Capitolo 1 - Analisi di un’entità geo-economica: il distretto
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Capitolo 1
Analisi di un’entità geo-economica: il distretto
1.1 Da Marshall a … Becattini: teorie
Marshall è stato il primo economista che ha studiato il comportamento di un
agglomerato di medie e piccole imprese, trattando quest’argomento in molte delle
sue opere e principalmente nel suo libro: “Industry and trade” (Marshall, 1975), dove
studia la localizzazione dell’industria, distinguendo le città manifatturiere dai
distretti. E' importante rilevare, che tutti gli studi sono stati effettuati in Inghilterra,
prendendo come esempi i distretti tessili nel Lancashire o quelli metallurgici di
Shieffield, che si sono sviluppati in una determinata epoca storica. Ancora oggi le
suddette indagini sono prese in considerazione per analizzare realtà economiche che
si sono sviluppate anche in Italia.
Per "industrial districts" si intende un insieme di industrie monosettoriali
localizzate in una determinata zona, tra le quali vi è collaborazione ma anche
concorrenza (Marshall, 1919, p. 283).
Marshall inoltre sostiene, che: per ottenere i vantaggi della produzione, è
possibile suddividere il processo in varie fasi, ciascuna delle quali può essere
eseguita in piccoli stabilimenti che costituiscono il polo industriale. Questo può
verificarsi soprattutto quando le varie industrie hanno raggiunto un buon grado di
specializzazione tale da creare un vantaggio, ossia le maggiori economie (Marshall,
1919, p. 190). Per capire tutto ciò si può paragonare il distretto ad una ricetta, dove
gli ingredienti per la buona riuscita del piatto sono: la localizzazione mirata in un
determinato territorio, le relazioni interaziendali ed interpersonali che si creano ed
infine le economie interne ed esterne all'entità economica.
Paradossalmente, quanto più il distretto è capace di rinnovarsi, di innestare
nuovi settori, di creare fasi sempre più specializzate, tanto più esso mantiene la sua
identità come distretto industriale. Per questo ancora una volta Marshall pone
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l'accento sull’economia di scala, distinguendole in economie interne ed esterne. Le
prime, dipendenti dalle risorse delle singole imprese, dalla loro organizzazione e
dall’efficienza della loro amministrazione, mentre le seconde dipendenti dallo
sviluppo generale dell’industria. Inoltre il Marshall, dichiara che le economie esterne
sono attribuite in gran parte ai gruppi di imprese legati da reciproci rapporti
(Marshall, 1975, p. 188, cit. in Becattini, 1987, p. 50). Questa teoria, viene criticata
dal Sraffa, il quale afferma che le economie esterne ed interne non esistono,
dichiarando, inoltre, che tali economie non possono essere invocate per spiegare la
legge marshalliana dei rendimenti crescenti (Sraffa, 1926, cit. in Becattini, 1987, p.
43). A questo punto, per avere un quadro più completo dell’argomento è molto
importante citare il pensiero del Becattini, che per economie esterne, intende le
economie derivanti dalla vicinanza territoriale fra imprese e dell’interazione fra
aspetti economici e socio culturali (Becattini, 1987, p. 13).
Un’altra caratteristica del distretto è la monosettorialità, vista non come
omogeneità produttiva delle imprese all'interno del distretto, ma come parametro di
riferimento dell'analisi. Ad esempio nel polo calzaturiero di Barletta, l'attività
principale è la fabbricazione di scarpe per lo sport e l'antinfortunistica, ma questa
produzione è affiancata da altre attività, come l’intermediazione, il trasporto e il
marketing. Così si viene a creare quella che gli studiosi chiamano "atmosfera
industriale", ossia l'insieme di tutti quegli operatori che svolgono determinati ruoli,
tra i quali risalta la famiglia, che ha un duplice compito: fornisce la forza lavoro e
determina con i suoi gusti il mercato.
Inoltre, non bisogna dimenticare i retaggi storici culturali che circondano un
polo industriale. Infatti, è importante capire le origini dei distretti, nati il più delle
volte da botteghe, in cui una sola persona, al massimo due, svolgeva mille mestieri.
Quindi, come il Becattini afferma: il distretto è l'evolversi di determinati fattori e
circostanze nel tempo (Becattini, 1989, p. 401). Si mettono in evidenza così le
potenzialità organizzative di una realtà socioculturale, le possibilità e le capacità di
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creare qualcosa, utilizzando quasi tutte le risorse della zona, quindi, un legame
stretto tra comunità e impresa, o meglio tra territorio ed industria.
Ancora il Becattini sostiene che i processi produttivi che si realizzano
efficacemente nei distretti debbono essere scomponibili in fasi e i loro prodotti
trasportabili nello spazio e nel tempo (Becattini, 1989, p. 401). Quest’affermazione
risulta veritiera soprattutto al giorno d'oggi dove il mercato è diventato globale,
estendendo le transazioni commerciali non solo al mercato nazionale ma anche
mondiale, per cui è anche importante avere un bacino d'utenza capace di assorbire la
produzione e ben definito geograficamente. Assume così grande rilevanza la figura
dell'intermediario, che è il collegamento tra interno ed esterno del distretto, ossia tra
il cliente e l’impresa. Inoltre gioca un ruolo fondamentale tra le imprese stesse
l’informazione, che favorisce la conoscenza del mercato Tutti questi elementi,
rendono un distretto competitivo e capace di evolversi. Per concludere è importante
esaminare le altre entità studiate dal Marshall (Marshall 1919, p. 160 cit. in
Becattini, 1987, p. 102) oltre al distretto di cui si è parlato precedentemente, vi è la
città che si distingue per la sua compattezza territoriale e per la ricchezza di funzioni
terziarie ed infine la regione industriale. Entità molto più complessa sia della città
industriale, sia del distretto con un elevato grado di specializzazione territoriale, in
cui i mezzi di comunicazione giocano un ruolo importante e dove prevalgono
l’atmosfera tecnica e l’atmosfera industriale.
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1.2 Distretti e competitività territoriale
Importante è capire, che ruolo svolge la localizzazione in un distretto,
soprattutto in un mondo in cui le imprese competono effettivamente a scala globale
ed inoltre capire se la localizzazione continua ad avere un ruolo cruciale per il
vantaggio competitivo. In primo luogo vi sono differenze tra stati, regioni e città
diverse, ed in secondo luogo le più importanti aziende del mondo fanno sempre capo
ad una o due stati, in cui si trovano le case madri in cui si concentrano le funzioni
principali. Il vantaggio competitivo di una localizzazione consiste fra l’altro nelle
qualità ambientali che favoriscono incrementi sostenuti e crescenti di produttività in
un determinato campo. Nonostante siamo abituati a pensare che il vantaggio
competitivo tragga origine principalmente all’interno dell’impresa, il vantaggio
potenziale e molti fattori necessari per sfruttarlo risiedono, in effetti, nell’ambiente
circostante. Questa è l’unica spiegazione possibile del fatto che tante imprese di
successo, in un determinato campo, emergono nello stesso paese e persino nella
stessa regione (Porter, 2001, pp. 242-322). La localizzazione è stata considerata, in
passato, un prezzo da pagare ai benefici della strategia globale, al contrario la
localizzazione della casa madre dovrebbe essere considerata l’origine del vantaggio
competitivo. La strategia globale può estendere tale vantaggio, distribuendo e
coordinando le attività in modo da assicurare vantaggi comparati, accesso ai mercati
ed a particolari competenze e tecnologie.
Il vantaggio competitivo di una certa localizzazione dà luogo, più facilmente
a concentrazioni di imprese isolate e a distretti industriali; in altre parole a imprese
dello stesso settore o collegate fra loro tramite clienti, fornitori o relazioni simili. I
distretti rappresentano un insieme significativo di competenze, informazioni e
infrastrutture. In un determinato contesto i distretti industriali, si insediano in un
luogo particolare per specifiche ragioni storico-geografiche, che nel tempo possono
anche smettere di avere importanza, a causa della maggior forza e autonomia del
distretto stesso rispetto alla concorrenza (Porter, 2001, p. 399-401).
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Il processo di globalizzazione porta a sviluppare un processo di interscambio
di conoscenze a livello internazionale e non solo all’esportazione di prodotti finiti o
materie, ma anche esportazioni di strategie di comunicazione e soprattutto ad una
divisione e specializzazione del lavoro, delocalizzando i propri stabilimenti.
Infatti le imprese italiane, e in particolare le imprese collocate nei distretti
industriali, soprattutto nel mezzogiorno, hanno avuto significativi successi nella
penetrazione dei mercati esteri. La crescita delle esportazioni italiane nei settori
“leggeri” o “tradizionali”, caratterizzati dalla piccola dimensione di impresa
testimonia insieme la vitalità competitiva delle imprese e la loro capacità di muoversi
sui mercati internazionali.
Tuttavia oggi internazionalizzazione ed esportazioni non sono più sinonimi.
Il modo con cui l’impresa si mantiene “internazionale” nella generazione dei
vantaggi competitivi non coincide con l’esportare. In poche parole anche se
l’esportazioni, ossia il rapporto con l’esterno influisce sull’entità, non sono indicative
per evidenziare se un distretto ha oppure no uno standard competitivo.
(http://www.aaster.it/).
Come caso di studio, viene preso in considerazione il Mezzogiorno,
includendo, la Campania, la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna,
evidenziando che le esportazioni, sono indicate ancora in lire per facilitare il
confronto e renderlo più chiaro (tab. 1.1).
La tabella indica che la Campania, la Puglia e la Sicilia rappresentano più
dell’ottanta percento dell’export dell’Italia meridionale, inoltre si evidenzia, che i
flussi di traffico maggiori sono quelli con l’Europa, in particolare con i paesi aderenti
all’Unione, a seguire vi è il resto dell’Europa. Grande rilevanza, hanno anche le
esportazioni verso il Nord America, che sono circa il dodici per cento, rispetto al Sud
America che sono circa il due per cento (fig. 1.1). In conclusione, il commercio
estero rappresenta una delle componenti fondamentali per lo sviluppo economico del
Sud Italia, in particolare poi grande importanza assumono le produzioni del “Made in
Italy” realizzate nei vari distretti industriali presenti nell’area.
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Ecco perché molti imprenditori al giorno d’oggi si pongono la domanda:
distretto o delocalizzazione? La risposta a tale quesito pone in evidenza, due aspetti
critici ossia: la delocalizzazione produttiva in paesi in cui il costo del lavoro è basso
e quindi la capacità del distretto di mantenere la sua identità e il possesso di
competenze commerciali, di marketing e distributive, che sono sempre più vitali per
competere in un mercato globale (fig. 1.2).
Tab. 1.1 - Regioni del Mezzogiorno: esportazioni in miliardi di lire per
aree geografiche, anno 2000
Ue Resto
Europa
Amer.
Nord
Amer.
centro
Sud
Africa Asia Medio
Oriente
Oceani
a
Altri
Paesi
Campania 7.795 1.789 1.829 465 813 1.479 321 206 202
Puglia 6.997 1.303 1.869 148 407 277 313 55 106
Sicilia 4.657 1.662 892 230 1.356 876 556 23 443
Sardegna 1.879 1.184 550 43 643 125 258 16 43
Basilicata 1.568 235 215 8 7 32 34 10 -
Calabria 306 49 42 75 29 45 43 2 3
Totali 23.112 6.222 5.937 969 3.255 2.834 1.525 312 797
Fonte: Federtrasporto, 2001 (www.logisticaeconomia.it).
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52,10%
14%
12,10%
2,20%
7,30%
6,40%
3,40%
1,80%
0,70%
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Quindi nel momento in cui si crea un distretto, vengono privilegiate le
competenze tecnico produttive, il know-how, l’esperienza, il rapporto qualità/prezzo,
le prestazioni e l’immagine del prodotto. Inoltre, si può ottenere un vantaggio
competitivo maggiore delocalizzando in paesi il cui costo di lavoro è basso, o
producendo in territori vicini ai mercati di sbocco. Un’altra soluzione potrebbe
essere quella di applicare un mix di tutte e due le strategie, ossia mantenere
l’insediamento nel distretto per consolidare le competenze, valorizzando la ricerca e
lo sviluppo e nello stesso tempo delocalizzare le fasi produttive in altri paesi a cui
delegare la produzione degli articoli realizzabili con tecnologia produttiva meno
complessa. Inoltre secondo Gianfranco Bossi, presidente del C.S.P. International, la
globalizzazione richiede determinate competenze: tra cui la tecnologia e il marketing
entrambe importanti per produrre e per vendere soprattutto su scala internazionale
(http://www.diomedea.it/convegno/bossi). Quindi i processi di integrazione
economica, non sono un fatto nuovo, anche se oggi appaiono diversi da altri periodi
Fig. 1.1 - Mezzogiorno: percentuali esportazioni, anno 2000.
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storici, oltre per il grado di estensione e le modalità di frammentazione dei processi
produttivi. Infatti se le politiche di maggiore liberalizzazione nel commercio, degli
investimenti diretti esteri e dei flussi di capitali finanziari hanno alimentato in misura
notevole il processo d’integrazione dei mercati, le modalità del suo manifestarsi sono
anche il risultato dell’intensificazione di altre attività. In particolare ci si riferisce qui
al ruolo delle imprese multinazionali, alla riorganizzazione dei processi produttivi e
all’adozione di nuove tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni
(http://www.ice.it/).
Globalizzazione del distretto:
il mondo in una mano
Delocalizzazione
produttiva.
Identità distretto.
Possesso di competenze
commerciali di
marketing.
Fig. 1.2 – Sintesi della globalizzazione.
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1.3 Dal distretto industriale al distretto digitale
Tutte le teorie, precedentemente analizzate, sono messe in discussione dalla
trasformazione che “l’e-business” o commercio elettronico, porterà al distretto.
Infatti, è proprio, in un territorio in ebolizione come il distretto, che “l’old economy”
e “la new economy” convivono, danno origine ai cambiamenti. Le aziende si stanno
riorganizzando, ma il processo è ancora lento, segnato da forti ritardi strutturali,
insieme anche i parametri territoriali dello sviluppo e della produzione stanno
cambiando.
Questa è la fotografia che emerge dal rapporto sui distretti produttivi digitali
stilato dalla Federcomin, la federazione delle imprese della comunicazione e
dell’informazione della confindustria. I mitici e tanto decanti distretti industriali si
apprestano a fare un salto di proporzioni inaudite sulla base dello sviluppo
telematico, della clabatura delle città e delle tecnologie informatiche. L’internet
economy sta aprendo nuovi orizzonti alla comunicazione, alla collaborazione tra
imprese, agli intermediari dell’informazione, con i consumatori. Questo processo, si
può schematizzare in varie fasi, tra cui:
Prima fase, sviluppo iniziale di sistemi internet, finalizzati alla semplice
comunicazione.
Seconda fase, realizzazione di un canale web, attivando procedure di acquisto
basate su canali ondine.
Terza fase integrazione del sistema informativo aziendale con il canale e-
commerce, utilizzando il profilo dei clienti per vendere di più in maniera più
mirata.
Quarta fase mutazione in e-business, con l’instaurazione di nuovi rapporti di
collaborazione con imprese sino all’apertura di nuovi canali di
approvvigionamento e vendita (marketplace).
Capitolo 1 - Analisi di un’entità geo-economica: il distretto
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Dall’indagine emerge ancora come il percorso verso l’e-business, attraverso
l’uso di internet per scopi commerciali, “comincia ad essere presente nei vari distretti
sia pure coinvolgendo ancora in maniera modesta le aziende”, che si avvicinano
all’e-business nel cinquanta sei percento dei distretti.
Gli internet marketplace italiani, si legge nel rapporto Federcomin, adottano
per lo più modelli operativi assimilabili alle cosiddette community (portali che
offrono informazioni su industrie particolari appartenenti a settori specifici e che
ricavano commissioni sulle vendite procurate) o ai procurement hub (portali
realizzati in funzione dei buyer con la funzione di indirizzare gli offerenti verso
particolari aziende o industrie) (tab. 1.2). Ma siamo ancora a livelli modesti di
coinvolgimento, nel ventinove percento dei distretti, l’adesione è pressoché assente,
mentre nel cinquantanove percento si registra un’ adesione inferiore al dieci percento
delle aziende. Solo in quattro distretti si rivela una maggiore attenzione verso gli
internet marketplace con un livello di partecipazione tra il dieci e il trenta per cento.
Una cosa è certa per mettere in moto gli e-marketplace occorre raggiungere,
osserva la ricerca, una soglia minima, garantire cioè un’offerta online sia in termini
quantitativi oltre che qualitativi. In Italia il distretto industriale ha passato molteplici
fasi e si trova ora a vivere un ulteriore momento critico. L’analisi è presto fatta: dopo
il processo di graduale emersione della spontanea e sommersa aggregazione che ne
ha dato origine agli inizi degli anni sessanta, il consolidamento fu realizzato tramite
la specializzazione, per fasi, dei processi produttivi, ma convergenti su comuni
strategie di espansioni. Alla crisi degli anni ottanta, la risposta più efficace ha visto la
crescita dei rapporti formalizzati tra varie tipologie di imprese, aggregate attorno alle
imprese-guida. Da oggi, a livello strettamente aziendale, l’innovazione telematica ha
portato effettivamente quel di più necessario a superare alcuni nodi critici presenti
nei distretti industriali. Primo fra tutti alla “riarticolazione delle unità produttive” in
funzione delle grandi variabili di costo, come quello del lavoro, che porta ad una
inevitabile tendenza al decentramento (strategia di internazionalizzazione).
Capitolo 1 - Analisi di un’entità geo-economica: il distretto
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La nuova configurazione dei modelli competitivi finisce perciò per imporre
un elevato tasso di innovazione tecnologica soprattutto in quelle aree dove si crea il
valore di mercato di determinati prodotti: ricerca, progettazione, gestione delle
risorse (quelle umane ma anche quelle materiali come le forniture), promozione e
marketing, cura del cliente e del mercato, logistica (tutti quei fattori decisivi del
successo aziendale) non possono che essere altrettanti tasselli del distretto digitale.
Accade per tanto che il vecchio distretto, che in passato è cresciuto grazie al
consorzio-fidi, consorzio-export, all’area attrezzata artigianale, alla fiera,
all’interporto e alla produzione del marchio, sia in qualche misura arrivato al
capolinea abbia oggi il bisogno di fare un salto di qualità e diventare digital market,
capace cioè di offrire la gamma di servizi informatici e telematici indispensabili a
reingegnerizzare, in modo competitivo le attività. In poche parole, al giorno d’oggi
tra i prerequisiti ambientali ha un peso significativo l'esistenza di un cablaggio
territoriale (Ferrigolo, 2001, p. 114).
Capitolo 1 - Analisi di un’entità geo-economica: il distretto
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Tab. 1.2 - Italia: i distretti digitali
I distretti consolidati
Quota fatturato
investita
nell’innovazione
(%)
Iniziative di
cablaggio
Aziende
aderenti a siti
o portali
WEB (%)
Biella - Livello progettuale Fino al 10%
Casale Monferrrato (AL) - Intera zona cablata Assenti
Velanza Po (AL) 1 Livello progettuale 10-30%
Como Olgiatese 6 Opere in corso 10-30%
Lecco 5 Livello progettuale 10-30%
Brianza (CO) 6 Opere in corso 10-30%
Lumezzane (BS) 15 Livello progettuale 10-30%
Bovolone-Cerea (VR) 2 Assenti _
Vicenza 2 Opere in corso Assenti
Arzignano (VI) 25 Alcune zone cablate Fino al 10%
Montebelluna (TV) - Opere in corso Fino al10%
Riviera del Brenta(VE) 5 Livello progettuale 10-30%
Cadore (BI) 5 Livello progettuale Assenti
Manzano-S.Giovanni N. (UD) 10 Livello progettuale Fino al 10%
Pordenone 3 Livello progettuale 10-30%
S. Mauro pascoli (FO) 4 Opere in corso _
Sassuolo (MO) - Livello progettuale 10-30%
Massa Carrara - Assenti Fino al 10%
Capannori-Piana di Lucca 10 Livello progettuale Fino al 10%
Prato 2 Opere in corso Fino al 10%
Santa Croce sull’Arno (PI) 5 Livello progettuale Fino al 10%
Arezzo 5 Livello progettuale Fino al 10%
Pesaro 10 Livello progettuale Fino al 10%
Castelfidardo (AN) 15 Livello progettuale Assenti
Fermano (AN) 20 Opere in corso Assenti
Civita Castellana (VT) 6 Alcune zone cablate Assenti
Barletta-Trani (BA) 5 Livello progettuale Fino al 10%
Area Murgiana -Matera 5 Opere in corso Assenti
Tempio P.-Calangianus (SS) - Alcune zone cablate Assenti
Fonte: Federcomin, 2001.
Capitolo 2 - I distretti in Italia
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Capitolo 2
I distretti in Italia
2.1 Secondo il Club dei distretti
Quando si analizza una realtà economica è molto importante, secondo
Becattini, individuare un’entità, isolarla e studiarla in maniera specifica, ma
soprattutto individuare il terreno di studio in cui tale entità si sviluppa (Becattini,
1987, p. 35). Ecco perché, ho pensato di studiare il fenomeno dei distretti in Italia.
I sistemi locali del lavoro e i distretti industriali costituiscono suddivisioni del
territorio che, prescindendo dalle classificazioni amministrative, sono in grado di
mettere in risalto l’articolazione nello spazio di particolari fenomeni e di offrire
informazioni necessarie, ad esempio, per la programmazione dei servizi e delle
infrastrutture.
Per questo, possiamo considerare l’individuazione dei sistemi locali, come
una nuova chiave di lettura del territorio. A questo punto è necessario evidenziare le
varie opinioni, che i diversi enti di ricerca esprimono, sui distretti, per quanto
riguarda il numero, la distribuzione sul territorio italiano e le merci prodotte,
considerando soprattutto le varie leggi che si sono susseguite nel tempo e che hanno
contribuito a definire il profilo dei distretti italiani.
La prima opinione che analizziamo è quella del “Club dei Distretti”, il quale,
in una sua raccolta dati, rileva che in Italia vi sono ottantacinque distretti, tra cui
dieci nel Mezzogiorno d’Italia (tab. 2.1).
Le attività produttive svolte nei distretti, sono le più diverse e variano dalla
produzione di gioielli alla produzione di pelli. Con l’aiuto della tabella e dei grafici è
facile notare che la maggior parte dei distretti è situata al centro nord del paese.
Invece nel sud Italia, i maggiori distretti compaiono in Campania, Puglia e Sardegna.
Capitolo 2 - I distretti in Italia
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Questa suddivisione è facilitata non solo dalla mentalità più aperta degli
imprenditori, ma anche dalle spinte istituzionali che il più delle volte facilitano
determinate aree più di altre. Infatti, con la legge Bersani (Legge, 7/8/1997 n. 266), è
data ampia autonomia alle Regioni di poter individuare i sistemi produttivi locali e i
nuovi distretti. Fra l’altro tale legge attribuisce il “marchio D.O.C.” di distretto, che
dà la possibilità ad ogni regione di individuare i propri distretti per ottenere i
finanziamenti previsti.
Nessun esperto sa dire con precisione come nasca un distretto. Il più delle
volte sorge grazie alla presenza già consolidata di botteghe, o di poche imprese, che
man mano crescono; altre volte è legato alla presenza di materie prime sul territorio,
come il sughero in Sardegna; in altre realtà più innovative e moderne, come quella
della microelettronica, tutto è dovuto alla presenza di una grande azienda e di
un’area universitaria di eccellenza, che contribuisce a creare un sistema produttivo
intorno a un insieme di piccole e medie imprese subfornitrici.
Anche nel Mezzogiorno d’Italia vi sono queste realtà, ma come afferma
l’economista pugliese Gianfranco Viesti, c’è bisogno di “una cassetta per gli attrezzi,
completa, da usare con molta flessibilità,” o come molti ritengono c’è bisogno “di un
terreno di coltura” dove coltivare il germe dello sviluppo
(http://www.europass.class.it/).
Secondo la definizione classica, perché sorga un distretto occorre un sistema
produttivo locale omogeneo, caratterizzato da un’elevata concentrazione di imprese e
da un alto grado di specializzazione produttiva.
Inoltre, come il Viesti ha dichiarato, in un convegno tenutosi a Barletta sullo
scenario dell’industria manifatturiera locale, nel sud vi è poca conoscenza e quindi
informazione di questa realtà (Viesti, 2001, p. 41).