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tratta sempre di psicosessualità, di una costruzione relativamente
indipendente dalla biologia. La differenza anatomica, non di per se stessa
ma attraverso il significato che assume, modellerà le relazioni oggettuali
(Breen, 2000). Le figure genitoriali (Lindsey, Mize, 2001; Banerije, Lintern,
2000; Ruble and Martin, 1998) sono ritenute influenzare verso il
“femminile” attraverso comportamenti calorosi ed espansivi ed elicitare al
“maschile” con condotte di incoraggiamento all’indipendenza, al controllo,
e moderando il comportamento caloroso; inoltre i ragazzi sono indirizzati
verso attività motorie, verso una maggiore libertà, laddove le ragazze
vengono stimolate verso la dipendenza e il mostrare emozioni. Tutto ciò
avviene perché i genitori (Ruble and Martin, 1998) ritengono che ragazzi e
ragazze abbiano differenti qualità e tali credenze sul genere sessuale
sembrano influenzare le loro aspettative e i comportamenti che metteranno
in atto nei confronti dei figli. Date queste premesse, credo sia d’uopo
esplicitare che è mia intenzione definire il disturbo dell’identità di genere
dal versante psicopatologico, riportando i risultati degli ultimi studi in
merito, le aree di ricerca che credo debbano essere approfondite e le varie
ipotesi eziologiche, ferma però nella mia convinzione che l’approccio allo
studio dell’identità di genere e delle sue deviazioni dovrebbe essere
multidisciplinare e contestuale.
In primis, credo sia utile definire e separare terminologicamente il sesso dal
genere; il primo si riferisce, perdonando la tautologia, al sesso biologico,
alla genitalità della persona, ovvero alla possibilità di avere dei genitali
maschili (pene e testicoli) o dei genitali femminili (vagina e ovaie); il
secondo è un termine maggiormente estensivo in quanto include l’aspetto
culturale e sociale nato sulla base della distinzione dei sessi, quindi dal
“maschio” e dalla “femmina” derivano i generi di “uomo “ e “donna”. Circa
questa distinzione, Stoller e Laplanche ebbero opinioni discordanti: Stoller
(1968) assegnò al “sesso” unicamente la rappresentanza del biologico, cioè
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del reale del corpo, mentre vide lo “psichico”, e quindi il genere,
maggiormente vicino alla dimensione culturale; Laplanche (1980), invece,
criticò Stoller affermando che le sue definizioni di sesso e genere avevano
solo contribuito a creare confusione, e che fosse insostenibile annoverare
uno dei termini dal lato dell’anatomia e l’altro dal lato della psicologia.
Conviene, per quest’ultimo autore, indicare con sesso l’insieme delle
determinazioni fisiche o psichiche, comportamentali, ecc. direttamente
collegate alla funzione sessuata e al piacere sessuale, mentre con genere
l’insieme delle determinazioni fisiche o psichiche, comportamentali, ecc.
collegate alla distinzione maschile - femminile.
Per Valerio (2001), il genere è composto da due aspetti strettamente
relazionati: l’identità di genere (il riconoscersi o meno nei modelli di uomo
e di donna definiti dalla società ed il percepire il proprio sesso come facente
parte o meno di questa identità), e il ruolo di genere (la modalità mediante la
quale si vive nella società e ci si relaziona con gli altri a partire dalla propria
identità di genere).
Il termine “identità di genere” è stato coniato da Money e Ehrhardt (1972),
in riferimento al vissuto di appartenenza ad un genere maschile o ad uno
femminile, o in modo ambivalente ad entrambi. Più specificamente Money
intende l’identità di genere come “il senso di se stesso”, o meglio come
“l’esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio
comportamento” (Money, Ehrhardt, 1977).
Stoller, nella prefazione a “Sex and Gender. The Development of
Masculinity and Femininity” (1968), affermava che l’espressione identità di
genere ..è uno strumento di lavoro (working term), un concetto operativo
che ha a che fare con un ambito di sentimenti, pensieri e di comportamento
diverso da quello che possiamo definire come ambito dell’attività sessuale,
nonostante le due espressioni siano tra loro inestricabilmente collegate.
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In questa prima parte del mio lavoro, mi propongo di affrontare la
formazione e lo sviluppo del genere e dell’identità di genere in entrambi i
sessi.
E’ fondamentale chiarire che non è giusto associare completamente il
concetto di orientamento sessuale a quello di identità di genere; infatti, il
primo è un elemento del secondo, ma questo non coincide con quello e il
loro rapporto reciproco è assai complesso e non ancora ben chiarito
(Sandfort, 2005). Una persona, per esempio, potrebbe essere eccitata in
modo predominante da stimoli omosessuali, eppure non considerarsi per una
qualunque ragione “omosessuale” (Déttore, 2008).
Molti studiosi, psicoanalisti e non, si sono occupati dell’identità di genere e
della sua formazione in modo più o meno approfondito. Alcuni autori
(Baldaro, Verde, 1993) hanno sottolineato le caratteristiche dinamiche
dell’identità sessuale, sia nella storia del singolo individuo, che
relativamente al contesto culturale in cui si sviluppa. Altri autori (Fattori
Cornoldi, 1991) sottolineano una relazione di significazione tra
l’acquisizione dell’identità di genere e il processo di separazione-
individuazione. A questo proposito, la Mahler (1975) supponeva che la
nascita biologica e psicologica del bambino non coincidono nel tempo. La
prima è un evento eclatante e osservabile, la seconda è un continuo processo
intrapsichico che si svolge lentamente a partire da uno stato da lei definito di
“autismo normale”, attraverso uno stato “simbiotico normale” e una fase di
separazione- individuazione. Questo processo rimane sempre attivo lungo
tutto l’arco della vita, ma le sue principali conquiste avvengono nel periodo
che va dal quarto - quinto al trentaseiesimo mese, chiamato dall’autrice
“fase di separazione-individuazione”. Separazione e individuazione sono
due sviluppi complementari, la prima si attua nell’emergere del bambino da
una fusione simbiotica con la madre, mentre l’individuazione si attua
nell’assunzione, da parte del bambino, di proprie caratteristiche individuali
(Lis et al., 1999, p.141).
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L’acquisizione dell’identità di genere, insieme all’identità personale,
secondo Stoller e Greenson (1968) è più difficile nel maschio perché deve
separarsi dall’identificazione con la femminilità materna; Greenacre (1971),
Mahler e coll. (1975), Argentieri (1985) e Cesàro (1996), invece, ritengono
che sarebbe la bambina a trovare più difficoltà perché, nello scoprire la
differenza sessuale, si riavvicinerebbe alla madre con sentimenti
ambivalenti, colpevolizzandola della propria mancanza anatomica. Per
Stoller (1968), infine, il processo di acquisizione dell’identità, benché abbia
inizio alla nascita e proceda sino all’adolescenza, si stabilizza intorno ai due,
tre anni e resta sostanzialmente immodificabile. In proposito, Stoller parla di
un “nucleo dell’identità di genere”, inteso come il convincimento primitivo,
preverbale, fissato una volta e per tutte ed osservabile sul piano
comportamentale, dell’appartenenza al genere sessuale maschile o
femminile. Tre sarebbero i fattori in grado di determinare tale nucleo:
1) l’insieme delle componenti biologico - ormonali;
2) le caratteristiche anatomo - fisiologiche dei genitali esterni, da un lato
come segno per il riconoscimento del sesso alla nascita, e dall’altro come
luogo di origine di sensazioni somatiche fondamentali per la costituzione
del primitivo Io corporeo;
3) l’insieme delle componenti relazionali, ossia degli atteggiamenti e dei
comportamenti agiti in maniera più o meno inconscia soprattutto dalla
madre prima e dal padre poi (Vitelli in Valerio et al., 2001).
Recenti ricerche mettono, comunque, in dubbio sia l’immutabilità di questo
senso nucleare di genere dopo i tre anni, sia la sua origine totalmente a-
conflittuale e non traumatica.
Secondo Di Ceglie (2002), la nozione di nucleo dell’identità di genere di
Stoller come struttura psichica con qualità complete, e perciò immutabili,
sarebbe tale sono in alcune condizioni, mentre la definizione da egli stesso
proposta di AGIO (Atipical Gender Identity Organization), sembrerebbe più
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adatta ad una comprensione multidimensionale del disturbo dell’identità di
genere, perché nella sua accezione (la stessa di Steiner, 1993) il termine
“organizzazione” avrebbe il significato di “organizzazione patologica della
personalità, e descriverebbe una famiglia di sistemi difensivi caratterizzata
da difese rigide che hanno la funzione di ridurre ed evitare l’ansia.
Con disturbo dell’identità di genere si intende un sentimento di infelicità, di
inadeguatezza e di non corrispondenza tra il proprio sesso e il ruolo di
genere (Valerio, 2008), tale che, in casi estremi, può condurre ad una
riattribuzione chirurgica del sesso.
Con ruolo di genere intendiamo, infine, una serie di norme comportamentali
associate ai maschi e alle femmine, rispettivamente, in un dato gruppo o
sistema sociale (Reiter 1975: 159). Il ruolo di genere è quindi l’espressione
esteriore dell’identità di genere e riflette quei comportamenti imposti
direttamente o indirettamente dalla società (Simonelli, 2006).