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INTRODUZIONE
Con il presente elaborato si è voluto svolgere uno studio approfondito
sull‟istituto del dissesto finanziario degli Enti Locali, descrivendone le
principali modalità d‟attuazione e cercando di individuarne eventuali
prospettive di sviluppo. La normativa in questione, oltre a rivestire un interesse
dal punto di vista del diritto amministrativo, implica conoscenze di carattere
specificatamente contabile e di finanza degli enti locali. Il dissesto, nato alla
fine degli anni Ottanta, ha avuto una grande diffusione nei primi anni Novanta
perché i Comuni, allettati dal contributo statale, ne hanno fatto un uso abusivo.
Nella seconda metà degli anni Novanta, invece, il ricorso al dissesto è stato
meno frequente. Oggi, alla luce della crisi che ha investito i mercati mondiali e
della normativa prodotta in Italia in materia federalismo fiscale gli enti locali si
trovano con meno risorse; contingenza questa, che li induce a tener in sempre
maggior considerazione il ricorso al dissesto che è stato pensato come un
intervento straordinario da adoperare solo in occasioni di reale paralisi
strutturale. Tale istituto si configura come una procedura concorsuale sui
generis per il fatto che, essendo il soggetto investito da essa un ente
istituzionale, a cui l‟ordinamento riconosce il compito di curare gli interessi
della comunità locale, non è soggetta ai vincoli tipici delle procedure
concorsuali. Gli enti locali non possono fallire, per questo si deve ricorrere a
questa procedura anche se i creditori dell‟ente ne risentiranno fortemente. In
ogni caso, quando il dissesto è stato applicato in maniera corretta ha dimostrato
la sua efficacia. Certamente la procedura, una volta avviata, comporta degli
oneri molto gravosi per gli enti. Per questo deve utilizzarsi solo nei casi
strettamente previsti.
Il primo capitolo, ai fini della contestualizzazione, ricostruisce l‟evoluzione
storica della normativa in relazione al contesto storico-politico in cui si è
sviluppata. Un apposito paragrafo è dedicato allo spoglio delle pronunce della
6
Corte Costituzionale in materia. Dalle sentenze consultate è risultato che
l‟istituto è coerente con il nostro ordinamento e non viola nessun principio
costituzionalmente garantito. La Corte ha chiaramente dichiarato che
l‟interesse al proseguimento dell‟attività amministrativa riveste un‟importanza
superiore rispetto ad altri interessi, come ad esempio quello al soddisfacimento
individuale del diritto di credito. Il secondo capitolo analizza in modo
dettagliato la natura del‟atto, la procedura che si segue ogni volta che si
dichiara il dissesto e le conseguenze che comporta. Nell‟affrontare la
descrizione della procedura di liquidazione una particolare attenzione è stata
rivolta anche alle conseguenze che essa produce sui creditori dell‟ente.
L‟ultimo capitolo descrive gli effetti del dissesto sulla comunità locale e il
ruolo che svolge l‟ente prima durante e dopo il risanamento. In particolare il
secondo paragrafo prende in esame un caso singolare: è la vicenda di Roma
Capitale nella quale la procedura di dissesto è stata attivata mediante decreto
legge anziché attraverso l‟iter tipico della delibera consiliare; la singolarità del
caso risulta anche dai diversi profili d‟ambiguità emergenti nella definizione
dei poteri del Commissario Straordinario. Il terzo paragrafo analizza poi il dato
statistico delle dichiarazioni di dissesto esperite nel corso degli anni,
descrivendone l‟efficacia effettiva e valutando le prospettive di sopravivenza
futura dell‟istituto nell‟ordinamento. In conclusione si osserverà come l‟istituto
dimostri un‟efficacia reale solo se impiegato nei casi di effettiva paralisi
strutturale. Le riforme degli ultimi tempi, in particolare la riforma del Titolo V,
Parte Seconda, della Costituzione, hanno snaturato l‟istituto rischiando di
compromettere la possibilità di un effettivo risanamento. Si osserverà pertanto
che la permanenza dell‟istituto nell‟ordinamento è condizionata dall‟attuazione
di un‟attenta revisione normativa che lo conformi all‟attuale disciplina
costituzionale.
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CAPITOLO I: GENESI ED EVOLUZIONE NORMATIVA DEL
DISSESTO
1.1 Premessa
La normativa oggetto di questo studio assume oggi una rilevanza particolare
in relazione alla crisi globale della finanza che ha inevitabilmente colpito anche
gli enti locali. L‟istituto del dissesto è stato introdotto per la prima volta
nell‟ordinamento giuridico italiano alla fine degli anni Ottanta del secolo
scorso per sanare la situazione dei gravi deficit di bilancio che gli enti locali
affrontavano in quel periodo, per disincentivare la gestione sconsiderata con
cui si erano amministrate le autonomie locali negli anni precedenti e per evitare
che lo Stato, gravato da un debito sempre più ingente, giungesse al default. Gli
sviluppi che si sono susseguiti in questi anni di vigenza hanno configurato il
dissesto finanziario come l‟ultima garanzia del sistema costituzionale a fronte
del maggior grado di autonomia finanziaria riconosciuto agli enti locali.
All‟inizio, gli enti hanno abusato di questo istituto interpretandolo come
sanatoria e non come ultimo rimedio per risolvere una situazione di effettiva
paralisi istituzionale che porta l‟ente a non poter garantire alla comunità quelle
funzioni indispensabili che la costituzione gli conferisce. Molti hanno pensato
che le modifiche apportate dalla riforma del Titolo V, Parte Seconda, della
Costituzione, privando gli enti della possibilità di assumere mutui con oneri a
totale carico dello Stato, abbiano sancito la fine del dissesto. Questa
affermazione è stata smentita dai fatti. Quel che è certo è che la normativa
richiede un adeguamento alla nuova disciplina costituzionale attraverso una
misura che renda effettivo il risanamento che la riforma costituzionale ha
fortemente compromesso. D‟altra parte, una cancellazione dell‟istituto
potrebbe configurare un vuoto normativo per quelle situazioni di grave crisi
dell‟ente. L‟istituto ha dimostrato la sua efficacia portando gli enti alla fine
della procedura a una gestione sana della “cosa pubblica”. Certamente la grave
8
situazione dei bilanci degli enti locali, aggravata dai vincoli posti dal Patto di
Stabilità Interno, configura un forte rischio di paralisi che potrebbe portare a un
effettivo stato di dissesto anche se non dichiarato. Negli ultimi due anni sono
molti gli enti che hanno valutato la possibilità di ricorrere al dissesto. Molti non
vi hanno fatto ricorso in ragione degli oneri che comporta la procedura nei
confronti dei cittadini. Il fine del mantenimento di un organo istituzionale in
crisi comporta dei sacrifici per la comunità che durante la procedura si trova a
godere di meno servizi, di minor personale per lo svolgimento delle funzioni
indispensabili e di un forte aggravio dei tributi locali. Ma è proprio per
salvaguardare la comunità che si avvia questa procedura concorsuale che la
Corte Costituzionale ha sempre difeso in virtù degli interessi che protegge.
Certamente è una procedura sui generis, ma la posizione di prevalenza
conferita all‟interesse del risanamento non pregiudica fino in fondo il diritto
del creditore al godimento del diritto soggettivo ed è anche in ragione di questo
che si avvia la procedura che mantiene comunque saldo il principio della par
condicio creditorum
L‟istituto del dissesto finanziario degli enti locali è un meccanismo giuridico
proprio ed esclusivo degli enti locali primari (Provincie e Comuni)
1
. Non esiste
una normativa simile né a livello regionale, né a livello statale che affronti in
modo dettagliato il risanamento di un ente che abbia accertato un evidente
stato di insolvibilità. Occorre, a scanso di equivoci terminologici, distinguere
tra dissesto finanziario e disavanzo finanziario. Si può definire il disavanzo
finanziario come “il risultato negativo della somma algebrica dei movimenti di
cassa”.
2
Questo disavanzo deve essere coperto; ciò avviene attraverso
1
Vd. Art. 244 co. 2 T.U.E.L
2
«il risultato dei movimenti di cassa relativi a due tipi di operazioni: quelli concernenti i costi e
i ricavi del conto profitti e perdite e quelle relative all‟attivo della situazione patrimoniale. […]
Il disavanzo implica che la somma algebrica dei suddetti movimenti di cassa sia negativa» in
Voce disavanzo finanziario a cura di Giancarlo Morcaldo, Digesto discipline pubblicistiche,
Utet, 1968, pag 265
9
l‟indebitamento da parte del soggetto economico verso terzi ed, eventualmente,
nella riduzione delle disponibilità di cassa. Questa definizione di disavanzo è
funzionale, per quanto riguarda la nostra trattazione, a quella di dissesto. Si può
dire, semplificando, che il disavanzo giustifica il ricorso all‟indebitamento, e
che un indebitamento sempre più ingente, a cui corrisponde una eventuale
riduzione delle disponibilità di cassa, può portare allo stato di dissesto
finanziario dell‟ente locale. La Corte dei Conti ha dichiarato che nel 2010 il
numero di comuni in disavanzo è aumentato del 24% e che tuttavia non
sempre gli enti che deliberano il dissesto finanziario registrano negli anni
precedenti saldi d‟amministrazione in disavanzo
3
. Ciò significa che grazie ad
artifici contabili o al ricorso dei debiti fuori bilancio, si può avere un bilancio
in avanzo ma un forte indebitamento o comunque uno stato di anormalità
finanziaria che porterà presto a uno stato di fattuale dissesto, anche se non
dichiarato.
1.2 Dal decreto legge 66 del 1989 alla riforma del 1993
Il dissesto è un meccanismo giuridico complesso che attesta uno stato
“patologico” di un ente gravato da un forte indebitamento. Per capire cosa sia il
dissesto e quali siano i principi che lo ispirano è necessario delineare il quadro
storico nel quale si è sviluppato per comprendere anche quali sono le
prospettive future, anche alla luce delle recenti innovazioni apportate dalla
riforma del Titolo V della Costituzione e dalla legge sul federalismo fiscale.
Prima di arrivare a una definizione normativa vennero effettuati alcuni studi,
tra cui un‟analisi commissionata dal Ministero dell‟interno in ordine alle
difficoltà economiche riscontrate in molti enti locali, soprattutto del
3
«Per gli Enti che dichiarano il dissesto, invero pochi, non sempre si riscontrano, negli anni
immediatamente antecedenti, saldi di amministrazione in disavanzo […] altri enti, nel 2009 in
numero di 30, pur non in formale disavanzo, mostrano uno squilibrio nel confronto tra risultato
di amministrazione e fondi vincolati» Delib. n. 7, Corte dei Conti, sez. Autonomie, Relazione
sulla gestione finanziaria degli enti locali, esercizi 2009-2010, 18 Luglio 2010, pag. 380
10
meridione
4
. Alla fine degli anni Ottanta si diffusero, sempre più, istanze di
superamento della finanza locale “derivata” basata sulla spesa storica perché
portava ad un sistema che premiava gli enti meno virtuosi. C‟era già, in nuce,
un‟idea di federalismo fiscale che portò ai primi tagli ai trasferimenti erariali,
nonostante l‟autonomia finanziaria non fosse ancora prescritta.
L‟art. 1-bis del D. L. 318 del 1 luglio 1986, convertito con modificazioni dalla
L. 488 del 9 agosto 1986, consentiva agli enti locali il riconoscimento di debiti
fuori bilancio
5
, cioè non previsti nel bilancio preventivo, e che, pur essendo
una effettiva violazione delle norme giuscontabili, possono essere imputati e
fatti propri dall'ente perché la legge consente una deroga alle norme suddette
per casi specifici. Nel 1986 la Corte dei Conti prevedendo che le finanze dei
comuni si avviavano al collasso chiese una certificazione sui debiti fuori
bilancio da cui emerse un‟ingente massa debitoria.
6
Ciò portò in un primo
momento alla concessione di una sanatoria per i debiti pregressi. Ma era
4
«Lo studio delle difficoltà finanziarie dei comuni (erano questi gli enti per lo più interessati
dal problema) portò all‟emanazione di disposizioni che consentivano il riconoscimento degli
indebitamenti sommersi (debiti fuori bilancio) con le risorse dell‟ente locale. Le risorse della
gestione di competenza non erano però a volte sufficienti a ripianare indebitamenti pregressi
talvolta accumulatisi negli anni. […]. Per tanto fu emanata apposita disposizione, di cui all‟art.
1-bis del D. L. 1° Luglio 1986, n. 318, convertito con modificazioni dalla legge 9 Agosto 1986,
n. 488. […]. Ma anche tale sistema non era sempre sufficiente, e per talune situazioni di grave
indebitamento non si apportava di fatto in tal modo alcun beneficio, essendo necessario un
intervento più radicale: è questo il punto cruciale, era necessario l‟intervento dello stato in
aiuto agli enti». In Caringella Francesco, Giuncato Antonio, Romano Filippo, (a cura di),
L'ordinamento degli enti locali: commentario al Testo unico, IPSOA, 2007, pag. 1273
5
«si produce al di fuori della sfera gestionale dell'ente, in quanto si è perfezionato
giuridicamente ma non contabilmente. Perché possa diventare debito proprio dell'ente è
necessario che il Consiglio provveda al riconoscimento della sua legittimità, così sanando i due
presupposti, giuridico (obbligazione assunta in violazione della norma) e contabile
(imputazione della spesa occorrente in capo all'ente che l'ha riconosciuta)». In Pasquale Russo,
Maria Ilaria Bruno, Debiti fuori bilancio: nuovi profili di responsabilità per danno erariale,
Altalex quotidiano di informazione giuridica, 15 gennaio 2010
6
«Una massa debitoria superiore ai mille miliardi di lire fondata sull‟applicazione disinvolta
delle regole contabili che favoriva il proliferare dei debiti fuori bilancio. Pertanto furono
rafforzate le disposizioni in materia di assunzione e copertura delle spese, permessa una
sanatoria per i debiti pregressi e introdotte le norme sul dissesto» in Karim Danielli Elda,
Pittalis Maria Giovanna, op. cit., pag. 10
11
necessaria una norma che regolasse questo fenomeno così diffuso e che
disincentivasse la tendenza all‟indebitamento. Per questo furono emanate le
norme sul dissesto.
Si parla per la prima volta di dissesto nel 1989 con l‟art. 25 del D. L. 66, poi
convertito, con modificazioni, in L. 144 del 24 aprile 1989, che recava
“Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di
finanza locale”. Era una normativa di carattere speciale dettata dalla situazione
finanziaria dello Stato in quel periodo. L‟indebitamento era ad un livello
altissimo
7
e il governo guidato da Ciriaco De Mita fu costretto a intraprendere
misure molto drastiche. La gravità della situazione dei bilanci statali era dovuta
all‟assorbimento di larga parte del risparmio nazionale per il finanziamento del
deficit delle amministrazioni pubbliche. Per questo motivo si rese necessaria
l‟emanazione del suddetto decreto che nel preambolo giustificava questo
intervento con la necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il
conferimento dell'autonomia impositiva ai comuni e per assicurare i necessari
finanziamenti agli enti locali per l'anno 1989. Il titolo IV era dedicato al
risanamento finanziario delle gestioni locali. Gli articoli 25 e seguenti
descrivevano dettagliatamente la procedura di dissesto. Veniva avviata tale
procedura quando l‟ente si trovava in condizioni tali da non poter garantire
l'assolvimento delle “funzioni e dei servizi primari”
8
. Il decreto dava la facoltà
agli enti di chiedere al ministro dell'interno, con delibera consiliare, la pubblica
dichiarazione di dissesto finanziario. La dicitura cambiò completamente con la
legge di conversione. La facoltà fu convertita in un obbligo e la delibera non
era più una richiesta al ministro ma l‟approvazione di un vero e proprio “piano
di risanamento finanziario per provvedere alla copertura delle passività già
7
Giuliano Amato, ministro del tesoro dell‟esecutivo De Mita, disse: “convivere con un debito
pubblico delle dimensioni toccate in Italia è come vivere sopra la faglia della California” in
La Malfa Giorgio, Le troppe prudenze del governo De Mita, La Repubblica, 24 luglio 1988
8
Nella dicitura originale dell‟art 25 del decreto n. 66 del 1989 si parlava in realtà di “servizi
essenziali”
12
esistenti e per assicurare in via permanente condizioni di equilibrio della
gestione”
9
che era attribuzione propria del Consiglio Comunale.
Il più interessante cambiamento lo troviamo nel comma 2 che nella sua
dicitura definitiva descrive la procedura di risanamento in modo preciso
spiegandone il funzionamento pratico così come è oggi. Il testo prevedeva due
parti distinte per il risanamento: una per la copertura del disavanzo pregresso e
dei debiti fuori bilancio, l'altra relativa al consolidamento ed al pareggio
finanziario della gestione dell'ente. Per quanto riguarda la prima parte,
venivano dettagliatamente documentate le cause che avevano determinato la
situazione, indicato l'ammontare del disavanzo di amministrazione risultante
dall'ultimo conto consuntivo e infine erano elencati i debiti fuori bilancio
relativi alle spese per le quali era espressamente accertata la necessità per
l'esercizio delle funzioni e dei servizi pubblici di competenza dell'ente per
legge. Questa ultima disposizione si deve alla natura del risanamento dell‟ente
e la sua differenza con le procedure concorsuali di natura privatistica. Infatti
l‟ente locale soggetto a procedura di risanamento non può essere sottoposto ai
vincoli tipici di una procedura fallimentare e i creditori dell‟ente incontrano un
limite al loro diritto soggettivo nelle “necessità” che l‟ente incontra per
“l’esercizio delle funzioni e dei servizi pubblici”
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attribuitegli dalla legge.
Con il piano di risanamento veniva indicato il fabbisogno finanziario
necessario alla copertura del disavanzo e ai debiti fuori bilancio riconosciuti.
Venivano poi individuate le risorse per concorrere alla copertura del debito.
Nella parte del piano di risanamento relativa al consolidamento della gestione
corrente, il consiglio determinava l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato
mediante l'attivazione di entrate proprie e la riduzione di spese correnti. La
norma disponeva, in seguito, una serie di provvedimenti in capo all‟ente che
9
Art. 25 decreto legge n. 66 del 1989 così come modificato dalla legge n. 144 del 1989
10
Ibidem, co. 3
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riguardavano specificatamente le entrate, le spese e la determinazione della
pianta organica e che verranno specificate dettagliatamente nelle modifiche
successive. Il piano veniva approvato con decreto del ministro dell'interno che
poteva autorizzare, attraverso un altro decreto, l'assunzione di un mutuo con la
Cassa Depositi e Prestiti
11
a copertura del disavanzo d‟amministrazione e dei
debiti fuori bilancio per i quali era riscontrata la legittimità del riconoscimento
effettuato dal consiglio dell'ente. L‟onere di questo mutuo era a totale carico
dello Stato e serviva a finanziare l‟indebitamento pregresso, cioè il disavanzo
di amministrazione da conto consuntivo dell‟ultimo esercizio precedente il
dissesto ed i debiti fuori bilancio riconoscibili, in quanto rispondenti ai fini
istituzionali dell‟ente locale. Nelle disposizioni finali veniva posto un limite ai
creditori, in ragione della maggiore rilevanza dell‟interesse pubblico del
pareggio finanziario, nella sospensione delle azioni esecutive nei confronti
dell'ente. Nel caso in cui si fossero ricostituiti disavanzi d‟amministrazione o
debiti fuori bilancio era previsto un rinvio al giudizio della Corte dei Conti e
l‟accertamento delle responsabilità degli amministratori o dei funzionari senza
oneri per l‟ente. Se il Consiglio non avesse individuato i responsabili si
procedeva alla nomina di un Commissario ad acta.
La normativa è stata oggetto di critiche da parte della dottrina fin da quando
fece la sua prima comparsa nel panorama legislativo italiano. Venivano addotte
motivazioni di coerenza con l‟ordinamento generale. Molte di queste critiche
erano sulla natura del meccanismo legislativo ritenuto troppo simile alle
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«Nasce a Torino nel 1850. […].Dopo aver incorporato le altre Casse del Regno, essersi
trasferita prima a Firenze e poi a Roma, nel 1898 la Cassa depositi e prestiti viene trasformata
in Direzione generale del Ministero del Tesoro. […]. E‟ solo nel 1983 che prende il via il
processo di separazione della Cassa depositi e prestiti dallo Stato, che si concluderà il 12
dicembre 2003 con la trasformazione in Società per azioni. […]. La nuova forma giuridica
potenzia la capacità d'azione della Società rendendo più flessibile e funzionale la gestione, ma
lascia inalterate le finalità pubbliche e di interesse generale che da sempre l'Istituto persegue.
Con la trasformazione in Spa entrano a far parte della compagine azionaria di CDP le
Fondazioni di origine bancaria, con una quota del 30%. Il Ministero dell‟Economia e delle
Finanze (MEF) resta l‟azionista principale di Cassa, con il 70% del capitale». In
www.cassaddpp.it/cdp/Areagenerale/Chisiamo/Lanostrastoria/index.htm