INTRODUZIONE
Lo scopo di questo lavoro è principalmente quello di analizzare il divieto di
nova nella fase d’appello del processo amministrativo, partendo dalla
previsione dell’art. 345 c. p. c. Il dibattito circa tale divieto, già acceso tra i
processualcivilisti, vede oggi un nuovo rinvigorimento a seguito delle due
recenti pronunce della Corte di Cassazione del 2005, le quali interpretano in
maniera rigorosa la previsione dell’art. 345 c. p. c., riferendo il divieto di
nuove prove ivi previsto anche alle nuove produzioni documentali e rendendo
di fatto impossibile l’ingresso di alcunché di nuovo nel giudizio di appello.
Per capire a fondo le conseguenze pratiche di tale impostazione interpretativa
si è reso innanzitutto necessario capire, nel primo capitolo, cosa sia in
concreto la fase di appello, quale sia la sua natura, e il suo oggetto, alla luce
delle varie teorie della migliore dottrina.
Il secondo capitolo analizza in profondità la possibilità di introdurre nova
nella fase di appello del processo amministrativo affrontando la questione
della applicabilità o meno dell’art. 345 c.p.c. nello specifico ambito
processual-amministrativo: applicabilità che, se appare pacifica relativamente
alle domande nuove del primo comma, si presenta, invece, abbastanza
controversa nei casi del secondo comma (eccezioni rilevabili d’ufficio) e del
terzo comma (nuovi mezzi di prova). La cura dell’interesse pubblico e la
1
Introduzione
posizione privilegiata dell’amministrazione sono gli strumenti ermeneutici
cardine utilizzati dalla dottrina nel tentativo di adattare gli istituti processual-
civilistici al processo amministrativo, qualora manchi una disciplina specifica.
È sulla fase dell’appello e sulla possibilità di esperire nuovi mezzi di prova,
nuove domande e nuove eccezioni, che incide la nuova tendenza
interpretativa emersa dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione di
cui sopra. Si analizzeranno, quindi, nel terzo capitolo, sia le varie e
contrastanti posizioni dottrinarie vigenti prima dell’intervento della Corte,
principalmente relative all’ammissibilità di nuove produzioni documentali in
appello, sia le reazioni emerse in seguito, nonché le prospettive future che tale
intervento genera, non prima di aver cercato di focalizzare le nozioni di
domande nuove, eccezioni rilevabili d’ufficio e in senso stretto.
Non senza soffermarsi sul giudizio d’appello del processo del lavoro e
tributario, ancora una volta peculiari rispetto a quello ordinario.
Il paragrafo conclusivo tende a delineare alcune differenze fondamentali tra i
processi civile ed amministrativo, anche alla luce delle nuove linee di
tendenza.
2
CAPITOLO I
LE DIVERSE TESI SULLA NATURA GIURIDICA
DEL GIUDIZIO D’APPELLO
Capitolo I – Le diverse tesi sulla natura giuridica del giudizio d’appello
SOMMARIO: §1.1 La natura giuridica del giudizio di appello - §1.2 La tesi del
giudizio di appello come mezzo di gravame a carattere rinnovatorio e sue
conseguenze - §1.3 Giudicato interno, decisione in rito e contestazione della
decisione - §1.4 La tesi del giudizio di appello come mezzo di gravame a carattere
impugnatorio e sue conseguenze - §1.5 La tesi intermedia del giudizio di appello
come mezzo di gravame sia a carattere rinnovatorio che a carattere impugnatorio e
sue conseguenze - §1.6 La flessibilità delle norme processuali, l’integrity dworkiana
e la funzione nomofilattica del Consiglio di Stato
§1.1 LA NATURA GIURIDICA DEL GIUDIZIO D’APPELLO.
Il nostro sistema giuridico, come del resto la maggior parte degli ordinamenti
moderni, prevede il cd. doppio grado di giudizio, in forza del quale, dopo un
primo grado di giudizio, si può introdurre una fase del processo in cui si avrà
un nuovo esame della controversia, con la pronuncia di una sentenza destinata
a sostituirsi a quella impugnata e conseguente determinazione di un nuovo
regolamento della controversia.
L'utilità del giudizio d'appello si rinviene nella possibilità di un potenziale
miglioramento del giudizio di primo grado, non tanto per la maggiore
esperienza dei giudici d'appello, ma soprattutto perché questi ultimi possono
operare su un materiale più ampio ed elaborato, che comprende la sentenza di
primo grado, con l'iter della sua motivazione, nonché le critiche a tale
motivazione.
Innanzitutto, occorre delineare i caratteri essenziali dell'appello onde poterne
meglio comprendere l'essenza e la funzione:
a) mezzo ordinario d'impugnazione, significa che esso si pone nell'iter che
conduce alla formazione della cosa giudicata formale;
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Capitolo I – Le diverse tesi sulla natura giuridica del giudizio d’appello
b) mezzo a critica libera, con esso possono esser fatti valere sia errores in
procedendo sia errores in iudicando;
c) a carattere sostitutivo, con esso si perverrà ad una pronuncia che andrà a
sostituirsi a quella del giudice di primo grado;
d) ad effetto devolutivo, con quest'espressione s'intende che attraverso tale
mezzo d'impugnazione si attribuisce al giudice la cognizione dello stesso
rapporto esaminato in primo grado, limitatamente alle domande ed eccezioni
espressamente riproposte in appello. In relazione alla natura di gravame che
caratterizza l'appello, ed al fatto che esso introduce un riesame non della
sentenza di primo grado, ma, nei limiti della domanda di appello, della stessa
controversia che fu oggetto d'esame da parte del giudice di prime cure, si può
dire che l'oggetto del giudizio d'appello è, sia pure nei limiti della domanda,
quello stesso dell'intera causa già decisa in primo grado (art. 28, commi 4 e 5
legge T.a.r.).
e) carattere di revisio prioris istantiae, tale locuzione indica il divieto di
proposizione in appello di nuove domande, eccezioni e nuovi mezzi di prova.
L’appello, tradizionalmente ed idealmente, si caratterizza come un mezzo di
impugnazione cd. “rinnovatorio”, ossia quale gravame “a critica libera”,
diretto a consentire il pieno riesame della lite decisa in primo grado, quasi
come se si trattasse di una naturale prosecuzione della pregressa fase,
assicurando così la realizzazione, almeno in via tendenziale, del principio del
doppio grado di giurisdizione. In tale contesto, al giudice dell’appello sono
5
Capitolo I – Le diverse tesi sulla natura giuridica del giudizio d’appello
attribuiti gli stessi poteri di cognizione e di decisione riconosciuti a quello che
l’ha preceduto, tant’è che la sentenza resa in esito al processo di gravame
riveste valenza sostitutiva di quella impugnata.
Il modello appena delineato rappresenta, tuttavia, una sorta di dato ideale o
astratto, in quanto nel vigente ordinamento normativo la disciplina
dell’appello vi si discosta ed assume alcuni connotati che sarebbero propri dei
cd. “giudizi di impugnativa”.
Difatti, mentre nel gravame cd. “rinnovatorio” si dovrebbe assistere alla
meccanica ed incondizionata trasposizione dell’ambito cognitorio nella fase di
appello, il sistema attuale (così nel processo tributario, come in quello civile o
amministrativo), seppur caratterizzato dal cosiddetto “effetto devolutivo”
1
, ha
introdotto dei penetranti temperamenti all’automatica riemersione in sede di
gravame dell’intera materia del contendere introdotta dinanzi al primo
giudice
2
. Tali limiti sono rappresentati, per un verso, dal principio della
domanda (di appello) o, che è lo stesso, della necessaria corrispondenza che
deve intercorrere fra impugnativa esercitata e potere decisorio del giudice di
appello, al quale si lega poi il fenomeno dell’acquiescenza, che preclude il
1
In base al quale è rimessa all’esame del giudice di seconda istanza la controversia sottoposta al
vaglio del giudice di primo grado
2
Si discute, in dottrina, se oggetto dell’appello è la sentenza di primo grado, ovvero l’atto
amministrativo sottostante ad essa. Propendendo per la seconda soluzione MIELE e NIGRO, per i
quali oggetto dell’appello è il provvedimento amministrativo originario, mentre la sentenza
impugnata non è altro che il mezzo attraverso cui l’atto stesso è portato davanti al giudice di grado
superiore. Propendendo per la prima soluzione, invece, SANDULLI, VIRGA e SEPE, per i quali il
giudizio di appello è un mezzo di gravame che comporta, in caso di accoglimento, la rescissione
della sentenza impugnata in primo luogo e poi il riesame nel merito della controversia. Quest’ultima
tesi appare preferibile, alla luce del testo della legge, che parla di appello avverso le sentenze.
6
Capitolo I – Le diverse tesi sulla natura giuridica del giudizio d’appello
riesame dei capi della sentenza in ordine ai quali il soccombente abbia
espressamente accettato il dictum di prime cure o abbia compiuto atti
incompatibili con l’intento di porlo in discussione (cd. “acquiescenza
propria”), nonché delle parti autonome ed indipendenti della sentenza non
coinvolte dall’impugnazione (cd. “acquiescenza impropria”). Per l’altro verso,
l’automatismo dell’effetto devolutivo può risultare ulteriormente
contratto per effetto dell’applicazione di puntuali norme volte a sancire
la decadenza delle domande ed eccezioni non accolte nella pronuncia di
primo grado e non espressamente riproposte nella fase successiva.
Nella sistematica del regime delle impugnazioni prefigurata dall’attuale
codice di rito civile l’appello
3
si qualifica come il primo e più ampio mezzo
appartenente alla categoria delle impugnazioni ordinarie e ad esso è assegnata
la funzione di assicurare la garanzia piena della tutela delle posizioni
soggettive delle parti, mediante l’attuazione del principio del doppio grado di
3
E’ inutile evidenziare che la letteratura giuridica sull’appello è vastissima: tra i principali autori che
si sono occupati, in generale, di tale istituto vanno ricordati, a titolo meramente esemplificativo, tra i
tanti: D’ONOFRIO, Appello (dir. proc .civ.), in Novissimo Dig. it., I, Torino, 1957, 725 e segg.;
VELLANI, Appello (dir. proc. civ.), in Enciclopedia del diritto, II, Milano, 1958, 719 (con relativa
appendice di aggiornamento a cura di SASSANI, in Aggiorn. EdD, vol. III, 1999, 178 e segg.);
CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, Padova, 1973, 582 e segg.; LUISO, Appello nel diritto
processuale civile, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 360 e segg.; CHIARLONI, Appello
(Diritto processuale civile),in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988; FAZZALARI, Il
processo ordinario di cognizione. 2 Impugnazioni, Torino, 1990, 23 e segg.; PROTO PISANI, Note
sulla struttura dell’appello civile e sui suoi riflessi sulla cassazione, in Foro it., I, 107 e segg., nonché
Appunti sull’appello civile (alla stregua della L. 353/90), in Foro it., 1994, IV, 193 e segg.;
VALITUTTI-DE STEFANO, Le impugnazioni nel processo ordinario, vol. 2, Padova, 1996, 3 e
segg.; CONVERSO, Il processo di appello dinanzi alla Corte d’appello, in Giur. it., 1999, 661 e
segg.; TARZIA, Lineamenti del processo civile di cognizione, II ed., Milano, 2002, 295 e segg.;
MANDRIOLI, Diritto processuale civile – II – Il processo di cognizione, XVIII ed., Torino, 2006,
441 e segg.; con riferimento alla disciplina del codice previgente v., per tutti, MORTARA, Appello
civile, in Digesto it., 1890, III, 2, 380 e segg., e CALAMANDREI, Appello civile, in Enc. it., Roma,
1929, III, 729 e segg., ora in Opere giuridiche,VIII, 441 e segg.
7
Capitolo I – Le diverse tesi sulla natura giuridica del giudizio d’appello
giudizio
4
. In sostanza, l’appello è inquadrato dall’ordinamento come il mezzo
ordinario di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, diretto a
provocare un riesame della causa nel merito, non limitato necessariamente al
controllo di vizi specifici
5
. La sua principale caratteristica è costituita dal c.d.
“effetto devolutivo”, secondo il noto principio del tantum devolutum quantum
appellatum, che si realizza nel passaggio della cognizione della causa dal
giudice di primo grado al giudice superiore, ancorché nei limiti del gravame o
dei gravami proposti dalle parti.
L’individuazione dell’ambito dell’appello è da ritenersi condizionata,
secondo la disciplina codicistica attuale come ridisegnata dalla legge
novellatrice n. 353 del 26 novembre 1990, in relazione, soprattutto, al nuovo
disposto dell’art. 345 cod. proc. civ., dalla scelta legislativa di aver voluto
prevedere il radicale divieto non solo di nuove domande, ma anche di nuove
eccezioni, oltre a sancire l’ammissibilità molto limitata di nuovi mezzi di
4
In quest’ottica si afferma che l’espressione “grado” implica la configurazione di un’ulteriore
cognizione della controversia destinata a sfociare in una pronuncia sostitutiva di quella adottata in
prima istanza, nel mentre l’espletamento di un diverso mezzo di impugnazione ordinario (come, ad
es., il regolamento di competenza) determina l’apertura di una “fase” ulteriore del processo.
Diversamente, ancora, le impugnazioni straordinarie danno vita addirittura ad un nuovo e diverso
procedimento che viene ad instaurarsi in seguito al passaggio in giudicato della sentenza gravata.
5
In questo senso l’appello viene incasellato, dalla dottrina assolutamente prevalente ed in
contrapposizione ai cosiddetti mezzi “a critica vincolata”, nell’ambito dei mezzi di impugnazione “a
critica libera” (essendone riconosciuta la sua esercitabilità per far valere, oltre che errori e vizi, anche
la semplice ingiustizia del provvedimento impugnato). Anzi, alcuni orientamenti scientifici più
recenti – sulla scia delle catalogazioni compiute dal CERINO CANOVA, in op. cit., 94 – hanno
inteso rilevare che l’appello è il solo mezzo di impugnazione proponibile anche indipendentemente
dalla circostanza che si lamenti un vizio del provvedimento gravato, essendo formulabile anche da
chi lamenti la sola sua ingiustizia, senza che, peraltro, ciò impedisca che con l’appello si possano, a
maggior ragione, far valere anche gli eventuali vizi: v., da ultimo, per tale precisazione,
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, cit., 403.
8
Capitolo I – Le diverse tesi sulla natura giuridica del giudizio d’appello
prova
6
; per cui, in relazione alla nota contrapposizione che si rinviene nel
dibattito dottrinale sviluppatosi, non si prospetta infondata la tendenza a
privilegiare la ricostruzione della funzione del mezzo di impugnazione in
questione non come novum iudicium ma come revisio prioris instantiae
7
,
definizione quest’ultima che è stata, peraltro, fatta propria dalla
giurisprudenza come dato in essa ormai consolidato
8
.
In raffronto alla disciplina precedente, con la novella del 1990, all’appello
non è più riconducibile l’effetto sospensivo, automatico, dell’esecuzione della
sentenza impugnata, il quale, cioè, non consegue alla pendenza del termine
6
Ricondotta all’emergenza di una loro effettiva indispensabilità in funzione della decisione della
causa ovvero all’impossibilità della loro allegazione nel giudizio di primo grado per causa non
imputabile alle parti interessate.
7
V., in proposito, ad es., TARZIA, op. cit., il quale, pur asserendo che trattasi di formule a cui non
può attribuirsi un valore assoluto, chiarisce che la linea di fondo della scelta legislativa appare
certamente orientata verso la qualificazione di tale mezzo come revisio prioris instantiae; in tal senso
v., altresì, DE CRISTOFARO, Inammissibilità, appello senza motivi ed ampiezza dell’effetto
devolutivo, in Corr. giur., 2000, spec. 760-761. Va sottolineato che - come ricorda BONSIGNORI,
L’effetto devolutivo dell’appello, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1974, 1327, nota 3 – la matrice della
distinzione tra novum iudicium e revisio prioris instantiae, di per sé estranea alla moderna
sistematica, deve essere rinvenuta nel diritto comune germanico, ed in particolare nel “Novum
recessum imperii” del 1654, ove venivano disciplinati due tipi di appello, a seconda che fosse stata
proposta un’appellatio generalis oppure no, poiché in caso di appello generale ne conseguiva un
procedimento di revisio, mentre nell’ipotesi contraria, formulati i motivi di gravame, si potevano
addurre fatti nuovi, onde la configurazione di un “secondo” primo grado (novum iudicium).
8
V., per tutte, Cass., SS.UU. civili, 29 gennaio 2000, n. 16/SU, in Corr. giur., 2000, 750 e segg., con
nota cit. di DE CRISTOFARO e in Foro it., 2000, I, 1606 e segg., con note di BALENA, BARONE e
PROTO PISANI, e, da ultimo, soprattutto nell’ampia motivazione, Cass., SS.UU. civili, 23 dicembre
2005, n. 28498 (Pres.-est. Carbone), in Corr. giur., 2006, 1083 e segg., con nota di PARISI; in Dir. e
Giust., 2006, n. 6, 10 e segg., con nota di GARUFI, e in Foro it., 2006, I, 1453 e segg., con nota di
BALENA-ORIANI-PROTO PISANI-RASCIO. In quest’ultima sentenza, in particolare, si evidenzia
come l’appello non rappresenta più, come nel sistema del codice di rito del 1865 (laddove
“l’appellazione” si configurava, in effetti, come un gravame diretto a provocare, anche senza alcuna e
concreta indicazione dei capi impugnati, la “prosecuzione” del giudizio di primo grado), pur
permanendo la sua funzione sostitutiva quanto alle statuizioni decisorie su diritti impugnati, il
“mezzo” per “passare da uno all’altro esame della causa”, su tali statuizioni, onde, con il relativo atto
introduttivo, la parte legittimata non può limitarsi, al fine di ottenerne la riforma, ad una denuncia
generica dell’ingiustizia dei capi appellati della sentenza di primo grado, ma deve puntualizzarli
all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma “comunque” sostituiti
dalla sentenza di appello che non è impugnazione rescindente come il ricorso per cassazione
(l’avvicinamento alla struttura del quale è solo parziale); e tale puntualizzazione ulteriore avviene
appunto nella denunzia di specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata.
9