1. L’INDUSTRIA CULTURALE SECONDO ADORNO:
NASCITA ED EVOLUZIONE
1. L’origine della cultura e della comunicazione di massa
Il germe di un modo nuovo, in totale discontinuità rispetto al passato, di leggere,
percepire ed esperire la realtà, nei cui sviluppi estremi ci muoviamo attualmente, può
essere ravvisato nella nozione di “industria culturale” proposta da Adorno e Horkheimer
in quella che forse è la loro opera piø significativa e nota: la Dialettica
1
dell’illuminismo.
Il testo, scritto nel periodo dell’emigrazione americana ed edito nel 1947, riflette
criticamente la realtà della società capitalistica negli Usa degli anni Trenta e Quaranta,
inserendola all’interno di un nucleo teoretico piø ampio che si propone di mostrare
come il percorso della civiltà occidentale sia la storia di un cammino di
razionalizzazione che non riesce a tradursi in compiuta razionalità. Per Adorno e
Horkheimer l’illuminismo
diventa un progetto storico-universale della specie umana, nel quale la specie
simultaneamente crea se stessa e prepara la sua propria distruzione; il suo scopo ultimo è la
libertà sociale, la felicità e l’indipendenza dell’individuo, ma la sua logica segreta mira
all’estinzione del soggetto autoliberantesi e all’incremento della soggezione sociale e della
2
costrizione.
1
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, trad. it. di L. Vinci, Einaudi, Torino,
1966. Questo testo è il risultato delle riflessioni emerse in seguito ad un lavoro collaborativo e di
contaminazione tra i contributi dei due autori, tuttavia il capitolo sull’industria culturale di cui ci si
occuperà in questa sede è da attribuirsi ad Adorno.
2
A. WELLMER, Critical Theory of Society, trad. ing. di J. Cumming, The Seabury Press, New York,
1974, cit. in S. PETRUCCIANI, Ragione e dominio: l’autocritica della razionalità occidentale in Adorno
e Horkheimer, Roma, Salerno, 1984, p. 29.
9
Fondamentale in questo processo è il ruolo dell’industria culturale. Nei lavori
preparatori precedenti la stesuradell’opera, gli autori ne parlano nei termini di una
cultura di massa. Essi affermano:
Il piano complessivo del lavoro concerne un’ampia critica dell’ideologia odierna. Per
ideologia viene qui intesa non soltanto la coscienza, ma anche l’intera costituzione
dell’uomo nella fase presente […]. ¨ necessario far emergere tanto i tratti liberatori
dell’illuminismo e del positivismo quanto quelli repressivi. L’attacco all’ideologia
dominante deve consistere in un’analisi critica tanto di settori decisivi del sapere quanto
3
della cultura di massa.
E ancora, in una lettera che Horkheimer scrisse a Löwenthal nel 1942:
Il primo capitolo […] tratterà del concetto filosofico d’illuminismo. Qui l’illuminismo
viene identificato con il pensiero borghese […]. Il secondo capitolo conterrà l’analisi delle
4
scienze positivistiche, di vari fenomeni della cultura di massa.
Tuttavia questa espressione verrà sostituita in seguito con la locuzione industria
culturale, che definisce piø chiaramente il ruolo di oggetto anzichØ di soggetto del
singolo all’interno di questo meccanismo, al fine di evitare il fraintendimento che
porterebbe a pensare la stessa come una forma d’arte popolare che nasce
spontaneamente dalle masse. Ciò a cui si riferiscono gli autori invece è il ruolo cruciale
della cultura di massa e della comunicazione nelle società capitalistiche loro
contemporanee.
L’industria culturale è un fenomeno totale, in quanto tende ad espandersi e a
permeare ogni dimensione della società: il suo vocabolario è quello dell’ideologia
dominante che riassume e organizza qualunque dinamica sociale in un unico sistema
esclusivo:
3
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Memorandum über Teile des Los Angeles Arbeitsprogramms,
die von den Philosophen nicht durchgeführt werden können, trad. it. di P. Amari ed E. Grillo, cit. in R.
WIGGERSHAUS, La scuola di Francoforte. Storia, sviluppo tecnico, significato politico, Bollati
Boringhieri, Torino, 1992, p. 326, corsivo mio.
4
Ivi, p. 325, corsivo mio.
10
Quanto piø perfetta è la presa degli odierni ordinamenti sociali, di quelli orientati in primo
luogo sul processo della vita, “tempo libero” compreso, tanto piø s’impone su tutte le
5
manifestazioni dello spirito il marchio dell’ordine costituito.
In questo modo l’industria culturale determina abitudini, ritmi e contenuti della
vita degli individui. Nella Dialettica dell’illuminismo, Adorno e Horkheimer, ritenendo
6
pienamente avveratasi l’analisi svolta da Tocqueville ne La democrazia in America,
secondo cui in quel sistema politico “la tirannia lascia libero il corpo e investe
7
direttamente l’anima”, affermano:
La libertà formale di ciascuno è garantita. Nessuno deve rendere conto ufficialmente di ciò
che pensa. In cambio ognuno è racchiuso fin dall’inizio in un sistema di istituzioni e
8
relazioni, che formano uno strumento ipersensibile di controllo sociale.
Dunque l’essenza dell’industria culturale è la produzione di un’immagine
ineluttabile e intimidatoria della realtà che manifesta il Diktat per ogni singolo di
divenire come l’ideologia prescrive. Quest’ultima determina la mercificazione di tutto
ciò che propone-impone ai singoli, innanzitutto quella delle opere artistiche.
Lo stesso apparato in cui essa si concretizza, non è neutro, ma è veicolo di
dominio e violenza in quanto funzione di un potere che vuole imporsi in modo totale:
l’insieme organizzato dei mass media, le forme di comunicazione di massa, tendono
infatti ad affermarsi come l’unica realtà possibile e permessa, che è proprio la realtà con
cui l’industria culturale aspira a coincidere e da cui può venire potenziata. Essi
collaborano e si rafforzano l’un l’altro creando una trama multistratificata di messaggi il
cui fine è quello del radicamento dell’ideologia nella società. La natura costitutiva del
sistema mediatico è delineata con precisione da Tito Perlini che in un suo saggio scrive:
Sorto come mezzo attraverso il quale il potere-violenza penetra nelle coscienze dei singoli,
già di per sØ indebolite per il puro semplice fatto di essere imprigionate nell’ambito della
5
T. W. ADORNO, Critica della cultura e società, trad. it. di C. Mainoldi, in Prismi, Einaudi, Torino,
1972, p. 10.
6
A. DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, trad. it. di G. Candeloro, Bur, Milano, 2005.
7
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 144.
8
Ivi, cit., p. 161.
11
società tardo-capitalistica, l’apparato ideologico di informazione e comunicazione sembra
segnato irreparabilmente da una sorta di peccato originale. Esso reca su di sØ l’impronta del
9
dominio.
Il fatto che ogni manifestazione culturale debba necessariamente passare
attraverso il filtro di questo apparato per ottenere la possibilità della visibilità e di un
riconoscimento sociale scatena un processo di razionalizzazione che tende a soffocare
ogni spontaneità artistica, trasfigurando la stessa arte in un prodotto industriale al pari di
altre merci di consumo. Pertanto il movimento che si attua nell’industria culturale è
doppio: da un lato essa determina il mercificarsi delle opere artistiche imponendo loro il
filtro dei mass-media come condizione di possibilità per la loro fruizione e diffusione;
dall’altro essa stessa ne è il risultato, dal momento che nasce proprio dall’imporsi
totalitario attraverso i media di quella ratio del dominio che essa stessa veicola.
Se ci si interroga a questo punto sul ruolo dell’individuo all’interno di questo
sistema, si nota che industria culturale non sono solo gli apparati che fabbricano il
sapere richiesto dalla logica che presiede l’amministrazione della società, ma che le
stesse coscienze dei singoli sottoposti a quest’ideologia ne diventano espressione:
ognuno diviene riproduttore della cultura alienata che gli è imposta senza nemmeno
accorgersene. Scrive Adorno:
Sempre minore è lo spazio concesso alla coscienza singola, sempre piø radicale la sua
preformazione, così che le vien tolta, a priori per così dire, la possibilità della differenza,
che degenera a semplice sfumatura nella monotonia dell’offerta. Al tempo stesso
l’apparenza di libertà rende la presa di coscienza della propria non libertà
incomparabilmente piø difficile di quanto non fosse nella contraddizione con l’aperta
10
mancanza di libertà, e rafforza in tal modo la dipendenza.
In questo scenario l’individuo è un “consumatore passivo” di tutto ciò che dal
sistema gli viene somministrato. Le parole di Adorno a questo proposito sono
estremamente chiare:
9
T. PERLINI, Adorno: arte, spettacolo, cinema, televisione, in T. PERLINI (a cura di), Scuola di
Francoforte industria culturale e spettacolo, Società Gestioni Editoriali, Roma, 1974, p. 169.
10
T. W. ADORNO, Critica della cultura e società, cit., pp. 5-6.
12
I consumatori devono restare quello che sono: dei consumatori; per questo l’industria
culturale non è arte dei consumatori, ma prolungamento della volontà dei detentori del
potere fin dentro le vittime. L’autoriproduzione automatica dell’esistente nelle sue forme
11
stabilite è espressione del dominio.
E ancora:
Lo spettatore non deve lavorare di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione: non per
il suo contesto oggettivo - che si squaglia appena si rivolge alla facoltà pensante -, ma
attraverso segnali. Ogni connessione logica, che richieda fiato intellettuale, viene
12
scrupolosamente evitata.
I meccanismi di produzione industriale di cultura tolgono al soggetto la capacità
di pensare autonomamente poichØ non rispondono a esigenze che soddisfano la qualità
umana, la coscienza critica, quanto invece la riproduzione del “capitale investito”. Così,
secondo Adorno, “la cultura consumistica può pertanto menar vanto di non essere un
13
lusso, ma il semplice prolungamento della produzione”.
La ripetitività e l’automatismo che da questa sono veicolati, annientano l’attività
intellettiva degli individui, cosicchØ le coscienze entrano in uno stato di atrofia e di
adesione acritica ai valori imposti. Affermano gli autori:
I prodotti stessi […] paralizzano quelle facoltà per la loro stessa costituzione oggettiva. Essi
sono fatti in modo che la loro apprensione adeguata esige bensì prontezza d’intuito, doti di
osservazione, competenza specifica, ma anche da vietare addirittura l’attività mentale dello
14
spettatore, se questi non vuole perdere i fatti che gli passano rapidamente davanti.
I prodotti dell’industria culturale sono pensati apposta per un consumo distratto,
non impegnativo, e proprio per questo acritico, stordente. Ciò si nota particolarmente in
11
T. W. ADORNO, Cinema in trasparenza, trad. it. di E. Franchetti, in Parva Aesthetica: saggi 1958-
1967, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 86.
12
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 148.
13
T. W. ADORNO, Critica della cultura e società, cit., p. 11.
14
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 137.
13
quello che gli autori definiscono come sistema dell’amusement, del divertimento, di cui
il singolo diventa consumatore e impiegato nel tempo libero:
L’amusement è il prolungamento del lavoro sotto il tardo capitalismo. Esso è cercato da chi
vuol sottrarsi al processo di lavoro meccanizzato per essere di nuovo in grado di
affrontarlo. Ma nello stesso tempo la meccanizzazione ha acquistato tanto potere sull’uomo
durante il tempo libero e sulla sua felicità, determina così integralmente la fabbricazione dei
prodotti di svago, che egli non può piø apprendere altro che le copie e le riproduzioni del
processo lavorativo stesso. Il preteso contenuto è solo una pallida facciata; ciò che si
imprime è la successione automatica di operazioni regolate. Al processo lavorativo nella
15
fabbrica e nell’ufficio si può sfuggire solo adeguandosi ad esso nell’ozio.
Dunque anche la sfera privata dello svago è orientata alla produzione in modo
molto simile al tempo impiegato nel processo lavorativo. Quest’ultimo è alienante in
quanto nelle società capitalistiche avanzate gli uomini sono ridotti ad appendici
dell’apparato economico, meri esecutori di compiti tecnici, schiavi dei tempi e dei ritmi
dettati loro dalle macchine di cui sono al servizio. Ma questo processo si estende dalla
fabbrica alla società intera: quanto piø l’individuo ricerca un’emancipazione dal
meccanismo lavorativo nel tempo libero, tanto piø ne riproduce i presupposti,
consumandone i prodotti culturali, la merce-cinema, la merce-musica, eccetera, cioè
consumando copie e produzioni del processo lavorativo stesso, quindi consentendo al
meccanismo economico basato sul profitto di perpetuarsi. Come affermerà qualche anno
piø tardi, nel 1956, Günther Anders nella sua opera L’uomo è antiquato, “ogni
consumatore è un lavoratore a domicilio non stipendiato che coopera alla produzione
16
dell’uomo di massa”.
In questo genere di attività dunque, la ripetitività, la predeterminazione,
sanciscono il perpetuarsi del “sempre-uguale”, della prevedibilità consistente nella
perfetta adeguazione ad uno schema imposto a priori. Scrivono gli autori:
15
Ivi, pp. 147-148.
16
G. ANDERS, L'uomo è antiquato, 2 voll., trad. it. di L. Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino, vol. I:
Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, 2003, p. 99.
14
Si può sempre capire subito, in un film, come andrà a finire, chi sarà ricompensato, punito o
dimenticato; per non parlare della musica leggera, dove l’orecchio preparato può, fin dalle
17
prime battute del motivo, indovinare la continuazione, e sentirsi felice quando arriva.
Il divertimento deve essere pura distrazione che non faccia pensare, che faccia
dimenticare ogni tentativo di resistenza critica od opposizione a quanto viene fornito.
Tutto è già determinato, già pensato, senza possibilità di divenire nØ di rinegoziazione;
anche l’‘apparentemente diverso’ altro non è che un’eccezione prevista, un’infrazione
che riconferma la regola. Ogni manifestazione culturale conferma e perpetua un clichØ:
Distinzioni enfatiche, come quelle tra film di tipo a e b, o fra le storie in settimanali a
prezzo diverso, non sono tanto fondate nella realtà quanto piuttosto servono a classificare e
organizzare i consumatori, a impadronirsi saldamente di loro. Per tutti è previsto qualcosa,
18
perchØ nessuno possa sfuggire; le differenze vengono coniate e diffuse artificialmente.
E ancora:
19
scorrettezze calcolate non fanno che confermare e rafforzare la validità del sistema.
In questo orizzonte di alienazione l’uomo di massa vive e agisce, senza peraltro
avere l’esatta percezione dei meccanismi in cui è inserito, dato che l’industria culturale
reprime incessantemente la possibilità per lui di sperimentare in qualche modo la
propria condizione sociale al di là della definitività di cui essa stessa la riveste.
L’esperienza soggettiva viene allora espropriata dalla totalità sociale che si erge a
soggetto assoluto sostituendosi all’individuo. Scrivono Adorno e Horkheimer:
Il compito che lo schematismo kantiano aveva ancora assegnato ai soggetti, quello di
riferire in anticipo la molteplicità sensibile ai concetti fondamentali, è levato al soggetto
20
dall’industria. Essa attua lo schematismo come primo servizio al cliente.
17
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 135.
18
Ivi, p. 133.
19
Ivi, p. 139.
20
Ivi, p. 134.
15
In questo modo “per il consumatore non c’è piø nulla da classificare che non sia
21
già stato anticipato nello schematismo della produzione”.
Ci troviamo così dinanzi al capitolare dell’individuo di fronte a una società che,
determinando a priori lo schematismo attraverso cui ogni singolo deve guardare alla
realtà, ne compromette irrimediabilmente la capacità di pensare, cioè di compiere quello
sforzo, del tutto personale, attraverso il quale il concetto cerca di determinare se stesso
col massimo di proprietà e precisione nell’adesione al proprio oggetto. Pensare
veramente, sospendendo i giudizi correnti, è impresa quanto mai ardua e assolutamente
scoraggiata dalla totalità del sistema, impegnato a creare delle “pseudo individualità” in
cui “l’individuale si riduce alla capacità dell’universale di segnare l’accidentale con un
22
marchio così indelebile da renderlo senz’altro identificabile come quello”.
2. Caratteristiche, sviluppi ed effetti sociali dell’industria culturale
Ciò che è nuovo, rivoluzionario in questo capitolo della Dialettica
dell’illuminismo, e che assume particolare rilevanza in questa indagine, è il concetto di
“cultura di massa”. Di essa non si era ancora mai parlato in precedenza, dato che la
cultura che non fosse definita popolare si era posta fino ad allora come fenomeno
elitario cui le masse rimanevano estranee. Queste pagine scritte da Adorno e
Horkheimer segnano per molti aspetti un punto di non ritorno. Nel Novecento infatti, il
rapido sviluppo della tecnologia e delle sue applicazioni definisce un nuovo scenario
che si pone come assoluto, permeante ogni sfera dell’esistenza umana, e che determina
uno sconvolgimento all’interno dell’organizzazione della società e delle sue dinamiche,
23
modificandone gli assetti strutturali. Il concetto stesso di massa muta in seguito
21
Ivi, p. 135.
22
Ivi, p. 166.
23
Il tema della tecnica, considerato nella complessità dei suoi aspetti e nelle implicazioni che il suo
sviluppo determina a livello sociale, morale e politico, è un argomento dominante tra le riflessioni dei
pensatori del Novecento. Alcune delle opere piø significative da ricordare in proposito sono: O.
SPENGLER, L’uomo e la tecnica (1931), trad. it. di G. Gurisatti, Guanda, Parma, 1992; L. MUMFORD,
Tecnica e cultura (1934), trad. it. E. Gentili, Il Saggiatore, Milano, 1964; M. HEIDEGGER, La questione
della tecnica (1953) in Saggi e discorsi (1954), trad. it. di G. Vattimo, Mursia, Milano, 1976; A.
16
all'avvento dei nuovi media che si pongono come protagonisti indiscussi nel
capovolgimento del rapporto individuo-mondo e cultura-massa. Quest’ultima in
particolare, non rappresenta piø una concentrazione di individui in un determinato punto
nello spazio-tempo che interagiscono tra loro ponendosi come corpo collettivo, ma
indica piuttosto una dispersione di singoli già massificati, omologati uno a uno nella
solitudine del loro isolamento, che non sentono piø il bisogno di identificarsi e agire
24
come gruppo.
Quando Adorno e Horkheimer scrivono sull’industria culturale e parlano dei
nuovi mezzi di comunicazione i media sono ancora agli albori della loro diffusione
capillare e intrusiva nella vita quotidiana e, in particolare, la televisione è soltanto ai
25
suoi inizi. Gli autori trattano soprattutto di radio, musica jazz, magazines e cinema
come intermediari veicolanti le diverse sfumature dell’ideologia dominante e, per la
prima volta, ne parlano come di un sistema. Essi scrivono:
[…] il sistema dell’industria culturale è sorto nei paesi industriali piø liberali, come è là che
26
hanno trionfato tutti i suoi mezzi caratteristici, il cinema, la radio, il jazz e i magazines.
E ancora:
GEHLEN, L’uomo nell’era della tecnica (1954), trad. it. di A. Burger Cori, Sugarco, Milano 1984; G.
ANDERS, L'uomo è antiquato (1958), cit.; K. JASPERS, La bomba atomica e il destino dell’uomo
(1958), trad. it. di L. Quattrocchi, Il Saggiatore, Milano, 1960; J. HABERMAS, Teoria e prassi nella
società tecnologica (1968), trad. it. di C. Donolo, Laterza, Bari, 1978; H. JONAS, Il principio
responsabilità (1979), trad. it. di P. Rinaudo, Einaudi, Torino, 1990; E. SEVERINO, La tendenza
fondamentale del nostro tempo, Adelphi, Milano, 1988 e La filosofia futura, Rizzoli, Milano, 1989 e Il
destino della tecnica, Rizzoli, Milano, 1998. Per quanto riguarda la letteratura critica sul tema si vedano:
M. NACCI, Pensare la tecnica, Laterza, Bari, 2000; U. GALIMBERTI, Psiche e techne, Feltrinelli,
Milano, 2007; V. POSSENTI, L’uomo postmoderno: tecnica, religione, politica, Marietti, Milano, 2009.
24
Sul concetto di “massa” e “massificazione” nell’età della tecnica si vedano: M. HEIDEGGER, Essere e
Tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano, 1976¸ (in particolare parte I, sez. I, cap. IV, pp. 148-
167); G. ANDERS, L'uomo è antiquato, cit., vol. II: Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza
rivoluzione industriale, trad. it. di M. A. Mori, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 70-81.
25
Sul tema della radio in Dialettica dell’illuminismo, si veda M. NACCI, La radio in “Dialettica
dell’Illuminismo” in M. NACCI, op. cit., pp. 228-259.
26
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., pp. 142-143.
17
Film, radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni settore è armonizzato in sØ e tutti
27
tra loro.
E qualche pagina piø avanti:
Da ogni film sonoro, da ogni trasmissione radio, si può desumere ciò che non si potrebbe
ascrivere ad effetto di ciascuno di essi singolarmente, ma solo di tutti insieme nella
28
società.
Queste affermazioni potrebbero essere lette, a prima vista, come anticipatrici del
concetto di “sistema dei media” che descrive le tecnologie di comunicazione
contemporanee. Gli attuali studi sulla comunicazione infatti, hanno introdotto da alcuni
anni l’idea che tutti gli strumenti e le modalità necessari per comunicare esistenti in un
dato momento generano un sistema e, interagendo tra loro e instaurando rapporti
plurimi e intrecciati, stabiliscono forme complesse e non lineari di dipendenza l’uno
29
dall’altro.
Ma non è questo quanto viene qui asserito da Adorno: l’autore piuttosto vuole
affermare come ogni tecnica di comunicazione nel mondo capitalista non si distingua
dalle altre, in quanto ciascuna di esse “non fa che modulare in modo diverso un’identica
30
melodia”. Questa è la tesi del “tutto uguale” che la società mercificata sostituisce alla
cultura autentica, ed è proprio perchØ l’industria culturale è produzione di sempre-
uguale che i suoi prodotti fanno sistema: poichØ essi sono indistinguibili.
Così, il concetto di sistema e quello di industria culturale appaiono strettamente
legati e il primo rappresenta propriamente la condizione di possibilità formale della
seconda.
Adorno e Horkheimer sostengono che il termine “industria” derivi direttamente dal
mondo dei media, dato che sono gli operatori stessi di questi mezzi di comunicazione
che, in seguito alla necessità di fabbricare intrattenimento come si fabbricherebbe
27
Ivi, p. 130.
28
Ivi, p. 137.
29
Sul tema del “sistema dei media” e del “macrosistema tecnico” si veda A. GRAS, Nella rete
tecnologica, trad. it. di M. Offi, Utet, Torino, 1997.
30
M. NACCI, op. cit., p. 242.
18
qualsiasi altra merce, si legano all’universo economico e degli affari molto piø che a
quello artistico:
Film e radio non hanno piø bisogno di spacciarsi per arte. La verità che non sono altro che
affari, serve loro da ideologia, che dovrebbe legittimare gli scarti che producono
volutamente. Essi si autodefiniscono industrie, e le cifre pubblicate dei redditi dei loro
31
direttori generali troncano ogni dubbio circa la necessità sociale dei loro prodotti.
E ancora:
La dipendenza della piø potente società radiofonica dall’industria elettrica, o quella del
cinema dalle banche, definisce l’intera sfera, i cui singoli settori sono ancora, a loro volta,
economicamente cointeressati e interdipendenti. Tutto è così strettamente ravvicinato che la
concentrazione dello spirito raggiunge un volume che le permette di traboccare oltre i
32
confini delle varie ditte e dei vari settori tecnici.
Tuttavia, sebbene queste affermazioni risultino attuali anche ai nostri giorni,
oggi questo testo per molti aspetti appare “antiquato”, dato che i mezzi la cui influenza
è maggiormente significativa nel nostro tempo (televisione, internet, eccetera) non
33
sono qui considerati. Ciò nondimeno il nocciolo di un processo che andrà
31
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 131.
32
Ivi, p. 133.
33
In realtà la parola televisione viene citata due volte all’interno del capitolo “L’industria culturale” della
Dialettica dell’illuminismo, ma all’occorrenza della parola non segue una tematizzazione del mezzo da
essa denotato, proprio in quanto ci si trova ancora agli albori della diffusione di questo. A p. 134 Adorno
e Horkheimer scrivono che “la televisione tende a una sintesi di radio e cinema, che viene ritardata finchØ
le parti interessate si siano messe completamente d’accordo, ma le cui possibilità illimitate possono essere
promosse a tal punto dall’impoverimento dei materiali estetici che l’identità appena mascherata di tutti i
prodotti dell’industria culturale potrà domani trionfare apertamente, sarcastica attuazione del sogno
wagneriano dell’‘opera d’arte totale’”. In queste righe viene colta chiaramente dagli autori la potenza
rivoluzionaria in nuce del nascente mezzo di comunicazione in cui “l’accordo di parola, musica e
immagine riesce tanto piø perfettamente che nel Tristano”; questo nuovo strumento di massa riesce infatti
a integrare per la prima volta fra loro i vari elementi della produzione culturale (la trama del film, gli
effetti sonori, le immagini visive) nell’unità del procedimento tecnico: “É il trionfo del capitale investito”.
Espresso questo “pronostico”, che chiude la tematizzazione del “mezzo-televisione”, la parola occorre di
nuovo a p. 173, dove viene prospettata un’epoca futura in cui ognuno potrebbe visionare i film dalla
19
sviluppandosi nei decenni successivi è già individuato dagli autori e questo è evidente
soprattutto nelle considerazioni che Adorno propone riguardo al cinema.
Esso, in particolar modo quello che si produce a Hollywood, appare all'autore
interamente serrato nelle maglie dell'industria culturale. Una buona interpretazione
delle peculiarità che egli gli attribuisce è data da Perlini, che lo definisce come
l'apparenza perfezionata [dell'arte] nello svuotamento di tutto ciò che essa medesima ha in
sØ di oscuro, di eversivo, di ostile alla rassicurante artefatta perfezione degli schemi. Il
cinema è un surrogato dell'arte capace di illudere le moltitudini sulla propria caratteristica
essenziale di mezzo di manipolazione, di indottrinamento celato nelle piacevoli sembianze
di un divertimento di massa. Il surrogato funge da arte per coloro che, nella società
34
massificata ne sono privati.
Ciò che nel cinema si rende particolarmente evidente è il suo essere intimamente
caratterizzato dal fatto tecnologico, nel senso che, secondo l'autore, la tecnica è il
principale processo generante lo stesso. Questa s'impone al di sopra di ogni
problematica espressiva insita nell'operare artistico, perciò il film non può considerarsi
un prodotto d'arte, nel senso che non è piø espressione delle esigenze interne e delle
aspirazioni del soggetto che lo crea, ma è frutto di un procedimento impersonale che
trascende l'artista. Scrive Adorno nel saggio Ricapitolazione sull'industria culturale,
Il concetto di tecnica nell'industria culturale ha solo il termine in comune col suo
corrispondente nell'opera d'arte. Qui la tecnica si riferisce all'organizzazione dell'opera
d'arte in sØ, alla sua logica interna. Nell'industria culturale, invece, essendo a priori una
tecnica di distribuzione e di riproduzione meccanica, rimane sempre esterna al proprio
35
oggetto.
propria casa: “ […] se la tecnica potesse fare quello che vuole, il film sarebbe già fornito a domicilio
secondo l’esempio della radio. Esso tende al ‘commercial system’. La televisione mostra già la via di
un’evoluzione che potrebbe mettere i fratelli Warner nella posizione, a loro certo non gradita, di custodi e
difensori della cultura tradizionale.” Nella Dialettica dell’illuminismo non viene aggiunto nient’altro
riguardo alla televisione, ma qualche anno piø tardi, Adorno scriverà alcuni saggi che tratteranno
specificamente di questo tema e che verranno analizzati nel prossimo paragrafo.
34
T. PERLINI, op. cit., p. 173.
35
T. W. ADORNO, Ricapitolazione sull’industria culturale, in Parva Aesthetica, cit., p. 62.
20
Nell'era del tardo capitalismo la tecnologia si congiunge alle esigenze del potere di
creare delle forme di comunicazione a distanza che vincolino a sØ e orientino in un certo
modo la società intera. Il cinema nasce quindi come comunicazione manipolata e
“fabbrica di falsa coscienza” che celebra la realtà di cui mostra le immagini. Per questo
di esso si può parlare come di una “realtà al quadrato”, dal momento che il film mostra
la realtà ma al contempo ne cela l'apologia giustificando il dato che porta alla visione.
Mentre l'arte trasfigura l'esistente, ne trascende il carattere di fenomeno
immediato, il cinema si limita ad “abbellirlo”, riducendo il ruolo dell'arte a quello di
semplice registrazione di un esistente che si vuole venga accettato come unico e
indiscutibile. Scrive Perlini:
L'immagine cinematografica idealizza la realtà senza riqualificarla internamente. In tal
modo il reale immediato, che si impone come evidenza nella resa visiva di una datità
accettata come positività perentoria, viene elevato d'un sol colpo, senza mediazioni, a
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livello dell'ideale. Quest'ultimo è la realtà piø il suo abbellimento.
Così, il cinema diventa uno strumento per la giustificazione e l'accettazione
dell'esistente senza che vi sia un trascendimento del dato, che si riduce a puro feticcio.
Dunque l'industria culturale è, come tutte le vecchie ideologie, apologia dello stato
di cose esistente; tuttavia vi sono delle nuove caratteristiche che la distinguono e
contrassegnano la sua specificità. Innanzitutto la sua forma cambia e diventa “ideologia
in forma di merce”; quanto al contenuto essa paradossalmente ne può fare a meno e
sviluppare l'apologia dell'esistente mediante la sola riproduzione della sua esistenza.
Importante non è il contenuto ideologico, il messaggio che per esempio un film veicola; sì
invece l'esibizione e la feticizzazione dell'enorme massa di capitale investito di cui (come
dimostrano gli stessi sviluppi odierni della produzione cinematografica) sono attestazioni
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sicure gli effetti speciali sempre piø strabilianti, i particolari tecnici sempre piø sofisticati.
E questo perchØ l'ideologia che ora viene asserita è strettamente interconnessa con
la tecnica: non solo perchØ si serve di essa come strumento imprescindibile per la
36
T. PERLINI, op. cit., p. 175.
37
S. PETRUCCIANI, op. cit., p. 341.
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realizzazione dei propri scopi, ma perchØ questa è diventata il fine supremo di ogni
ideologia.
La tecnica, dal momento che non si risolve nella sola concettualità scientifica e
nella strumentazione tecnologica, ma si lega e si fonde con una serie di condizioni
economiche, giuridiche, sanitarie, scolastiche, urbanistiche, ecc... ponendosi come
possibilità del loro funzionamento, da mezzo e dispositivo per la realizzazione dei fini
ideologici ne è diventata lo scopo. A questo punto tutto si modifica. Se il fine supremo è
il potenziamento dell'apparato tecnico non ci sono piø nuclei teorici di fondo, criteri di
valore, siano essi politici, religiosi o sociali che vengano pensati come immutabili,
supremi (com'era prassi in ogni ideologia) e ciò significa la morte, il dissolvimento di
queste. La razionalità tecnica che ora si pone al di sopra di tutto è caratterizzata invece
dal fatto di non pensarsi come immutabile ed eterna, proprio in quanto non fa piø
appello a nessun tipo di categoria determinata. Essa accetta piuttosto di venire smentita
dalla storia e, nel caso ciò avvenga, di modificare la parte di sØ che non è piø in linea
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con il cambiamento verificatosi.
In questa disponibilità sta la differenza piø profonda tra l'ideologia comunemente
intesa e quella affermatasi nell'epoca del tardo capitalismo; e in ciò sta anche la sua
forza, dato che proprio la possibilità di variazione delle proprie procedure è ciò che la
rende formalmente non oltrepassabile, eterna.
Si può intuire allora quale sia l'oggetto di ammirazione e di feticismo veicolato
dall'industria culturale e cioè la potenza tecnologica ed economica del capitale. Non ci
sono piø delle categorie di valori che si vogliono affermare come strutturanti la realtà,
che devono essere conosciuti e introiettati dai singoli, ma l'unico contenuto di fatto
tenacemente asserito è quello della mera riproposizione della realtà esistente a
prescindere da giudizi di valore, dato che l'ideologia dominante non contempera la
possibilità della critica nØ della modificazione di ciò che propone.
Da quanto emerso si spiega forse allora il sentimento di ineluttabilità e
irrimediabilità che trapela dalla posizione di Adorno e Horkheimer nei confronti della
definitività dei meccanismi veicolati dall'industria culturale. Come osserva Stefano
Cristante:
38
G. GALIMBERTI, Psiche e techne, cit., pp. 427-431.
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Se l’industria cultura culturale tende a prefigurare un modello di comportamento collettivo
valido per tutti, essa dissolverà la distanza tra la cultura e la vita. La vita assomiglierà
fatalmente alla sua riproduzione culturale. La vita sarà pensata attraverso i media e i media
renderanno la vita un continuum culturale costruito con criteri industriali, con clichØs che
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rimandano l’un l’altro, con automatismi esasperati.
¨ proprio questo il senso dell’affermazione di Adorno e Horkheimer “la vita,
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tendenzialmente, non deve piø potersi distinguere dal film”.
Tuttavia nei decenni successivi alla pubblicazione dell’opera la situazione è
mutata di molto e attualmente ci muoviamo in uno scenario assai diverso da quello
descritto dagli autori nel 1947. L’industria culturale ha proseguito il suo cammino al
fianco della tecnica e con essa si è evoluta e potenziata. Leggendo oggi le pagine della
Dialettica dell'illuminismo dedicate a questo argomento si avverte la distanza temporale
che ci separa da quanto lì affermato. Si considerino queste parole:
Per il momento la tecnica dell'industria culturale è giunta solo alla standardizzazione e alla
produzione in serie, sacrificando ciò per cui la logica dell'opera si distingueva da quella del
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sistema sociale.
E ancora:
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Essa consiste nella ripetizione.
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Il reale viene sempre e solo ripetuto cinicamente.
39
S. CRISTANTE, Media Philosophy. Interpretare la comunicazione-mondo, Liguori, Napoli, 2005, p.
90.
40
T. W. ADORNO, M. HORKHEIMER, Dialettica dell'illuminismo, cit., p. 136.
41
Ivi, p. 131, corsivo mio. Gli autori proseguono: “Ma ciò non va imputato a una legge di sviluppo della
tecnica in quanto tale, ma alla sua funzione nell’economia attuale”. Sembrerebbe così che questa
situazione non fosse generata dalla tecnica in sØ, ma dalla stessa in quanto inserita nell’economia
capitalista. Tuttavia essa nasce proprio insieme a quell’economia e dunque ne è macchiata fin dal
principio delle stesse caratteristiche: essendo parte del sistema economico lo rispecchia fino in fondo, non
ne è affatto autonoma.
42
Ivi, p.146, corsivo mio.
43
Ivi, p.159.
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