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Introduzione
Questo lavoro si propone di approfondire la relazione tra i Disturbi del
Comportamento Alimentare e l'autolesionismo, dal momento che questi sintomi
sono frequentemente concomitanti (Paul et al., 2002).
L'interesse per queste patologie è aumentato negli ultimi anni a causa della loro
diffusione sempre maggiore, soprattutto tra le giovani donne (Giberti, Rossi,
2009; Rossi Monti, D'Agostino, 2009). Se le patologie alimentari hanno acquisito
una precisa autonomia diagnostica, l'autolesionismo viene considerato un sintomo
caratteristico di altre sindromi o del Disturbo Borderline di Personalità. Alcuni
Autori, tuttavia, propongono di leggerlo come una sindrome autonoma (Favazza,
Rosenthal, 1993). Anche se si tratta di un aspetto controverso, gli stessi disturbi
alimentari possono essere interpretati come una forma di autolesionismo indiretto
(Pani, Ferrarese, 2007).
Verrà inoltre trattata la presenza di queste patologie nell'ambito del Disturbo
Borderline di Personalità. Solo una parte delle persone con disturbi alimentari
presenta questo tipo di personalità. Questi pazienti presentano generalmente una
sintomatologia più grave e una generale difficoltà nel controllo degli impulsi, che
si manifesta anche attraverso i comportamenti autolesivi (Yu Chen et al., 2009).
Sarà dunque presa in considerazione l'eziologia di tali disturbi e in particolar
modo verrà trattata l'influenza delle relazioni di attaccamento nell'infanzia.
Verranno pertanto analizzate l'influenza della disorganizzazione dell'attaccamento
nella genesi della dissociazione (Liotti, 2000) e le dinamiche che sottendono lo
sviluppo dei disturbi trattati (Fonagy, 2010; Codiposti, Simonelli, 2006).
Si affronterà quindi l'ipotesi secondo cui ciò che accomuna i disturbi
dell'alimentazione a livello borderline e l'autolesionismo sia la dissociazione
(Vanderlinden, Vandereycken, 1998). Verrà analizzato il ruolo del trauma nello
sviluppo di tale meccanismo di difesa e saranno presi in considerazione diversi
aspetti della dissociazione che sembrano essere alla base delle emozioni e dei
comportamenti caratteristici delle patologie trattate (Nijenhuis, 2007; Steinberg,
Scnall, 2006).
Si cercherà di interpretare il significato dei comportamenti autodistruttivi e si
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metterà in evidenza la loro utilità per il paziente nel vivere e affrontare gli stati
dissociati creati del trauma (Zlotnick, 1996).
Infine verranno proposte alcune indicazioni per il trattamento, all'interno del quale
dovrebbe essere posta attenzione in modo specifico alla dissociazione e alle
dinamiche che si attivano nella relazione terapeutica come tentativo di rielaborare
l'esperienza traumatica (Farber, 1997; Bromberg, 2008).
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Capitolo 1
Disturbi del Comportamento Alimentare e
Autolesionismo
La concomitanza tra Disturbi del Comportamento Alimentare e molte forme di
autolesionismo è stata riscontrata da diversi autori. (Favaro, Santonastaso, 1998;
Favaro, Santonastaso, 1999; Favaro, Santonastaso, 2000, Paul, et al-, 2002). La
comorbidità tra i due disturbi varia, a seconda delle ricerche, dal 30%, escludendo
i tentativi di suicidio e una diagnosi concomitante di Disturbo Borderline di
Personalità (Paul et al., 2002), al 100% (Sachsse, 1989 in Paul et al., 2002).
La coesistenza tra disturbi alimentari e autolesionismo non è spiegabile
semplicemente come una sovrapposizione di sindromi, dal momento che alcuni
sintomi specifici dei Disturbi del Comportamento Alimentare, come per esempio
l'abuso di lassativi, possono essere considerati di per sé forme di autolesionismo. I
pazienti stessi spesso descrivono il loro comportamento come un irresistibile
bisogno di punirsi (Favaro, Santonastaso, 2008). Alcuni Autori (van der Kolk, et
al., 1991) considerano quindi i disturbi alimentari come una forma di
autolesionismo Come nell'autolesionismo (Favazza, Rosenthal, 1993), nei disturbi
alimentari non c'è uno specifico intento di morire. Secondo l'autrice Selvini
Palazzoli (1963), per esempio, nell'Anoressia Mentale la paziente rifiuta insieme
al corpo la sua mortalità, così come la possibilità di ingrassamento e
l'invecchiamento. Viene rifiutato tutto ciò che è inerente alla corporeità, tutto ciò
che è sentito come inevitabile e quindi imposto.
Inoltre alcune forme di disturbi alimentari e di autolesionismo sono accomunate
da alti livelli di sintomi dissociativi (Everill, et al., 1995) e dalla presenza, nella
storia dei pazienti, di traumi avvenuti durante l'infanzia come violenze sessuali o
fisiche (Vanderlinden, Vandereycken, 1998).
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1.1 Disturbi del Comportamento Alimentare
1.1.1 Storia e considerazioni psicosociali
I disturbi alimentari sono patologie che, dagli anni sessanta a oggi, hanno avuto
un notevolissimo incremento dell'incidenza in tutto il mondo Occidentale, con una
frequenza particolarmente elevata nell'età giovanile e nel sesso femminile. Si
tratta di patologie spesso gravi, che in molti casi possono divenire croniche.
Nelle classificazioni psichiatriche (DSM-IV-TR) la sezione dei Disturbi del
Comportamento Alimentare (DCA) comprende l’anoressia nervosa, la bulimia
nervosa e i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati.
Questi ultimi sono anoressie o bulimie parziali, quadri clinici che non presentano
tutti i sintomi necessari per la diagnosi di una delle due sindromi. Il “Disturbo da
alimentazione incontrollata” (Binge Eating Disorder), che rientra fra i disturbi del
comportamento alimentare non altrimenti specificati, ha suscitato un crescente
interesse per il suo legame con l’obesità (Fairburn, 1995).
I DCA colpiscono prevalentemente giovani donne, con una frequenza compresa
tra il 2 e il 4% della popolazione tra i 10 e i 30 anni. Due picchi di esordio si
presentano nell'età adolescenziale, in particolare a 14 e 18 anni (Giberti, Rossi,
2009). Negli ultimi decenni i DCA si sono diffusi in tutte le fasce sociali,
nonostante si sottopongano a un trattamento prevalentemente le persone
appartenenti a classi medie e alte. (Dalla Grave, 2001).
Nonostante la diffusione dei DCA sia piuttosto recente, non si possono
considerare patologie del tutto nuove . Le prime descrizioni di tali patologie, e in
particolare di forme anoressiche, si possono fare risalire alla vita di alcune sante
cristiane, mentre si trovano tracce di comportamenti orientati sul versante
bulimico nella letteratura greca ed ebraica. L'ideale ascetico per cui l'anima è
prigioniera del corpo risale a Platone, secondo il quale è necessario rendersi
indipendenti dai bisogni fisici per essere più simili agli dei. Anche in epoca
medievale le grandi mistiche rifiutavano di nutrirsi e praticavano il vomito
autoindotto per manifestare il loro rifiuto al mondo sensoriale e corporeo e potersi
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così avvicinare a Dio (Bara, 2005; Vandereycken, van Deth, 1995).
La prima descrizione medica di un caso di anoressia risale al 1689 da parte del
medico inglese Richard Morton. Egli descrive due casi, uno di una ragazza e uno
di un ragazzo, definendo la sindrome “consunzione nervosa” e descrivendola
come caratterizzata da tristezza e preoccupazione ansiosa dovute a una patologia
dell'intelletto. Successivamente altri casi vennero individuati da Robert William
nel 1790 e da Robert Whytt nel 1764. In quest'ultimo caso il paziente presentava,
oltre a sintomi restrittivi, anche abbuffate bulimiche. Il termine “anoressia” è stato
usato per la prima volta nel 1868 da Sir William Gull, che la definiva “perversione
intellettuale che assicurava una patologica tranquillità mediante il
disconoscimento dello stato fisico”. Altrettanto importante per la descrizione della
sindrome è il lavoro del medico francese Lasègue che nel 1873 pubblica negli
Archives Générales de Médicine un articolo dal titolo “De l'anorexie hystérique”
(Vandereycken, van Deth, 1995).
Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, Freud si occupa di alcuni casi
di anoressia nervosa. In particolare nel 1892 in “Un caso di guarigione ipnotica”,
che è un caso di anoressia mentale in una giovane partoriente, negli “Studi
sull'Isteria” del 1895 e in “Tre saggi sulla sessualità” del 1905. Nei primi due
scritti Freud ritiene che il comportamento anoressico possa essere fatto risalire a
un sintomo di conversione, inquadrandolo pertanto tra i fenomeni isterici, mentre
nell'ultimo analizza la relazione tra la sensibilità erogena bucco-labiale, i disturbi
della suzione e la rimozione dell'appetito (Kestemberg, Kestemberg, Decobert,
1974). Secondo Abraham nello stadio orale-cannibalico, l'attività sessuale è fusa
con l'ingestione alimentare. Una fissazione a questo stadio fa sì che istinto
nutritivo e sessualità rimangano legati uno all'altro. Nel 1920, in “Le
manifestazioni del complesso di castrazione nella donna”, l'autore fa derivare il
rifiuto del cibo al fatto che mangiare ha il significato inconscio di restare incinta
(ivi).
Per quanto riguarda la bulimia, questa malattia non viene concettualizzata prima
della fine degli anni Settanta. Nel 1979 Russel la descrive per la prima volta in un
lavoro intitolato “Bulimia nervosa: un'inquietante variante dell'anoressia nervosa”.
Attualmente i DCA vengono considerati quadri sindromici complessi e a
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patogenesi multifattoriale che comprendono fattori genetici, costituzionali,
psichici, famigliari e sociali (Giberti, Rossi, 2009).
La frequenza sempre più alta di tali disturbi dagli anni Sessanta in poi potrebbe
essere dovuta a un mutamento del contesto socio-culturale del Mondo
Occidentale, che ha riguardato un cambiamento del ruolo della donna all'interno
della società e della famiglia, unitamente alla proposta di modelli estetici
incentrati sulla magrezza, a uno stile di vita improntato sul controllo del corpo e
allo stesso tempo a una sempre maggior disponibilità di cibo che ne facilita l'uso
perverso, l'abuso e la dipendenza (ivi). Inoltre, l'età adolescenziale, durante la
quale insorgono in modo prevalente i disturbi alimentari, è caratterizzata da
considerevoli cambiamenti fisici, del controllo di sé e delle relazioni di base che,
in alcuni casi, possono esser definiti “trauma della pubertà” (Ammaniti, 2002). In
un contesto di questo tipo, soprattutto le donne, vivono un profondo senso di
inadeguatezza che fa sentire passive, mentre la concretizzazione del malessere in
qualcosa di definito che ha che fare con il fisico allevia l'angoscia rendendo
potenzialmente attive. (Selvini Palazzoli et al., 1998).
Nei Paesi non Occidentali si riscontra un numero decisamente minore di tali
disturbi (Vandereycken, van Deth, 1995), mentre in Paesi in cui invece si è
assistito a una crescente occidentalizzazione, come il Giappone e la Cina, il
numero di casi di anoressia è aumentato considerevolmente (Selvini Palazzoli, et
al., 1998).
Sempre più importanza viene attribuita al ruolo del trauma. L'abuso, fisico o
sessuale, sarebbe legato a un sentimento di vergogna o colpa associati al corpo. Il
corpo e la femminilità verrebbero negati per difendersi dalla perversione dell'altro
attraverso il dimagrimento estremo, mentre comportamenti di espulsione, come il
vomito autoindotto, rappresenterebbero il tentativo di espellere l'abusante (Pani,
Ferrarese, 2007).
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1.1.2 Forme di Disturbi del Comportamento Alimentare
1.1.2.1 Anoressia Nervosa (AN)
L'Anoressia Mentale o Nervosa (AN) è stata inquadrata come disturbo
psicopatologico a sé stante solo negli ultimi decenni. Si tratta di una malattia
caratterizzata dal rifiuto di mantenere un peso adeguato all'età e alla statura,
dall'intensa paura di ingrassare e da una percezione distorta del proprio corpo e
della forma fisica. La malattia colpisce circa lo 0,3% delle adolescenti e giovani
donne occidentali. Si riscontra una netta prevalenza nel genere femminile, circa
90-95% dei casi, con un'età di esordio più frequente tra i 12 e i 25 anni. Si rileva
tuttavia una sempre maggiore insorgenza in età tardiva, dopo i 25-30 anni. Non si
rilevano differenze rispetto alla classe sociale di appartenenza, ma si riscontra una
maggiore incidenza in alcuni gruppi, per esempio persone che lavorano nel campo
della moda e della danza (Giberti, Rossi, 2009).
La mortalità conseguente all'Anoressia è stimata intorno al 5%, il 46% delle
pazienti guarisce, il 29% migliora e il 20% va incontro a cronicità (Steinhausen,
2002).
L'Anoressia Mentale si caratterizza per il rifiuto di mantenere o raggiungere il
peso corporeo adeguato all'età e a un'intensa paura di ingrassare. Inoltre la
percezione e la stima di sé sono fortemente legate al peso.
Le diagnosi che più frequentemente si accompagnano all'Anoressia Nervosa
riguardano, tra le sindromi cliniche, i Disturbi dell'Umore, tra i Disturbi di
Personalità il Disturbo Borderline e il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Spesso si
rilevano anche fobie, attacchi di panico, disforia, comportamenti compulsivi e
impulsivi autolesivi, abuso di sostanze (Giberti, Rossi, 2009).
Una distinzione andrebbe fatta, secondo alcuni autori (Garfinkel et al., 1980), tra
anoressia restrittiva e anoressia con sintomi bulimici, caratterizzati, oltre che da
una dieta rigida, da comportamenti quali abbuffate e condotte di eliminazione.
Sebbene entrambi i gruppi siano caratterizzati dalla ricerca estrema della
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magrezza e dalla preoccupazione per il peso, si può supporre che il nucleo di
difficoltà psicologiche sia differente. Nelle pazienti anoressiche con sintomi
bulimici si trovano spesso obesità premorbosa della paziente e obesità della madre
e un maggiore inserimento sociale. Inoltre esse mostrano difficoltà di controllo
degli impulsi in varie aree tra cui il comportamento sessuale, l'uso di sostanze e di
alcol, il tentativo di suicidio e l'autolesionismo, con la sensazione di perdere il
controllo e un tono dell'umore più mutevole.
Le cause dell'anoressia sono da ricondurre all'interazione tra diversi fattori
individuali, famigliari e culturali.
Alcune caratteristiche individuali sembrano essere frequenti nei soggetti
anoressici. Per esempio il perfezionismo, la bassa autostima (Fairburn et al,
1999), il controllo delle emozioni, la paura legata alla maturità psicobiologica
(Giberti, Rossi, 2009).
Non è chiaro se intervengano fattori genetici, dal momento che, sebbene le sorelle
di pazienti anoressiche abbiamo una maggiore probabilità di sviluppare il
disturbo, ciò potrebbe essere dovuto a cause ambientali (Giberti, Rossi, 2009).
Per quanto riguarda la famiglia dell'anoressica, nonostante non sia possibile
identificare un modello costante, si osserva la tendenza da parte dei genitori a
fornire risposte ambigue e inappropriate alle richieste del bambino. Ciò
determinerebbe l'impossibilità per il bambino stesso di riconoscere gli stimoli
istintuali a livello emotivo e percettivo. L'estrema mancanza di autostima e la
sensazione di inefficienza sarebbero legate all'incapacità di identificare come
propri gli stimoli provenienti dal corpo, determinando la necessità di controllare
tutte le esigenze istintive, in primo luogo la fame (Bruch, 1997).
Secondo Selvini Palazzoli (1963) la famiglia della paziente anoressica è
caratterizzata da un eccessivo invischiamento, senza confini generazionali e
personali. I membri della famiglia sarebbero ipercoinvolti nella vita degli altri,
determinando l'impossibilità di percepirsi come individui separati. Le ragazze
anoressiche non sarebbero in grado di separarsi psicologicamente dalla madre, con
il risultato di non acquisire una percezione del corpo distinta, ma vivendolo anzi
come pieno di introietti materni cattivi. Il rifiuto del cibo rappresenterebbe quindi
una lotta per il potere, un tentativo di sottrarsi alla dipendenza e arrivare
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all'identificazione come soggetto separato (Selvini Palazzoli, 1963).
1.1.2.2 Bulimia Nervosa (BN)
La Bulimia Nervosa (BN) ha acquisito un'autonomia nosografica solo nel 1980,
mentre prima era considerata un sottotipo dell'Anoressia Nervosa o una forma
particolare di obesità. La sindrome è caratterizzata dalla presenza di frequenti
episodi di abbuffate di cibo, seguiti da comportamenti volti ad evitare l'aumento di
peso. Le caratteristiche di questi comportamenti permettono di distinguere tra
bulimia con condotte di eliminazione, quali il vomito auto-indotto, l'abuso di
lassativi e diuretici e la bulimia senza condotte di eliminazione in cui il controllo
del peso è mantenuto attraverso il digiuno o l'esercizio fisico eccessivo.
L'esordio della malattia è solitamente tra i 12 e i 35 anni, con una frequenza più
elevata intorno ai 18 e ai 25 anni. La Bulimia Nervosa coinvolge dall'1 al 3% delle
giovani donne. Circa il 10-15% dei soggetti interessati appartiene al genere
maschile.
La durata media della malattia al momento della richiesta di trattamento è di 5
anni.
Circa il 45% delle pazienti guarisce e il 27% migliora. Tuttavia il 23% tende a
cronicizzarsi e circa lo 0,32% muore. Con una frequenza che varia a seconda
degli studi tra il 10-30% dei casi si assiste al passaggio dalla Bulimia Nervosa ad
altri Disturbi del Comportamento Alimentare, sia verso l'Anoressia Nervosa sia
verso disturbi non altrimenti specificati e in particolare verso il Binge Eating
Disorder. (Steinhausen, Weber, 2009).
La Bulimia Nervosa presenta spesso comorbidità con i disturbi depressivi, disturbi
del controllo degli impulsi, disturbi della personalità, abuso di sostanze, disturbi
dissociativi, disturbi d'ansia (Giberti Rossi, 2009).
Inoltre spesso la Bulimia Nervosa è caratterizzata da una generale incapacità di
controllare gli impulsi che si manifesta per esempio in attività sessuali impulsive e
autodistruttive (ivi), comportamenti autolesionistici (Pani, Ferrarese, 2007;
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Vanderlinden, Vandereycken, 1998), furti (Vanderlinden, Vandereycken, 1998).
L'umore delle pazienti bulimiche è spesso disforico e fluttuante, caratterizzato
dall'oscillazione tra vissuti depressivi e ansiosi. Ciò può comportare una
predisposizione verso le dipendenze (Johnson, Larson, 1982). Durante l'abbuffata
si evidenzia un basso livello di consapevolezza che diminuisce le inibizioni nel
mangiare. L'attenzione è rivolta alle sensazioni fisiche, al movimento dei muscoli.
Spesso questi episodi avvengono in situazioni in cui la persona si concentra su
qualcosa di esterno, come guardare la televisione (Heatherton, Baumeister, 1991).
L'abbuffata provoca senso di colpa, disgusto, panico che vengono
successivamente affrontate con i comportamenti di eliminazione che permettono
di riacquisire momentaneamente il controllo, regolare la tensione e scaricare la
rabbia (Johnson, Larson, 1982).
Nello svilupparsi della malattia hanno un ruolo fondamentale i fattori ambientali
(Gabbard, 2002). Tra i fattori di rischio nello sviluppo della patologia si trovano
disturbi psichiatrici, abuso di sostanze e di alcol e depressione dei genitori durante
l'infanzia del paziente (Fairburn et al., 1999). Secondo Reich e Cierpka (in
Gabbard, 2002) nella bulimia si trova un costante conflitto tra parti contraddittorie
del Sé che riflettono anche identificazioni problematiche con i genitori. Nelle
famiglie delle pazienti bulimiche ci sarebbe anche una mancanza di privacy che si
manifesta con abusi fisici o psicologici.
Nella bulimia è possibile spesso rilevare una notevole difficoltà di separazione tra
la paziente e i genitori. Spesso è mancato un oggetto transizionale che abbia
consentito alla bambina di separarsi psicologicamente dalla madre e il cibo viene
dunque a rappresentare il tentativo di unione simbiotica con la madre, mentre
l'espulsione simboleggia il tentativo di separasene. Inoltre i membri delle famiglie
delle bulimiche hanno bisogno degli altri per mantenere un senso di coesione. La
paziente spesso è stata usata come oggetto-Sè per convalidare il Sè del genitore
(Gabbard, 2002), non venendo quindi riconosciuta nelle sue caratteristiche e nei
suoi specifici bisogni (McWilliams, 1999).