggendo il libro di Diamond, ci si immerge in una
carrellata di mondi “esotici”, sconosciuti ai più, in una breve storia del mondo
dalla fine dell‟ultima glaciazione ai giorni nostri, ed attraverso l‟utilizzo di
nozioni, che vanno dall‟antropologia alla biologia molecolare, passando per la
genetica e la linguistica, si giunge ad una interessante risposta, priva di quelli che
potevano sembrare pregiudizi razziali ma un semplice risultato scientifico: la
nascita, lo sviluppo ed il declino di una civiltà è dato dal suo rapporto con
l‟ambiente naturale, dalla presenza di beni primari (come può essere l‟esistenza di
vasti terreni coltivabili o la vicinanza ad un fiume, grosse foreste che contengono
l‟essenziale legname, ed altri ancora) e di come l‟uomo decide di sfruttarli.
L‟analisi di Diamond mi convinse e considerai il biologo una mente illuminata ed
uno scienziato modello. Mi resi conto che in effetti il sunto delle sue teorie non
erano vere e proprie scoperte, ma elaborazioni su quell‟inclinazione che si chiama
Determinismo Geografico: lo sviluppo dello Stato è predeterminato dalle
caratteristiche ambientali che lo circondano e su come queste vengono sfruttate.
Dopo un paio d‟anni ho seguito un corso universitario sulle civiltà
mesoamericane, tenuto dal docente Davide Domenici. Durante una lezione mi
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venne in mente “Armi, Acciaio e Malattie”, in particolare un capitolo in cui
l‟autore descriveva il contatto catastrofico tra gli Aztechi e gli Spagnoli. Era
l‟apogeo del Determinismo geografico. Il crollo degli Aztechi pareva inevitabile,
poco ben armati rispetto agli uomini di Cortéz, che oltre alle corazze di metallo ed
i moschetti portarono con sé la bomba patogena che avrebbe dovuto sterminare il
90% della popolazione indigena. Paradossalmente, Diamond iniziò a sembrarmi
“buonista” nei confronti degli spagnoli, quasi costretti per la loro esagerata
superiorità militare a sottomettere Montezuma, l‟imperatore azteco, che vide in
Cortés il dio Quetzalcoatl, inchinandosi agli spagnoli ed aprendo loro le porte per
la conquista.
Era davvero andata così? Grazie alle nozioni apprese durante il corso, l‟analisi di
Diamond mi pareva piuttosto deviante e sinceramente superficiale, mi sembrava
che il biologo si fosse totalmente dimenticato di approfondire i suoi studi sul
linguaggio del potere azteco, della religione indigena, e il fattore deterministico
come unica cause del disastro diventava quasi ridicolo. Montezuma non aveva
aperto le porte del regno agli spagnoli, ma furono gli spagnoli a prendersi il
Messico con una violenza esasperata, violenza che sminuì decisamente
l‟importanza della bomba patogena, meno decisiva di quanto potesse sembrare.
Iniziai a chiedermi se quelli che consideravo gli errori di Diamond e dei suoi
maestri potessero estendersi oltre il mondo Azteco.
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Capitolo 1 – Moai e Ratti
Prima di addentrarmi nel mondo precolombiano sarebbe interessante mostrare
come punti di vista teorici totalmente agli antipodi, da una parte quelli
deterministi e dall‟altra quelli anti-deterministi (sarebbe corretto definirli
probabilisti), possano rappresentare diversamente la storia e la fine di uno dei
mondi più misteriosi e affascinanti, quello di Rapa Nui, più comunemente
conosciuto come Isola di Pasqua. Rapa Nui è diventata per una vasta parte di
studiosi il paragone perfetto di come una popolazione primitiva potesse
dimostrarsi distruttiva al punto da provocare un ecocidio disastroso, tagliando la
linfa vitale della propria società, portandola al collasso. In realtà, i recenti studi
paleo-ambientali mostrano una situazione complessa dal punto di vista ecologico,
difficilmente attribuibile alla semplice azione umana.
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Figura 1 (da Hunt 2006)
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Rapa Nui è una piccola ed isolata isola di circa 170km, si trova nell‟Oceano
Pacifico ed attualmente appartiene allo Stato del Cile. Questo non deve trarre in
inganno e far pensare che i primi colonizzatori arrivassero dal Sud America, come
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pensò l‟esploratore Thor Heyerdhal ; gli isolani arrivarono con le canoe dalle
isole polinesiane, sfidando qualsiasi tipo di intemperie.
L‟isola è conosciuta a tutti per i suoi moai, le grosse statue di teste sparse per la
costa, prodotte in blocchi di tufo vulcanico e trasportate con un complesso sistema
di rulli costituiti da tronchi. L‟isola di Pasqua è dal punto di vista ambientale
semidistrutta, composta di sole 30 specie vegetali ed anche le specie animali sono
pochissime. Gli studi effettuati al radiocarbonio mostrano che dal 1200 d.C. in poi
l‟isola cambiò nettamente dal punto di vista ambientale. Le grosse palme
diminuirono e cessarono di esistere, così come calò decisamente la fauna. Cos‟era
successo?
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Heyerdhal 1969
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In un articolo degli anni novanta, e successivamente in Collasso, saggio del 2005
erede di “Armi, Acciaio e Malattie,” Diamond afferma chiaramente il suo punto di
vista:
‘‘In just a few centuries, the people of Easter Island wiped out their forest, drove their
plants and animals to extinction, and saw their complex society spiral into chaos and
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cannibalism.’’
La sua è una dura condanna. In realtà ad esporre la tesi del biologo c‟erano già gli
studi di Bahn e Flenley: l‟ecocidio fu la conseguenza della distruzione di foreste
per necessità agricole, l‟annientamento degli alberi per costruire canoe e per
l‟utilizzo dei tronchi come mezzi di trasporto dei moai. Nel calderone si
aggiungono anche i ratti, non come veicoli di malattie ma distruttori della flora,
portati dai coloni durante i primi viaggi. L‟erosione del suolo portò alla perdita di
terreno fertile con le conseguenti guerre tra clan per appropriarsi delle risorse
energetiche ; nel 1680 la popolazione era indiscutibilmente crollata. Rapa Nui
divenne la rappresentazione perfetta dell‟avidità umana:
‘‘The person who felled the last tree could see that it was the last tree. But he (or she)
still felled it. This is what is so worrying. Humankind’s covetousness is boundless. Its
selfishness appears to be genetically inborn. Selfishness leads to survival. Altruism leads
to death. The selfish gene wins. But in a limited ecosystem, selfishness leads to
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increasing population imbalance, population crash, and ultimately extinction.”
Questi studiosi utilizzarono come prova le fonti dirette dei primi europei che
sbarcarono sull‟isola ed in particolare la spedizione guidata da Roggeveen nel
1722. In effetti alcuni documenti descrivono l‟isola desertica e rovinata, ma c‟è
qualcosa che non va se analizziamo altre fonti della stessa spedizione. Poco dopo
aver lasciato Rapa Nui Roggeveen nel suo diario sembra piuttosto chiaro
"exceedingly fruitful, producing bananas, potatoes, sugar-cane of remarkable thickness,
and many other kinds of the fruits of the earth…. This land, as far as its rich soil and good
climate are concerned is such that it might be made into an earthly Paradise, if it were
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properly worked and cultivated."
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Diamond 1995: 62
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Rainbird 2002: 439
4
Hunt 2006: 414
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Probabilmente l‟isola non era così disastrata come i deterministi credevano. Un
punto interessante sarebbe cercare di comprendere in che anno sia iniziata la
colonizzazione. Per Diamond e gli studi di Bahn e Flenley, diventati per anni
ortodossia, la colonizzazione avvenne durante il X secolo. Fino al 1200 la
popolazione avrebbe prosperato, raggiungendo il picco di 15.000 abitanti. Si
sarebbero formati dei distretti, probabilmente 12, ognuno guidato da un clan. La
potenza del clan si doveva mostrare collezionando beni materiali e soprattutto
“gareggiando” attraverso la costruzione dei moai. Dal 1200 d.C. al 1700 questa
gara avrebbe portato alla desertificazione dell‟isola. Con che certezza possiamo
confermare l‟arrivo dei primi coloni nel X secolo?
Terry L. Hunt ha una diversa opinione e sarebbe interessante seguire gli studi
archeologici da lui condotti perché piuttosto recenti e scientifici. Attraverso esami
al radiocarbonio inizia a rendersi conto che probabilmente la popolazione prima
del 1200 d.C. doveva essere minima o addirittura nulla: nel 2004 conduce dei
lavori nella zona di Anakena (la riva dove giunsero i primi coloni, Fig. 2), ed
incredibilmente, scavando e giungendo agli strati più antichi del
terreno,analizzando gli esami al radiocarbonio delle ossa umane , dei ratti e di
alcune schegge d‟ossidiana le avrebbe datate di “soli” 800 anni. Quindi
all‟incirca del XIII secolo. Se così fosse sarebbe interessante, perché metterebbe
in dubbio il numero reale della popolazione nel corso degli anni. Probabilmente
nel 1200 d.C. non raggiunse mai il picco dei 15.000 abitanti se fosse la
colonizzazione fosse stata così tarda. Verosimilmente il numero ideale si può
assestare sui 3.000, culmine demografico che rimase tale fino al 1722. Vedremo
che il calo in realtà non fu causato da un suicidio ambientale.
Secondo elemento che risalta dagli studi più recenti, specialmente in quelli di
Hunt, Barnes e Matisoo-Smith, pubblicati nel 2006, è quello del ratto portato
sull‟isola dai primi coloni, il Rattus Exulans. I paleobotanici hanno dimostrato che
questo tipo di roditore è già noto per i suoi effetti catastrofici. Amante di semi e
germogli, ha creato grosse difficoltà nell‟area della Nuova Zelanda, ma, una volta
che il topo è stato eliminato le zone deforestate sono tornate in breve tempo a
riprendere vita. Ora possiamo immaginare cosa successe a Rapa Nui, dove il
Rattus non venne mai eliminato e quindi prolificò liberamente. Probabilmente
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raggiunsero l‟incredibile numero di 3 milioni, provocando la distruzione della
grossa palma Jubaea, che ricopriva l‟isola:
“On Rapa Nui, that would equate to a rat population of more than 1.9 million. At a
density of 75 per acre, which would not be unreasonable given the past abundance of
food, the rat population could have exceeded 3.1 million. [...]
It seems that the Polynesian rat population grew quickly, then fell more recently before
becoming extinct in the face of competition from rat species introduced by Europeans.
Almost all of the palm seed shells discovered on the island show signs of having been
gnawed on by rats, indicating that these once-ubiquitous rodents did affect the Jubaea
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palm's ability to reproduce.”
Riassumiamo così i due punti decisivi per Hunt:
La popolazione iniziò a crescere solo dal 1200 d.C., raggiungendo un
picco di 3.000 abitanti.
Il Rattus Exulans fu la causa di buona parte della deforestazione, anche
della scomparsa della palma Jubaea
Quindi, quando gli europei sbarcarono, la struttura sociale degli isolani non era in
una fase di collasso, tuttavia soffriva di una deforestazione causata dai ratti. Non
c‟erano state guerre interne, fraticide o atti di cannibalismo per esigenze
nutrizionali. Nel 1722 Roggeveen sbarcava con un centinaio di uomini, tutti
armati di moschetto, pistole e coltelli. La prima cosa che fecero, incontrando gli
indigeni, fu di ammazzarne una decina.
Nel 1930, l‟etnografo francese Alfred Metraux, visitando l‟isola di Pasqua,
affermò che “Rapa Nui è una della più grandi atrocità mai commesse dall‟uomo
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bianco nei mari del Sud”. E‟ vero che una catastrofe colpì l‟isola nel 1800,
rendendola spoglia e morente, ma non fu semplice colpa degli isolani, bensì un
insieme di fattori che culminarono nell‟etnocidio perpetuato dagli europei.
Tornerò più avanti a parlare del Rattus Exulans, di Rapa Nui e di altre isole
Hawaiane, ma ora mi addenterò in un mondo lontano migliaia di chilometri e
centinaia di anni.
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Hunt 2006: 419
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Metraux 1957
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