2
durante la Resistenza del comitato militare costituito del CLN lombardo, gli altri quattro da
Alcide De Gasperi. Il Governo Parri ed il primo governo De Gasperi furono appoggiati dai
"partiti dell'esarchia" una grande coalizione di partiti di sinistra e di centro che formavano il
CLN (Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito d'Azione, Partito Democratico del
Lavoro, Partito Liberale, Partito Socialista di Unità Proletaria).
Tabella 1.a Situazione del parco ferroviario
Locomotive Locomotive
a vapore elettriche Carrimerci
1938 4165 1316 128750
1945 2081 665 55000
------------------------------------------------
Fonte: Daneo (1975) La politica economica della ricostruzione 1945-49.
Parri concesse il Ministero del Tesoro al liberale Soleri e, dopo la scomparsa di
quest'ultimo a Ricci nell'estate 1945, ed il Ministero delle Finanze al comunista Scoccimarro.
Si delineò fin dal primo governo post liberazione una consuetudine che durerà fino alla
primavera del 1947 : il Ministero del Tesoro, vera guida della politica economica del Paese,
venne affidato ad economisti di area liberale, mentre il Ministero delle Finanze, la cui
funzione principale era quella di imposizione tributaria, fu assegnato a personaggi di sinistra.
La ripresa della dottrina liberista, che aveva negli studi economici italiani una lunga e
rispettabile tradizione, si ebbe soprattutto come opposizione al concetto di "Stato controllore"
imposto dalla cultura economica fascista. "Il fascismo aveva rappresentato" come scrisse il
Candeloro "una versione italiana del sistema dell'intervento pubblico nell'economia che in
varie forme era prevalso in tutti i Paesi capitalistici come mezzo per superare la grande
crisi del 1929-34. D'altra parte proprio la pesantezza del vincolismo favorì negli ultimi anni
del fascismo una ripresa della dottrina liberista non solo nel campo degli studi economici,
3
ma anche in vasti settori dell'opinione pubblica. Nel mondo degli affari e, più in generale,
nella borghesia imprenditoriale, si diffuse l'opinione che la fine del fascismo dovesse
significare nel campo economico il ritorno al libero mercato e la riduzione al minimo
dell'intervento pubblico"
2
. Oltre che di una opinione si trattò anche di una necessità. La
ricostruzione fisica del Paese e la riconversione delle distorsioni introdotte dall'autarchia e
dalla economia di guerra, preoccupazioni principali del governo Parri, dovevano iniziare al
più presto possibile e quindi non si poteva attendere la ricostituzione dell'amministrazione
pubblica che aveva subito danni devastanti e la cui capacità di spesa era ridotta al minimo. Del
resto dello stesso parere era il segretario generale del Partito Comunista Palmiro Togliatti, che
intervenendo al convegno economico del suo partito nell'agosto 1945 ricordò che "Anche se
fossimo al potere da soli faremmo appello per la ricostruzione, all'iniziativa privata, perchè
ci sono compiti a cui sentiamo che la società italiana non è matura"
3
.
L'orientamento liberale della nostra economia fu anche favorito dal fatto che il nostro
Paese era rientrato nella sfera di influenza alleata : una restaurazione liberista rappresentava
per gli Stati Uniti e per gli industriali italiani un valido tentativo di ridimensionare le
aspirazioni di rinnovamento sociale provenienti dal Nord. Tale restaurazione era iniziata nel
gennaio 1945 quando Luigi Einaudi richiamato in Italia dopo un lungo esilio trascorso in
Svizzera, assunse la carica di Governatore della Banca d'Italia. Einaudi per importanza delle
cariche ricoperte e per la sua arte del saper scrivere diventerà il protagonista ed allo stesso
tempo il testimone più autorevole del periodo della ricostruzione.
Per quanto riguarda il nostro sistema industriale, la situazione era grave ma non
disperata. Nel 1945 non furono compiute rilevazioni ufficiali sui danni provocati all'apparato
industriale; a causa della mancanza di fondi, il governo Parri non potè estendere al Nord il
censimento dell'industria compiuto dall'ISTAT nel settembre 1944 e limitato alle regioni
liberate fino a quella data. Nei mesi che seguirono la fine della guerra ci fu una
sovrapposizione di dati e di cifre non omogenei, influenzati da conoscenze parziali, gonfiati o
4
ristretti a seconda della necessità del rilevatore.
La stima più attendibile, anche grazie all'efficienza dell'Ufficio Studi della Banca
d'Italia, ci viene offerta dal Governatore Luigi Einaudi che, in una lettera datata 25 giugno
1945 ed inviata al Presidente del Consiglio Ferruccio Parri, stimava le società e le imprese del
Nord "salve all'80%"
4
.
Il totale degli impianti, dislocati per più di 3/4 nell'Italia settentrionale, erano quasi
interamente salvi. Infatti, mentre a sud della linea gotica la guerra fu combattuta per lunghi
mesi, a nord di tale linea il rapido ed improvviso crollo dello pseudo governo repubblicano
obbligò l'esercito tedesco ad una rapida ritirata e quindi all'impossibilità di rendere
inutilizzabili i nostri impianti industriali. Le distruzioni più gravi furono causate dal
bombardamento alleato.
Sebbene il grado di efficienza dell'industria fosse elevato, la nostra ripresa produttiva
era però ostacolata dal loro basso livello di attivazione: la capacità produttiva era ridotta dalla
carenza di carbone e materie prime e dalla forte limitazione dei trasporti (il 60% delle strade
statali erano interrotte).
Il crollo economico della nostra principale rifornitrice di carbone, la Germania, e la
riduzione al 10% della nostra marina mercantile, rendevano problematico il rifornimento di
tale materia prima. Il forte divario tra capacità produttiva e l'utilizzo degli impianti provocò
una riduzione della produzione industriale del 71% rispetto al livello del 1938.
La guerra aveva prodotto danni molto pesanti anche al settore agricolo: l'assenza
ripetuta di concimazioni, le mancate manutenzioni, le distruzioni di macchine agricole e di
case coloniali, e inoltre le razzie di bestiame compiute dagli eserciti belligeranti, avevano
provocato un impoverimento del terreno coltivabile soprattutto nella zona centro meridionale
dove i combattimenti tra esercito alleato e tedesco furono molto aspri. Nel 1945 la produzione
di grano era scesa al 50% dell'anteguerra, e quella della carne al 45% (tab. 1.b).
5
Tabella 1.b - Produzione agro-zootecniche (migliaia di q.li)
1938 1945
grano 81838 41766
patate 29416 14673
bietole 32805 4009
vino 41780 29298
carne 3348 1543
-----------------------------------------------
Fonte: Daneo (1975) La politica economica della ricostruzione 1945-49.
Come per le materie prime anche per i beni alimentari era necessario ricorrere alle
importazioni: per vari strati della popolazione la disponibilità pro capite dei generi alimentari
era al di sotto della pura "razione di mantenimento" e la situazione poteva peggiorare con il
rimpatrio dei reduci.
L'Italia, essendo un Paese privo di quasi tutte le materie prime, per una riattivazione
dell'attività produttiva doveva necessariamente ricorrere alle importazioni: il costo valutario
di tali spese doveva essere coperto da un aumento di disponibilità sull'estero attraverso una
ripresa delle esportazioni dei nostri prodotti industriali. Nel corso del 1945 per facilitare la
ripresa delle esportazioni furono sospesi i dazi di uscita ed il diritto di licenza all'esportazione.
Subito dopo la liberazione il Governo italiano negoziò i primi accordi commerciali:
all'accordo con Svizzera seguirono quelli con Svezia, Spagna, Francia e Belgio. Il valore delle
nostre esportazioni ammontava a 900 milioni di lire nel 1944 e a 1700 milioni di lire nel
1945: si trattava prevalentemente di prodotti ortofrutticoli destinati in misura rilevante al
Regno Unito e Stati Uniti.
Per quanto riguarda le importazioni, le materie prime ed i prodotti alimentari giunsero
al nostro Paese attraverso i programmi di aiuti internazionali predisposti dalle Autorità alleate.
6
Il primo piano fu attuato dal 10 luglio 1943 al 31 agosto 1945 e comportò
l'importazione di merci a titolo gratuito per un valore di 450 milioni di dollari. Questo
programma faceva parte della politica degli alleati tendente ad evitare di avere alle spalle dei
loro eserciti popolazioni affamate o in preda ad epidemie
Un nuovo piano di forniture essenziali, denominato di "primo aiuto" fu redatto nel
marzo 1945 dal Governo italiano e dalla Commissione alleata . La cifra prevista dal piano era
140 milioni di dollari: era diretta alla sola Italia centromeridionale e aveva la durata di sei
mesi. Erano previste due categorie di merci : la prima a titolo gratuito come continuazione del
piano precedente, comprendeva prodotti finiti; la seconda riguardava merci da pagarsi
utilizzando un credito fattoci dal Governo americano quale contropartita delle lire militari
pagate alle truppe alleate presenti sul suolo italiano (AMLIRE). Prima che il piano avesse
inizio vennero a mancare i due presupposti su cui si basava: non disponibilità dei prodotti del
nord Italia, e continuazione della guerra in Europa . Fu opportuno rivedere il piano di "primo
aiuto" abbandonando i prodotti finiti e incrementando l'importazione di materie prime
necessarie alle industrie del Nord.
Ispirandosi a queste nuove esigenze, subito dopo la liberazione del Nord, il Governo
italiano d'accordo con la commissione alleata chiese alla Commissione Centrale Economica
(CCE) del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) di rielaborare il piano con
nuove proposte che tenessero conto dei cambiamenti politici avvenuti. Il nuovo piano
presentato dal CLNAI prevedeva, a partire dal gennaio 1946, l'importazione di merci per un
valore di 1250 milioni di dollari. Per coprire il fabbisogno di rifornimenti per il periodo
luglio-dicembre 1945, il Comitato interalleato preparò con un finanziamento di 100 milioni di
dollari, un nuovo programma di aiuti denominato "piano di transizione". Con tale piano,
redatto a periodi mensili, veniva richiesto 1/3 del quantitativo di carbone consumato
normalmente in periodo prebellico; in seguito veniva ripartito tra i vari settori di impiego in
base ad una scala di priorità tecniche. A fine 1945, se si tiene conto dei 50 milioni di dollari
del programma UNRRA già utilizzati, gli aiuti alleati avevano raggiunto i 780 milioni di
dollari.
7
La mano d'opera rappresentò l'unico fattore produttivo sovrabbondante in questo
periodo: secondo il Graziani il numero di disoccupati era superiore ai due milioni di unità. A
tutela dei lavoratori si posero i partiti di sinistra ed i ricostituiti sindacati liberi che proposero
programmi di pianificazione dell'economia e metodi di partecipazione diretta alle aziende da
parte dei lavoratori.
Di parere nettamente opposto fu il Governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi che
in una lettera spedita il 25 giugno al Presidente del Consiglio Parri, ricordava che "Se i
sussidi di disoccupazione saranno dati in misura e modalità tali da non incoraggiare l'ozio
una notevole parte di disoccupati sarà assorbita dalle forze spontanee del Paese . Nel nord
vi è fame di artigiani elettricisti , meccanici. Il resto deve assorbirli lo Stato con opere
pubbliche : ferrovie, strade, ponti e porti"
5
.
Per realizzare tale programma Einaudi era disposto anche al sacrificio dell'inflazione:
infatti nella lettera aggiungeva che "Un'inflazione per eseguire lavori pubblici che in ogni
modo sono necessari, sarebbe un male tollerabile; quella che si dovesse sostenere per
pagare i salari a vuoto e finire di rovinare le aziende sarebbe deleteria"
6
.
Nel 1945 le retribuzioni medie corrisposte alle categorie operaie ed impiegatizie
raggiunsero un valore di circa 15-16 volte quello prebellico. Un operaio percepiva una
retribuzione media che si aggirava sulle 3.800 - 4.000 lire mensili, un impiegato sulle 4.500 -
4.700 mensili. Dato il forte aumento del costo della vita, i salari espressi in termini di potere
di acquisto si ridussero alla metà circa di quelli del 1938-39. Tale situazione riguardò quasi la
metà della popolazione produttiva. Ad una riduzione delle retribuzioni reali corrispose una
contrazione del reddito nazionale che nell'anno 1945 fu stimato in termini reali, in circa il
40% in meno rispetto al 1938. Utilizzando dati sulla produzione ed erogazione di energia
elettrica per uso industriale e notizie dirette sulla produzione dei più importanti stabilimenti
industriali, l'economista Bruno Rossi Ragazzi valutò il reddito prodotto nel nostro Paese in
8
68,4 miliardi di lire con potere di acquisto base 1938. Complessivamente il reddito reale si era
ridotto da 116,5 miliardi di lire nel 1938 a 68,4 miliardi di lire nel 1945 con una contrazione
del 41,3 % .
Analizzando la partecipazione dei vari settori economici alla formazione del reddito
complessivo, bisogna ricordare la forte diminuzione in termini relativi dell'incidenza del
reddito industriale su quello complessivo, rapporto sceso dal 33,8% nel 1938 al 19,5% nel
1945. Tale reddito industriale, che nel 1938 era quasi uguale a quello agricolo, nel 1945 ne
rappresentava circa il 50% .
In merito, invece, alla situazione monetaria, si può constatare che il nostro Paese
ereditò dalla guerra una situazione di inflazione aperta: il volume totale del potere di acquisto
monetario era nettamente superiore al valore della produzione. A tale situazione si era giunti
in quanto, come in altri paesi belligeranti, le entrate fiscali e gli altri contributi non erano
bastati a coprire le spese di guerra. Al graduale espandersi delle operazioni belliche il governo
fascista dovette affiancare al meccanismo fiscale, la emissione di nuova moneta. Per impedire
che l'aumento della circolazione potesse sfociare in un improvviso aumento dei prezzi, si fece
ricorso ad una nuova tecnica di finanziamento delle spese di guerra conosciuta con il nome di
"circuito dei capitali". Ideato dal conte Thaon di Revel, Ministro delle Finanze dal gennaio
1935 al febbraio 1943, tale meccanismo affiancato al sistema tributario, aveva il compito di
indirizzare verso gli impieghi pubblici l'eccesso di potere di acquisto superiore ai bisogni
primari della popolazione.
Questa massa di potere di acquisto, una volta tradottasi in spese di vario genere,
poteva determinare gravi effetti inflazionistici dato che i beni di consumo tendevano
fortemente a contrarsi. Secondo i suoi ideatori, i capitali percorrevano una specie di circuito
che uscendo in primo tempo dalle casse dello Stato sotto forma di pagamenti di spese belliche,
facevano ritorno nelle medesime attraverso emissioni di buoni ordinari del Tesoro.
9
In questo modo lo Stato riprendeva, attraverso imposte e prestiti, i capitali necessari al
finanziamento della guerra. Il circuito si poteva chiudere solamente se il pubblico
sottoscriveva sempre maggiori prestiti, situazione quest'ultima non difficile da verificarsi vista
la limitazione dei consumi e la restrizione degli impieghi commerciali che la guerra
obbligava.
Il forte aumento della circolazione monetaria dimostrò, però, che la chiusura del
circuito non avvenne mai.
Per favorire il buon funzionamento di tale meccanismo, furono presi provvedimenti
per il controllo degli investimenti privati: particolarmente colpiti furono il settore edilizio, che
in periodo prebellico aveva assorbito quasi il 50% degli impieghi privati, e soprattutto il
mercato azionario.
Con il provvedimento datato 21 novembre 1942 i nuovi acquirenti di azioni quotate in
borsa erano obbligati a investire in buoni del tesoro novennali nominativi ed intrasferibili ad
interessi del 3%, una somma pari a quella occorrente per l'investimento azionario. Inoltre
negli stessi buoni del tesoro speciali doveva essere investito almeno il 20% del capitale delle
Società per azioni di recente costituzione o dell'aumento di capitale di società già esistenti.
I provvedimenti, che rientravano nell'ottica di bloccare l'afflusso di risparmio che
normalmente raggiungeva gli impieghi industriali, determinarono il blocco della Borsa di
Milano: il volume degli scambi da una media giornaliera di 53.000 azioni nel primo semestre
42 si ridusse quasi a zero. Nonostante ciò le imprese, attaverso abili manipolazioni dei bilanci
e astenendosi dall'effettuare aumenti di capitale, riuscirono a sottrarsi agli obblighi di legge,
rendendo di scarso rilievo la somma raccolta dallo Stato (300 milioni di lire al 30 giugno
1944).
Pur funzionando con i notevoli sfasamenti sopra descritti, la tecnica di finanziamento
riuscì a reggere allo sforzo bellico fin verso la fine del 1942. Fu così possibile contenere
l'aumento dei prezzi entro limiti accettabili: l'ultimo indice dei prezzi all'ingrosso calcolato
dall'Istituto Nazionale di Statistica e pubblicato durante la guerra nel giugno 1942 riportava un
aumento medio dei prezzi del 50% rispetto al periodo prebellico.
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Si trattò dell'ultima rilevazione ufficiale calcolata dall'Istituto Nazionale di Statistica.
Era un indice rappresentativo di 125 merci rilevate su 73 piazze italiane e veniva costruito
come media geometrica ponderata dei singoli indici dei prezzi con pesi proporzionali al
volume di merci prodotte o importate.
Le restrizioni dei consumi, in seguito ai razionamenti, al venir meno di talune
occasioni di spesa, all'efficacia dei controlli sul volume degli investimenti e del consumo e
alla liquidazione delle scorte di materie prime detenute dalle aziende, resero possibile che
l'incremento della circolazione monetaria sfociasse in un aumento di attività liquide piuttosto,
che in un aumento della spesa privata.
Tra il febbraio del 1940 ed il settembre del 1942 le attività liquide (moneta, conti
correnti, BOT ad un anno) passarono da 66,4 miliardi di lire a 144 miliardi di lire nonostante
la periodica emissione annuale di buoni novennali del tesoro che raccolsero 88 miliardi.
Nell'autunno del 1942 i primi attacchi aerei contro le città italiane determinarono una
rottura tra erogazione della spesa e assorbimento del potere d'acquisto: le sottoscrizioni di
BOT diminuirono e la situazione tecnica del mercato limitava le possibilità di un nuovo
prestito.Vennero così a mancare i presupposti per il funzionamento del circuito dei capitali.
Il circuito monetario diretto Mercato-Tesoro fu prima affiancato e dopo gli eventi del
settembre 1943 sostituito dal circuito monetario indiretto Mercato - Banche - Istituto di
emissione - Tesoro.
In questo modo la Banca d'Italia sostituì nell'opera di rastrellamento del risparmio il
Tesoro che fino al 1942 aveva assorbito direttamente la crescente liquidità del sistema
bancario.
Per attivare questo nuovo meccanismo, che fino al Prestito Soleri del 1945 rimpiazzò
quello diretto, bisognava attenuare il distacco venutosi a creare durante la guerra tra banche ed
Istituto di emissione e causato dall'eccesso di liquidità delle prime che le aveva rese
indipendenti dal secondo.
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La Banca d'Italia iniziò una politica di drenaggio di fondi delle aziende di credito con
una manovra sui tassi di interesse dei depositi e conti correnti che le banche tenevano presso
di Essa.
Con il Decreto ministeriale 19 dicembre 1942 venne istituito, a favore delle aziende di
credito, una nuova serie di conti correnti vincolati a scadenza e saggi di interesse vari (tasso
del 3% con il preavviso di 15 giorni e del 2,50% con preavviso di otto giorni).
Questo provvedimento ebbe un buon successo soprattutto nel 1944 quando, attaverso
il canale dei depositi vincolati, il 60% dell'incremento dei depositi bancari si trasferì nei conti
vincolati in esame.
Un ulteriore provvedimento disposto dall'Ispettorato del credito nel gennaio 1943
faceva obbligo alle banche, aventi una massa fiduciaria superiore ai cento milioni, di versare
all'Istituto di emissione in conti correnti indisponibili al 3%, il 75% dell'incremento mensile
dei depositi fiduciari. Il limitato numero di banche colpite da tale provvedimento e le
numerose deduzioni previste dalla medesima determinarono risultati solamente in via
indiretta, in quanto le banche, per evitare il versamento delle eccedenze dei depositi,
convogliarono i loro fondi liquidi in altre forme di impiego consentite, tra cui i conti vincolati
al 3%.
La Banca d'Italia per cercare un compenso al carico di interessi passivi che doveva
corrispondere alle aziende di credito in seguito alle disponibilità versate presso di essa, cercò
di riversare sul Tesoro una parte di tale onere investendo, in BTO annuali, fin dal 1943, una
parte notevole delle disponibilità vincolate. Questo tipo di investimento venne effettuato
esclusivamente al Nord e aumentò da 8 miliardi di lire a fine 1943 a 68 miliardi di lire nel
1945. Al Sud invece una apposita convenzione stabilì che gli interessi in questione fossero a
carico dello Stato.
Nell'immediato dopo-guerra Banchieri ed Economisti discussero a lungo riguardo i
rapporti tra Banca d'Italia e Tesoro dello Stato. Il Governatore Luigi Einaudi ricordava nella
relazione letta il 29 marzo 1946 all'adunanza dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia
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per l'esercizio 1945 che "Mentre nei testi di legge di dieci anni orsono avevano voluto dare
al nostro Istituto fisionomia e funzione di Banca delle banche, ne ha fatto, nella realtà, una
banca del Tesoro"
7
.
Il Governatore della Banca d'Italia si riferiva alle leggi di riforma bancaria del 1936
elaborate in sede IRI da Donato Menichella suo successore alla carica di Governatore, nelle
quali, l'Istituto di emissione, acquistava un ruolo "super partes" di regolatore dell'attività
bancaria e monetaria.
In realtà la storia economica dava molti esempi, di momenti di emergenza, in cui la
Banca Centrale non aveva potuto negare credito alla Tesoreria dello Stato e alle industrie
impegnate nella produzione bellica. Anche nella fattispecie italiana era dunque impossibile,
dalla preparazione della campagna militare in Etiopia in poi, evidenziare una politica del
nostro Istituto di emissione indipendente da quella del Tesoro.
Il finanziamento indiretto alla guerra rappresentò per il Tesoro un notevole sollievo in
quanto contribuì ad evitare una maggiore dilatazione dei segni monetari. Un elogio a questo
meccanismo venne direttamente da Luigi Einaudi, nella relazione del 1945, quando ricordò
che se i biglietti avessero dovuto interamente coprire i 630,8 miliardi di lire di disavanzo
effettivo dei sei anni di guerra, "sarebbe stato il diluvio universale"
8
.
Grazie invece ai BTO del Tesoro ed ai depositi vincolati presso la Banca d'Italia la
circolazione aumentò invece di 630 miliardi solo per 269 miliardi di lire ossia del 43%.
La percentuale maggiore di questo aumento si ebbe soprattutto dopo l'8 settembre
1943 quando nei 22 mesi trascorsi tra l'armistizio e la liberazione dell'intero territorio
nazionale la massa dei biglietti preesistente triplicò creando così una situazione di forte
inflazione.