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Introduzione
Quale ruolo hanno svolto le donne nelle società dell'Europa moderna? Questa la domanda
di partenza che ha guidato la ricerca dell'argomento per la tesina triennale. E quale
prospettiva migliore per affrontare il tema di quella che non solo osservi il fenomeno dal
punto di vista della minoranza per eccellenza, le donne, ma soprattutto che lo affronti in
maniera intersezionale essendo le donne moriscas una minoranza nella minoranza.
L’elaborato affronta la questione da un punto di vista storico-culturale presentando un
profilo dei Moriscos nel lungo Cinquecento, un arco cronologico traumatico per la
variegata comunità musulmana presente nei regni di Spagna, segnata dalla caduta del
regno nasride di Granada, dai decreti di conversione, dalle deportazioni interne e
dall'espulsione finale in un quadro in cui i moriscos, nuovi cristiani di ascendenza
musulmana, sono diventati agli occhi delle autorità civili ed ecclesiastiche potenziale
nemico: dell’ortodossia religiosa, dell'uniformità confessionale e della sicurezza dei regni
a fronte della coeva espansione islamico-ottomana. Una condizione che i Moriscos
fronteggiarono attraverso una pluralità di strategie, che spaziano dalla dissimulazione alla
rivolta aperta.
L'interesse storico-culturale si è ampliato all'intera comunità per due motivi, uno
puramente contestuale. Era necessario acquisire una conoscenza delle premesse e dei
contorni della vicenda morisca, e la storia di questa comunità è stata affrontata grazie agli
studi di uno dei suoi massimi esperti: Bernard Vincent. Il secondo motivo è culturale, ed
è poi diventato un aspetto oggetto di approfondimento nell’ambito di questo lavoro:
l’esame dei ruoli di genere. Non avrei potuto parlare in modo chiaro del ruolo e delle
strategie messe in atto dalle donne moriscas, senza prima aver parlato di come il contesto
dell'epoca abbia spinto entrambi i generi a intersecarsi tra loro. Gli uomini, perché descritti
dalle autorità cristiane come effemminati e per questo denigrati, le donne perché costrette
a ricoprire i compiti lasciati scoperti dagli uomini arrestati, resi schiavi o fuggiti. E che
ironia della sorte la denigrazione dell'uomo morisco per una presunta femminilità, quando
è in gran parte grazie alle donne moriscas che la comunità ha potuto continuare a
tramandarsi cultura e tradizioni. Partendo dal volume di Elizabeth Perry “The Handless
Maiden” sono venuta a conoscenza delle prime due figure che probabilmente hanno
avuto un ruolo rilevante sullo spirito della comunità morisca, Zarçamodonia e Carcayona.
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Zarçamodonia, la guerriera, perfetto esempio di capovolgimento dei ruoli di genere,
racconto in cui una donna scende in battaglia e non solo dà prova della sua forza fisica,
ma anche della sua intelligenza e diplomazia nell’intervenire per sedare gli animi tra i
moriscos e chi giunge loro in aiuto dalle coste africane. E Carcayona, già protagonista di
altre tradizioni folkloriche europee, che in questo contesto scopre la vera fede in Allah e
affronta le avversità, senza mani, fino a crearsi un suo regno. Non è difficile pensare che
donne e uomini moriscos devono aver attinto da questi racconti, così come dai racconti
dell'esodo di Mosè, per trovare la speranza di essere nel giusto e la certezza che sarebbero
prima o poi stati ricompensati per la loro resistenza, perseguita mettendo in atto tutta una
serie di strategie volte a mantenere la propria sopravvivenza fisica, tangibile, ma anche la
sopravvivenza delle proprie tradizioni. È in questa direzione che mi sono mossa per
comprendere quali fossero effettivamente queste strategie, quelle che James C. Scott
esamina nel suo libro “Weapons of the Weak: Everyday Forms of Peasant Resistance”: le
armi dei deboli. Nonostante le due più importanti sollevazioni di cui parlerò nel testo,
avvenute sulle montagne delle Alpujarras, rispettivamente nel 1499 e nel 1568, non ci si
può di certo aspettare che una minoranza, i cui componenti, per la maggior parte,
appartengono alle classi socioeconomiche più basse, e a cui con vari decreti durante il ‘500
vengono vietate le armi, possano effettivamente organizzarsi in un esercito con cui
combattere contro l’esercito regolare dei regni spagnoli.
Non che i tentativi non fossero stati fatti, appunto, anche chiedendo l’aiuto alle
comunità islamiche dall’altra parte del Mediterraneo e anche con l’aiuto delle donne,
che, come vedremo, parteciperanno attivamente alle battaglie, armate anche solo di
rocce e spiedoni. Ma, la strategia per eccellenza, è quella della taqiyya, la dissimulazione.
Lungo tutto il secolo, al fianco di chi combatteva sulle montagne, nei villaggi e nelle città
rimanevano centinaia di migliaia di moriscos che cercavano di dissimulare la propria
fede, tentando allo stesso tempo di non dimenticarla. Sono i criptomusulmani, coloro
che hanno subito i battesimi forzati a cavallo dei secoli XV e XVI, ma che non si sono
mai davvero convertiti al cristianesimo. Bisogna chiarire però che le misure
discriminatorie verso i moriscos non saranno rivolte solo ai criptomusulmani, ma anche
a chi si era sinceramente convertito al cristianesimo: questo sarà proprio uno dei punti
cruciali trattati in questo lavoro per capire come si è giunti all’espulsione di 50.000
persone dal territorio iberico alla fine del XVI secolo. Se all’inizio per le autorità
cristiane il problema che si poneva era quello di avere dei sudditi di religione islamica, e
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dunque infedeli, nel corso del ‘500 vengono presi di mira tutti i particolarismi moriscos,
includendo quelle pratiche che non appartenevano necessariamente ai riti religiosi, ma
alla loro cultura nel senso più ampio del termine, come l’abitudine di mangiare seduti
per terra, di cucinare con olio e non con burro, l’abbigliamento, il modo di lavarsi. Si
cerca a tal punto di eliminare ogni rimando alle ascendenze rituali e culturali islamiche
che con i battesimi forzati si eviterà di dare ai moriscos nomi che, sebbene accettabili
dalla dottrina perché comuni alle due religioni, avrebbero potuto ricordare troppo i
nomi di origine come è il caso per Abramo, Giuseppe e Maria.
Ed è in questo contesto che osserviamo i tentativi di mantenere i propri nomi arabi per i
rapporti con la propria famiglia, e il nome cristiano all’esterno delle proprie case, oppure
la trasformazione dei riti religiosi che vengono ridimensionati per essere praticati
all’interno dei luoghi domestici e da figure diverse rispetto a quanto normalmente
previsto. E di conseguenza, per esempio, a fronte dell’assenza degli uomini, non sarà più
il padre a dare il nome al proprio bambino, ma le donne della famiglia, che
contestualmente cambieranno il rito per aggiungere un’ulteriore funzione, quella di lavare
via l’olio battesimale dal neonato.
Come brevemente accennato, i contesti domestici svolgeranno un ruolo fondamentale
nella preservazione culturale dei moriscos, e proprio per questo le autorità cristiane spesso
le perquisiranno, specialmente nelle ricorrenze che normalmente per le persone di fede
islamica sono sacre, dedicate ai propri riti. Ecco, dunque, che di nuovo i moriscos
dovranno adattarsi, creando spazi nascosti sotto i pavimenti, per celare testi scritti in arabo
(vietati, insieme all’uso della lingua araba nel 1526). E ancora il divieto dell’uso della lingua
araba ci permette di affrontare un altro tema, quello della reticenza all’assimilazione: se
per gli uomini era più difficile ignorare del tutto le disposizioni di legge, perché per lavoro
entravano più spesso in contatto con i cristiani e la comunicazione era necessaria, per le
donne questo non succedeva. Essendo più spesso le responsabili del lavoro domestico o
occupandosi di mansioni per le quali non era necessaria una comunicazione sociale rivolta
all’esterno della comunità, come tessere la seta, sono proprio loro la categoria, insieme
agli anziani, che peggio parla lo spagnolo e che si sa esprimere esclusivamente in arabo.
Certo, non poter più scrivere liberamente in arabo né tantomeno insegnarlo in maniera
formale, fa sì che l’alfabetizzazione vada peggiorando durante il XVI secolo, ma le donne,
madri e nonne, non smetteranno mai di cercare di insegnare la propria lingua e le proprie
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credenze ai figli. Nonostante l’esito della vicenda morisca sia stato tutt’altro che fausto,
vedremo nel lavoro qui proposto come questa minoranza tanto vessata non sarà solo
oggetto di un destino scritto per loro da altri, ma spesso soggetto attivo e resiliente.
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Capitolo 1 – Da mori e mudéjares a moriscos
La storia dei moriscos, gli abitanti di origine musulmana della Spagna del Siglo de Oro,
parla di un mosaico di comunità incomprese, spesso raccontate come vittime passive delle
politiche volte all’unità confessionale dei regnanti spagnoli, ma che invece ha saputo
ricoprire un ruolo attivo nella scrittura del proprio destino. Le vicissitudini che hanno
interessati i moriscos sono strettamente legate alle vicende storiche che hanno toccato la
penisola iberica nei sette secoli intercorsi dalla conquista araba (711) al successo
diplomatico e militare di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, con il loro ingresso
vittorioso nel regno di Granada all'inizio di gennaio del 1492, e poi ancora nel lungo
Cinquecento che ha visto il fallimento della convivenza tra cristiani e i mudéjares prima e i
moriscos poi
1
.
Per comprendere come si è giunti al destino infausto che ha segnato la vita di questa
minoranza in Spagna e quindi al passaggio dalla condizione di mori e mudejares
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a quella di
moriscos poi, bisogna partire dal 19 ottobre del 1469 quando Ferdinando Re di Sicilia ed
erede al trono del Regno di Aragona ed Isabella erede al trono di Castiglia, si sposarono
in una residenza privata di Valladolid. L’unione delle corone prefigurata da tale
matrimonio, non a caso contrastato all’interno della penisola iberica e non solo, non
avrebbe portato all’unione dei due regni, ma avrebbe orientato i sovrani verso la
valorizzazione dell’uniformità religiosa come cornice unitaria di una monarchia per sua
natura plurale, costituita dal Regno di Aragona, composto da Catalogna, Aragona e
Valenza, e dal regno di Castiglia. Due entità segnate da differenze profonde e da
esperienze e vocazioni non meno distinte. Come ricorda Elliott, la corona di Aragona
aveva prospettive cosmopolite e di predominio ad indirizzo mercantile, la corona di
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John H. ELLIOTT, “La Spagna imperiale”; Antonio DOMÍNGUEZ ORTÍZ, “Historia de los
Moriscos – Vida y tragedia de una minoría”, María José CERVERA FRÁS, “Mudéjares y moriscos en la
sociedad aragonesa; Ana ECHEVARRÍA, “De mudéjares a moriscos en el Reino de Castilla (1480-1504);
José JIMENEZ LOZANO, “Judíos, moriscos y conversos”.
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Secondo la definizione data da María José CERVERA FRAS in “Mudejares y Moriscos en la sociedad
Aragonesa”, il termine mudejar deriva da una parola araba che significa “sottomesso, addomesticato”. Si
riferisce ai musulmani sottomessi al potere cristiano dopo che questi ultimi ebbero conquistato il territorio
occupato dai mori. Il termine morisco si riferisce invece ai mudejares che siano stati obbligati a convertirsi,
per decreto del 1501-1502 in Castiglia e del 1525-1526 nel regno di Aragona. Non si possono considerare
mudejares i mori prima del 1492 e non si può parlare di moriscos prima del 1501 e 1525 rispettivamente.
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Castiglia si presentava come un’entità legata all’esperienza della frontiera aperta con il
mondo islamico, attitudine che mostrerà lungo tutto il secolo
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.
In particolare, all’epoca del matrimonio di Isabella, la Castiglia era ancora impegnata nel
conflitto con gli attori politici musulmani presenti nel territorio iberico, e la sua società
presentava un tratto marziale e uno spirito di crociata marcato. Questa predisposizione si
riflette nella figura dell’hidalgo, ovvero colui che avrebbe vissuto solo per fare la guerra e
che avrebbe fatto l’impossibile sfruttando il proprio coraggio e il proprio valore. Per
l’hidalgo il denaro e le ricchezze andavano conquistati tramite i bottini ottenuti grazie alle
proprie gesta militari, piuttosto che guadagnati con il proprio lavoro
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. La guerra contro i
mori, intesa sia come crociata contro gli infedeli, sia come spedizione militare per fare
bottino, lascerà il segno nelle istituzioni, nelle pratiche e negli immaginari sociali.
Considerato l’aspetto di guerra santa contro l’Islam della Reconquista, un ruolo
predominante ebbe il clero a cui fu affidato il compito di mantenere vivo il sentimento di
devozione militante della popolazione, imprimendo nello spirito dei castigliani la
convinzione di essere partecipi di una missione voluta da Dio: liberare il paese dagli
infedeli
5
. Nel 1492 la conquista di Granada e il primo viaggio transoceanico di Cristoforo
Colombo furono due eventi fondamentali, che diedero il via a una nuova epoca di
espansione per la Castiglia. In particolare, l’assunzione del controllo del territorio del
regno di Granada rinsaldò il ruolo di rilievo della penisola iberica nella politica
internazionale e conferì ai sovrani uno status prestigioso, riconosciuto con il titolo di Re
Cattolici da parte di Alessandro VI nel 1494.
Va ricordato tuttavia che oggi la storiografia riconsidera la plurisecolare guerra dei cristiani
contro i mori in chiave polifonica e interculturale, affinando l’analisi relativa alle stagioni
di coesistenza, alle tregue e ai rapporti politico-diplomatici. In effetti, durante il XV secolo,
la Reconquista sembrava aver subito un arresto. Fu la caduta di Costantinopoli nel 1453
a sollecitare Enrico IV di Castiglia, il quale rispose agli animati appelli del clero che
chiedeva di continuare nella campagna promuovendo una nuova crociata. Negli anni
immediatamente successivi si registrarono così una serie di incursioni militari contro il
regno moresco di Granada fino al 1457, incursioni che non ebbero però un grande esito
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John H. ELLIOTT, “La Spagna imperiale”, p. 30
4
John H. ELLIOTT, “La Spagna imperiale”, p. 31
5
Ivi, p. 30
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Ivi, p. 48