INTRODUZIONE
La povertà consiste innanzitutto nella mancanza di un reddito acquisito in maniera
autonoma e il problema della povertà ha a che vedere, oltre che con una infinità di altre
ragioni, anche con la mancanza di acceso al capitale. “Relativamente parlando la fame e
la povertà riguardano più le donne che gli uomini. Se in una famiglia qualcuno deve
soffrire la fame, sarà sicuramente la donna. Ed è sempre la donna, in quanto madre che
vive la traumatica esperienza di non essere in grado di sfamare i bambini con il proprio
latte in tempi di penuria e di carestia. Per poco che le si offra la possibilità la donna sarà
pertanto ansiosa di costruirsi una sicurezza, e innanzitutto una sicurezza economica
1
”.
È da questi presupposti che si basa il mio lavoro di ricerca in Kenya.
Nel capitolo 1 ho analizzato la condizione della donna in Kenya, in tutti i suoi
innumerevoli aspetti, dall’ istruzione scolastica, alla salute, al lavoro e ai diritti, per
arrivare a concludere che in realtà la donna è una cittadina di seconda classe.
Nonostante ciò non sono mancati nel corso degli anni esempi nel paese del loro
impegno in qualsiasi attività, come è dimostrato dal fatto che iniziarono a rendersi
attive in cooperative sin dai primi anni ’70, non solo nella città di Nairobi, bensì in molti
distretti del Kenya. Ciò testimonia il fatto che le donne non si chiudono nel vittimismo e
si organizzano in tutto il mondo. È proprio per questo che vale la pena ricordare le
Conferenze mondiali delle donne, organizzate negli ultimi trent’anni dalle Nazioni
Unite.
Nel capitolo 2, introducendo innanzitutto l’importanza del settore informale, quindi
delle piccole e micro imprese, soprattutto per le donne, per il fatto che le micro imprese
contribuiscano a risollevare le aree più povere e che alcune contribuiscano addirittura
alla crescita dell’economia, ho sintetizzato i vari approcci al credito per le piccole e
micro imprese, vigenti in Kenya, sottolineando la difficoltà delle donne di accedere ai
prestiti delle banche convenzionali, per la mancanza di garanzie reali e di capitale.
Nel capitolo 3 ho descritto quella che è l’alternativa per le donne alle banche
convenzionali, ossia il microcredito, indicandone il funzionamento, gli obiettivi e la sua
espansione nel mondo e in particolar modo in Kenya. Ho ritenuto opportuno raccontare
1
Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri
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in breve le origini del microcredito, a partire dalla Grameen Bank di Yunus in
Bangladesh, sottolineando gli enormi successi, ma anche considerando i limiti del
microcredito, che pur continuando ad essere un strategia di sviluppo per l’economia,
non può da solo risolvere tutti i problemi dello sviluppo: quello del trasferimento delle
conoscenze, delle infrastrutture, della sanità, dell’educazione, dell’acqua e della terra
per i contadini, ma ciò non toglie che permette di valorizzare il lavoro dei poveri e di
accrescere l’uguaglianza delle opportunità. Infine nella parte empirica della mia ricerca
( 4 e 5 capitolo), ho descritto i due progetti di microcredito ai quali ho partecipato,
definendone in maniera dettagliata le caratteristiche e i requisiti per entrarne a far parte.
Nell’ultimo capitolo ho riportato il questionario che ho somministrato, tramite
interviste, ai soli membri donne di entrambi i progetti, per capire come la donna sia
considerata una garanzia per tali progetti e se sia rilevante per i progetti di sviluppo
considerare la donna come una reale forza economica.
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CAPITOLO 1
IL VOLTO FEMMINILE DEL KENYA
Più della metà della popolazione Kenyota vive al di sotto della soglia di povertà. La
Repubblica del Kenya, il Ministro della finanza e il Paper sulle strategie di riduzione
della Povertà del 2000-2003 dichiarano che, complessivamente l’incidenza nazionale
della povertà nel 1997 si aggirava intorno al 52%. Il 52,5% degli uomini Kenyoti nelle
aree rurali ed il 49.2% di quelli che vivono in aree urbane, vivono al di sotto della soglia
di povertà. In entrambi i casi, le statistiche che riguardano il genere femminile sono più
alte. IL 54.1% delle donne che vivono nelle zone rurali ed il 63% di quelle che vivono
in zone urbane vivono al di sotto della soglia di povertà
2
. La povertà in Kenya riveste un
ruolo femminile ed una società patriarcale come quella del Kenya non permette di certo
a queste donne di poter sfuggire alla povertà. Essere poveri in Kenya significa non poter
accedere ad acqua potabile depurata, mancanza di riparo, di cibi nutrienti e la non
possibilità di poter usufruire del trasporto pubblico nella stessa misura degli altri.
1.1 GENERE E POVERTA’ IN KENYA
Diversi fattori nel paese aggravano la povertà ed inibiscono i tentativi delle donne e
degli uomini Kenyoti di creare sostenibilità. Il Prodotto Interno Lordo in Kenya è
segnato da un quoziente negativo. I significativi risultati ottenuti in vari settori, come
l’educazione, l’agricoltura e la salute si stanno dissolvendo a causa dell’aumento della
povertà. Questo declino economico del paese risulta negativo soprattutto per le donne.
Solo il 25% delle donne kenyote sono impiegate nel settore formale e la maggior parte
invece lavora nel settore informale, dove non esiste sicurezza, ma molta precarietà. Il
valore economico del loro lavoro, pubblico e privato non viene riconosciuto.
2
Gender dynamics of Povertà in Kenya: Strategies for alleviation through the the PRSP and MTES
processes
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Istruzione scolastica
La parità di genere per quanto riguarda l’iscrizione scolastica è stata realizzata soltanto
nella scuola primaria, anche se ancora con sottili differenze tra uomini e donne. Per
quanto riguarda la scuola secondaria, esistono consistenti disparità di genere.
Nell’educazione universitaria, gli studenti donne continuano ad essere un numero
inferiore, con meno del 30% del totale degli iscritti. La non possibilità delle donne per
esempio di accedere a corsi di formazione, non permette loro di essere competitive a
livello lavorativo.
Salute
Le dinamiche di genere nell’epidemia HIV/AIDS non può essere sottovalutata. La
morte per AIDS colpisce uomini tra i 25 e 35 anni e donne tra i 20 ed i 30 anni,
implicando che le donne sono molto più vulnerabili degli uomini, assumendo all’incirca
un periodo di incubazione di dieci anni. Le statistiche indicano che più donne (33,428)
che uomini (32,912) con un’età di (15, 49 anni) sono infette da HIV/AIDS. Le donne
sono soggetti più vulnerabili in quanto hanno meno accesso all’educazione e ciò le
rende spesso incapaci di potersi informare a riguardo. Perlopiù le donne sono
socialmente dipendenti dagli uomini e quindi sottoposte a sesso non protetto. In più i
costumi e le pratiche socialmente accettate, come la donna in eredità al fratello del
marito e la poligamia praticata da alcune comunità etniche del Kenya, aumentano il
rischio delle donne di infezione da HIV.
Servizi
I prezzi molto alti del settore edilizio negli ambienti urbani sono fuori dalla portata della
maggior parte delle donne e ciò spinge loro a vivere negli slums e ad impegnarsi nel
settore informale. La non disponibilità di acqua e di servizi sanitari negli slums espone
donne e bambini ad un alto rischio di contrarre malattie, perpetuando il ciclo della
povertà, poiché questo implica che si riduca il tempo impiegato nel lavoro e di
conseguenza anche il livello di entrate nelle famiglie. La maggior parte delle persone
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che vivono nello slum e che lavorano in città hanno due possibilità per raggiungere la
città: camminare per ore ed ore od usufruire del servizio pubblico (Matatu nella lingua
locale). Ma il trasporto pubblico è il primo luogo di molestie sessuali in Kenya,
attraverso palpeggiamenti ed assalti.
Lavoro e diritti
Nelle culture indigene del Kenya, le donne hanno pochi diritti sulla terra e qualsiasi uso
è sempre mediato dalle relazioni con gli uomini. Tradizionalmente una donna può solo
coltivare un pezzo di terra in nome del marito, fratello o figlio. Ma in realtà le donne
provvedono approssimativamente al 75% del totale della forza lavoro agricola
impiegata, ma queste possiedono soltanto l’1% del totale delle terre. Sebbene le donne
hanno meno possibilità di usufruire di nuove tecnologie agricole perché non sempre
possono partecipare a corsi di formazione, è dimostrato che quando queste ultime hanno
l’ opportunità producono molto di più degli uomini. Spesso per esempio non hanno la
possibilità di organizzarsi in cooperative per la non accessibilità ai prestiti. L’alto indice
di interesse, le garanzie richieste da agenzie di credito formali sono i maggiori ostacoli
che le scoraggiano ad intraprendere un’attività. Le donne e gli uomini impiegati nel
settore informale (jua kali) sono vulnerabili allo sfruttamento, come sono vulnerabili
anche le donne povere che vivono nelle zone urbane e che guadagnano una cifra
insignificante con il loro commercio (così chiamate mama mboga).
È senz’altro vero che il rilancio economico e l’investimento internazionale sono
importanti, ma questo non può andare a discapito della salute e dei diritti dei lavoratori
kenyoti. Entrambi gli investimenti, locali ed internazionali, devono sottostare a regole
che tutelino i lavoratori. La vendita a basso costo delle importazioni agricole produce
effetti non solo sul mercato, ma sugli stessi interessi delle donne. Per di più, dal
momento che il livello di povertà in Kenya sta aumentando, spesso sarebbe preferibile
che per mantenere una famiglia entrambi i coniugi fossero impiegati, poiché
l’HIV/AIDS ha contribuito ad aumentare l’indice di vedove e vedovi. Negli ultimi anni
stanno aumentando notevolmente famiglie che poggiano sulla donne come unico
capofamiglia. Sfortunatamente dall’annullamento dell’Affiliation Act, gli uomini
Kenyoti non sono più legalmente responsabili della nascita dei bambini fuori dal
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matrimonio. Questo può essere considerato come uno dei maggiori fattori che
contribuiscono al gran numero di donne e bambini senza tetto che vivono per le strade
delle città del Kenya, principalmente nella capitale, Nairobi.
Con la sezione 82(1) e 82(2) della Costituzione del Kenya, si proibisce la
discriminazione sul genere; le sezioni 82(4b) e 82(4c) sono un’eccezione in materia di
legge abituale e personale. La legge personale così come è definita indica ambiti che
pervengono al matrimonio, la successione di proprietà e l’adozione. Queste sono tutte
aree di interesse che riguardano in particolar modo le donne. Sebbene the Law
Succession Act Cap. 160 delle leggi del Kenya, permettano ai bambini di qualsiasi sesso
di ereditare i beni paterni, i provvedimenti dell’atto non sono estesi alle terre agricole ed
alla produzione; queste vengono governate dalle leggi abituali. Infatti molte di tali leggi
non permettono alle figlie ed alle mogli di ereditare terreni agricoli e/o produzioni
agricole. Così se un uomo muore, avendo intestato la terra ed altre proprietà soltanto a
se stesso, la vedova e le figlie possono essere facilmente diseredate, anche se questa non
era la sua volontà. La povertà mantiene i Kenyoti ignoranti dei loro diritti e non
permette loro di proteggersi quando questi diritti vengono calpestati, dal momento che
non possono permettersi servizi legali, per via degli alti costi che dovrebbero sostenere e
anche perché la maggior parte dei servizi sono concentrati nelle zone urbane. Per queste
ragioni un esiguo numero di NGOs provvedono a fornire questi servizi, ma lo stato non
provvede a concedere alcun aiuto. Il sistema legale del Kenya è costruito per contenere
la criminalità, non tenendo presente i bisogni della vittima. Ancora molte donne
vengono a contatto col sistema legale come vittime del crimine e non come criminali.
Come conseguenza dell’instabilità dei paesi confinanti, il Kenya ha un alto numero di
rifugiati e di richiedenti asilo. La maggioranza delle vittime dei conflitti violenti oggi,
sono non combattenti, quindi civili. Anche la natura stessa delle guerre è cambiata, dove
tradizionalmente in molte culture africane era tabù uccidere donne e bambini durante la
guerra, oggi diventano obiettivi di guerre e genocidi e tutto questo ha contribuito
all’afflusso di armi all’interno del paese. Il fatto che in Kenya non siano state adottate le
convenzioni di Ginevra si riflette anche su una mancanza a livello legale per i rifugiati.
Lo sradicamento della povertà richiede un approccio multi dimensionale e multi
settoriale. Dato che uno dei principi guida del Paper sulle strategie di riduzione della
povertà è l’uguaglianza di genere. A dispetto degli sforzi effettuati sin dal 1986, il paese
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non ha ancora una politica nazionale di genere. Senza una politica guida nazionale, il
problema del genere continuerà ad essere affrontato con un approccio non adeguato al
caso e non sorprende che le donne Kenyote svolgano un ruolo limitato nei processi
decisionali a tutti i livelli della società. Nessuna donna, per esempio, su 27 gabinetti è
ministro e soltanto l’1.9% dei membri eletti dal Parlamento sono donne, e questa è la
proporzione più bassa dell’Africa dell’Est. Il fatto è che le donne Kenyote sono cittadine
di seconda classe. Sotto le sezioni 90 e 91 della Costituzione del Kenya, le donne non
possono lasciare in eredità la cittadinanza ai loro figli o mariti. In sostanza un Kenyota è
tale se nato da un uomo Kenyota. Queste sezioni della costituzione sono la genesi delle
politiche sessiste in materia di anagrafe ed immigrazione. Una donna sposata per avere
la carta di identità con il nome del marito, deve essere accompagnata da suo marito e
non basta il certificato di matrimonio. Le donne devono richiedere il permesso dei loro
padri o mariti per richiedere il passaporto. Come conseguenza di queste politiche
discriminatorie, anche le donne che votano sono discriminate sin dall’inizio perché
devono essere in possesso o di passaporto o carta di identità.
1.2 ESEMPI DI IMPRESE E COOPERAZIONE FEMMINILE IN
KENYA
Nonostante le donne in Kenya sono e sono sempre state considerate come cittadini di
seconda classe, non mancano esempi nel paese del loro impegno in qualsiasi attività, in
effetti cominciarono ad interessarsi e a rendersi attive in cooperative, sin dai primi
giorni in cui il movimento della cooperazione prese avvio nel paese. Uno dei tanti
esempi è reso noto dal Report sul seminario riguardante lo sviluppo di cooperative
femminili e altri tipi di organizzazioni nei paesi africani di lingua inglese che si tenne a
Nairobi dal 1 al 15 Ottobre 1974 .
Per esempio l’”Egg Circles” fu organizzato da sole donne per il commercio di uova e
pollame,per la sola finalità di aumentare la produzione. Nel 1952, i circoli vennero
organizzati in società cooperative, le donne fornivano la loro produzione
all’organizzazione governativa responsabile per la vendita e l’acquisto di uova e
pollame. Sfortunatamente la loro produzione non era in grado di supplire alla richiesta
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di domanda e la loro attività diminuì. Dopo questo tipo di esperienza, ci volle molto
tempo prima che le donne riuscirono a riorganizzarsi in cooperative.
Quando i prodotti destinati alla vendita furono introdotti, lo sviluppo della cooperativa
divenne parte della politica di amministrazione governativa. Il caffè, il cotone, l’olio.
etc., appartengono a questo gruppo, e infatti una delle condizioni legate alla crescita del
caffè fu che un agricoltore sarebbe dovuto divenire un membro della società cooperativa
del caffè. Le donne, come mogli degli agricoltori erano esposte solo indirettamente,
attraverso i loro mariti alle società cooperative.
Con l’indipendenza del Kenya nel 1963, la crescita del movimento cooperativo aumentò
e il numero delle società registrate passarono da 639 a1688 in un periodo di 10 anni.
Questo in parte fu anche dovuto alla politica del governo di includere all’interno dei
piani di sviluppo, lo sviluppo della cooperativa dei differenti settori dell’economia. Le
cooperative agricole, società di risparmio e credito, aumentarono i loro membri, ed il
loro capitale continuò ad espandersi dal 1963 in poi.
Nel 1965, l’accordo tra il governo del Kenya e i paesi nordici (Svezia, Finlandia,
Norvegia e Danimarca) pose le basi per un progetto cooperativo per provvedere
all’assistenza tecnica e finanziaria al supporto del movimento cooperativo.
Le donne in Kenya eseguivano molto lavoro nelle farms, coltivazione, selezione e
raccolta dei prodotti, lavorazione del latte, e contribuivano perciò alla maggiore
produzione agricola. Ciononostante queste rimanevano nello stesso background mentre
la cooperativa cresceva e si espandeva attraverso il paese. Non potevano partecipare a
meetings o prendere parte all’amministrazione delle società nei quali i loro mariti erano
membri. Questo può essere attribuito alla tradizione e quindi alle classiche società
“maschili”.
La Kenya National Federation of Cooperatives (KNFC), consapevole dell’importante
ruolo della donna nell’agricoltura, credeva fortemente che dando maggiori opportunità
alle donne la situazione sarebbe presto migliorata. Il KNFC organizzò il suo primo
seminario con la partecipazione delle donne nel 1970. Da quella data, più di trenta
seminari per sole donne vennero organizzati dalle Unioni Cooperative e dal
Dipartimento delle Cooperative. Come risultato di questi seminari, le donne divennero
più attive nell’organizzarsi, infatti ottennero terre comunali ed iniziarono a preparare e a
coltivare la terra. Riguardo ai vantaggi che si ottennero, possiamo considerare il fatto
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che le cooperative assunsero molte più donne, non solo per i lavori manuali, ma molte
donne vennero elette come membri amministrativi.
Progetti di aiuto economico e sociale per le donne sono stati sviluppati con il supporto
del Governo e con l’aiuto di organizzazioni internazionali. La partecipazione delle
donne nello sviluppo della comunità è orientata a risolvere alcuni dei principali
problemi, infatti progetti specifici sulla coltivazione dei prodotti, sulla manutenzione
etc, sono portati avanti da gruppi di sole donne. Qui di seguito vengono riportati alcuni
esempi di attività portate avanti da sole donne nel distretto di Kiambu, a pochi km di
distanza dalla capitale.
- distretto di Kiambu
In quest’area un gruppo di donne si è organizzata per diversi propositi. I membri del
gruppo sono interessati ad ottenere benefici economici e stanno pianificando attività di
guadagno. Uno dei principali incentivi nel lavoro di gruppo è il desiderio comune di
poter migliorare i loro standars di vita indipendentemente dal contributo dei loro mariti.
Fu formato un gruppo che si interessava della vegetazione; a questo gruppo venne
affidata una piccola tenuta e loro si interessarono di coltivare il terreno piantando
diversi tipi di vegetali. E così riuscirono a vendere i loro prodotti e guadagnare qualche
soldo.
Nello stesso distretto, 5 piccoli gruppi provenienti da differenti villaggi decisero di
unirsi e formare un unico gruppo chiamato “Mapatì Group”. I membri del gruppo
decisero di raccogliere il denaro da ogni membro (10 scellini mensili) per comprare
lamiere di ferro per i tetti delle loro case, per proteggersi dal rischio di incendio e dai
problemi della pioggia.
Cooperativa Davida: la cooperativa prese avvio nel 1966 e al momento si contano circa
300 membri, due donne sono elette come amministratrici. Le donne si sono organizzate
per la vendita di vestiti e utensili per la casa
M’Bololo Women’s Group: il gruppo è formato da 69 membri, tutte donne. Queste si
incontrano regolarmente per discutere problemi familiari e per trovare soluzioni alle
basi della cooperativa. Il loro maggior problema è quello di risolvere il problema del
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