3
concetto sta a quello di libertà, come la contingenza a quello di
necessità, ed il rischio a quelli di pericolo e sicurezza. Certezza e
libertà sembrano costituire le due parti di una forma, nella quale
l’una si contrappone, presupponendo l’altra: dove finisce la
libertà comincia la certezza e viceversa. Per questo, possiamo dire
che libertà e incertezza sono sinonimi, complementari e
insolubili.
In questo lavoro si è tentato di affrontare il tema considerando
parte della letteratura, sociologica e non, prodotta negli ultimi
anni, ma mantenendo come filo rosso dell’intera analisi alcune
delle sollecitazioni teoriche, ed esistenziali, pervenutemi dalla
lettura degli ultimi lavori teorici di Giuliano Piazzi. La scelta
stessa del tema, e le modalità di trattazione non possono che
essere orientate da un mio preciso interesse individuale, del tutto
moderno, o post-moderno, almeno nel senso della libertà di scelta
e del rischio ad esso connessa dal punto di vista degli standard
metodologici e degli interessi teorici della sociologia.
4
Capitolo 1
LA COSTRUZIONE MODERNA DELLA CERTEZZA
Secondo il pensiero di Zygmunt Bauman, la modernità emerge
come risposta non scelta al collasso dell’ancien régime. La
costruzione della modernità può essere descritta come storia della
ricerca di sicurezza, della fuga dal terrore che il crollo dell’antico
regime aveva causato. E il nome del terrore era incertezza.
L’incapacità di comprendere cosa accadeva, di prevedere cosa
sarebbe accaduto, era paura dell’ignoto, ora che si erano rotte le
maglie della rete di protezione fornita della comunità, ora che si
erano perse le certezze spontanee radicate nella tradizione e nelle
pratiche comunitarie. Ciò era accaduto non per un disegno
preordinato ma in seguito ad un processo evolutivo dovuto a
quelle azioni umane ormai svincolate dalla tradizione, al fiorire
dei commerci, al libero scambio, allo sviluppo dell’industria e dei
moderni mezzi di produzione, alla crescita di una nuova classe
imprenditoriale, la borghesia, che cominciava a prender forma e
coscienza di sé. Alla nascita del Capitale. Alla sua logica, che
avrebbe dissolto le maglie comunitarie, e al processo di
mercificazione del lavoro che iniziava. La modernità nascente si
organizzava basandosi sulla costruzione di un ordine che non era
più un dato di fatto e che non derivava più dalla tradizione. Ora
emergeva come esigenza, doveva punto essere costruito,
organizzato, ordinato: una serie di norme, di istituzioni, dovevano
garantire il perfetto funzionamento della nuova società e generare
quindi certezza, la certezza derivante da una condizione voluta dal
potere che doveva colmare il vuoto lasciato dalle certezze
spontanee basate sulla tradizione comunitaria.
5
Nella dimensione comunitaria, le certezze degli individui erano
fondate su un universo di valori etici, culturali, emotivi, cognitivi
ecc. che, in quanto introitati e condivisi, avevano garantito la
riproduzione organica tra individuo e comunità. Il salto di qualità
compiuto dalla natura vivente è dovuto alla mitopoiesi. Con la
mitopoiesi, l’Ethos, il Sapere del simbolo e la sua storia penetra
nei cromosomi. Valori del gruppo, non della specie. Con il
processo mitopoietico nell’individuo si afferma il Sapere
comunitario. La sua condizione di materia che vive è dedotta
dalla Comunità, non dalla appartenenza di specie. Questa
concretezza esterna penetra la natura che vive, definisce la vita
dell’individuo e la riempie di senso. Questo senso, la sua
specificità, dice quale è la vita, definisce la qualità della vita. In
questa condizione non possiamo ancora parlare di vita in sé e per
sé, cioè vita in senso proprio perché è ancora determinata
dall’esterno. La mitopoiesi è un mondo che si edifica come
qualità. Dire qualità è dire che nelle cose che sono materia c’è
condensata una storia, che sono la sintesi di specificità, che in
loro c’è raccolta tutta la fatica, la gioia le pene, i conflitti, i valori,
la simbolica, i riti ecc. Allora ciò significa che, in questo modo, le
cose sono una distinzione forte, incorruttibile. Certa. Vera. Tra la
singola natura vivente e la comunità c’è stato un rapporto
mitopoietico determinante e in tale rapporto la natura vivente è
diventata materia che vive: materia intrisa di Sapere, e realtà
virtuosa
3
. Ma il moderno è l’oblio di questa verità e l’oblio di
ogni certezza basata su un Sapere comunitario.
Con la costruzione dello stato moderno fondato sull’ordine, si
compie un’opera di demolizione dei poteri di comunità e
tradizione. Se portato a compimento, questo processo destruttura
l’individuo liberandolo dalla sua identità ereditata dalla
appartenenza. Gli consegna la facoltà di scegliere il tipo di vita
che desidera, di poter gestire la propria esistenza nell’ambito delle
3
Cfr.: Piazzi, 1999: 281 sgg.
6
norme dei poteri statali. Con ciò non si intende opporsi a una
identità solida, durevole e stabile ma semplicemente si avvia la
trasformazione dell’identità da problema di ascrizione a processo
di acquisizione facendola diventare perciò compito e
responsabilità individuale
4
. Si opera così una sostituzione dei
valori comunitari con le norme della società-stato.
Non si può ancora parlare di vita in sé e per sé.
Sarà l’affermazione del Capitale a produrre un mutamento senza
precedenti nel rapporto tra individuo e società imponendo la sua
strategia evolutiva attraverso la metamorfosi del lavoro concreto
in lavoro astratto, penetrando nel rapporto tra l’individuo e
l’esperienza che egli fa del simbolico. Sarà demolizione della
mitopoiesi fondativa e sua sostituzione con le regole della nuova
società. “È così che il Capitale si costituisce in comunità”.
5
Michel Foucault, che in questo seguiva l’opinione di Jeremy
Bentham
6
, sosteneva che il tratto che accomunava una serie di
invenzioni moderne, funzionalmente differenti, quali le scuole, le
caserme, gli ospedali, gli insediamenti industriali, le prigioni, era
l’asimmetria dello sguardo, il flusso del controllo dall’alto verso il
basso. Tutte queste istituzioni erano fabbriche dell’ordine.
Avevano uno scopo prestabilito: instaurare la certezza, eliminare
le causalità, rendere i comportamenti dei propri membri uniformi,
regolari, prevedibili. Questo nuovo ordine basato sul controllo
non era intenzionalmente malvagio, ma, secondo Bentham,
tendeva alla “felicità del maggior numero di individui”. Questi era
convinto che il prodotto secondario della fabbricazione
4
Cfr.: Bauman, 1999: 59
5
Manfrè, 2000: 173
6
Betham (Jeremy), filosofo, giurista ed economista inglese (Londra 1748-1832). Studiò
a Oxford ove, nel 1776, pubblicò la sua prima opera (A Fragment on Government)
criticando la teoria del contratto sociale. Discepolo di Hobbes e di Helvétius,
precursore di Owen, di Stuart Mill e di Cobden, sviluppò una dottrina utilitarista
fondata sul principio: “La più grande felicità del maggior numero di persone”.
7
dell’ordine sarebbe stato la felicità di tutti i membri: “Chiamateli
soldati, monaci, macchine, saranno solo persone felici, non ho
dubbi”
7
. Quindi, nell’idea di questo autore, si contrappongono
felicità e incertezza, eliminare l’incertezza dall’esistenza sarebbe
stato raggiungere la felicità: in questa visione, la certezza è
restaurata dall’esterno, da forze esterne all’individuo. Nella
costruzione della società regolamentata, la certezza è garantita
dalla costruzione dell’ordine e dal controllo. Dall’alto verso il
basso. Evidentemente, in questa visione della società non si
consideravano le esigenze tutte squisitamente umane di libertà,
autodeterminazione, dominio della scelta. Il rimedio all’incertezza
si trova nella limitazione del dominio della scelta. Beninteso, non
l’ambito teoretico della scelta, che la nuova società borghese anzi
promuove e incoraggia, ma in quello pratico, pragmatico, basato
sulla scelta tra l’ozio o il lavoro salariato.
Il compenso per l’uniformità, per il conformismo che questo
modello di società basata sulla sorveglianza e la coercizione
esigeva, era la liberazione dalle paure generate dal rischio delle
decisioni e dalle responsabilità.
L’ordine si ristabiliva attraverso l’imposizione di una rigida
regolamentazione. Ciò era attuabile se tutti i cittadini erano messi
sotto il controllo delle istituzioni. La legislazione moderna cercò
di fare appunto questo con le istituzioni cui abbiamo accennato e
soprattutto mettendo in connessione i mezzi di sussistenza col
fatto di avere un impiego, cioè, di essere un dipendente. Di essere
sotto la supervisione di un capo. Le istituzioni, quali fabbriche
dell’ordine e della certezza, esercitavano il controllo (panottico)
sull’intera vita degli individui e avevano il compito di formarli e
addestrarli come membri effettivi o futuri delle stesse istituzioni
che a loro volta erano funzionali alle esigenze di conservazione
della stessa struttura sociale: la fabbrica e la caserma soprattutto.
7
Cit. in Bauman, 1999: 102
8
La fabbrica e la caserma che per la stragrande maggioranza della
popolazione maschile
8
furono le principali fonti della nuova
certezza. Le stesse erano poi le forme di garanzia si cui si
basavano le possibilità di conservazione delle stesse nazioni
moderne. La cultura moderna individuò e valorizzò soprattutto la
potenzialità fisica nel corpo del lavoratore industriale e del
soldato. Essere sano, normale, corrispondeva ad essere adatto al
lavoro di fabbrica o al servizio militare. E una popolazione forte e
sana, idonea quindi alla guerra e alla produzione in fabbrica,
insieme con il potenziale industriale e bellico, era per le nazioni
garanzia di vita e di conservazione. Per contro, chi non era in
grado di lavorare o prestare il servizio militare si poneva, di fatto,
fuori del controllo sociale, realizzato, infatti, attraverso l’attività
industriale e militare. Di qui il timore diffuso tra politici, medici
ed educatori di fronte alla vera o presunta degenerazione fisica
della popolazione e, in particolare, delle classi più povere vista e
combattuta come devianza.
Il punto più avanzato di questo processo di costruzione di certezza
doveva essere raggiunto con l’edificazione del welfare state.
Welfare state: è l'idea che lo stato debba proteggere e garantire
standard di reddito, salute, sicurezza fisica, scuola, istruzione,
abitazione. È un sistema di politiche sociali che presuppongono
interventi e garantiscono diritti in caso di eventi prestabiliti ma
impongono anche specifici doveri di contribuzione finanziaria. è
la risposta alle nuove esigenze della modernità con la
dissoluzione dei sistemi di protezione tradizionali affidati alla
famiglia allargata, meccanismo di socializzazione dei rischi e di
istituzionalizzazione della società. Insieme di interventi pubblici
connessi al processo di modernizzazione i quali forniscono
protezione sotto forma di assistenza, assicurazione, sicurezza
8
le donne, per conto loro, erano poste sotto la sorveglianza del maschio, cui spettava il
compito di capo famiglia ed esercitava il controllo all’interno di essa. Ibidem: 104
9
sociale.
Oggi i pilastri principali su cui è stato edificato lo stato moderno
come fabbrica di certezza, l’industria e l’esercito, hanno perso la
loro utilità. Il progresso tecnologico li ha resi obsoleti. Non c’è
più una relazione diretta tra lavoro di massa e volumi di
produzione. Gli attuali modi di fare la guerra, basati su armi
sofisticatissime, non richiedono più eserciti di massa abili a
combattere. I lavori industriali, del posto fisso, continuativi,
vengono sempre più sostituiti da lavori occasionali, brevi,
flessibili, in gran parte part-time e a scarsa specializzazione.
Questi ultimi appaiono inadatti alla funzione fondante e
disciplinante di un regime di regolamentazione che aveva
esorcizzato la moderna paura dell’incertezza con la paura della
trasgressione delle norme e delle sanzioni. Semplicemente non è
più possibile fare affidamento su quelle agenzie esterne di
certezza perché non più in grado di provvedere, perché svuotate
di significato e di potenzialità, o perché non ci sono quasi più. Gli
uomini, liberati dalle pressioni che spingevano all’uniformità, ora
sono chiamati a provvedere direttamente a fronteggiare la paura
dell’incertezza senza alcuna mediazione esterna ma con l’azione
singola. “L’identità individuale rimane poco definita, fluttuante e
destrutturata proprio come durante l’epoca moderna, ma la sua
condizione appare ancora più grave e insopportabile dal momento
che i meccanismi di ristrutturazione perdono la loro forza
normativa o semplicemente non ci sono più”
9
. La riproduzione
delle condizioni di vita sociale non è più conseguita con strumenti
societari o collettivi ma è in gran parte privatizzata. In realtà,
privatizzazione significa che i processi ora sono in gran parte
deistituzionalizzati: i servizi per chi vuole fuggire l’irrisolutezza
e l’incertezza dell’esistenza non sono più forniti
istituzionalmente o gestiti dallo stato. Così la paura
dell’incertezza deve essere fronteggiata dai singoli con le proprie
9
ibidem: 108
10
forze e combattuta con i propri mezzi. La mancanza di certezza
spinge gli individui a un frenetico sforzo di autoformazione e
autoaffermazione. Ma a questo punto, l’impossibilità o il
fallimento di portare a termine il processo di autoformazione
genera una nuova paura che sostituisce il timore della devianza, la
paura dell’inadeguatezza, di non essere più all’altezza della
situazione, di non essere in gradi di svolgere i nuovi compiti, di
non essere pronti a fronteggiare la contingenza. Non più quindi,
l’inadeguatezza vecchio stampo misurata in base a un criterio
esterno a cui ci si deve conformare ma “una inadeguatezza
postmoderna che rimanda alla incapacità di acquisire la forma e
l’immagine desiderate, quali che siano”
10
.
Le gerarchie che strutturano il mondo sono ora affidate più che
mai ai regolatori impersonali del denaro e del mercato. Non per
questo sono divenute meno ferree; l’elevata contingenza nel
mondo del lavoro esige quella flessibilità che per alcuni
rappresenta il sogno realizzato, per molti altri è l’incubo di un
lavoro senza garanzie e senza la certezza di un reddito percepito
con un minimo di continuità.
La completa autonomia raggiunta dal Capitale con la terza
rivoluzione industriale ha portato a compimento il processo di
destrutturazione dell’individuo cominciato con la modernità. La
vita ora è vita in sé e per sé, non più informata da qualsivoglia
forma di sapere comunitario. Adesso il Sapere da introitare non è
più quello della comunità. Il Sapere che emerge è quello della
condizione umana in sé e per sé.
Non è più il compito di uniformarsi che motiva l’individuo a
impegnarsi nei doveri e nelle fatiche della vita, né potrebbe
esserlo perché non si saprebbe dove volgere lo sguardo, ma una
sorta di metadovere, “l’incombenza di mantenersi sempre idonei
10
ibidem: 109
11
ad assumere nuovi compiti e impegni”
11
. L’individuo liberato
dall’impegno di uniformarsi è ora in condizione di essere più che
mai artefice della propria esistenza ma al contempo, vive in una
condizione di contingenza assoluta data dal dominio della scelta e
dal rischio ad essa collegato. Bauman riscontra una evidente
“affinità elettiva” tra la privatizzazione della gestione
dell’incertezza e il mercato che provvede a servire il consumo
privato e si chiede se sia la paura dell’inadeguatezza la causa
dell’euforia consumistica o piuttosto se quest’ultima non sia un
effetto abilmente perseguito con l’estensione del mercato dei
consumi o un suo esito non previsto. Resta evidente che la paura
dell’inadeguatezza e la frenesia dei consumi sono strettamente
intrecciate, si nutrono reciprocamente e trovano l’una nell’altra
l’energia necessaria a sostenersi. Che il destino dell’uomo post-
moderno, deprivato del Sapere comunitario e finalmente libero da
ogni tipo di appartenenza sia quello di consumatore?
Tra le tante ansie postmoderne è difficile trovarne una che possa
definirsi la più importante di tutte o quella determinante, si
scoprono soprattutto nella perdita di uniformità dell’ambiente
sociale trasformato in moltitudine di individui e situazioni
diverse, nella velocità quale attributo fondamentale di ogni azione
o processo e nel tempo individuale che ha rinunciato alla linearità
del suo svolgimento per destrutturarsi in episodi ad ampiezza
variabile.
11
ibidem: 110