Introduzione
Oggetto di questo lavoro è un confronto tra due testi: Il sergente nella neve
di Mario Rigoni Stern e Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi. I
due testi, che appaiono rispettivamente nel 1953 e nel 1963, affrontano il
medesimo argomento dato che entrambi gli autori combatterono sul Fronte
russo durante la Seconda Guerra Mondiale e sentirono poi l'esigenza di
raccontare la loro esperienza. Alla luce degli eventi storici, nei successivi
capitoli delineeremo le differenze nonché le assonanze tra i due testi,
cercando di capire il perché di queste diversità. Nel Giugno del 1941 la
Germania di Hitler attaccò l'Unione Sovietica dando avvio alla cosiddetta
Operazione Barbarossa: circa tre milioni di soldati tedeschi, affiancati da
soldati italiani, romeni, finlandesi, ungheresi e slovacchi, si mossero verso
la Russia. Mussolini, avvisato dell'imminente attacco il giorno stesso
dell'inizio dell'Operazione, inviò dapprima tre divisioni che formarono il
C.S.I.R.(Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e successivamente, con la
necessità di maggiori forze sul territorio, costituì l'ARMIR, l'Armata
Italiana in Russia. Essa era formata da un totale di dieci divisioni, di cui tre
del CSIR, quattro di fanteria e tre alpine: la Cuneense, la Julia e la
Tridentina. Con la controffensiva russa e la disfatta nazista nella Battaglia
di Stalingrado, iniziò il ripiegamento degli eserciti dell'Asse verso ovest,
una marcia durissima per ritornare indietro. Va necessariamente ricordato
come la partecipazione italiana alla guerra in Russia non fu inizialmente
richiesta da Hitler, ma rappresentò la volontà di Mussolini di portare avanti
una guerra parallela (l'espressione è del duce stesso). Soltanto nel 1942 la
Germania richiese un aumento delle forze alleate per far fronte alla
resistenza russa. Le motivazioni della partecipazione italiana al conflitto
sono molteplici, ma si riassumono nel desiderio di prendere parte alla
vittoria tedesca, così da acquisire prestigio politico e un guadagno
economico sostanzioso. L'Italia di allora era una media potenza, già
affaticata dagli sforzi bellici degli anni precedenti ma Mussolini preferì
perseguire “obiettivi di prestigio più che di reale competitività”
1
. Inoltre il
numero esiguo dei combattenti italiani in Russia non poteva certo
1 G.Rochat, Le guerre italiane 1935-1943 Dall'Impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi 2008, Torino
p.157
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influenzare in modo determinante l'andamento del conflitto (il C.S.I.R.
contava circa sessantamila uomini, l' ARMIR circa duecento-trentamila);
era quindi più un intervento di facciata, qualcosa che garantisse a Mussolini
il ruolo di primus inter pares tra gli alleati dei tedeschi. Fiumi di inchiostro
sono stati versati per raccontare la Campagna di Russia; moltissimi sono i
volumi storici e altrettanti sono i testi appartenenti al campo della
memorialistica. Che la guerra sia strettamente legata alla letteratura è un
dato di fatto, come conferma Mario Isnenghi quando dice che “ i racconti e
le memorie di guerra […] rappresentano un bisogno ritornante e una
durevole forma di complicità e di comunanza di ogni generazione
maschile”
2
. La Campagna di Russia ha però qualcosa in più, qualcosa che
ha appassionato sia il grande pubblico che gli storici
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, ma soprattutto
qualcosa che ha portato molti protagonisti di essa ad esprimere l'esigenza di
ricordare. Le cause del successo sono molte, vanno dalle più superficiali
come la grandezza del territorio russo con le sue pianure gelide e
interminabili, all'impresa militare di conquistare una regione così vasta
dove persino Napoleone fu costretto a desistere, a cause più profonde che
richiamano gli anni tesi della guerra fredda, dove nacquero
strumentalizzazioni e polemiche anticomuniste spesso prive di fondamento.
Un altro elemento che ha reso celebre questo conflitto è il tema della
ritirata, un'impresa che viene presentata come disperata dove gli sconfitti
quasi si trasformano in vincitori, capaci di superare mille avversità (freddo,
nemici, marce ai limiti del possibile etc.) per ritornare a casa. Un'impresa
spesso descritta come eroica.
1 Gli autori e le opere
Nel campo della memorialistica sulla Campagna di Russia molti sono gli
autori da ricordare: Nuto Revelli con Mai tardi. Diario di un alpino in
Russia e La strada del davai, Cristoforo Moscioni Negri con I lunghi fucili,
Egisto Corradi con La ritirata di Russia e altri ancora.
2 Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani Parole, Immagini, Ricordi 1848-1945, Il Mulino, 2005 p.215
3 Il primo convegno di studi internazionale è stato dedicato proprio alla Campagna di Russia;
organizzato a Cuneo nel 1979. Vedi Gli Italiani sul fronte russo, AA.VV . , 1982, De Donato
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Prima però di costruire un confronto diretto tra Il sergente nella neve e
Centomila gavette di ghiaccio, credo sia utile stilare un breve profilo
biografico dei due autori.
Mario Rigoni Stern
Mario Rigoni Stern nasce ad Asiago nel 1921 da una famiglia di
commercianti. Cresciuto nei luoghi della prima guerra mondiale, si arruola
nel '38 alla Scuola Militare di Alpinismo di Aosta. Negli anni successivi
partecipa alla Campagna di Francia sulle Alpi, alla Campagna contro la
Grecia e alla Campagna di Russia, prima col Battaglione sciatore Cervino e
poi col Battaglione Vestone della divisione Tridentina(una delle tre
divisioni alpine combattenti in Russia). Ritornando in Italia, viene catturato
dai tedeschi che lo intimano di aderire alla Repubblica di Salò ma a causa
del suo rifiuto rimarrà prigioniero in vari lager fino a quando riuscirà a
fuggire nell'aprile del 1945. Il sergente nella neve nasce proprio qui,
durante gli anni della prigionia, scritto con una semplice matita su fogli di
fortuna tenuti da uno spago. Nel 1953, con l'appoggio di Vittorini, allora
consulente Einaudi, viene pubblicato Il sergente nella neve per Einaudi
nella collana Gettoni con cui si aggiudica il Premio Viareggio.
Il sergente è senz'altro la sua opera più importante, ma la sua produzione
letteraria non si ferma qui; intimamente connesso ai temi della natura,
amante delle piante e degli animali, custode delle storie e delle tradizioni
popolari, pubblica più di venti opere tra raccolte di racconti, romanzi e
raccolte di interviste. Tra le più famose Il bosco degli urogalli, insieme di
racconti del 1962, editi da Einaudi per volere di Italo Calvino e dalla cui
lettura nacque la duratura amicizia tra Primo Levi e Stern. Sulla stessa linea
Uomini, boschi e api (1980) e la Trilogia dell'Altipiano, pubblicata postuma
nel 2010, ma anche testi che ripercorrono chiaramente la sua esperienza
della Seconda Guerra Mondiale. In Quota Albania (1971) riaffiorano le
vicende della Campagna di Francia e della guerra contro la Grecia del
giovane caporale Rigoni (all'epoca aveva diciannove anni).
Memore del ritorno a casa in seguito alla ritirata di Russia, compie agli
inizi degli anni settanta il viaggio inverso: esce Ritorno sul Don (1973),
un viaggio nei luoghi del Sergente, alla ricerca dei compagni perduti
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trent'anni addietro. Gli anni settanta sono anche gli anni della
collaborazione con La stampa e gli anni in cui si afferma definitivamente
come grande scrittore. Esce infatti Storia di Tönle (1978) con cui si
aggiudica i premi Bagutta e Campiello. Tra l'uscita di nuovi romanzi e
nuovi racconti, nel '99 Carlo Mazzacurati realizza Ritratti: Mario Rigoni
Stern , un docufilm in cui l'attore e regista teatrale Marco Paolini dialoga
con lo scrittore veneto nell'arco di tre giornate invernali. Nel 2007 Paolini
realizzerà inoltre la trasposizione teatrale del Sergente, trasmessa in diretta
su La7, alla presenza dello scrittore e di Nelson Cenci, uno degli ufficiali
del Sergente nella neve. Muore ad Asiago il 16 giugno 2008.
Giulio Bedeschi
Giulio Bedeschi nasce nel 1915 ad Arzignano, nel Vicentino. Il padre,
Edoardo Bedeschi, è direttore didattico delle scuole elementari.
Dopo il liceo classico, si laurea in medicina all'Università di Bologna.
Nel 1940 frequenta la Scuola Allievi Ufficiali presso la Scuola Militare di
Sanità di Firenze. Divenuto sottotenente medico dell'esercito, fa parte di
una commissione che giudica l'idoneità fisica dei soldati in partenza per il
fronte. É durante questa esperienza che Bedeschi decide di arruolarsi come
volontario e partire anch'esso per il Fronte greco-albanese.
Al suo rientro in Italia viene trasferito nel corpo degli Alpini, passando
quindi dal battaglione fanteria Casale al Gruppo Conegliano della
divisione Julia. É proprio con la Julia che nell'estate del 1942 parte per il
Fronte russo, dove a combattere c'è anche il fratello Giuseppe.
L'avventura del conflitto e della ritirata lo porta a scrivere il libro di
memorie che lo ha reso celebre, Centomila gavette di ghiaccio, pubblicato
da Mursia soltanto nel 1963, dopo diciotto anni di rifiuti editoriali.
Nel 1964 il libro si aggiudica il Premio Bancarella. Nel 1943, tornato dalla
Russia, si iscrive al Partito Fascista Repubblicano e diviene comandante
della Brigata nera Arturo Capanni di Forlì. Questa operò poi anche a
Thiene (Vicenza) con compiti di mantenimento dell'ordine pubblico
effettuando rastrellamenti e scontrandosi duramente con l'opposizione
partigiana. Fino al 26 aprile 1945 si trova a Vicenza, ma il mese successivo,
quando alcuni militi della sua Brigata vengono sommariamente giustiziati
dai partigiani, di Giulio Bedeschi non c'è traccia. L'anno successivo la
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