2
interpretazione (nell’esercizio di quella auctoritas che aveva finito con
il vanificare la voluntas principis).
Sulla scia di quanto già messo in evidenza dal Muratori nella sua
opera «Sui difetti della giurisprudenza», gli esponenti del riformismo
giuridico nel corso del Settecento, pur consci dei limiti legati alle
contingenze storiche, senza mai abbandonarsi a pure astrazioni
teoriche, riuscirono con la loro opera a muovere i primi,
importantissimi passi verso la riforma del sistema giuridico e del
funzionamento della giustizia.
Nel tentativo di arginare lo strapotere di uno Stato assoluto,
dispotico ed accentratore, gli illuministi del settecento, proposero
riforme coraggiose, nelle quali gli ideali umanitari rappresentavano la
forza portante tesa a salvaguardare la libertà dei cittadini contro
l’arretratezza dell’ordinamento giuridico e lo stato di completa
anarchia in cui versava l’amministrazione della giustizia
1
. La spinta
riformatrice pose in termini di concretezza l’esigenza di una effettiva
difesa della libertà dell’individuo e nell’affannosa ricerca di un punto
di equilibrio, a quei tempi ancora instabile, tra la difesa della società
contro il delitto ed il rispetto dei diritti del cittadino, i riformatori
illuministi, pressati dall’esigenza di distruggere il passato sistema,
avvertirono il bisogno di dare risposte pronte ed immediate, attraverso
un programma di politica giudiziaria di pratica attuazione, diretto a
1
Uno stato di cose profondamente radicato e difficile da cambiare se si pensa che
molti anni più tardi il Capitelli ritornerà ancora su questo argomento nel suo Discorso in
morte di Francesco Navarro, stato presidente della Corte Suprema di Giustizia in Napoli,
dove si legge: “Arduo infatti era l’aringo dei vecchi magistrati! Era ad essi mestieri
investigare nell’intimo animo loro la norma di diritto, ricercare nel loro intelletto la regola
di logica, per conoscere il vero; e tutto abbandonavasi al loro criterio, e si affidava alla
sola loro coscienza il difficile ed importantissimo ufficio di amministrare la giustizia” e
ancora il Magistrato “riuniva in sé, per le condizioni de’ tempi e la necessità delle cose,
all’alta qualità di giudice quella di scopritore delle leggi […]”.
3
scardinare un’impalcatura giuridico-sociale in cui prevaleva il
dispotismo accentratore, con il totale annientamento dei diritti
dell’individuo.
La riforma del sistema giuridico, particolarmente sentita da una
classe borghese sempre più attenta ai propri diritti e sempre più
partecipe della vita politica, economica e culturale del tempo,
muoveva dal radicato convincimento che l’opera di revisione
dell’ordinamento potesse essere realizzata solo rompendo con il
passato e che dovesse passare attraverso la semplificazione del
sistema, la formulazione di leggi chiare e di pronta e facile
comprensione, la meccanica applicazione del dettato legislativo da
parte del giudice. La speculazione giuridica illuministica, attraverso
l’opera di grandi riformisti attivi nel regno delle Due Sicilie come
Genovesi
2
, Filangieri e Pagano (il cui pensiero ebbe un riscontro a
livello internazionale e guidò l’attività dei grandi giuristi che
realizzarono la riforma nel secolo successivo) elaborò un sistema
giuridico organicamente e direttamente ancorato ai principi cui si
ispiravano le nuove ideologie.
Domenico Capitelli nato a San Tammaro, modesta terra della
Campania (in provincia di Capua) nel 1795 da un’agiata famiglia, si
inserisce nella schiera dei giuristi che, attiva nella prima metà del
2
Con Genovesi si approda ad un concetto di Illuminismo permeato da un’ispirazione
fondamentalmente pragmatistica, immerso nella concreta situazione storica in cui gli
illuministi napoletani si trovarono ad agire. Uno sforzo estremamente vigoroso di
conoscenza della realtà circostante, di dominio intellettuale su di essa, di organizzazione
delle proprie cognizioni al riguardo. L’aspetto pragmatistico del movimento, sottolineato
anche dal Filangieri e dal Pagano, emerge in particolare dal Discorso sopra il vero fine
delle lettere e delle scienze (Napoli 1753); nelle indicazioni che si danno per la pratica
realizzazione e l’individuazione storica di tale principio; sul ruolo decisivo che spetta
all’iniziativa ed alla volontà politica nel promuovere il progresso civile ed intellettuale e
sul rapporto che ne consegue tra intellettuali e politici. Cfr. G. GALASSO, Il Mezzogiorno
nella storia d’Italia, Firenze 1977.
4
diciannovesimo secolo, contribuì in maniera determinante a realizzare
il passaggio, nel Regno delle Due Sicilie, dal sistema giuridico
dell’Ancien Régime ad un sistema moderno, basato sulla certezza del
diritto, legato ad un concetto di giustizia che non lasciava spazio
all’arbitrarietà, una giustizia assicurata non solo dall’esistenza di un
codice di leggi che ne rendesse sicura e certa la conoscenza e
l’applicazione ma anche da un ordinamento giudiziario rinnovato e
rispondente alle nuove esigenze della classe borghese.
Spinto dal padre, Domenico Capitelli si dedicò allo studio del
diritto, della filosofia e della matematica presso il seminario di Capua
sotto la guida del vescovo Gervasio
3
, proprio negli anni in cui a Napoli
si verificavano eventi di fondamentale importanza dal punto di visto
giuridico ed istituzionale. Championnet entrava nella Capitale dando
di fatto inizio al periodo della Repubblica Napoletana, ultima delle
istituzioni giacobine in Italia. Il regno dei Borbone fu scosso dalla
fiamma rivoluzionaria che, dopo gli eventi del 1789 in Francia, aveva
trovato terreno fertile anche in Italia proprio grazie alla diffusione
delle idee illuministiche ed all’opera svolta dai riformisti illuminati a
Milano, Firenze e Napoli.
L’esperienza rivoluzionaria e repubblicana si concluse, dopo solo
cinque mesi, nel peggiore dei modi: il cardinale Ruffo sbarcato in
Calabria l’aveva riconquistata in marzo ed i Borbone erano ripartiti
alla conquista del regno. Ad aprile, la flotta inglese, aveva ripreso
Ischia, Capri e Procida ed il 13 giugno l’esercito sanfedista entrava in
Napoli. I repubblicani, asserragliati a Castel Sant’Elmo, vi uscirono
3
Il vescovo Gervasio fu, nel 1804, membro della Commissione nominata da
Ferdinando IV cui fu assegnato il compito di studiare le riforme da apportare alla
Pubblica Istruzione, a cominciare dall’Università degli Studi. Fu anche cappellano
maggiore con funzioni di controllo sull’operato dei docenti.
5
solo dopo la firma di un patto che, a fronte dell’esilio in Francia,
prometteva loro la salvezza. Purtroppo l’ammiraglio Nelson, complice
Maria Carolina, rinnegò il patto, impiccò l’ammiraglio Caracciolo e
giustiziò i rivoluzionari.
Quell’evento, oltre a sancire il divorzio tra la monarchia
4
e quella
classe colta con la quale si era dovuta incontrare ed aveva dovuto
collaborare per esercitare una grande funzione nazionale di
rinnovamento, decretò la scomparsa delle antiche istituzioni, mise in
evidenza la figura di Mario Pagano
5
e servì a gettare le basi per la
successiva affermazione di un nuovo sistema politico-istituzionale,
rafforzatosi a partire dal 1806 e noto come il decennio «francese»
6
.
Dal 1806 al 1815, l’opera svolta dai liberali napoletani accanto ai due
re francesi fu feconda di risultati al punto da influenzare la vita
politica ed istituzionale del Regno anche negli anni successivi (gli
ufficiali ed i funzionari murattiani continuarono infatti a svolgere la
loro preziosa funzione di regolatori della vita dello Stato anche
durante e dopo la Restaurazione).
4
Che aveva preferito fare affidamento su una precaria alleanza con le masse del
proletariato rurale delle province e del sottoproletariato della capitale che poco avevano
da offrire alla dinastia oltre l’appoggio sanfedistico in momenti di grave crisi, separandosi
dalla classe che si sarebbe rivelata protagonista degli anni successivi.
5
Mario Pagano (1748 – 1799), avvocato penalista, eletto presidente del Comitato di
legislazione, ebbe affidato il compito di redigere il progetto di costituzione della
Repubblica e di riformare il sistema giudiziario. La denuncia delle storture del processo
penale emerge dall’opera Considerazioni sul processo criminale (Napoli, 1787). Il
pensiero politico del Pagano, per la cui ricostruzione si rinvia ai Saggi politici pubblicati
a Napoli tra il 1783 ed il 1785, si fonda su valori espressi con rara coerenza nel corso
della sua intera vita: l'amore per gli studi severi, l'austerità della condotta, il ripudio di
ogni avidità o ambizione, la devozione alla giustizia temperata da un vivo senso di
umanità, il sentimento del dovere verso la comunità civile, l'inflessibile fedeltà ai propri
ideali spinta fino al sacrificio supremo.
6
Alla fine del secolo – scrive a tal riguardo Nino Cortese – i condannati a morte della
congiura giacobina del 1794, proprio Napoli darà i primi martiri della libertà e quindi del
Risorgimento Italiano. Ideali nazionali e liberali poi approfonditi durante l’esperienza
della Repubblica del 1799.
6
Raggiunta l’età adulta, dovendo scegliere uno “stato” e non
sentendosi “portato alle cose sacre”, nel 1815 Capitelli lasciò il
seminario per recarsi nella capitale del Regno, Napoli. Pur essendo
ancora giovane, aveva avuto modo di notare che l’insegnamento delle
leggi era ai suoi tempi nelle mani di “uomini ai quali bastava
interpretare la lettera senza darsi alcun pensiero dell’idea che le
governa. Per costoro la scienza si restringe all’analisi delle parti, non
aveva virtù di levarsi a sintetiche ed universali eccezioni”
7
.
Per questo motivo decise di formare da sé la propria istruzione (in
tal senso forte fu l’influenza del pensiero di Vico e Filangieri)
studiando l’uomo e la natura, le scienze fisiche e naturali, la medicina
e la chimica, la filosofia e l’arte, il diritto romano e germanico, le
leggi feudali e canoniche. Nella capitale ebbe anche la possibilità di
coltivare l’amicizia di alcuni dei grandi protagonisti della storia del
Mezzogiorno tra cui Roberto Savarese, Giuseppe Pisanelli, Nicola
Nicolini, ma anche di uomini politicamente impegnati come Gabriele
Pepe e Alessandro Poerio.
Il 1815 fu anche l’anno della seconda restaurazione dei Borbone.
Durante il congresso di Vienna le potenze vincitrici (Austria, Gran
Bretagna, Russia e Prussia) avevano ribadito il principio di legittimità,
secondo il quale avevano diritto di regnare senza contestazioni tutte le
dinastie che avevano occupato i troni d’Europa prima dello scoppio
della rivoluzione francese e dell’ascesa al potere di Napoleone.
7
G. CAPITELLI, Della vita e degli studi di Domenico Capitelli, presidente del
Parlamento Napoletano del 1848, Napoli 1871.
7
Ferdinando IV ritornò sul trono di Napoli grazie all’intervento
degli austriaci e a partire dal 1816 assunse il nome di Ferdinando I, Re
delle Due Sicilie.
Nonostante il tentativo, formale, di ripristinare il vecchio sistema
di potere, dal punto di vista strettamente istituzionale gli anni della
Restaurazione Borbonica furono caratterizzati dalla continuità,
soprattutto nell’ambito amministrativo. In questo campo infatti,
attraverso l’opera svolta da ministri illuminati quali Tommasi (già
allievo del Filangieri) e Medici, il sistema del contenzioso
amministrativo introdotto nel Regno durante il «decennio» francese fu
addirittura potenziato, grazie anche all’entrata in vigore delle norme
del 21-25 marzo 1817 che costituirono quello che fu definito un vero e
proprio codice della procedura del contenzioso amministrativo. Il
quinquennio che precedette i moti del 1820 diede vita a quella che fu
definita una «monarchia amministrativa»
8
.
Nell’anno in cui nel Regno delle Due Sicilie il governo borbonico,
sempre sotto l’impulso dei ministri illuminati Tommasi e Medici,
concedeva il Codice per lo Regno, largamente ispirato agli ideali
borghesi (e nel quale confluirono tutte e cinque le parti della
codificazione napoleonica), Domenico Capitelli aprì con un decreto
Reale del 20 ottobre 1819 una scuola di diritto che riscosse molto
successo
9
. L’intento perseguito era quello di garantire a sé e agli altri
8
Avendo il Congresso di Vienna deciso la riunione in un unico Regno delle Due
Sicilie, delle due parti dello Stato, la continentale e l’insulare, da secoli separate, con
istituzioni diverse, e tenute insieme soltanto dalla persona del monarca, e dovendosi
procedere anche alla loro unificazione amministrativa per rendere possibile la vita in
comune, […] proprio ai murattiani, come profondi conoscitori degli ordinamenti della
propria patria, fu affidato l’incarico di procedere alla trasformazione degli ordinamenti
dell’isola. Così N. CORTESE ne Il Mezzogiorno ed il Risorgimento Italiano, pp. 36-37.
9
Le scuole private rappresentavano al tempo un’apertura liberale, attraverso cui
diffondere con programmi di più ampio respiro, più moderni, le nuove concezioni in
8
un nuovo approccio allo studio del diritto, fornire un metodo storico-
filosofico-scientifico (restando sempre nei confini del “positivo” ed in
questo differenziandosi dalla Scuola alemanna del diritto secondo
Hegel) attraverso il quale chiarire le origini del diritto al lume della
Storia
10
. Capitelli insegnò presso la sua scuola leggi civili e penali e
diritto costituzionale fino al 1828 (anche Saverese e Pisanelli
abbracciarono il suo metodo nella loro attività di insegnamento
11
).
Cronache del tempo ci informano che le sue lezioni furono seguite da
circa quattrocento giovani.
Nel 1820 prese parte ai moti costituzionali e non poteva essere
altrimenti dal momento che si era dedicato con successo
all’insegnamento della teoria dei governi rappresentativi raccogliendo
attorno a sé molti giovani cui per primi insegnò la natura, il
movimento e l’importanza delle guarentigie costituzionali. Il
costituzionalismo per Capitelli coincideva con l’approdo ad un
“governo liberale” che attraverso la concessione di uno statuto fosse in
grado di vincolare o limitare l’arbitrio del sovrano e magari
distruggere il “dispotismo ministeriale”. Nella sua visione di tale
“governo liberale” non secondaria era la previsione di un organo
campo giuridico che non trovavano spazio nell’ambito di una istruzione pubblica
caratterizzata da una forte staticità, sottoposta al continuo controllo dell’autorità del
governo il cui unico intento era quello di assicurarsi, attraverso l’uniformità
dell’insegnamento, l’uniformità del pensiero e la più completa fedeltà agli ideali
conservatori. Cfr. l’opera di A. ZAZO, L’istruzione pubblica e privata nel Napoletano,
1767 – 1860, Città di Castello 1927.
10
Un metodo “storico-filosofico senza il quale lo studio delle leggi diviene
pedantesco, noioso e sterile”. Cfr. DOMENICO CAPITELLI, Opuscoli raccolti e nuovamente
pubblicati per cura del figlio (Guglielmo)”, Napoli 1861, p. 166.
11
“Un’eletta schiera di giuristi splendeva nel foro e nell’insegnamento. Domenico
Capitelli aveva aperta la nuova scuola, che Roberto Savarese nell’Università e Giuseppe
Pisanelli e Pasquale Stanislao Mancini nei tribunali elevarono a grande rinomanza”. Cfr.
G. PALADINO, La rivoluzione napoletana nel 1848, Milano 1914, p.31.
9
rappresentativo, il Parlamento, posto a tutela dei diritti sanciti,
affiancato da un Consiglio di Stato.
E proprio ad un sistema rappresentativo, basato su una rigida
separazione dei poteri (in contrasto quindi con lo Stato amministrativo
creato dai napoleonidi che concentrava nelle mani del sovrano il
potere esecutivo e legislativo) ambivano i sostenitori della cosiddetta
«rivoluzione costituzionale» che portò alla concessione nel luglio del
1820 di una costituzione sul modello di quella concessa in Spagna nel
1812 (la cosiddetta Costituzione di Cadice
12
), certamente più avanzata
rispetto alla «charte octroyée», concessa da Luigi XVIII nel 1814 in
Francia.
I moti del 1820 rappresentarono un momento di grande importanza
per la vita democratica nel Regno delle Due Sicilie, caratterizzato da
grande entusiasmo, dal netto distacco rispetto al conformismo
ideologico proprio degli anni precedenti, destinato a preparare il
terreno dei moti del 1848. I sostenitori del sistema liberal-
costituzionale chiedevano pubblicità e controllo delle finanze,
discussione delle imposte, riforma dell’esercito, della giustizia,
dell’istruzione pubblica; e ancora, garanzia di tutte le libertà
compatibili con la forma costituzionale, libertà civile, individuale,
12
Nel 1812 un’assemblea nazionale del popolo spagnolo, riunitasi, promulgò una
costituzione “democratica” (ma liberale) simbolo della volontà di indipendenza e di
rinnovamento della Spagna. Vi si affermava che la sovranità apparteneva alla nazione e si
stabiliva che il potere esecutivo era esercitato dal re coadiuvato dai ministri e da un
Consiglio di stato, e quello legislativo da un Parlamento (monocamerale) eletto
biennalmente con il suffragio “popolare”. La Costituzione di Cadice (detta anche “del
1812”) durò poco. Con la caduta di Napoleone e con la Restaurazione, re Ferdinando VII
di Borbone riprese il possesso del trono, reintrodusse i privilegi della nobiltà e del clero,
diede vita ad una politica reazionaria, annullò la costituzione, e perseguitò chi l’aveva
concepita.
10
libertà di proprietà, di coscienza, di pensiero e di discussione e,
corollario di tutte, la libertà di stampa.
Molti risultati furono raggiunti grazie soprattutto all’opera di
uomini di governo, deputati, pubblicisti che riuscirono nel non facile
intento di svecchiamento non solo della cultura filosofica e giuridica
napoletana ma anche di profondo rinnovamento delle istituzioni. Va
inserita in questa ottica l’affermazione del Cortese secondo cui ai
murattiani, oltre che alla Carboneria, andava riconosciuto il merito di
aver fatto fare all’Italia la prima esperienza costituzionale (l’esempio
del Mezzogiorno era destinato ad essere imitato poi dallo Stato
Piemontese nel 1821).
Furono indette libere elezioni alle quali presero parte tutti i
cittadini maggiorenni di sesso maschile aventi diritto al voto; tali
elezioni diedero vita al primo Parlamento liberamente costituito che
fu, tra l’altro, molto attivo fino all’intervento dell’Austria di
Metternich; fu inoltre emanata l’importante legge che garantiva la
libertà di stampa
13
.
L’intervento delle armate austriache nel marzo del 1821 pose fine
alla seconda sessione del Parlamento e, di conseguenza, all’esperienza
costituzionale, rompendo l’illusione di quanti ancora credevano
possibile una soluzione monarchico-costituzionale. La dinastia
borbonica si era dimostrata ancora una volta decisa a conservare il
13
Legge del 26 luglio 1820 che, abolendo l’ufficio di revisione e creando in suo luogo
una Giunta provvisoria protettrice della libertà di stampa, attestava che “ogni individuo è
libero di scrivere, stampare e pubblicare le sue idee politiche senza che vi sia bisogno di
licenza, revisione o approvazione alcuna precedentemente alla pubblicazione
dell’opera”. Cfr. Atti del Parlamento delle Due Sicilie (1820-21).
11
monopolio della direzione politica del Regno, nonostante i numerosi
segnali inviati dai sostenitori della causa costituzionale.
Con la terza restaurazione dei Borbone ebbe inizio un periodo
difficile per quanti avevano sostenuto la causa costituzionale.
Stroncata ogni libertà di pensiero, abolita la libertà di stampa, molti
intellettuali che si erano distinti durante il nonimestre per la loro
attività a favore delle riforme, non potendo più far sentire la propria
voce in patria ripresero la propaganda delle proprie idee al di fuori del
Regno o all’estero. Altri invece decisero di ritirarsi dalla vita pubblica.
Capitelli fu costretto a nascondersi in Terra di Lavoro
14
.
Di questo periodo l’opera, pubblicata a Napoli nel 1822, «La
filosofia del diritto e l’arte del bene interpretarlo» con un’Appendice
«Se per apprendere la legislazione di uno Stato sia necessario
conoscere il diritto Romano o qualsivoglia altra legislazione»
15
, dalla
quale è possibile evincere i punti fondamentali del pensiero del
Capitelli che pone alla base della legislazione la felicità dei cittadini, il
cui «piacere» deve essere il fine immediato della tutela giuridica.
Partendo da tale concezione, Capitelli pone alla base della
legislazione l’analisi della mente dell’uomo, la scienza dei suoi
14
Espressione usata per designare la terra degli Antichi Campani, diffusa fin dal
Medioevo, oggi corrispondente geograficamente alla provincia di Caserta e,
specificamente, al territorio compreso tra il Monte Massico e l’orlo settentrionale dei
Campi Flegrei. La provincia di Terra di Lavoro era divisa in cinque distretti: Caserta,
Nola, Gaeta, Sora e Piedimonte.
15
Lo scritto fu pubblicato con falsa indicazione di traduzione dal francese a cura di
Giuseppe Carbone. Il giovane Capitelli con quest’opera riuscì a conquistare un posto di
primo piano tra i suoi contemporanei nell’ambito della speculazione filosofico-giuridica
fino a rappresentare, per il De Augustinis, “l’unica eccezione, per il diritto astratto, in un
contesto caratterizzato dalla carenza di grandi scrittori e giureconsulti”. Ci si
complimentava con il Capitelli per essere riuscito ad infondere uno spirito filosofico nella
parte più positiva della giurisprudenza. Cfr. G. OLDRINI, Cultura filosofica napoletana
dell’ottocento, Bari 1973.
12
bisogni ed i mezzi idonei per soddisfarli (Scienza della Legislazione).
Il legislatore deve avere bene in mente ed in astratto “il quadro della
mente umana, il catalogo dei piaceri, e dei dolori, di cui l’uomo è
suscettibile, ossia l’elenco dei suoi bisogni”
16
. Piaceri che sono, per
Capitelli, propriamente oggetto delle leggi: “piaceri dell’esistenza,
della salute, dell’integrità dei membri del nostro corpo; piaceri della
riputazione, piacere della libertà individuale, prodotto dal sentimento
che altri, all’infuori della legge e del magistrato competente, non può
né ardisce di impedire le nostre azioni, di arrestarne, o sequestrarci, o
in altro modo attentare ai nostri diritti; piacere della proprietà,
piacere dell’eguaglianza, o sia della giustizia; piaceri della
sussistenza e della sicurezza (intesa come certezza del Diritto sia nella
fase di applicazione delle leggi che nella fase repressiva)”.
Risulta evidente l’assimilazione del pensiero di Genovesi
17
e
l’influenza della filosofia utilitaristica di Bentham
18
. È tuttavia da
16
D. CAPITELLI, La filosofia del Diritto e l’arte del bene interpretarlo, Napoli 1822.
17
Antonio Genovesi (1713 – 1769), studioso di metafisica e poi economista. Nato a
Castiglione (Salerno) nel 1713, divenne sacerdote nel 1737. Si dedicò subito
all’insegnamento all’Università di Napoli, dove ottenne, nel 1741, la cattedra di
Metafisica. Progressivamente spostò il suo interesse agli studi economici e nel 1754
istituì la prima cattedra di Commercio e Meccanica. Il suo magistero fu accolto da
un’intera generazione di riformatori napoletani e dai loro rampolli. Alle sue intuizioni e ai
suoi studi si devono le riforme introdotte nel Regno di Napoli da Bernardo Tanucci con il
quale Genovesi collaborò assiduamente. Nonostante la sua appartenenza al clero, per la
tendenza empirista delle sue tesi, fu ostacolato dagli ambienti ecclesiastici. Di questa
conflittualità sono testimonianza le “Lettere a un amico provinciale”, scritte nel 1759, sul
modello de “Le provinciali” di Pascal. Dal punto di vista filosofico vicino alle idee
sensiste, riconosce come principio motore, sia degli individui sia dei corpi politici, il
desiderio di sfuggire al dolore che deriva dal bisogno inappagato e chiama tale bisogno
interesse, ciò che sprona l’uomo non solo alla sua attività economica, ma anche alla
creazione delle arti, delle scienze e ad ogni virtù. Tra le opere che sottolineano tali idee ci
sono le “Meditazioni filosofiche sulla religione e sulla morale” (1758); “Logica” (1766);
“Scienze metafisiche” (1766). L’opera fondamentale del secondo periodo, per così dire, è
“Delle lezioni di commercio o sia d´economia civile” (Napoli 1765) in cui si attribuisce
un ruolo fondamentale allo Stato, per spostare il peso dell’istruzione verso le scienze utili,
sottoporre a giusta tassazione le proprietà feudali ed ecclesiastiche, favorire la creazione
di efficienti aziende agricole, migliorare le condizioni di vita della popolazione – in
prevalenza assoluta costituita da contadini – e dare vita, ad un ceto medio imprenditoriale.
13
rilevare anche una impronta di matrice lockiana che emerge dalla
speculazione legata al diritto di proprietà ed al bisogno di difenderlo.
Il bisogno di approdare ad una società civile viene presentato con
argomentazioni comuni a quelle formulate da John Locke, definito “il
padre del liberalismo costituzionalista”
19
. Per il singolo individuo,
infatti, “associarsi agli altri della sua specie può essergli di
giovamento”. L’uomo appare al Capitelli, grande spirito liberale,
molto più libero in società che non da solo; e nel passaggio dallo
status naturae a quello “civile” i vantaggi conseguiti sono di gran
lunga maggiori rispetto alle limitazioni derivanti.
La felicità dell’uomo che entra in società può essere conseguita
solo se esistano leggi atte a regolarla e a patto che esse siano
correttamente e tempestivamente applicate. “Sono ottime le leggi che
realizzano la felicità, che ne deve essere unico oggetto”. Le leggi,
considerate “un impedimento, ma necessario, un male che si converte
La lezione di Genovesi, le sue intuizioni, hanno avuto un ruolo fondamentale nel creare
una importante tradizione di studi economici.
18
Jeremy Bentham (1748 – 1832) prende le mosse dall’idea cardine del pensiero di
Hutchson «massima felicità per il maggior numero» e pone al posto dell’obbligazione
contrattuale, ritenuta metafisica, quella derivante da un lato dalla natura umana, dall’altro
dalla ricerca della felicità del “maggior numero” (non di tutti) da attuarsi secondo regole
assolute, previste, ineludibili. Bentham afferma che “il retto e appropriato fine del
governo, in ogni società politica, è la massima felicità degli individui che la
compongono” e che “la sola specie di regime che abbia o che possa avere come proprio
fine e effetto la massima felicità del maggior numero è […] la democrazia; e la sola
specie di democrazia che può avere luogo in una comunità che sia abbastanza numerosa
da potersi difendere contro l’aggressione di nemici esterni è la democrazia
rappresentativa”. Cfr. J. BENTHAM, Introduction to the Principles of Morals and
Legislation (scritto nel 1780 ma pubblicato nel 1789).
19
Cfr. John Locke (1632 – 1704). Il pensiero politico lockiano è contenuto nei Trattati
sul governo pubblicati nel 1690. Riconoscimento del carattere naturale e inalienabile dei
diritti dell'uomo, negazione di ogni forma di potere assoluto, affermazione del diritto di
resistenza, formulazione della dottrina della separazione dei poteri: questi i concetti
fondamentali del pensiero di Locke, destinati a diventare i principi cardine del liberalismo
politico moderno.
14
in una miniera inesauribile di beni preziosi”
20
, sono dei mezzi
produttivi (del bene, del piacere inteso à la Bentham), mezzi
preventivi, soppressivi o riparativi (del dolore). Il Legislatore, nello
svolgimento della propria attività, deve cercare di realizzare attraverso
il sapiente utilizzo di tali mezzi, due obiettivi principali: aiutare
l’uomo a procacciarsi dei piaceri nel maggior numero, e della più
lunga durata e prevenire i mali possibili.
Nella seconda parte dell’opera (che si compone di tre libri)
Capitelli affronta un tema carissimo agli eredi del riformismo
illuminista ed a quanti ambivano ad una riforma sostanziale
dell’impianto giudiziario: la certezza del diritto.
In quest’ottica, il codice di procedura penale, definito come
continuazione del codice penale, rappresenta l’insieme dei mezzi atti a
“definire un metodo inalterabile da seguirsi in caso d’infrazione di
leggi per l’investigazione delle pruove concernenti la reale esistenza
del delitto, e lo scoprimento del reo, non che per l’applicazione della
pena”
21
. Uno strumento per limitare al massimo l’arbitrio e gli errori
dei giudici
22
.
Forte era anche la consapevolezza della necessità di mettere a
punto strumenti per limitare non solo l’arbitrio ma anche per
“prevenire l’esercizio abusivo, l’eccesso, l’usurpazione del potere”.
L’insieme delle norme volte a disciplinare poteri e competenze dei
20
D. CAPITELLI, op. cit., p. 33.
21
D. CAPITELLI, op. cit., p. 51.
22
Capitelli riconosce l’importanza di essere pervenuti ad un nuovo “Codice delle
leggi, derivazione dell’antica e nuova sapienza, un codice che comprende le norme del
diritto ed anche le regole onde il vero de’ fatti si rinviene; codice dettato a’ giudici qual
norma indeclinabile nel render giustizia”. Cfr. D. CAPITELLI, Discorso in morte di
Francesco Navarro.
15
Magistrati e di qualunque altro Pubblico Ufficiale formano l’oggetto
del Codice Politico: mezzi definiti di natura “preventiva” o
“assicurativa” poiché prevengono l’abuso di potere, l’eccesso,
l’usurpazione e rendono sereno l’animo dei cittadini che temono di
essere soverchiati da coloro che sono invece deputati a vegliare
all’esatta osservanza delle leggi.
Su un tema di fondamentale rilievo come quello della pena, il
Capitelli si pronuncia in questi termini: “Se la pena è una medela, la
stessa medela non è ben indicata per ogni specie di malattia, né per
ogni sorta di temperamento”.
Il legislatore dovrà, a suo avviso, ricorrere alle pur necessarie pene
che siano però certe e proporzionali al danno cagionato, evitando pene
superflue, rifuggendo dal comminare pene “indebite”. Diversità e
proporzione delle pene sono cose di assoluta necessità.
Nella parte dell’opera dedicata all’interpretazione delle leggi,
Capitelli insiste in particolare sui legami tra Politica e diritto
sottolineando l’obbligo per il giurista di essere particolarmente
preparato nelle scienze politiche. Il giureperito o interprete deve
conoscere lo scopo perseguito dal legislatore per potersi esprimere
sull’adeguatezza delle norme poste in essere. “[…] Gli interpreti, se
non conoscono profondamente la scienza, e l’arte Politica, invano si
sforzano di altrui svelare il senso delle leggi, di snodare le volute
antinomie, di rilevarne lo spirito ed il nesso”
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.
In linea di continuità con i principi basilari della Codificazione, il
Capitelli insegna che “erronea è pure quella maniera di interpretare
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D. CAPITELLI, op. cit., p. 141.