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il telegiornale non dice cose come “si avvisano i signori telespettatori che oggi è passato un altro
giorno” (che avrebbe pero’ un qualche senso se aspettassimo uno tsunami).
Perche’ le eurocoppie sono scoppiate a ridere? Forse l’effetto comico è dato dallo stile
di ufficialita’ che rende diastraticamente alto e colto un messaggio di contenuto idiota perche’
ovvio in paesi dove la viabilita’ ed i trasporti sono a misura di utente, ma che risulta “nuovo” ed
inaudito nel centro e nel sud Italia perche’ la puntualita’ per i treni è l’eccezione e non la regola.
Credo che questo abbia a che fare con il Relativismo cognitivo: un mio amico, italiano
meridionale, professore di filosofia, sostiene che non c’è nulla da ridere sull’annuncio del trenino,
perche’ in fondo anche essere molto e sempre in orario puo’ essere un disservizio e quindi è bene
farlo sapere.
Relativismo culturale: vale a dire: col semaforo giallo a Trento ci si ferma gia’ mezzo chilometro
prima, a Capodichino si accelera per attraversare l’incrocio a palla di fucile prima che scatti il
rosso.....e in Turchia? Anche, ma non certo ad Ankara.
Relativismo cognitivo-emotivo: un famoso accademico turco esperto in legislazione sui diritti
umani e consulente di un team che lavora al tribunale di Strasburgo e la compagna, olandese,
impegnata professionalmente in un partito politico di destra si lasciano perche’ non riescono a
decidere dove sta il confine fra la fine dell’inviolabilita’ della privacy e diritto all’informazione per
difesa. Cio’ che lei chiama diritto di individualita’ è per lui sinonimo di “nascondere le cose”. Lei
lo chiama ossessivo-paranoide, lui le da’ della bugiarda tramatrice di segreti. Dove finisce il
machismo anatolico geneticamente tramandato da generazioni e dove inziano le idiosincrasie
individuali di un esemplare Sapiens sapiens? Dove finisce la mappa mentale dell’esperienza di lei
nella cultura individualista calvinista e dove iniziano i meccanismi di difesa individuali? Non c’è
risposta, e quindi meglio lasciar perdere la domanda. Allarghiamo le braccia e pace.
Perche’ sto andando all’aeroporto? Perche’ ho un volo per Istanbul via Bucharest.
Vado li’ per intervistare un guru dell’e-learning. Porto domande su :
¾ Modalità di rilevazione e monitoraggio dei processi di formazione a distanza,
¾ Modalità di verifica su contenuti e su processi,
¾ Tipologia dell'offerta corrente di corsi in FAD e delle esperienze più diffuse,
¾ Il senso della "collaborazione online" in Turchia.
Da qualche tempo ci sentiamo in Skype, e non ci vorrebbe nulla a programmare un meeting in
messenger. No prenotazioni, no soldi che se ne vanno, comodamente a casa, coi files dei suoi lavori
e le foto che entrano direttamente nel mio laptop, a ridosso dell’albero di natale e con i gatti che
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giocano con il mouse (che altro potrebbero fare?).
Ma non mi va, voglio fare questo viaggio. Il vituale non deve bastare, specialmente in
questa occasione. Non so stare lontana dalla Turchia. Neanche quando i VRLMS (Virtual Reality
Learning Management Systems) garantiranno ambienti da meeting culturalmente connotati da skins
e funzioni ultra-sofisticate elaborate da psicologi trans-culturali ed antropologi tecnologizzati.
Neanche quando il sintetizzatore di odori virtuali, add on “Oryantal” della skin collection, mi fara’
sentire il doner kebab, rinuncero’ a farmi una tratta low-cost fino a Berlino alle cinque di mattina
da Ciampino per poi cercare un volo ONUR AIR Turco sotto i 200 Euro che mi scodellera’ al
Sabhita Gokcen, ad un’ora impossibile, nella parte asiatica di Istanbul.
Non voglio uno scafandro virtuale, voglio il gusto del pellegrinaggio ai check-points, il
sentire lingue diverse ed esotiche ronzarmi nel cervello, voglio mangiare cose che a Roma non ci
sono. Voglio stringermi fra donne velate di paese nei pullman che vanno giu’ giu’ fino a Mardin;
Istanbul-Sanliurfa 23 ore.
Voglio mimare gesti nuovi, augurare buone feste non cristiane, baciare e portarmi alla
fronte la mano della signora anziana che vende i simit fuori dalla Yeni Camii a Bursa. Voglio
accarezzare i 14 mici mollemente appisolati sugli scaffali ricolmi di libri della Kedili Kitapci
(libraio felino) a Beyoglu, Istanbul, che le euro-regole proibirebbero come la peste negli euro-
negozi degli euro-civili. Voglio essere svegliata dal richiamo del muezzin, anche se via altoparlante,
alla preghiera. Voglio sentire i davulcular
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battere sui loro tamburi quartiere per quartiere alle tre di
mattina durante il ramazan....ma voglio anche farmi dare a mano le pubblicazioni recensite su
internet ma irraggiungibili perche’ sepolte nel web grigio delle cose che non possono essere
scaricate ma solo spedite o trasferite di mano in mano. Come scrive Maffei, è una questione di non
perdere consapevolezza del proprio vissuto.
Non voglio la comunicazione mediata questa volta. Voglio stare senza vestito. E
credo che il mio interlocutore, il Prof. Dott. Ugur Demiray, l’abbia capito gia’ dalla mia prima
email di richiesta di colloquio. Non mi ha proposto una conferenza sincrona. Mi ha invitato al
campus e poi a cena. Il 28 Dicembre, alle 16:00, dopo sette ore di pullman dall’Otogar di
Bayrampasha di Istanbul, scendo davanti al gate principale dell’Anadolu Universitesi Campus.
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I davulcular sono i tamburini che durante il ramazan passano strada per strada nei quartieri dei villaggi e citta’ verso
l’alba, per svegliare le famiglie affinche’ predispongano l’ultimo pasto prima del digiuno della giornata che sta
arrivando. Davul = tamburo in turco; davulcu = tamburino; davulcular = tamburini, plurale.
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INTRODUZIONE
Questo lavoro cerca di esaminare, ancorche’ in modo incompleto e non certo esaustivo, un
aspetto della trasferibilita’ di modelli ed architetture didattiche, sia nell’aspetto macro che micro, da
una cultura all’altra, nel quadro della globalizzazione dei processi formativi mediati dalle tecnologie
e sempre piu’ integrati nei processi di produzione e socializzazione. L’indagine si limita al settore
della Vocational e Higher Education non privata e non prende in considerazione, anche per motivi
di spazio e tempo, il settore del corporate training, in quanto le caratteristiche di quest’ultimo
risulterebbero piu’ globalizzate, le procedure piu’ standardizzate, spessp meno dipendenti dal
contesto culturale locale e l’osservazione dei modelli implementati meno accessibile a chi non è
direttamente in contatto con le aziende.
Chi scrive si pone alcune domande:
1. Quali significati possono essere attribuiti ai termini “open learning”, “online learning”,
“distance learning”, “collaborative open learning”, “networked collaborative learning”? in
che modo e fino a che punto i significati attribuiti sono dipendenti dai vincoli culturali ed
organizzativi in cui gli esperti di settore si trovano ad operare? In altri termini, in che misura
la comprensione del concetto di “distance learning” include l’aspetto “collaborative” e
“distributed – networked” presso esperti di settore che respirano un clima culturale che offre
poco spazio al costruttivismo?
2. In che modo la collocazione/appartenenza geopolitico-economica dei providers di
formazione, sia essa privata o pubblica, determina o condiziona la filosofia andragogica che
sottende alla progettazione dei programmi erogati negli spazi virtuali?
3. Fino a che punto le soluzioni e-learning messe a punto dal Nord del mondo (USA, Canada,
New Zealand, Nord Europa ) sono trasferibili sic et simpliciter in realta’ culturali che non
poggiano su filosofie competitive ed individualiste ?
4. in che modo è possibile costruire modelli e architetture di formazione in rete su target
massificati, mantenendo fattibili sistemi efficienti ed efficaci di analisi della qualita’ della
formazione?
Alfine di costruire una parziale risposta ai quesiti, è stato scelto uno scenario culturale
riferito a quella parte del Medio Oriente che per molti aspetti e da molto tempo rappresenta un
ponte fra Occidente ed Oriente, tanto da aver costruito la sua identita’ proprio su un dualismo
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spesso contraddittorio in senso politico, geografico, economico e sociale: la Turchia. E nel
contesto complesso di questo sistema-paese, caratterizzato da una grande penetrazione di
investimenti americani e di stili organizzativi competitivi “USA-driven” sia nel settore del
corporate, sia della formazione superiore privata e-learning, che stanno gradualmente
soppiantando i modelli centralizzati e statali (per altri versi molto resistenti al cambiamento) è
stata scelto di descrivere ed esaminare il maggiore ente provider di formazione di base in
modalita’ FAD (sia totale che blended) : la Anadulu Açik Oğretim Fakultesi ( Anadolu
University Open Education Faculty), riconosciuta ufficialmente dal governo turco nel 1982 ma
gia’ attiva fin dai primi anni settanta e classificata nel 2000 dalla World Bank come una delle
piu’ grandi universita’ del mondo.
Perche’ questa scelta? In primo luogo per motivi personali. Chi scrive ha avuto modo di
vivere e lavorare ad Istanbul per circa quattro anni e mezzo, durante i quali ha osservato e
partecipato alle diverse espressioni culturali, sociali, economiche incarnate nella gente, nelle
organizzazioni, nelle impalcature della formazione ufficiale, statale ed in quelle private. Certamente
Istanbul non è rappresentativa dell’intera Asia Minore, nello stesso modo in cui New York o
Buffalo non sono rappresentative degli Stati Uniti nè per modo di vivere, nè per mentalita’, nè per
scelte culturali. Ma nemmeno Milano o Napoli sono rappresentative del sistema paese Italia. In
secondo luogo perchè, a dispetto di quanto si possa pensare per via stereotipica, la Turchia ha il
maggior numero di studenti universitari a distanza nel mondo ed ha quindi un’industria dell’ Open
and Distance Learning fiorente e assai datata, almeno dal 1927. In Turchia, l’articolo 5 della legge
del 1981 sull’istruzione superiore assicura a tutte le universita’ turche la possibilita’ di organizzare
programmi di istruzione a distanza nei rispettivi settori di specializzazione. L’Anadolu University è
stata l’unica istituzione che si è trovata preparata a svolgere compiti dell’ambito dell’istruzione a
distanza fin dagli anni settanta. In Turchia l’istruzione a distanza fu avviata nel 1982, nell’ambito
dell’Anadolu University, dalla Open Education Faculty con un corso di Gestione Aziendale ed
Economia.
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al quale seguirono moltissimi altri programmi (Bachelor programs e vocational
diplomas). Confrontabile con l’esperienza turca è quella in Asia orientale, con l’espansione
esponenziale della Chinese Radio and Television University in Cina (due milioni di studenti); della
Sukhotai Trammathirat open University (STOU) in Tailandia, la Terbuka University (TU) in
Indonesia ed almeno una decina di Open Universities in India.
In prospettiva di una ricerca sullo stato dell’e-learning dei paesi medio- orientali, l’esame di
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Al primo corso si iscrissero (allora) 29.476 studenti. Nei primi anni 90 il numero complessivo di iscritti al corso era di circa
600.000 studenti e dalla sua nascita al 1990, la Open Education Faculty ha prodotto 160.000 laureati per quel corso specifico.
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questo paese offre spunti di confronto interessanti, soprattutto per le soluzioni logistiche ed
infrastrutturali implementate durante lo sviluppo dei modelli di prima e seconda generazione. Poche
realta’ infatti condividono un ampio uso del multimediale “storico” (soprattutto TV e radio, ed ora
TV, Satellite, Radio, internet e telefonia) su larga scala e supportato da un rationale di allargamento
democratico, finanziato dallo stato, dell’istruzione di base. Queste caratteristiche: democraticita’,
irrinunciabilita’, estensione popolare, accessibilita’, economicita’ che devono molto alla filosofia
politica attuata dopo la caduta dell’impero ottomano durante la Rivoluzione culturale voluta da
Mustafa Kemal Ataturk, nell’ottica di “westernizzazione” del paese, è unica e non assimilabile a
nessun’altra esperienza nell’intero Medio Oriente di matrice araba (EAU, Barhein, Arabia Saudita,
Oman,Yemen, Iran, Irak) nè assimilabile ad altre esperienze in area balcanica e caucasica (ex
repubbliche sovietiche: Ukraina, Turkmenistan, Armenia, Georgia, Ukraina etc). In Barhein,
Arabia Saudita, EAU e Yemen, la penetrazione dei modelli occidentali è forte nel settore privato
della formazione e del corporate training e si innesta in un contesto economico-sociale peculiare, in
cui ingenti capitali e ricchezza sono detenuti da una minima parte della popolazione. I modelli di
governo sono infatti storicamente determinati da oligarchie di potere economico pressocche’
inamovibili e ancorate ideologicamente da un lato ad un’etica affaristica e pragmatica, dall’altro a
valori religiosi che fondano i rapporti sociali, valori che governano l’intera societa’ araba. Secondo
Riccardo Petrella, la globalizzazione ha cambiato radicalmente e sta ancora cambiando il significato
e l’impatto dei processi formativi. Poiche’ le condizioni economiche sono da sempre un fattore
chiave per lo status delle strutture educative in un paese, esse impattano in misura ancora maggiore
nei paesi in via di sviluppo rispetto a quelli del primo mondo. La formazione è diventata non solo
una commodity, ma un fattore di sopravvivenza, e l’ideologia che la sottende puo’ essere spiegata
in termini etologici darwiniani: “the survival of the fittest’. La gente sa che una formazione
inadeguata o la mancanza di qualifiche e certificazioni porta alla morte sociale in un mercato del
lavoro competitivo, in quanto la sottooccupazione o disoccupazione dovute a mancanza di
formazione sono l’emarginazione sociale. Essendo la formazione un bene-merce, essa soggiace alle
leggi del libero mercato, come qualsiasi altro bene nel sistema economico, e l’accesso alla
formazione diventa una promessa (o una scommessa) di possibile successo all’interno del sistema
competitivo. Ne consegue una spinta globalizzata e potente alla privatizzazione della produzione di
formazione. La formazione, e la conoscenza che da essa si genera, puo’ essere completamente
detenuta e utilizzata, smerciata nel modo piu’ proficuo da chi la detiene, il che – a dispetto delle
teorie sulla conoscenza distribuita e democratizzata – toglie alla conoscenza ed ai processi formativi
la natura di beni comuni e diritti inalienabili. Le implicazioni della tecnologia utilizzata per
aumentare la potenza e l’efficacia dei processi formativi, al di la’ delle enormi potenzialita’ di
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aumentare la presenza sociale, possono anche essere mistificate, specialmente in contesti culturali
legati all’oralita’ ed al collettivismo, come quello arabo e quello turco. Infatti in un mondo sovra-
tecnologizzato, gli strumenti di mediazione tecnologica possono essere usati per aumentare le
risorse individuali in vista di una maggiore aggressivita’ competitiva e questo si applica sia alla
formazione che all’economia. Non è un caso che l’utilizzo della tecnologia impiegata nell’e-
learning si spinga nella direzione di una sempre maggiore “customizzazione” o individualizzazione
dell’apprendimento. Il rischio quindi, per le societa’, è che la sottile trasformazione da comunita’ a
roccaforti di individualismo estremo, a dispetto del fiorire delle comunita’ di pratica e delle learning
organizations, minacci seriamente la sopravvivenza di strutture e aggregazioni realmente solidali.
Questa tensione sembra mostrarsi in modo abbastanza sensibile proprio nei paesi mediorientali, ed
in Turchia in particolare. La proposta di ricerca, si articola in questi momenti:
a. Descrizione riassuntiva in cifre del mercato dell’E-learning nel Medio Oriente,
b. Descrizione di un fact file sulla Turchia, sul suo sistema di istruzione, la sua evoluzione e
sulle problematiche relative all’accesso all’Higher Education, che condizionano
pesantemente le scelte andragogiche e le macro architetture didattiche dei progettisti dei
corsi, dei rettori, dei Consigli di Facolta’ e dei singoli docenti.
c. Descrizione delle soluzioni organizzative, formative e valutative implementate presso la
Anadulu Açik Oğretim Fakultesi, quale modello ispirativo di tutta l’istruzione aperta e a
distanza in Turchia.
d. Intervista con due esponenti direttamente coinvolti nella direzione e project management
della distribuzione di formazione a distanza della Anadulu Açik Oğretim Fakultesi: Il
Prof. Ugur Demiray
3
e il Prof. Cengiz Aydin , che offrono il loro punto di vista su alcune
questioni relative alla progettazione e gestione di percorsi formativi integrati,
implementazione di modelli efficienti, valutazione dell’impatto dei vincoli posti dalla
politica governativa dell’istruzione formale sul futuro sviluppo dei progetti formativi a
distanza. Valutazione della qualita’ dei processi e dei prodotti.
3
Ugur Demiray, Full Professor e Direttore della Facolta’ di Open and Distance Learning presso la Anadolu University,
è anche editor in chief del Turkish Online Journal of Distance Education, http://tojde.anadolu.edu.tr/ , trimestrale peer-
reviewed recensito da un’ampia serie di database internazionali di settore.
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1 * Il Mercato dell’E-learning nel Medio Oriente
Durante gli anni 50 e 60, dopo l’indipendenza dai grandi imperi coloniali, la maggior parte
dei paesi Arabi hanno cercato di sviluppare sistemi di formazione universitaria che avrebbero messo
in grado le loro societa’ di allinearsi, in termini di qualita’, a quella statunitense, canadese e
britannica, coerentemente con la tendenza globale del dopoguerra nel settore dell’istruzione
superiore (Samoff, 2003).
I governi arabi hanno quindi rapidamente fondato un gran numero di universita’ dalla fine degli
anni 50 in poi. Nel 1950 nel Medio Oriente il numero degli atenei non superava la decina, mentre
nel 2003 sono aumentati a piu’ di 200 (UNESCO, 2003). Al tempo stesso gli stati arabi hanno
registrato – come mai prima – un considerevole aumento dei tassi di iscrizione alle universita’, che
è derivato da una maggiore e piu’ consapevole domanda di formazione da parte dell’utenza, che
cresceva peraltro anche sul piano demografico.
Tuttavia non tutti gli stati hanno avuto modo di soddisfare e sostenere la crescente domanda di
formazione, che si è presentata abnorme rispetto alla capacita’ gestionali, organizzative e didattiche
degli atenei. Le risorse umane ed infrastrutturali, i servizi risultavano improvvisamente insufficienti
a fronte di una massa critica di studenti alle porte. A conferma di questo, la Dichiarazione di Beirut
emanata durante il Congresso sullo stato dell’istruzione superiore dei Paesi del Golfo, nel 1998
ribadiva che: “higher education in the Arab States is under considerable strain, due to high rates of
population growth and increasing social demand for higher education, which lead states and
institutions to increase student enrollment, often without adequate allocated financial
resources”(UNESCO, 1998, p.44).
Inoltre, a fronte della sfida di dover trovare il modo di assicurare formazione continua e accesso
flessibile, gli atenei arabi non sono state in grado di trovare soluzioni praticabili e adeguate per i
loro utenti. Dagli anni 90 in poi, c’è stata quindi un’accelerazione delle riforme strutturali
dell’organizzazione didattica, logistica, gestionale degli atenei, che hanno posto come pre-requisito
un uso massiccio delle ITC, anche e soprattutto per garantire presenza e coesione in ambienti
virtuali non solo fra gli arabofoni stanziali nella regione del Golfo, ma anche fra gli arabi espatriati
oltreoceano.