I CAPITOLO: Aspetti metodologici
1.1Top incomes: cosa sono e metodi di misurazione dello share a confronto
Un recente filone di ricerca si è concentrato sull’evoluzione nel tempo della coda destra della
distribuzione, quella che comprende i soggetti ricchi. Le analisi svolte in questa direzione hanno
arricchito la comprensione di quanto è avvenuto alla distribuzione complessiva del reddito nel corso
del’900 e fornito spunti importanti per interpretare il presente. Sembra che la maggiore
concentrazione dei redditi registratisi negli ultimi vent’anni in alcuni paesi, in particolare in quelli
anglosassoni, sia da mettere in relazione ad un aumento straordinario delle quote del reddito totale
che vanno ai più ricchi. Con l’espressione top income share si definisce la percentuale di reddito
totale detenuta da un x% più ricco della popolazione. Le ricerche in materia prendono generalmente
le mosse dall’analisi dell’ultimo decile, il più ricco della popolazione, estendendosi poi ai percentili
più ristretti come l’1%, lo 0,1, lo 0,01% e oltre. E’ infatti lo studio di quote così piccole della
distribuzione che permette la comprensione di fenomeni distributivi circoscritti, riguardanti spesso
categorie specifiche di reddito (come quelli da capitale), ma che hanno un impatto decisivo su tutta
la distribuzione. Elemento peculiare della letteratura sui top incomes è quello di basarsi non su fonti
statistiche di tipo campionario ma su dati fiscali riferiti all’intera popolazione (le dichiarazioni
relative all’imposta personale sul reddito) che, rispetto alle prime, hanno il vantaggio di essere
disponibili con cadenza annuale e per periodi lunghi di tempo (in alcuni paesi anche a partire
dall’inizio del secolo scorso) e, soprattutto, di riuscire a “catturare” la totalità dei contribuenti,
quindi anche i più abbienti. Le indagini campionarie, per quanto disegnate in modo da essere
statisticamente rappresentative della popolazione, non riescono di solito a “fotografare” con
sufficiente precisione le due code della distribuzione. Anche i dati fiscali non sono tuttavia privi di
limiti, primo fra tutti quello di non essere sempre in grado di rilevare esattamente il reddito effettivo
del contribuente per problemi di erosione ed evasione della base imponibile dell’imposta
1
.
Nella stima delle top income shares si pongono alcuni problemi metodologici. In primo luogo,
essendo in genere i redditi fiscali raggruppati per classi anziché disponibili in files di micro-dati, la
stima delle shares richiede l’impiego di metodi di interpolazione statistica. Un secondo problema
riguarda il calcolo del denominatore (il reddito totale) a cui rapportare il reddito dei vari percentili
in quanto i dati fiscali escludono, per definizione, tutti i soggetti adulti non tenuti alla dichiarazione
ai fini dell’imposta personale, in quanto detentori di redditi esenti o tassati separatamente.
La soluzione consiste nello stimare il reddito totale della popolazione a partire dai dati di contabilità
nazionale, opportunamente corretti. Problemi di comparabilità internazionale dei dati si pongono
inoltre in relazione alle diverse definizioni che ciascun paese dà di anno fiscale, unità impositiva
(individuale o familiare), popolazione adulta e reddito a fini fiscali.
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1
M. Baldini, S.Toso, Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche, pp.188-189, Il Mulino, 2009.
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La figura 5.1. mostra l’evoluzione della quota del reddito nazionale che va allo 0,1 % più ricco
della popolazione in alcuni paesi, Francia, Regno Unito e Stati Uniti, per i quali lo sforzo di
ricostruzione su base secolare dei top incomes è stato fatto per primo.
Quindi, prestando maggiore attenzione alle ipotesi di misurazione, bisogna innanzitutto dire che i
dati sulla distribuzione del reddito possono essere di natura amministrativa o campionaria. Quelli
amministrativi, in particolare quelli fiscali, sono spesso disponibili per molti decenni e si prestano
ad analizzare le tendenze di lungo periodo, ma offrono una copertura parziale sia dei redditi, per
l’esclusione delle entrate esenti o assoggettate a tassazione separata, sia della popolazione, essendo
limitati ai soli contribuenti e non comprendendo gli individui esentati dall’obbligo di dichiarazione.
Presentano anche discontinuità temporali in corrispondenza di modifiche rilevanti della normativa
tributaria e sono distorti dall’elusione e dall’evasione fiscale e contributiva. I dati delle indagini
campionarie consentono di superare alcuni di questi limiti e di utilizzare concetti di reddito e unità
di analisi più appropriati dal punto di vista teorico, ma presentano anch’essi problemi: la
rappresentatività del campione può essere alterata da comportamenti di risposta correlati con le
variabili oggetto di rilevazione.
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Inoltre, la variabilità campionaria aggiunge incertezze alle stime. Anche in considerazione di quanto
è stato appena detto, negli anni recenti si è andata diffondendo la prassi di integrare i dati di fonte
campionaria con informazioni di provenienza amministrativa e, talora, con stime ottenute da
modelli microeconomici che simulano l’operare del sistema di imposte e trasferimenti sociali
2
.
Oltre che per la fonte, le statistiche sulla distribuzione si differenziano rispetto a numerosi aspetti
metodologici. L’unità di aggregazione dei redditi può essere il contribuente, la persona o la
famiglia; la definizione di famiglia può seguire criteri anagrafici o fiscali e può comprendere solo
persone legate da un vincolo di coppia o dal rapporto genitore-figlio, o tutti i conviventi uniti da un
legame di parentela o affetto, o tutte le persone che condividono la stessa abitazione,
indipendentemente dai rapporti affettivi. L’unità di riferimento rappresenta invece l’unità
elementare per cui viene valutato il tenore di vita: la famiglia o la persona. Nel primo caso il reddito
di una famiglia viene contato una sola volta, nel secondo tante volte quanti sono i componenti della
famiglia.
I redditi aggregati per ciascuna unità possono essere lasciati grezzi o possono essere corretti con una
scala di equivalenza. Un dato ammontare di reddito può consentire una vita confortevole a una
persona sola, ma può essere del tutto insufficiente per una coppia con due figli. I coefficienti di
equivalenza permettono di rendere “equivalenti”, cioè confrontabili in termini di tenore di vita i
redditi di queste due famiglie. Essi danno così conto della variabilità dei bisogni con l’età e delle
economie di scala generate dalla convivenza familiare.
Il reddito equivalente è ottenuto dividendo le entrate familiari per il numero di adulti- equivalenti.
Con la scala di equivalenza della radice quadrata questo divisore è n
0.5
, dove n è il numero di
componenti della famiglia e 0,5 è un valore che coglie le economie di scala; con la scala dell’OECD
modificata, consigliata dall’Eurostat, il divisore da applicare al reddito è calcolato assegnando
valore 1 al primo adulto, 0,5 a ogni altra persona di 14 e più anni, e 0,3 a ogni bambino con meno di
14 anni, dividendo per n, infine, i redditi familiari vengono espressi in termini pro capite e si
ipotizza che le economie di scala siano assenti.
Le nozioni di reddito sono molteplici. Il reddito di mercato è definito come la somma dei redditi da
lavoro e capitale e dei trasferimenti privati al lordo delle imposte: il reddito lordo è ottenuto
aggiungendo a quello di mercato i trasferimenti pubblici; il reddito netto o disponibile è derivato da
quello lordo detraendo le imposte dirette e i contributi sociali. Queste definizioni generali possono
differire a seconda che vengano incluse o meno voci come gli affitti imputati sulle abitazioni in
proprietà, gli interessi pagati sui mutui, i trasferimenti pubblici non tassati, i guadagni e le perdite in
conto capitale, o possono derivare dl periodo di riferimento dei redditi, dalla valutazione delle
entrate delle persone che hanno percepito redditi solo per una parte dell’anno, perché emigrate o
impegnate in corsi scolastici nella restante parte, o dal trattamento dei dati estremi, che possono
essere eliminati o ricodificati secondo valori prefissati per motivi statistici o di riservatezza.
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2
A.Brandolini, La disuguaglianza dei redditi, p.494,in Voce Treccani, 2010
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Qualunque sia la definizione di reddito a cui ci si riferisce, riguardo ai diversi metodi per misurare i
top incomes, differenti sono stati usati per l’interpolazione, come l’interpolazione di Pareto. I dati di
base sono registrati in tabulati raggruppati come nella tabella 2, dove gli intervalli non coincidono
in generale con gruppi di percentuale di popolazione dei quali ci stiamo occupando (come il top
1%). Bisogna, perciò, interpolare per raggiungere valori di statistiche generali come le quote del
reddito totale. La legge di Pareto per i top incomes è data dalla seguente funzione di distribuzione
F(y) per il reddito y:
1- F(y) = (k/y)a (k > 0, α> 1), dove k e α sono parametri dati, α è chiamata il parametro di Pareto.
La corrispondente funzione di densità è data da ƒ(y) = αkα/y(1+α) . La proprietà chiave delle
distribuzioni di Pareto è che il rapporto tra reddito medio degli individui y*(y) e il reddito sopra y
non dipende dalla soglia y del reddito.
Così, Atkinson
3
ci fa capire che se β=2, il reddito medio degli individui con reddito sopra i
$200,000 e il reddito medio degli individui aventi reddito sopra $1 milione è di $2 milioni.
Intuitivamente, un β più alto vuol dire una coda superiore della distribuzione più grassa, cioè una
più veloce convergenza della densità verso zero. Perciò, ci si riferisce a β come al coefficiente
invertito di Pareto. Scegliamo, pertanto, di focalizzarci sul coefficiente invertito di Pareto β
piuttosto che sul coefficiente standard di Pareto α. Nonostante gli studi sui top incomes affermino
che l’approssimazione paretiana lavora notevolmente bene oggi, nel senso che per un dato paese e
un dato anno, il coefficiente β non muta al mutare di y, una differenza chiave che nega in un certo
qual senso ciò è che lo scopo geografico e il tempo ci permettono di documentare il fatto che i
coefficienti di Pareto variano sostanzialmente al variare del tempo e tra i diversi paesi. Da questo
punto di vista, il vantaggio di utilizzare il coefficiente β è che un β più grande vuol dire più grandi
quote di top incomes e, quindi, più alta disuguaglianza di reddito. Per esempio, negli Stati Uniti, il
coefficiente β è cresciuto gradualmente da 1,69 nel 1976 a 2.89 nel 2007 e allo stesso tempo la
quota di reddito in percentile è salita dal 7,9% a 18,9%.
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3
A.Atkinson, T.Piketty, E.Saez, Top incomes in the long run of history, in Journal of Economic
Literature, p.13.
5
In un paese come la Francia, dove il coefficiente β è stato stabile intorno a 1,65-1,75 dagli anni ’70,
la più alta porzione percentile di reddito è stata stabile intorno a 7,5%-8,5%, eccetto alla fine del
periodo. In pratica noi vedremmo che i coefficienti β
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tipicamente variano tra 1,5 e 3: valori intorno
a 1,5-1,8 indicano disuguaglianza bassa data dagli standards storici, mentre valori intorno o sopra a
2,5 indicano una disuguaglianza alta. Nel caso del Regno Unito nel 1911-12, a un paese con più alta
disuguaglianza, come si evince dalla tabella 2, il reddito medio sopra i 5,000 dollari dei
contribuenti corrispondeva a circa 12,390 dollari, e, pertanto il coefficiente ß era uguale a 2,48. In
pratica, è possibile verificare se le interpolazioni di Pareto sono accurate quando grandi dati derivati
dalla dichiarazione dei redditi con sovracampionamento all’ultimo percentile sono accessibili come
nel caso degli Stati Uniti dal 1960. Questi confronti diretti mostrano che gli errori dovuti alle
interpolazioni sono tipicamente molto piccoli se sono anche riportati gli ammontari di reddito. Alla
fine, l’errore dovuto all’interpolazione di Pareto deve essere ridotto da vari aggiustamenti per
rendere le serie omogenee.
In alcuni paesi come Canada, Nuova Zelanda dal 1963, o Regno Unito dal 1990, l’unità d’imposta è
l’individuo. In questo caso, il controllo naturale totale è la popolazione adulta definita come
l’insieme di tutti i residenti entro o oltre un certo limite di età, e la più alta quota percentile misurerà
la porzione di reddito totale che matura alla quota percentile più alta degli individui adulti. In altri
paesi, le unità fiscali sono le famiglie.
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La stabilità dei coefficienti ß vale solo per i top incomes, tipicamente nel top percentile. Per i
redditi sotto il top percentile il coefficiente ß assume valori più grandi.
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