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il modo in cui le variabili correlate al Sé, come l’autostima, sono
implicate nei processi di dissonanza.
La teoria del New Look ha proposto che la dissonanza è il
risultato di un sentimento di auto-colpevolizzazione, cioè di
responsabilità personale per le conseguenze avverse (Cooper &
Fazio, 1984; Scher & Cooper, 1989). Queste proprietà possono
essere adeguatamente comprese solo in riferimento alla concezione
del Sé. Controversie su questa teoria hanno fornito avanzamenti
teorici ed empirici (Harmon-Jones & Mills, 1999).
La teoria dell’affermazione del Sé interpreta la dissonanza
non come il risultato di incoerenze del Sé o sentimenti di
responsabilità personale per gli eventi avversi ma come un
fenomeno che comprende una forte minaccia all’integrità del Sé
(Steele, 1988; Steele, Spencer & Lynch, 1993). La revisione della
teoria ha suscitato molte controversie influenzando i progressi
empirici e teorici ( Harmon-Jones & Mills, 1999).
Nel secondo capitolo verrà trattato un nuovo modello nato
dalla sintesi tra le tre precedenti teorie. Si tratta del Modello
del Sè Standard della Dissonanza Cognitiva (SSM) (Stone &
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Cooper, 2001) il quale suggerisce che le basi della dissonanza,
come e perché si genera e come e perché le persone riducono la
dissonanza, dipendono in parte dalle cognizioni del Sè e dagli
standard del Sé (nomotetici e idiografici) accessibili in un contesto
discrepante. L’SSM inoltre specifica come e quando la stima di Sé
modera i processi della dissonanza.
Infine, verrà esaminata l’influenza di ogni teoria
contemporanea del Sé nel modello presentato da Stone e Cooper
sottolineando gli aspetti derivanti da ognuna di essa.
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CAPITOLO I
CONCETTO DI SE’ E
SUCCESSIVI SVILUPPI DELLA
DISSONANZA COGNITIVA
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1.1 DISSONANZA COGNITIVA E CONCETTO DI
SÉ: UNA RELAZIONE RECIPROCA
“Giorno per giorno affrontiamo
conflitti e prendiamo decisioni
che ci costringono a cercare
regole, strategie, meccanismi
che riducono la complessità ed
alleggeriscono il peso delle
decisioni”.
Miller (1944)
Nella vita quotidiana ci sono molte occasioni in cui le azioni e
i comportamenti degli individui si trovano in contrasto con i loro
pensieri e le loro convinzioni. Le persone potrebbero dire cose in
contraddizione con i loro reali pensieri, agire e comportarsi in modo
da mettere in pericolo il proprio e l’altrui benessere, creando così,
uno spiacevole stato di tensione detto dissonanza cognitiva.
A tal proposito, nel 1957, Leon Festinger pubblicò l’opera. “A
theory of cognitive dissonance” in cui affermava che una persona
con due cognizioni (elementi di conoscenza) psicologicamente
inconsistenti sarebbe andata incontro a dissonanza, uno stato
impulsivo affine alla fame o alla sete. Una volta destato questo stato
di dissonanza, l’individuo sarebbe motivato a ridurlo,
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principalmente tramite mutamenti comportamentali mirati a
ristabilire coerenza (Brehm & Cohen, 1962).
Festinger descrive l’esempio dell’individuo che sa come il
fumare gli sia nocivo, ma ciò nonostante continua a fumare. Così
descrive il tentativo del fumatore per ridurre la dissonanza fra
informazioni in suo possesso e la sua condotta: egli può
convincersi:
a) che gli piace tanto fumare da valerne la pena;
b) che le probabilità di un danno alla salute non sono così serie
come alcuni pretendono;
c) che egli non può sempre evitare ogni e qualsiasi
contingenza pericolosa e pur tuttavia vivere;
d) che se smettesse di fumare, ingrasserebbe con conseguenze
altrettanto nocive per la sua salute.
Ne risulta che il continuare a fumare è, dopo tutto, in accordo
con le sue idee circa il fumo: la dissonanza è stata pertanto ridotta o
annullata. Secondo Festinger dunque, l’incoerenza da sola è
sufficiente a causare la dissonanza.
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Più recentemente, tuttavia, altri studiosi hanno affermato che la
connessione è più complessa, sottolineando come solo le incoerenze
importanti e di rilevanza personale, le azioni che compromettono
l’integrità morale o che minacciano un positivo senso di Sé abbiano
il potenziale per stimolare la dissonanza (Baumeister, 1982; Steele,
1988; Steele e altri, 1993).
Quale ruolo è interpretato dalle cognizioni sul Sé
nell’innalzamento e riduzione della dissonanza è stato il centro
d’analisi delle ricerche di molti studiosi, secondo i quali la
dissonanza non è basata su un bisogno di coerenza tra cognizioni
ma tra la visione del Sé e una propria cognizione.
In accordo con i teorici del Sé (Cooley, 1902, 1964; James,
1890, 1896; Mead, 1934), un’impressione coerente di se stessi è
costituita dal concetto di sé, cioè quello che sappiamo di noi stessi e
l’autostima, cioè quello che proviamo nei confronti di noi stessi. Il
concetto di sé è, dunque, la somma delle convinzioni che
l’individuo nutre riguardo alle proprie qualità personali, è quello
che pensiamo del Sé; l’autostima, ossia la valutazione positiva o
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negativa del Sé, è quello che sentiamo nei nostri confronti
(Jones, 1990).
Secondo questo nuovo modo di vedere, la dissonanza cognitiva
è legata al concetto di sé nel senso che essa si origina
dall’opposizione tra la visione del sé e il proprio comportamento.
Il dibattito tra i ricercatori sul ruolo del sé e della stima di sé
nella dissonanza si incentra prima di tutto sulla natura del sé
rilevante che influenza l’origine e la riduzione della dissonanza
(Amerio, Bosotti & Amione, 1978).
Molti dei dissensi tra i ricercatori si sono incentrati, come
vedremo nei paragrafi successivi, sulle diverse predizioni fatte da
tre principali prospettive, rispettivamente:
COERENZA DEL SE’: sostiene che le cognizioni sul sé
rappresentano standard o aspettative che facilitano l’innalzamento
della dissonanza (Aronson E. & Carlsmith, 1962).
NEW LOOK: suppone che le cognizioni sono irrilevanti al
processo di innalzamento e riduzione della dissonanza (Cooper &
Ducan, 1971; Cooper & Fazio, 1984).
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AFFERMAZIONE DEL SE’: afferma che le cognizioni sul sé
funzionano come risorse per la riduzione della dissonanza (Steele,
Spencer & Lynch, 1993; Aronson J., Cohen &Nail, 1999).
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1.2. ORIGINE DELLA DISSONANZA NELLA
TEORIA DELLA COERENZA DEL SE’
La prospettiva che le cognizioni sul se servono come
aspettative per il comportamento sono state avanzate inizialmente
dalla teoria della coerenza del sé, una delle prime modifiche della
teoria della dissonanza, introdotta da Aronson E. (1968; Aronson E.
& Carlsmith, 1962).
Secondo questo nuovo modello, le persone hanno aspettative
per un comportamento adeguato e morale che ricavano da “morali
convenzionali e valori prevalenti della società” (Thibodeau &
Aronson E., 1992). La dissonanza è attiva quando le persone
percepiscono una discrepanza tra il loro comportamento, per
esempio, difendere un pensiero controattitudinale (Festinger &
Carlsmith, 1959) o rendere una decisione discutibile (Brehm, 1956),
e i loro “standard personali” o aspettative del sé per gli attributi del
sé o competenza e moralità.
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Secondo Aronson E. (1968), la teoria della dissonanza fornisce
previsioni più sicure nel caso in cui il comportamento, liberamente
scelto, di una persona viola un elemento importante della
concezione del sè.
In questa ottica, quando un soggetto si comporta in maniera
contraria alle sue attitudini la dissonanza non si manifesta, in se
stessa, per incoerenza tra un comportamento particolare e
un’attitudine precedentemente data. Piuttosto, la dissonanza sorge
perché il comportamento è incoerente con la concezione individuale
del sè.
Nel riprendere la teoria di Festinger, Aronson E. (1968) notò
che il ruolo cardine del concetto del sé era stato oscurato per una
ragione fondamentale. Il successo della gran parte degli esperimenti
sulla dissonanza era rimasto ancorato all’osservazione implicita (e
largamente accurata) che la maggior parte delle persone possiede
concezioni positive del sè.
Quello che si intende qui è semplicemente che molte persone
hanno standard comportamentali in accordo con la morale
convenzionale e i valori predominanti della società. Un concetto di
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sé positivo sarà perciò tipicamente basato sulla percezione dello
sforzo teso al mantenimento di questi standard.
Come risultato di tale menzogna, invocare una posizione
contraria alle proprie stesse credenze o altresì agire contro i propri
principi, sarà la causa scatenante di dissonanza per molti individui.
Nella formulazione di Aronson E., dunque, la coerenza
cognitiva rimane la forza portante che sottende un fenomeno di
dinnonanza. Di conseguenza, individui con una concezione del sè
negativa andranno incontro a fenomeni di dissonanza in condizioni
differenti da quelle di individui con una concezione positiva del sé.
Per illustrare questo punto e per illustrare come esso si discosti
dalla teoria di Festinger, Aronson E. (1960) fornì l’esempio
seguente:
Se Jones, liberale di ferro, si trovasse ad un cocktail party, impegnato in
una discussione con un gruppo di conservatori, potrebbe pronunziare un paio di
frasi a favore dei politici reazionari per evitare di offendere i presenti. Festinger
sosterrebbe allora che ciò che è dissonante in Jones sia 1) la sua stessa
cognizione di essersi espresso a favore dei reazionari 2) la sua cognizione di
essere liberale. Io non sono d’accordo. Ritengo invece che esista dissonanza tra
1) la convinzione di Jones che, da essere razionale intelligente e onesto, si
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debba comportare con integrità morale; con 2) la cognizione di Jones di non
essersi comportato con integrità morale. Se Jones fosse un bugiardo patologico
lo avrebbe senz’altro saputo, non avrebbe ceduto a fenomeni di dissonanza; da
bugiardo patologico, si sarebbe aspettato da se stesso un comportamento
bugiardo, da qui, il suo comportamento sarebbe coinciso con le sue aspettative
su se stesso.
Dunque, un’importante implicazione della posizione a favore
della concezione del sé è che ciò che stimola dissonanza sia, in
profondità, una questione fortemente soggettiva.
La dissonanza non è il prodotto di una sola o due cognizioni
incoerenti; piuttosto dipende dagli elementi specificamente
cognitivi che costituiscono la concezione individuale del sé, come
le aspettative di comportamento che sono derivate dalle cognizioni
rilevanti del sé (Thibodeau & Aronson E., 1992).