INTRODUZIONE
Il presente lavoro, che si configura come un'analisi da un punto di vista di genere del
dispositivo di mediazione linguistico-culturale, nasce dalla consapevolezza delle difficoltà di
inserimento vissute dalle donne migranti che si stabiliscono nel nostro paese. Una
consapevolezza che si è venuta consolidando nei contatti avuti con queste donne e nei discorsi
scambiati con loro, grazie principalmente alle esperienze svolte come tirocinante
nell'Associazione interculturale Trama di terre e come insegnante di lingua italiana in un corso
per donne straniere. Tra i problemi quotidianamente incontrati dalle donne immigrate, emergono
in maniera rilevante le difficoltà di utilizzo dei servizi pubblici presenti sul territorio. Tali
difficoltà appaiono per lo più attribuibili alla scarsa conoscenza della lingua italiana, e alle
differenze di tipo culturale che informano pratiche e concetti in gioco. Nasce da qui l'interesse
per la mediazione linguistico-culturale, quale strumento volto a favorire l'inserimento degli
stranieri facilitandone il rapporto con i servizi.
In Italia, la mediazione linguistico-culturale è stata introdotta nei servizi a partire
dall'inizio degli anni '90, con l'obiettivo principale di agevolare la comunicazione tra operatore e
utente straniero. Da allora, si sono andate moltiplicando le esperienze intraprese in quest'ambito,
e il tema della mediazione linguistico-culturale si è imposto all'attenzione di studiosi e addetti ai
lavori. I numerosi studi che si sono dedicati all'argomento ne hanno preso in considerazione i
diversi aspetti, sia pratici che teorici, e non sono mancate le ricerche sul campo. Al di là
dell'unanime riconoscimento dell'utilità di tale dispositivo, tuttavia, emerge dagli studi una forte
eterogeneità di concezioni teoriche e di applicazioni pratiche rispetto alla mediazione ed alla
figura del mediatore. Tuttora, si sente pertanto la necessità di arrivare ad una maggiore
definizione di cosa sia la mediazione, da cui l'importanza di ulteriori studi e ricerche.
Le interconnessioni che legano la mediazione linguistico-culturale alla particolare
condizione delle donne migranti rappresentano un'area ancora poco indagata. Un'analisi della
mediazione linguistico-culturale effettuata da un punto di vista di genere risulta peraltro di
notevole interesse, laddove si consideri che sono in prevalenza le donne ad usufruire dei servizi
del territorio, e ad avere al contempo un maggiore bisogno di mediazione. Spesso, infatti, le
donne immigrate non conoscono la lingua italiana, e vivono isolate nella società di accoglienza.
Anche se non è corretto parlare di tradizione versus modernità, inoltre, è tuttavia innegabile che
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proprio la donna vive maggiormente le differenze legate a pratiche culturali diverse, a partire
dalla stessa gestione del proprio corpo.
Avvalendomi degli studi condotti sull'argomento, discuterò aspetti pratici e teorici della
mediazione linguistico-culturale, con l'intento di metterne in luce i risvolti legati alla condizione
delle donne migranti. In particolare, l'analisi che intendo svolgere inserisce la riflessione sulla
mediazione linguistico-culturale, e la relativa ricerca sul campo, nel più ampio contesto delle
migrazioni internazionali. Verrà pertanto ripresa la letteratura scientifica prodotta in merito, al
fine di inquadrare il fenomeno migratorio nei suoi diversi aspetti. Considerato il particolare focus
della presente ricerca, verrà inoltre dato un ampio spazio a quei filoni di ricerca che hanno
affrontato l'argomento in una prospettiva di genere. L'indagine si concentrerà quindi sul
particolare contesto italiano, di cui verranno discussi i caratteri assunti dalla presenza immigrata
e il modo in cui tale presenza è stata gestita. A tal fine, verrà proposta un'analisi della
legislazione nazionale e locale in materia di immigrazione.
Alla riflessione nella prospettiva di genere sul tema della mediazione linguistico-
culturale, si lega, dandovi un valore aggiunto, la ricerca effettuata nell'ambito dell'Associazione
interculturale Trama di terre di Imola, un'associazione tutta al femminile, che lavora a favore
delle donne migranti, e da oltre dieci anni offre un servizio di mediazione svolto principalmente
nell'ambito dei servizi sociali e sanitari del territorio imolese. Per questo, mi è parso che potesse
costituire un fruttuoso campo di indagine. La ricerca nell'ambito dell'associazione è stata
effettuata sulla base di tre mesi di tirocinio, che mi hanno dato la possibilità di adottare il metodo
dell'osservazione partecipante rispetto all'area della mediazione, e delle interviste in profondità
rivolte alle mediatrici che vi lavorano.
Al fine di sviluppare in maniera coerente gli argomenti appena esposti, il lavoro si
articola in quattro capitoli.
Nel primo capitolo si provvede ad inquadrare in generale il fenomeno delle migrazioni
internazionali. Si discutono, innanzitutto, le principali definizioni con le quali ci si riferisce a tale
fenomeno, quali quelle di “migrazione/migrante”, “immigrazione/immigrato” ed
“emigrazione/emigrato”. Di questi termini viene messa in evidenza l'intrinseca problematicità, in
quanto definiscono costruzioni sociali piuttosto che realtà oggettive. Viene quindi effettuata una
possibile periodizzazione, mirante a contestualizzare il fenomeno migratorio all'interno della
specifica fase storica attraversata. Si vede in tal modo che si tratta di un fenomeno mutevole, le
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cui caratteristiche si modificano al cambiare del contesto economico, politico e sociale. Vengono
infine presentate le principali teorie esplicative delle migrazioni internazionali offerte dalla
letteratura scientifica, riguardanti sia le cause che danno origine ai flussi migratori, sia le ragioni
del loro perpetuarsi. Ognuno dei modelli teorici proposti concentra la sua attenzione su
determinati aspetti del fenomeno migratorio piuttosto che su altri, fornendone in tal modo una
spiegazione soltanto parziale. Una rassegna dei vari modelli teorici proposti appare perciò
necessaria al fine di spiegare il fenomeno in maniera più completa.
Nel secondo capitolo si propone una lettura in chiave di genere delle migrazioni
internazionali, a partire dal riconoscimento della rilevanza che assumono le donne in
quest'ambito, sia in termini quantitativi che per l'apporto dato rispetto ai contesti socio-economici
di arrivo e di provenienza. Si riportano quindi le principali linee di ricerca che affrontano lo
studio delle migrazioni internazionali adottando una prospettiva di genere. Questi studi,
intrapresi in gran parte da donne, si sono andati sviluppando in seguito al forte aumento del
numero di donne migranti registrato negli ultimi decenni. Viene inoltre discusso un particolare
aspetto della condizione di queste donne, ossia il ruolo che esse detengono nella sfera del
welfare. Rispetto a tale ambito, si mette in luce l'importanza delle donne migranti sia come
fornitrici che come utenti di servizi, e come mediatrici tra i servizi e la propria comunità di
appartenenza.
Nel terzo capitolo, l'attenzione si concentra sul contesto italiano quale meta dei flussi
migratori. Viene in primo luogo delineato un breve excursus storico della parabola dell'Italia
come paese di immigrazione, prendendo fra l'altro in considerazione le possibili cause che ne
sono all'origine. Si vanno quindi a vedere le caratteristiche che tali flussi presentano attualmente,
sia sotto il profilo quantitativo che per l'aspetto qualitativo. Viene inoltre effettuata un'analisi
della legislazione nazionale in materia di immigrazione, con l'obiettivo di mettere in luce il modo
in cui tale fenomeno è stato gestito dal punto di vista politico. L'indagine si concentra poi, in
maniera specifica, sulle effettive possibilità per gli stranieri di usufruire dei servizi di welfare
presenti sul territorio, in quanto importante aspetto dei processi di inserimento della popolazione
immigrata nel nostro paese. Si prendono perciò in considerazione una pluralità di aspetti relativi
al rapporto che gli immigrati instaurano con i servizi del territorio, quali le prevalenti modalità di
accesso e i maggiori problemi riscontrati nel loro utilizzo. Vengono infine discussi gli aspetti sia
teorici che pratici della mediazione linguistico-culturale, quale strumento recentemente
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introdotto al fine di agevolare la comunicazione tra operatore e utente straniero nell'ambito della
relazione di servizio.
Nell'ultimo capitolo si espone la ricerca sull'offerta di mediazione linguistico-culturale
proposta dall'Associazione interculturale Trama di terre di Imola. Al fine di inquadrare il lavoro
svolto dall'Associazione, vengono innanzitutto discusse le politiche dell'integrazione adottate a
livello nazionale e locale. Tali politiche concorrono infatti a definire il contesto entro il quale
vengono attuati gli interventi rivolti all'inserimento della popolazione immigrata, tra cui
l'introduzione della mediazione linguistico-culturale nei servizi. Il lavoro di ricerca si concentra
quindi sullo specifico contesto in cui opera l'Associazione. Vengono perciò descritti i caratteri
assunti dalla presenza straniera a livello regionale, provinciale e comunale, e gli interventi rivolti
alla popolazione straniera, prestando particolare attenzione alla mediazione linguistico-culturale.
Infine, si presenta il caso dell'Associazione interculturale Trama di terre. Viene innanzitutto
preso in considerazione il lavoro svolto dall'Associazione nell'ambito dell'intercultura e a favore
delle donne migranti, e l'offerta di mediazione proposta. Si procede quindi ad esporre la ricerca
svolta nell'ambito dell'Associazione, con l'intento di mettere in evidenza ciò che emerge dalla
pratica concreta del lavoro di mediazione, gli elementi di criticità e quelli di forza. In particolare,
attraverso l'analisi delle interviste, si mira a mettere in luce gli elementi di maggior rilievo
relativi a tre grandi aree di interesse: la percezione che le mediatrici hanno del proprio lavoro;
l'utilizzo della mediazione nei servizi; il feedback da parte dell'utenza.
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CAPITOLO I
Il fenomeno migratorio
Le migrazioni, intese come trasferimento permanente o temporaneo di persone da un
territorio ad un altro sono un fenomeno da sempre presente nella storia dell'umanità, tanto che si
può affermare che “gli umani sono una specie migratoria” [Massey et al., 1998]. In ogni epoca si
sono avuti trasferimenti da un territorio all'altro di singoli individui, di gruppi o di intere
popolazioni, e la mobilità geografica è da sempre stata adottata da uomini e donne come strategia
per sperimentare migliori condizioni di vita, oltre che per garantirsi la sopravvivenza. Pur
tuttavia si può dire che le migrazioni internazionali così come oggi le conosciamo sono un
fenomeno relativamente recente, in quanto il nostro modo di intendere le migrazioni
internazionali è strettamente connesso al formarsi dell'idea di Stato-nazione e dei relativi confini.
Se consideriamo la migrazione come uno spostamento nel tempo e nello spazio alla
ricerca di migliori condizioni di vita, si potrebbe in effetti paradossalmente dire che siamo tutti
migranti, sebbene varino le distanze percorse e la durata delle migrazioni. Nel viaggio si
oltrepassano confini, formali o informali, pubblici o personali, “linee virtuali tracciate dall'uomo,
con volontà d'inclusione o d'esclusione” [Mosca, 2008: 1]. Le diverse epoche storiche hanno
visto definizioni diverse di quali fossero i confini, e quali le caratteristiche rilevanti ai fini
dell'inclusione e dell'esclusione. L'idea di Stato come comunità di cittadini, affermatasi in epoca
moderna, porta con sé quella di un confine, che i non-cittadini non sono liberi di attraversare
senza esserne autorizzati, e le varie opzioni nazionali riguardo i criteri di inclusione ed
esclusione riflettono il modo in cui, in ciascun paese, si è storicamente configurato il rapporto tra
l'individuo, la società e lo Stato [Zanfrini, 2007: 29]. Il potere sovrano detenuto dai governi
nazionali nel regolare l'accesso al proprio territorio, così come nello stabilire i criteri di accesso
alla cittadinanza, si concretizza nelle politiche migratorie, che si riferiscono alla “capacità di uno
Stato d'esercitare il suo controllo sui flussi migratori importando migranti quando vuole, dove
vuole, con le qualità da esso desiderate, nelle quantità da esso specificate, alle condizioni da esso
definite e per la durata da esso scelta” [Zanfrini, 2007: 115]. Tale prerogativa, gelosamente
custodita dai governi nazionali a fronte delle sempre maggiori difficoltà nell'esercitare un
effettivo controllo, fa sì che il diritto di emigrazione affermato dalla Dichiarazione dei diritti
umani delle Nazioni Unite non trovi corrispondenza in un diritto d'immigrazione, con tutto ciò
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che ne consegue per l'individuo.
Come è stato giustamente osservato “definire un movimento richiede di tracciare una riga
e convenire che essa è stata attraversata. Dove tale linea venga tracciata geograficamente e
amministrativamente è sostanzialmente una costruzione sociale e politica” [Zanfrini, 2007: 35].
Gli effetti sugli individui di tale costruzione sociale e politica, tuttavia, sono indubbiamente
molto reali. E' sulla base di questa costruzione infatti, e dei relativi criteri di inclusione ed
esclusione, che determinati diritti vengono attribuiti ad alcuni individui e negati ad altri, ed essa
influisce profondamente sulle concrete condizioni di vita delle persone così come sulla
percezione della propria e dell'altrui “alterità”.
Accanto alla complessità ed eterogeneità dei movimenti etichettabili come migrazioni,
emerge pertanto chiaramente la difficoltà di giungere ad una definizione “oggettiva” di migrante,
essendo essa il risultato di una costruzione sociale. Gli studiosi hanno per lo più utilizzato come
base di partenza la definizione di migrante proposta dalle Nazioni Unite, pur nella
consapevolezza delle sue lacune. Il migrante è, secondo tale definizione, “una persona che si è
spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un
anno. Il paese di destinazione diventa così in effetti il nuovo paese di residenza abituale”
[Ambrosini, 2005: 17; Kofman et al., 2000: 9]. Va peraltro notato che la più recente definizione,
presente nelle Raccomandazioni sulle statistiche relative alle migrazioni internazionali ha fatto
proprie le critiche mosse alla definizione precedente, superando così alcune delle lacune
evidenziate. In base ad essa il migrante internazionale è definito come “qualsiasi persona che
cambia il suo paese di residenza abituale” [Nazioni Unite, 1998], superando così l'idea che la
migrazione internazionale implichi un periodo di residenza abituale prolungato nel paese di
destinazione. La distinzione qui presente tra migrante di lungo periodo (“colui che si sposta in un
altro paese rispetto a quello di residenza abituale per più di un anno”) e migrante di breve
periodo (“colui che si sposta in un altro paese rispetto a quello di residenza abituale per un
periodo di almeno 3 mesi ma meno di un anno, eccetto che per motivi di turismo e simili”), ha
avuto in effetti luogo dall'esplicito riconoscimento che uno dei nuovi tratti caratteristici della
mobilità internazionale è l'aumento dei trasferimenti da un paese all'altro per brevi periodi, per
motivi altri rispetto al turismo.
Il termine “migrazione” è peraltro un termine generale, che include le diverse fasi del
trasferimento. La migrazione è perciò inquadrabile come un processo, dotato di una dinamica
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evolutiva che comporta una serie di adattamenti e modificazioni nel tempo, e come sistema di
relazione che lega le aree di partenza, quelle di transito e quelle di destinazione, coinvolgendo
una pluralità di attori. Si è soliti distinguere, all'interno di tale processo, il movimento
dell'emigrazione, che si riferisce all'uscita dal paese d'origine, rispetto al movimento
dell'immigrazione, che riguarda invece l'ingresso nel paese di destinazione. Vengono di
conseguenza rispettivamente definiti emigranti ed immigrati coloro che compiono questi
spostamenti.
Va tuttavia tenuto presente che, al di là di tali definizioni accademiche, non è facile
definire con precisione chi siano gli immigrati. La definizione di immigrato, i criteri che
determinano chi esso sia e quale sia la sua condizione, così come i diversi termini utilizzati per
riferirvisi, variano infatti da paese a paese, e si modificano nel tempo. Essi riflettono le
specificità della storia migratoria di ciascun paese e sono il frutto di determinate scelte politiche.
Tale situazione incide tra l'altro fortemente sull'analisi quantitativa del fenomeno migratorio, in
quanto l'impiego di definizioni diverse, o di diversi criteri ai fini del conteggio, rende
difficilmente comparabili, e in definitiva poco affidabili, i relativi dati. A fronte di ciò, a livello
internazionale, sono stati stabiliti programmi per l'armonizzazione delle statistiche sulle
migrazioni, sia da parte dell'Unione Europea (Eurostat) che da parte delle Nazioni Unite.
Ciò che mi preme maggiormente sottolineare è comunque il fatto che la condizione di
immigrato non è affatto una condizione oggettiva, ma bensì determinata socialmente e
politicamente, e l'incertezza che ne deriva si riflette a volte in maniera anche drammatica sulla
vita del migrante. “Le categorie con cui definiamo i migranti non esistono «in natura», ma sono
il frutto di processi di costruzione sociale che riflettono scelte di tipo politico-giuridico,
atteggiamenti e vissuti della popolazione, sentimenti custoditi dalla memoria collettiva”
[Zanfrini, 2007: 16]. E' quindi con la coscienza di tale insopprimibile arbitrarietà, insita in
termini che tuttavia producono effetti molto reali, che è bene intraprendere un qualsiasi studio del
fenomeno migratorio e dei relativi aspetti.
1.1. Le fasi storiche
Caratteristica dei fenomeni migratori è, come abbiamo visto, la loro “onnipresenza” nella
storia dell'umanità. Nello studio delle migrazioni si usa dunque operare delle periodizzazioni, al
fine di inquadrare il fenomeno all'interno del relativo contesto economico, politico e sociale. Tale
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contesto non è mai neutrale, ma anzi condiziona fortemente i modi in cui si configurano gli
spostamenti di persone attraverso le frontiere.
La periodizzazione che segue riprende quella operata da Zanfrini (2007). Tale
periodizzazione prende avvio dall'età moderna, anziché limitarsi alla sola storia contemporanea,
nella consapevolezza dell'importanza avuta dall'espansionismo europeo di quegli anni sugli
attuali assetti geo-politici. Sebbene prenda in considerazione soltanto una piccola parte dei
movimenti di popolazione svoltisi in tale periodo storico, tale trattazione ha quantomeno il
merito di riconoscere il ruolo determinante avuto dalle strategie espansive dei paesi europei,
culminate nella colonizzazione, nel “definire la composizione etnica dei vari popoli, ma anche il
contesto da cui origineranno, negli anni a noi più vicini, le migrazioni dal Sud al Nord del
mondo” [Zanfrini, 2007: 51-63].
La stessa periodizzazione potrebbe tra l'altro risultare meno particolareggiata di altre, in
quanto sono abbastanza ampi gli intervalli di tempo coperti nelle diverse fasi storiche
individuate. Proprio questo modo di inquadrare il fenomeno migratorio attraverso il tempo,
tuttavia, permette allo sguardo di aprirsi maggiormente, di modo da coglierne in maniera più
immediata elementi di continuità e di cambiamento attraverso epoche anche molto lontane tra
loro.
1.1.1. La fase mercantilista e la colonizzazione del Nuovo Mondo
L'inizio delle migrazioni dell'età moderna è comunemente individuato nel XV secolo,
l'epoca delle grandi esplorazioni geografiche. La prima fase, collocabile cronologicamente tra il
1500 e il 1800, viene definita mercantilista, in ragione dell'ideologia allora egemone, che vede
nella crescita dei capitali e della popolazione una fonte di prosperità e di potere per lo Stato. In
questa prima fase l'immigrazione viene perciò incoraggiata, mentre l'emigrazione viene al
contrario ostacolata anche attraverso specifici provvedimenti.
Due imponenti movimenti di popolazione hanno luogo in questi anni, sospinti
dall'impulso dato dalle conquiste geografiche del XV secolo alle migrazioni transoceaniche: il
primo è quello degli europei, che si riversano nelle terre di conquista guidati dai più diversi
motivi, mentre il secondo è quello degli schiavi, trasportati coattivamente dall'Africa alle
Americhe. Le proporzioni di questi movimenti, ciascuno dei quali arriva a coinvolgere decine di
milioni di persone, sono tali da sconvolgere la composizione etnica delle Americhe, del Sud
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