INTRODUZIONE
La decisione di affrontare un tema così complesso, al termine del mio corso di studi,
è frutto di un cammino interiore che fortunatamente la mia esistenza mi ha dato la
possibilità di percorrere.
Sicuramente tutte le materie affrontate nel percorso universitario sono state di stimolo
ad una sempre più profonda riflessione sulla necessità di mettere in discussione il mio
modo di osservare il mondo, proprio alla luce dei nuovi strumenti di analisi che lo
studio mi forniva.
Tale riflessione è stata amplificata dalla mia esperienza politica come consigliere
comunale, iniziata circa sei mesi dopo la mia iscrizione all' università; aver vissuto
personalmente la politica amministrativa locale e le dinamiche politiche nazionali mi
ha sollecitato sempre di più a cercare delle risposte che non arrivavano proprio da
quella politica che, frequentando, mi rendevo conto che non affrontava il problema
dell' economia.
Percepivo a tratti una sorta di impotenza verso i problemi economici e a tratti una
generalizzata incompetenza che spesso veniva camuffata ripetendo, quasi a memoria,
slogan e frasi fatte il cui unico scopo era quello di rimandare il problema.
Pensavo a quanto contasse la decisione politica trent' anni fa rispetto a oggi.
Non è accettabile il distacco che spesso il politico, di estrazione economica, ha di
fronte alle tragedie sociali che questa crisi sta producendo e non è accettabile il fatto
che invece i politici di estrazione non economica pendano dalle labbra di chi elargisce
concetti economici di massima, in modo dogmatico e indiscutibile, senza entrare nel
merito delle implicazioni che certe scelte comportano.
In modo autonomo ho iniziato a percepire che la politica potesse fare poco o nulla
per intervenire sull' economia e quindi sul benessere dei propri cittadini, che la politica
si tirasse fuori dalla discussione economica lasciando ai tecnici completa autonomia
decisionale, quasi non si potesse più pensare di avere una visione politica della società
e in base a quella organizzare le regole della stessa economia.
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Da futuro scienziato sociale non potevo e non posso accettare che si parli di
economia e di mercato come fossero soggetti pensanti dotati di autonomia propria, e
gli interessi dei quali siano superiori agli interessi della collettività.
Mi sentivo sempre più impotente e percepivo inutile l' entusiasmo con cui avevo
deciso di impegnarmi per la collettività.
Recandomi in tempi recenti nelle zone industriali, nelle quali nei primi anni 2000 mi
aggiravo per consegnare i miei CV da neo-diplomato, e constatando la desolazione
rispetto ad un decennio fa, mi domandavo cosa stesse succedendo e perché la politica
non facesse nulla per fermare questo declino.
Pensando alle prospettive di miglioramento e di un futuro rigoglioso che percepivo
quando ero piccolo, quando mio padre con uno stipendio manteneva 4 figli, e
confrontandole con la paura che oggi si percepisce verso un futuro di instabilità e
incertezza, mi chiedevo come fosse possibile che nonostante l' evoluzione tecnologica
e culturale le cose stessero andando nella direzione sbagliata.
Così durante i miei studi e la mia attività politica ho iniziato a scavare e informarmi;
incuriosito all' inizio dall' argomento del signoraggio bancario e del valore della
moneta ho iniziato ad approfondire la questione dell' abbandono della lira e del
passaggio all' euro.
In questo ambito sono venuto a conoscenza di una vasta schiera di economisti e
studiosi che davano, scientificamente, delle spiegazioni diverse sull' insuperabilità della
crisi rispetto alle classiche litanie, recitate allo sfinimento dagli economisti televisivi
omologati all 'attuale pensiero unico europeo dell' inflazione e del debito.
Sono approdato a Giacinto Auriti , a Nino Galloni, ad Alberto Bagnai, alla MMT e
altri e ho scoperto anche alcune posizioni di Giulio Tremonti quasi sconosciute dall'
opinione pubblica.
In questa ricerca ho avuto modo di approfondire i principali eventi dell' evoluzione
economica e i mutamenti degli equilibri e dei paradigmi macroeconomici partendo dal
dopoguerra; questo mi ha ulteriormente arricchito e mi ha fornito strumenti ancora
più utili per leggere i fatti.
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Io non sono un' economista, e non presumo di esserlo, ma, alla luce di quello che ho
approfondito, so per certo che non è più giustificabile il protrarsi di una crisi che sta
producendo bollettini di guerra.
So per certo che si profila una certa ipocrisia nel dibattito pubblico dove posizioni
diverse da quelle del pensiero unico sono tendenzialmente denigrate quasi fossero
chiacchiere da bar e questo non è onorevole per una comunità scientifica che
dovrebbe essere imparziale e probatoria.
In questa ricerca non ho inventato nulla ma ho semplicemente esposto, cercando di
dare un senso logico e cronologico, le analisi e le proposte di Economisti con la E
maiuscola che, grazie alla loro onestà scientifica e intellettuale, stanno cercando di
divulgare una lettura diversa di questa crisi proponendo soluzioni che potrebbero
fermare l' olocausto sociale che l ' Italia e l' Europa stanno subendo inermi.
La mia esposizione segue la falsariga della ricostruzione storica che Galloni propone
nel libro “Chi ha tradito l' economia italiana?” ed è arricchita e cementata
approfondendo alcuni passaggi sia con altro materiale di Galloni che con materiale di
Bagnai ed altri.
Non pretendo sicuramente di fornire soluzioni certe ma alla luce di così contrapposte
interpretazioni della crisi credo che, partendo da un grande senso di responsabilità, la
scienza economica in particolare, e, tutta la scienza sociale accademica dovrebbero
aprire un tavolo di discussione e provare a capire se una strada diversa è possibile.
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CAPITOLO 1
DAL DOPOGUERRA ALLA NASCITA DELL' EURO
1.1 Da De Gasperi al boom economico
A ridosso della fine della seconda guerra mondiale avvengono le scelte che
segneranno, nel bene e nel male , lo sviluppo e l'economia dell' Italia e dell' Europa
per più di 30 anni: gli accordi di Bretton Woods
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(1944) , gli accordi di YALTA
(1945) e l'istituzione del Piano Marshall (1947).
In questo contesto, dopo il termine del conflitto mondiale, il protagonista decisivo per
le sorti dell' Italia è il neo Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi.
Nel 1947 con il Trattato di Parigi, in cambio di grosse rinunce, De Gasperi pone le
basi affinché il paese possa agganciare il processo di ricostruzione che avrebbe
caratterizzato gli anni successivi.
La decisione di accettare l'estromissione dei comunisti dal governo fu in fondo
condivisa anche dagli stessi comunisti; Togliatti era consapevole della necessità degli
aiuti americani del piano Marshall quindi considerò la sua uscita dal governo un male
minore.
La visione economica che emerge è equilibrata e lungimirante : ci si rende conto delle
necessità di aprire al mercato e alla libera impresa non dimenticando la funzione
sociale di entrambi e il ruolo dello Stato come stimolo e regolazione dell'economia.
1 A Bretton Woods
si decisero fondamentalmente due cose ;
• un sistema più flessibile di convertibilità delle monete, così come auspicato da John Maynard
Keynes, che è conosciuto come Dollar Exchange Standard ovvero unsistema di cambi fissi
rispetto al dollaro il cui valore era agganciato all' oro e dove i paesi membri potevano utilizzare
politiche monetarie
• un sistema di compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti al termine della guerra
dove il Fondo monetario internazionale avrebbe gestito i tassi di cambio e finanziato nel breve
periodo squilibri nei pagamenti tra i diversi paesi, imponendo però politiche economiche decise
dal Fondo stesso, mentre la Banca Mondiale avrebbe finanaziato prestiti nel lungo periodo,
dapprima per la ricostruzione e poi per lo sviluppo delle nazioni più povere.
Nel 1971, gli USA dichiareranno unilateralmente l' inconvertibilità del dollaro in oro mettendo
fine al regime di cambi fissi.
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Si delinea una sorta di "terza via" che si smarca sia dal collettivismo marxista che dal
liberismo 'laissez faire' ; lo Stato insomma sceglie di essere "imprenditore" nel mercato
internazionale e partner dell' impresa privata nazionale.
Forse proprio questa configurazione di equilibrio tra mercato selvaggio e
pianificazione di Stato diverrà scomoda per i principali "concorrenti" e protagonisti
europei (Francia e Germania) negli anni a venire .
Negli anni seguenti l' Italia riesce a equilibrare il velore delle risorse importate e dei
beni destinati all'esportazione grazie anche alla sua posizione geografica di "ombelico
del mondo".
In questo periodo prendono piede le cosiddette "partecipazioni statali" ereditate dal
precedente regime ma impostate in modo da non essere soffocanti per la libertà di
impresa: lo Stato agisce da finanziatore, tramite le grandi banche, ma non da
controllore diretto, in quanto le scelte strategiche di impresa e manageriali erano
affidate a manager con autonomia decisionale ( vedi Mattei ).
Con tali finanziamenti allo Stato bastava recuperare una remunerazione sul capitale
finanziato almeno pari al tasso di interesse dei titoli di Stato, il che avvenne fino agli
anni 70', ed era questo un modo sia per produrre occupazione e non aumentare le
forme di assistenzialismo sia per aumentare l'offerta interna e permettere al paese di
ammodernarsi.
Ovviamente questa impostazione è possibile solo in un contesto , quale quello di
allora, dove non sia la logica del saggio di profitto a dettare l'agenda ma la massima
espansione, che ha il suo limite nella differenza tra ricavo e costo marginale pari al
tasso di interesse sui titoli di Stato. Lo Stato è proprietario e ha come interesse
l'espansione e non la speculazione.
I privati, titolari anch'essi di obbligazioni, in quel contesto accettavano tale
impostazione che permetteva, massimizzando la produzione, di aumentare il valore
del patrimonio e il prestigio in società. (Galloni, 2013, pp. 37-41)
Con l' impostazione DEGASPERIANA, ereditata poi da Aldo Moro, l'Italia
intraprende un percorso nel quale le capacità di manager eccellenti possono essere
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valorizzate; tra tutti forse il più importante fu Enrico Mattei, il cui ruolo fu
fondamentale nella ricostruzione, dato il peso che l'industria energetica italiana ebbe
nella ricostruzione e nella spinta economica.
Mattei con la creazione dell' ENI pose le condizioni affinché l'Italia potesse puntare
alla propira indipendenza energetica; egli instaurò un rapporto diretto con lo Scià di
Persia e la National Iranian Oil Company contrattando una concessione a condizioni
favorevoli per l'Iran; l'accordo in questione oltre a rendere indipendente l'Italia sul
versante dell' approvvigionamento degli idrocarburi creava le condizioni per un
percorso di emancipazione del Terzo-Mondo dal momento che al paese proprietario
delle riserve petrolifere sarebbe spettato il 75% dei profitti derivanti dallo
sfruttamento dei giacimenti .
Mattei non nasconde neanche il suo appoggio al movimento di liberazione dell'
Algeria e la sua propensione al dialogo nei confronti di URSS e paesi Arabi
emergenti.
Questi accadimenti indispettiscono le "sette sorelle" e altri "centri di potere" che
cercano di ostacolare il lavoro di Mattei il quale muore in un "misterioso" incidente
aereo nel 1962; le cause dell'incidente rimarranno "sconosciute" fino al 1995, quando
una nuova perizia rivelerà tracce di esplosivo militare sul cadavere di Mattei e del
pilota.
I miopi successori di Mattei non daranno all' Italia la possibilità di investire sulla
differenziazione energetica accantonando la ricerca sia sul nucleare ma sopratutto sull
'idrogeno e in questo modo accontenteranno sia i "fratelli" europei ai quali non
avrebbe fatto comodo un nostro primato in quel settore sia gli USA perché avranno
garantita la nostra dipendenza da petrolio.
Infatti "un decennio dopo con tassi di sviluppo del PIL attorno al 3% l'importazione degli
idrocarburi peserà troppo sul saldo della bilancia commerciale" (Galloni, 2013, p. 43).
E' d'obbligo però spendere qualche parola in più sul caso Mattei data l'importanza che
il lavoro di Mattei ha avuto per il nostro paese (beneficiamo ancora oggi delle sue
scelte anche se in modo più scarno) e dati i dubbi sulla sua morte.
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Benito Li Vigni, il braccio destro di Mattei e che fu insieme a lui fino alla sera prima
della sua morte, nei suoi libri ha svelato importanti retroscena addirittura su un
rapporto preferenziale tra il presidente Kennedy e Mattei ; Kennedy aveva individuato
in Mattei un mediatore europeo contrapposto agli atteggiamenti di rottura di Francia e
Inghilterra, un punto di riferimento per intraprendere una graduale risoluzione della
guerra fredda.
Ciò che si evince dalla ricerca di Li Vigni è che in fondo il problema delle "sette
sorelle" fu arginato dalla collaborazione con Kennedy; infatti Mattei ottenne poi
l'accordo tra Eni ed Esso per la fornitura di petrolio libico. In realtà i probabili
mandanti furono interni tanto è vero che la procura di Palermo arrivò ad emettere
mandati di cattura per Fanfani e Cefis poi stoppati dai Sevizi .
Mattei agiva di testa sua per gli interessi del paese e non secondo logiche di interessi di
partito; egli non sottostava alle imposizioni di Fanfani, che all'epoca aveva una insolita
concentrazione di potere ( segretario di partito, Presidente del Consiglio e Ministro
degli esteri ), e decise di spostare i suoi finanziamenti alla corrente di Aldo Moro
ritenendolo uomo con maggior capacità e indipendenza rispetto a Fanfani . Questo e
altri fattori contestuali emergono dalle indagini di allora (1971) del giudice Fratantonio
sulla morte del giornalista De Mauro e dalle dichiarazioni puntuali del fratello di
Enrico Mattei.
Un quadro complesso sul quale anche la Procura di Pavia ha cercato di fare chiarezza
dopo le rivelazioni di Li Vigni (La Grande Sfida, 1994) sul rapporto Kennedy-Mattei
; servizi segreti inglesi, francesi e italiani spuntano in vario modo in questa oscura
vicenda e vergognosamente anche l'ennesimo tentativo di fare chiarezza è stato
affossato con una archiviazione nel 2003.
Torniamo al nostro percorso di analisi; siamo agli inizi degli anni 60 e nonostante le
fisiologiche tensioni tra le forze politiche l' Italia si trova in una posizione di rilievo
nel panorama internazionale; è uno degli stati promotori del progetto Europeo di
mercato comune, è vista come realtà non-coloniale dall' Africa e dai Paesi Arabi, è
forse il maggior alleato degli USA e vanta un rapporto privilegiato con l' URSS
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sopratutto perché la sua ricchezza imprenditoriale (privata e pubblica) attira gli
interessi d'oltrecortina per grandi progetti di investimenti infrastrutturali, di reti
energetiche e manifatturieri .
Il ventennio '60 - '80 vede una congiuntura positiva che favorisce la crescita; si vive in
un modello keynesiano dato l'utilizzo del deficit-spending nei momenti di crisi, della
rigidità dei salari verso il basso, i tassi di interesse moderati e i valori modesti dei
profitti che comunque erano compensati dalla valorizzazione dei patrimoni.
Vi è forte fiducia negli affari grazie a una svariata serie di motivi; le condizioni
internazionali di stabilità, la crescita trainata dalla spesa pubblica e dai consumi e dal
punto di vista finanziario dalla collaborazione tra Banca Centrale e governo.
In momenti di difficoltà si poteva finanziare la spesa pubblica facendo coincidere
l'emissione di titoli di Stato a basso interesse con l'emissione di nuova base monetaria
dopodiché il "mercato" formato dalle grandi banche comprava i titoli e poteva
depositarli come moneta nelle riserve obbligatorie.
In questo contesto di crescita continua diventa possibile sfruttare le economie di scala
e i costi decrescenti, usare la svalutazione per aumentare i salari senza arrivare al
conflitto sindacale e mantenere alta la domanda interna di consumi .
Da non sottovalutare è l'aspetto migliorativo della società in un contesto simile in
quanto, dato che il lavoro costava e richiedeva un costante adeguamento dei salari, le
aziende erano stimolate ad investire in innovazione tecnologica per abbattere il fattore
umano e comunque questo flusso lubrificava tutto il sistema economico in quanto
maggiori profitti e maggiori salari significavano maggiore ritorno alla collettività
tramite le tasse ( ovviamente il cerchio non si chiude nel momento in cui lo Stato non
sa sfruttare positivamente il flusso e permette un'evasione fiscale incontrollata ) e
quindi maggiore erogazione di servizi sociali.
Nel 1971 il valore della moneta viene sganciato dall' oro e questo permette di sfruttare
al meglio l'appena citato modello in quanto c'è meno rigidità di utilizzo delle leve
monetarie per stimolare l'economia e alimentare il meccanismo di maggiori consumi
> maggiori vendite.
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