Introduzione L'obiettivo cognitivo del presente lavoro è l'analisi del fenomeno dell'omofobia, nelle
sue declinazioni teoriche ed empiriche, alla luce della tematizzazione crescente di cui
esso è stato oggetto negli ultimi decenni, di pari passo con l'emergere di una nuova
coscienza collettiva nel dibattito pubblico intorno all'omosessualità.
In generale, il frame di partenza implica l’assunzione di una visione composita e
articolata dei concetti di sesso, genere e orientamento sessuale, che vada al di là degli
stereotipi che continuano a sopravvivere al riguardo nel contesto sociale. L'omofobia
può essere definita come una paura e un'avversione più o meno irrazionale nei confronti
dell'omosessualità e delle persone che la esprimono (lesbiche, gay, bisessuali e
transgender), basate su varie forme di pregiudizio. In questo senso, non è dissimile da
altri stigmi collettivi, come il razzismo, la xenofobia o il sessismo. Tale visione
oppositiva nei confronti di chi è definito come "diverso" o "deviante" rispetto ad un
modello unico di convergenza sessuale trova espressione in comportamenti, verbali o
fattivi, di contrasto e avversità all'integrazione sociale di persone che abbiano espresso
un orientamento non eterosessuale, spesso - come la lunga sequela di episodi di cronaca
recente dimostra - in forme estremamente violente.
A partire da questa definizione, la presente tesi si propone di realizzare un percorso che
analizzi il fenomeno in ogni suo aspetto, cercando di arrivare alle radici delle
rappresentazioni, degli atteggiamenti e di comportamenti omofobici. Si tratta di un
obiettivo ambizioso, che deve scontare la necessità di argomentare sorso in modo
controfattuale le proprie tesi, considerando che se negli ultimi anni i mass media
sembrano avere dedicato sempre più spazio ai gay e alle lesbiche, almeno in Italia il
mondo accademico non ha prodotto molta conoscenza al riguardo, almeno in Italia:
così, in mancanza di dati e di conoscenze fondate, nei servizi televisivi e nelle
narrazioni quotidiane prevalgono ancora i luoghi comuni e gli stereotipi, talvolta
direttamente correlati ai fenomeni di violenza, verbale e fisica, agiti nei dei confronti di
tale minoranza sessuale.
La presente analisi dell'omofobia e della percezione che la società ha di questo
fenomeno è articolata in otto capitoli. Partendo da una chiarificazione di natura teorica
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dei concetti utilizzati, di sesso, genere e orientamento sessuale (capitolo 1), il lavoro
prende le mosse da un tentativo di offrire una panoramica generale sulla diffusione, in
particolare nel dibattito pubblico, dello status non eterosessuale, a livello di
comportamenti, percezioni e rappresentazioni, con specifica attenzione alle distinzioni
emergenti tra un’omosessualità maschile e un’omosessualità femminile.
Il secondo capitolo si occuperà di analizzare dall'interno la costruzione dell’identità
omosessuale, il processo difficile e talvolta irrisolto di definizione del sé come
omosessuali o bisessuali, di frequente vissuto come una profonda rottura con una
prospettiva di vita in generale auto-percepita e socialmente proposta come più “idonea”
o più “giusta”, ovvero l’eterosessualità. Prima di ogni altra cosa, ciò che l’individuo
affronta è lo stereotipo sociale che è legato all’identità omosessuale: esso dev’essere
affrontato attraverso un percorso di ridefinizione dell’omosessualità, per potersene
appropriare in modo positivo. Tale processo di costruzione di un’identità omosessuale,
si conclude, nella maggior parte dei casi, attraverso il cosiddetto coming out ., ossia il
processo attraverso il quale una persona, previo riconoscimento del sè, dichiara
apertamente e pubblicamente il proprio orientamento non eterosessuale. Il coming out è
caratterizzato da una serie di comportamenti, che vanno dalle modalità scelte per
esplicitare la propria identità sessuale, alla selezione delle persone e dell’ambiente più
idoneo quali destinatari della rivelazione, tutti elementi che variano notevolmente da
persona a persona e lo rendono un evento del tutto individualizzato.
L'accompagnamento di questo complesso percorso biografico può essere favorito,
soprattutto nella fase di dichiarazione pubblica, dal sostegno di associazioni ad hoc, che
si sono moltiplicate negli ultimi decenni, anche in Italia: anche ad esse verrà dato
risalto, in particolare nel quarto capitolo. In questo contesto, di particolare rilievo per
gli scopi del presente lavoro è l’omofobia interiorizzata, cioè l'atteggiamento tipico
degli omosessuali che vivono uno stato di profonda frattura e malessere nei confronti
della propria identità, arrivando a stigmatizzare in modo violento questa declinazione
dell'orientamento sessuale e, in ultima istanza, anche a rinnegare se stessi, o ad adottare
strategie di mimesi irrisolta aggressivo-passiva.
Con il quarto capitolo il lavoro entra nel vivo, poiché si focalizza sull'omofobia in
senso proprio, il fenomeno che sta a monte e trova espressione in tutte le forme di
violenza esercitate nei confronti dei gay e delle lesbiche, associate all'espressione di
sentimenti di paura, di disgusto e di repulsione apertamente manifestati nei confronti
delle persone omosessuali. L’omofobia verrà analizzata in tutti i suoi aspetti al fine di
comprenderne le dinamiche. In questa chiave, sul piano metodologico, saranno riportati
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a sostegno della riflessione teorica numerosi casi di omofobia esplicita verificatisi nel
contesto italiano, approssimativamente dal 2000 ad oggi, seguendo quattro assi di
ricerca: l’apologia del reato, cioè la diffusione sottesa di idee incitanti a sostenere
l'esclusione sociale delle persone omosessuali; gli episodi di violenza fisica o verbale
ad personam ; gli attentati commessi nei confronti di locali o comunità gay; le forme
più estreme di violenza, culminanti nell'omicidio.
La reazione della società civile alla diffusione dell'omofobia sarà analizzata, di seguito,
a partire dalla cornice normativa esistente: una questione molto discussa negli ultimi
anni è l’introduzione, in Italia, di una legge ad hoc contro l’omofobia, a partire dalle tre
risoluzioni introdotte sul punto dal Parlamento europeo (capitolo 5), e dai tre tentativi
di legge proposti negli ultimi anni in sede nazionale (capitolo 6). Seguirà un’analisi di
quella che ho voluto definire "omofobia politica", corredata da esempi di come i
rappresentanti politici possano veicolare l'omofobia attraverso le loro dichiarazioni non
propriamente positive nei confronti degli omosessuali.
Il settimo capitolo verterà sulla percezione dell’omosessualità e dell’omofobia in Italia,
con particolare attenzione alle differenze esistenti tra l'omofobia verso i gay,
caratterizzata nella maggior parte dei casi da aggressioni fisiche e verbali, e l’omofobia
contro le lesbiche, che si distingue perché aggravata dalla violenza sessuale nei
confronti delle donne, come se mentre nei confronti dei soggetti omosessuali uomini
fosse dominante l’esigenza di una ridefinizione del genere maschile in senso virile,
rispetto alle donne non eterosessuali divenisse prioritario l’obiettivo di ridefinire e
ribadire, nel contempo, anche la loro “dipendenza” di genere e sessuale nei confronti
degli uomini.
L'ultima parte del lavoro (capitolo 8), è un'analisi incentrata sulla percezione che i
mezzi di comunicazione trasmettono dell’omofobia, lungo due correnti d'opinione: i
positivisti, ovvero coloro che sono a favore del più ampio riconoscimento di diritti alle
persone omosessuali e di una legge contro l’omofobia, e i negativisti, che sostengono la
versione contraria.
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Capitolo I
1.1 Una questione di definizione L'evoluzione della storia sociale ha prodotto un vasto repertorio di termini e concetti
legati alla sfera della sessualità. Una costante universale è, in questo processo di
mutamento, la rappresentazione dello spazio familiare come l'ambito primario in cui i
due sessi, maschile e femminile, si incontrano e convivono, e in cui si apprendono le
carriere di genere, da parte di uomini e donne: è cioè innanzitutto a livello della
famiglia che l’appartenenza sessuale diviene un destino sociale. Le fasi più avanzate
della riflessione avviata dai gender studies da molti decenni hanno reso più composita
l'immagine binaria e dicotomica dei concetti di sesso e genere, definendo una vera e
propria moltiplicazione delle identità di genere e delle possibili combinazioni con
l'identificazione sessuale. Ciò nonostante, termini come orientamento sessuale, genere e
sesso continuano ad essere spesso utilizzati come intercambiabili nel linguaggio
quotidiano, e tale fraintendimento non è privo di conseguenze sul piano sostanziale, se
l'intento cognitivo che il presente lavoro si propone è quello di offrire una chiave
interpretativa del fenomeno dell'omofobia diffusa nel tessuto sociale. Infatti, uno dei
presupposti più immediati dell’omofobia, anche nelle sue forme latenti, è la frequenza
irriflessiva con cui termini come genere (costruito socialmente) e sesso (di matrice
biologica) vengono fatti coincidere, intrappolando nella stessa bipartizione statica
anche la definizione dell'orientamento sessuale, come necessariamente incrociato ed
eterodiretto. In questo schema immoto, l'orientamento sessuale omologo delle persone
gay non trova collocazione, se non come anomalia o devianza, spesso associata allo
stigma per il "disordine" logico e ontologico che ne viene dedotto.
La prima tappa irrinunciabile nel percorso analitico che ci si propone di sviluppare sarà,
quindi, la proposta di una definizione chiara e precisa della terminologia che sarà
utilizzata nel corso del lavoro, al fine di permettere una comprensione non equivoca del
tema affrontato, che dell'avversione teorizzata o agita nei confronti dell'omosessualità
fa il proprio fulcro.
La prima distinzione, in ordine d’importanza a fini di chiarezza analitica, è quella tra
sesso biologico e genere. La letteratura sociologica anglosassone ha per prima offerto
una specificazione concettuale esaustiva, distinguendo tra la dimensione corporea
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dell'appartenenza sessuale e la costruzione condivisa dell'identità individuale e sociale.
Il termine genere intende rilevare questa seconda dimensione, costruita e appresa, della
collocazione sessuale, di contro alla naturalizzazione assolutizzante della differenza
fisiologica fondata sui caratteri genitali originari.
Con il termine " sesso ", quindi, ci si riferisce alle differenze di natura biologica che
esistono tra i maschi e le femmine (ad es. solo le donne possono partorire, in ragione di
una condizione biologicamente determinata). Il termine " genere ", invece, si riferisce
all’insieme dei processi di adattamento, alle di modalità di comportamento e di
rapporti, con i quali ogni società trasforma la differenza sessuale biologica in prodotti
dell’attività umana (Rubin, 1975). Il genere ha a che fare con sistemi di valori e di
significati; promuove modelli d’identità e sistemi di attese reciproche nei rapporti tra le
persone e nei modi in cui le persone pensano a sé e agli altri/e, a ciò che è possibile per
sé e per gli altri/e. Rappresenta il modo in cui, dall’esistenza di due sessi, ciascuna
società costruisce regole e percorsi in parte obbligati, che regolano i destini individuali
degli appartenenti ai due sessi e i rapporti tra loro. A questa coppia concettuale, va
aggiunta una terza dimensione, quella dell' orientamento sessuale , che descrive la
direzione verso cui si indirizza preferenzialmente l'espressione della sessualità di un
individuo, indipendentemente dal genere a cui tale individuo appartiene e dal sesso di
nascita. Nel linguaggio comune si parla di orientamento eterosessuale , bisessuale ed
omosessuale ( lesbico , gay ): l' orientamento eterosessuale è rappresentato dalla comparsa
nella sfera della coscienza di una preponderanza di sentimenti, pensieri erotici e
fantasie sessuali che riguardano un individuo di sesso opposto; quando invece gli stessi
atteggiamenti e comportamenti sono riferiti ad una persona dello stesso sesso si parla di
orientamento omosessuale.
Sulla base dell'assunto che il comportamento sessuale di un individuo sia una
conseguenza della direzione della sua sessualità, le relazioni omosessuali, eterosessuali
o bisessuali sono tematizzate parimenti come altrettanto "normali", non devianti o, per
utilizzare un termine forse improprio ma in uso nel senso comune, "naturali". Di
conseguenza, il mancato riconoscimento della parità di diritti anche nella libera e piena
espressione della propria sessualità, o a prescindere da questa, costituisce una
discriminazione fortemente ancorata sull’orientamento sessuale, laddove la differenza
oggettiva diviene disuguaglianza soggettiva.
Procedendo nello sforzo di chiarificazione teorica, si utilizza il concetto di identità
sessuale per indicare la relazione complessa esistente tra sesso e genere come
componenti dell’identità individuale, in virtù di un’integrazione riconoscibile tra il
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sesso biologico, definito dalla nascita, l’identità e il ruolo di genere (appresi nella
socializzazione primaria e secondaria), e l’orientamento sessuale manifestato. In
particolare, l’identità di genere rappresenta la percezione sessuata di sé e del proprio
comportamento in maniera unitaria e persistente, come maschio o come femmina.
Le radici teoriche dell'omofobia sono rintracciabili, sebbene parzialmente, anche nei
processi di transizione inappropriata dall'ambito e dal codice psicologico-clinico a
quello sociologico-normativo. La psicologia ha a lungo definito, in senso strettamente
tecnico, l’omosessualità come un disordine e un disturbo della personalità soggetto ad
analisi clinica: in quest'accezione il disordine dell’identità di genere è la condizione in
cui non c’è concordanza, parziale o completa, tra il sesso biologico assegnato dalla
nascita e riconosciuto in base agli organi genitali esterni e il genere che viene codificato
dal cervello. Esso viene suddiviso in tre sottotipi: il disturbo dell’identità di genere nei
bambini, il disturbo dell’identità di genere negli adolescenti e, infine, negli adulti. La
persona portatrice di tale disturbo sentirebbe la convinzione precoce, permanente e
irreversibile, di appartenere al sesso opposto e proverebbe di conseguenza sentimenti di
disagio, inadeguatezza e talvolta disgusto per la sua conformazione sessuale primaria e
secondaria. Più specificamente, è argomentata la distinzione tra: personalità
androginoide , propria di uomini che sentono di avere un’identità di genere femminile,
ginandroide , associata a donne che si identificano come uomini e androginoide di
tipo autoginefilico , che riguarda gli uomini che provano piacere sessuale in rapporto
alla fantasia di se stessi vestiti come donne.
Il disturbo dell’identità di genere si differenzia peculiarmente dall’ omosessualità , dal
travestitismo , dalla trans-omosessualità , dal transgenderismo e dal
transessualismo . L’omosessualità è l’attrazione sessuale stabile verso persone del
proprio sesso. L’omosessuale ha un’identità di genere coerente con il sesso di nascita e
un ruolo di genere variabile. La sua caratteristica dominante sta nell’orientamento
sessuale, che è rivolto a persone dello stesso sesso. Il travestitismo è legato al ruolo di
genere. Associato al feticismo 1
, esso consiste nel bisogno di indossare indumenti o di
1In origine, il termine feticismo (dal portoghese " feitiço " = “artificiale”, poi “sortilegio”) indica una pratica
religiosa che consiste nell’adorare un oggetto di culto, un feticcio appunto. In sessuologia questo termine si applica
alle persone che provano un desiderio sessuale per un oggetto, una parte del corpo o una situazione particolare. In
alcuni casi la presenza di questo “oggetto di culto” è necessaria, per non dire essenziale, all’eccitazione e al piacere
sessuale. Considerato fino a qualche tempo fa una perversione malsana e da condannare, al giorno d’oggi il feticismo
sta entrando nelle abitudini e diventa una moda !
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assumere le sembianze dell'altro sesso al fine di ottenere un piacere sessuale. Chi si
traveste, non ricerca poi persone del proprio sesso con le quali consumare l’atto
sessuale, perché non vi è necessaria corrispondenza con l'orientamento omosessuale,
ma il travestimento viene messo in atto con lo scopo di procurarsi un’eccitazione
sessuale per poi avere un rapporto con il/la partner.
La transomosessualità riguarda le persone con disturbi d’identità di genere che hanno
un orientamento omosessuale. Il transgenderismo sostiene che l'identità di genere di
una persona non è una realtà duale "maschio/femmina", ma un continuum di identità ai
cui estremi vi sono i concetti di "maschio" e "femmina", con molteplici sfumature
intermedie (Petruccelli, 2007) . Questo termine è più estensivo di quello di
transessualismo, che indica la condizione di una persona affetta da disturbo dell'identità
di genere, la cui identità sessuale fisica non è corrispondente alla condizione
psicologica dell'identità di genere maschile o femminile e che, sovente, persegue
l'obiettivo di un cambiamento del proprio corpo, attraverso interventi medico-
chirurgici.
1.2 L’omosessualità Sul piano sociologico, il focus dell'analisi si concentra sul tentativo di distinzione tra la
dimensione fenomenologica dell'omosessualità, come fatto sociale, e la dimensione
delle sue rappresentazioni collettive, spesso filtrate da stereotipi ricorrenti. Esiste una
relazione di reciprocità evidente tra le due dimensioni: la diffusione sempre più
emergente di comportamenti omosessuali nelle pratiche collettive ha indotto, lungo gli
ultimi decenni, modifiche profonde nella percezione condivisa, da parte dell'opinione
pubblica italiana, dell'omosessualità, in direzione di una legittimazione crescente o,
quanto meno, di un'attenuazione dello stigma ad essa associato. Ancora più arduo, sul
piano descrittivo, è l'intento di raccontare dall'interno l'autorappresentazione del sé da
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parte di persone gay e lesbiche, tutt'altro che scevra, a sua volta, di pregiudizi e
preconcetti acquisiti.
Il comportamento o l'attrazione sentimentale e/o sessuale tra individui dello stesso
sesso, a livello situazionale, cioè in una situazione di breve durata, circoscritta ed
episodica, o di tipo duraturo, appartenente alle persone come loro "caratteristiche" non
transeunti, vengono collocati nel continuum etero-omosessuale della sessualità umana,
e contribuiscono a definire l'identità personale dei singoli, ponendola alla base della
loro appartenenza a una comunità di soggetti che ne condividono le caratteristiche
essenziali.
Il proposito di delineare un profilo standard delle persone omosessuali sul piano
analitico è del tutto fallace. Tanto più che la diffusione di forme più o meno esplicite di
omofobia, nelle diverse epoche e culture, contribuisce ad occultare anche i tratti più
ricorsivi della fenomenologia omosessuale, in quanto possono indurre strategie di
autonegazione o nascondimento da parte delle persone omosessuali, sia sul piano della
loro definizione pubblica (osteggiata dalla società di riferimento) sia su quello del loro
riconoscimento individuale. Sul piano dei comportamenti, al netto della retorica
pubblica e delle rivendicazioni di status, sono poche le ricerche che consentono di
avanzare delle stime di diffusione e di declinazione qualitativa del fenomeno.
Conseguentemente, l'analisi deve spesso abdicare alla sua espressione empirica per
soffermarsi sulla specificazione teorica del fenomeno. Sotto questo profilo,
l'omosessualità è una variante dei processi di attrazione umana che si caratterizza per il
suo indirizzamento verso persone dello stesso sesso, non necessariamente tradotta in
atti espressamente fisici. E' quindi una condizione esistenziale con contenuti di
affettività, progettualità e di relazione. Il confine fra eterosessualità ed omosessualità
non è affatto netto: vaste aree del comportamento umano sfuggono a una definizione
stringente, ad esempio nel caso delle persone esplicitamente bisessuali o delle persone
che, pur definendosi eterosessuali, possono episodicamente mettere in atto rapporti di
tipo omosessuale. Al di là di queste fattispecie più consuete, declinazioni peculiari
dell'omosessualità, che prescindono dall'adozione definitiva di un'identità sessuale di
tipo omologo, e si caratterizzano piuttosto come eccezioni, possono essere rintracciate
in:
• Comportamenti omosessuali indotti dall'assenza di altre possibilità di
attivazione sessuale, all'origine di una sorta di "omosessualità situazionale o di
compensazione" (per esempio quella che si verifica nelle comunità “totali” che
ospitano persone di un solo sesso, come le carceri o le caserme).
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• Comportamenti omosessuali infantili e adolescenziali, o "giochi"
sessuali, presenti soprattutto nelle società fortemente segregate per genere, in
cui i rapporti sessuali con persone del sesso opposto sono strettamente riservati
agli adulti, tramite matrimonio o ricorso alla prostituzione;
• Comportamenti omosessuali che sono motivati da ragioni che non
coincidono con l’orientamento sessuale della persona: nella maggior parte dei
casi si verificano, per esempio, nel fenomeno della prostituzione, maschile o
femminile, dove è lo scambio economico a fronte di una prestazione a motivare
il rapporto omosessuale.
Di norma, tuttavia, la definizione di persona omosessuale non è applicata ai casi appena
elencati, bensì ai soggetti che provano attrazione in modo predominante o esclusivo per
persone del loro sesso, a prescindere dalle contingenze. Si tratta in ogni caso di una
tipologia variegata di biografie umane, in cui, come nel caso dell'eterosessualità, si
differenziano comportamenti, orientamenti e identità omosessuali: il comportamento
omosessuale è l'attività, l'esperienza puramente fisica; l'orientamento omosessuale è
rappresentato dalla comparsa nella sfera della coscienza di una predominanza di
sentimenti, pensieri erotici e fantasie che riguardano un individuo dello stesso sesso;
l'identità, infine, consiste in un durevole autoriconoscimento del sentire e del vivere
l'omosessualità.
L'interpretazione del fenomeno dell'omosessualità è stata filtrata, in ambito scientifico,
attraverso la classica dicotomia Natura-Cultura. Gli studi che hanno focalizzato il loro
approccio in senso bio-sociale hanno assunto che la radice della ricerca di rapporti
affettivi e sessuali con persone dello stesso sesso vada ricercata in una pulsione
interiore legata alla struttura originaria della fisiologia individuale, e non in una scelta
indotta dall'ambiente o dalle circostanze contestuali. L'attrazione avvertita verso
persone dello stesso sesso sarebbe intrinseca al patrimonio genetico individuale e
prescinderebbe dai vincoli situazionali, mentre non altrettanto può dirsi della scelta di
dare corso a tale desiderio, fortemente ancorata alle opportunità e ai rischi ambientali.
Alla luce di questi assunti, negli anni ‘60 la ricerca del gene dell'omosessualità ha
conosciuto un periodo di grande vigore, ma non ha tuttavia portato a risultati che
confermassero l’idea dell’esistenza di una determinazione genetica connessa alla
propensione omosessuale. Sono stati chiamati in causa, inoltre, fattori di natura
ormonale: molto attiva è stata la ricerca sul livello di androgeni, in particolare del
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