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INTRODUZIONE
1. I migranti in Italia
Il nostro Paese dal 1983 ha cominciato a registrare un passivo nel saldo tra emigrazione e
immigrazione: in breve, da quell’anno siamo diventati da Paese di partenza, a meta di arrivo; dal
1989 in poi sono succedute diversi flussi migratori verso il nostro Paese, e in 20 anni i migranti
sono passati da 490.000 persone, agli oltre 4,5 milioni di persone, quasi 10 volte tanto.
Grafico 1: l’andamento delle migrazioni in Italia; in rosso gli anni in cui è stata approvata una legge di riforma
sulle migrazioni, in giallo…
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
1986 1989 1992 1995 1998 2001 2004 2007
7
La società italiana, come si è trasformata nel frattempo? È fondamentale capire in che modo i
migranti si sono inseriti nella nostra Società, e come si è impostata la convivenza, in quanto, come
affermano studiosi del calibro di Ambrosini (2005) e Mara Tognetti Bordogna (2004), questo
fenomeno è uno dei cambiamenti socio demografici più significativi nella nostra storia recente:
milioni di persone sono arrivate o stanno arrivando in Italia, in larga maggioranza per lavorare e
quindi contribuire allo sviluppo del Paese, la cui popolazione sta attraversando, dal punto di vista
demografico, un massiccio processo di invecchiamento della popolazione e diminuzione della
fecondità.
Per misurare il grado di convivenza, inteso come integrazione all’interno della società italiana da
parte dei migranti, la Consulta Nazionale Economia e Lavoro, insieme a IDOS ha elaborato, un
indice ad hoc, e dal settembre 2006 coordina il progetto M.I.T.I.- Migrants’ Integration Territorial
Index, finanziato dalla Commissione Europea con i fondi del programma comunitario INTI per
l’integrazione dei cittadini dei Paesi Terzi, che conosce il coinvolgimento come partner di altri
quattro Paesi UE (Francia, Portogallo, Regno Unito e Spagna). La finalità del progetto è di condurre
uno studio comparativo del grado di integrazione socio-lavorativa degli immigrati non comunitari
nei diversi paesi partner a livello territoriale (regioni e focus su un’area metropolitana significativa)
e con approfondimenti specifici sui gruppi nazionali più rappresentativi in ciascun paese,utilizzando
una griglia comune di indicatori statistici, opportunamente organizzati in indici, in grado di
misurare le potenzialità di inserimento proprie di ogni contesto territoriale analizzato.1
Secondo queste ricerche, sembrerebbe che le Regioni più “virtuose” sotto questo punto di vista
siano, in ordine di punteggio, la Lombardia, il Veneto e il Trentino Alto Adige; si potrebbe
obbiettare che la grandezza misurata riguarda la “polarizzazione”, cioè l’attrattività (da un punto di
vista quantitativo) di un territorio, e non l’integrazione, che è di per sé un oggetto di studio dai
confini molto ambigui, ma questo lavoro di tesi non è la sede adatta per approfondire questa
interessante e complessa tematica. In questa introduzione alla tesi, propongo un’analisi sui processi
migratori in Italia di tipo diverso, e molto meno ambizioso: una semplice analisi quali-quantitativa,
riguardo alcuni dei più rilevanti frameworks che possono interessare la vita di un migrante,
seguendo la falsa riga del manuale di sociologi dell’immigrazione di Ambrosini:
il lavoro;
la situazione abitativa;
le seconde generazioni e la scuola;
l’accesso ai Servizi sociali e sanitari;
la partecipazione alla vita pubblica.
1
Tratto dal sito http://www.dossierimmigrazione.it/miti.htm.
8
La situazione lavorativa, è il principale motivo di residenza dei migranti in Italia, oltre che uno dei
nodi più critici; la situazione lavorativa dei migranti è sinteticamente presentata da questa tabella
elaborata dalla Caritas.
Tabella 1: partecipazione dei migranti all’economia e al mercato del lavoro, fonte dossier statistico immigrazione
Caritas 2007, elaborazione su dati da fonti varie.
Tasso di attività Occupati nati in Paese
stranieri
2.704.450
Stranieri 73.2% Nuovi assunti nati in
Paese esteri
599.466
Italiani 61.9% Saldi tra assunzioni e
cessazioni
198.033
Tasso di occupazione Imprese costituite da
persone nate all’estero
165.114
Stranieri 67.1% Stranieri iscritti al
Sindacato (cgil, cisl,
uil)
814.311
Italiani 58.1% Infortuni di lavoratori
nati in Paesi esterni
240.578
Tasso di
disoccupazione
Incidenza stranieri su
totale infortuni
15.4%
Stranieri 8.3% Rimesse inviate
dall’Italia (in migliaia
di euro)
6.044.060
Italiani 5.9% Stima gettito fiscale 3.749.371.530
Stranieri alle
dipendenze
84.4%
9
Approfondire i dati di questa tabella sarebbe un procedimento molto lungo e complesso, che
esulerebbe da questa tesi; tuttavia, come si può notare, il tasso di occupazione tra gli stranieri è
molto alto, del 67%, in quanto, come riportato in precedenza, il principale motivo di arrivo è quello
legato al lavoro. Si noti anche l’altissima percentuale di stranieri dipendenti, nonostante molti di
loro abbiano un titolo di studio medio alto2. È stata rilevata anche una ridotta, ma crescente
percentuale di imprenditori stranieri, specialmente in seno alla comunità cinesi e rumene; le imprese
così create, sono un indicatore della volontà di permanere in Italia; i lavoratori di queste imprese
sono primariamente concittadini del proprietario e costituiscono un potente fattore di
consolidamento della catena migratoria; si rileverebbero anche assunzione di italiani. Dai dati
ufficiali sono stati registrati un numero molto elevato di infortuni sul lavoro, il 15,4%3 del totale,
spiegabile in parte dall’alta percentuale di impiegati nel lavoro nell’industria o nell’edilizia,
combinata alla inesperienza, in parte, spiegabile dalle condizioni poco sicure di lavoro. Vi è un
numero molto elevato di iscritti ai Sindacati, dato che può essere letto in due modi: il primo che
l’iscrizione avviene per avere una maggiore tutela sul luogo di lavoro; secondo, questa alta
percentuale di iscritti potrebbe indicare una volontà di partecipazione alle scelte pubbliche, aspetto
che è negato in altri ambiti in quanto non vi è diritto di voto.
Il gettito fiscale che producono è vicino ai 3 mld di euro4; il tasso di evasione è basso perché sono
quasi tutti lavoratori dipendenti, mentre è ridotta la percentuale di liberi professionisti, categoria che
secondo le recenti stime della Guardia di Finanza è ad alto tasso di evasione; queste statistiche
prendono in considerazione solo il lavoro svolto dagli stranieri regolari, non si sa nulla della
condizione lavorative degli irregolari, assunti da imprenditori italiani e stranieri, spesso in ambienti
di lavoro inadeguati se non malsani, sottoposti ad orari lavorativi fuori dalle norme e a eventuali
vessazioni. La situazione economica presa in considerazione, è tuttavia quella del 2006, non si sa
molto della situazione immediatamente precedente alla crisi e di quella attuale; recenti studi (Ires
Piemonte 2009), sembrano indicare che la popolazione migrante sia stata la fascia di popolazione
più colpita dalla crisi.
2
Molti stranieri che arrivano in Italia, sono persone che hanno un titolo di studio medio alto, e tra loro non mancano
ingegneri, dottori e operai specializzati; vi sono tuttavia grossi problemi di riconoscimento dei titoli di studio; a questo
proposito, sono in atto alcune iniziative per valorizzare questo aspetto. Una di queste è un progetto del COREP.
3
Il 15.4% degli infortuni, su una popolazione di lavoratori di 2.700.000 persone; poco meno di un quinto del totale
rispetto a una popolazione di italiani lavoratori che si aggira su 21 milioni (dati ISTAT). Ci sono però dei problemi di
validità del dato: da un lato è molto sottostimato, in quanto, a detta dei sindacati e degli operatori sanitari, è molto
spesso un migrante non va al Pronto Soccorso per paura di perdere il lavoro; inoltre la percentuale presa in
considerazione è relativa al totale degli infortuni, tra stranieri regolari e non regolari, anche se i non regolari che vanno
al Pronto Soccorso e sono registrati come infortuni sul lavoro, sono molto pochi.
4
Dati dossier Caritas 2008, sezione economia.
10
Accanto alla situazione lavorativa, è fondamentale, la questione abitativa: dai dati Caritas5,
emerge per ora che 9 stranieri su 10 abitino in case in affitto, e solo l’1% abbia effettuato un
investimento per la casa, probabilmente per gli alti costi e per le condizioni di incertezza del lavoro;
è tuttavia un divario che lentamente va restringendosi; nell’ultimo anno sono state acquistati
120.000 abitazioni; questo trend può essere letto come un indicatore di stabilità; il risiedere in
affitto o in proprietà in una casa avente particolari caratteristiche6 è inoltre un requisito
fondamentale per il ricongiungimento familiare legale. La situazione dei migranti irregolari, sotto
questo versante è particolarmente critica: avviene spesso che a loro vengano affittati posti letto in
locali piccoli e malsani a prezzi molto maggiori rispetto a quelli di mercato, con effetti negativi
anche sulla salute. Le condizioni peggiori sono però quelle vissute dagli abitanti delle molte
bidonvilles ai margini delle grandi città, senza servizi di sorta.
Una fascia crescente della popolazione dei migranti è costituito dalle seconde generazioni7;
secondo alcuni studiosi (Federici, Ambrosini 2005) questo è un fenomeno che contraddistingue
molto spesso il passaggio da migrazioni inizialmente vissute come esperienze provvisorie a
insediamenti definitivi.
Sono presenti almeno due problematiche di rilievo che riguardano questo fenomeno: la prima
riguardante la famiglia e i conflitti culturali che possono svilupparsi in questi ragazzi sospesi tra due
culture, con rischi di devianza; la seconda riguarda il mondo scolastico, potente veicolo di
integrazione e di mobilità sociale.
Secondo dati della Caritas, sono presenti in Italia almeno 767.060 minori stranieri (dati 2007), di cui
quasi 460.000 nati in Italia, “stranieri solo giuridicamente”8; gli studenti stranieri hanno sfiorato le
600.000 unità. L’incidenza media sulla popolazione nazionale di studenti è del 6.4%, con punte
anche del 10% in Lombardia ed Emilia Romagna; i percorsi scolastici di questi minori, sono
fortemente a rischio, in quanto il sistema scolastico italiano non è attrezzato per soprattutto quando
il trasferimento dall’estero avviene durante l’anno scolastico: secondo fonti ministeriali, il 42.5%
degli alunni stranieri non è in regola con gli studi e di questi, il 20% circa degli stranieri alunni delle
secondarie superiori ha più di 18 anni, è stato quindi bocciato almeno una volta. Saranno
fondamentali, per ridurre queste disparità, gli interventi presi dai dirigenti scolastici, e spesso dal
corpo docente, istituto per istituto, contando su risorse molte limitate.
Un altro serio problema riguardante il sistema scolastico, è l’eccessiva canalizzazione verso il ramo
tecnico professionale: in merito, è emblematica la tabella sottostante.
5
Dossier Caritas 2007, parte sulla situazione abitativa.
6
Metratura e numero di locali previsti sono infatti fissati per legge.
7
Secondo i dati Istat, i migranti fino ai 18 anni sarebbero circa il 26% della popolazione migrante totale.
8
L’attuale legge sulla cittadinanza prevede che si posso ottenete mediante matrimonio con un cittadino italiano o
tramite la residenza in Italia per 10 anni di seguito.
11
Grafico 2: distribuzione dei migranti nel sistema scolastico di scuola secondaria Fonte: dati Ministero della
Pubblica Istruzione (2007).
Come si può notare, la percentuale di studenti stranieri che si reca in istituti professionali e tecnici, è
in totale del 78.8 %, contro il 54.9% totale degli italiani: questo perché la maggior parte dei genitori
stranieri, dopo le secondarie inferiori, considera questa scelta più affidabili per i figli, dal punto di
vista occupazionale, in quanto consentirebbe un maggior contatto con il mondo del lavoro; queste
professionalità sono però i posti anche più precari. L’iscrizione in massa in queste scuole, potrebbe
pregiudicare molto le carriere scolastiche, che potrebbero fermarsi alle superiori, non andando
all’Università e riproponendo le differenze; quasi in un’ottica di classe, essere migrante significa e
significherà appartenere ad una nuova “working class”. I ragazzi e le ragazze delle seconde
generazioni e della “generazione 1.5”9, vivono a contatto con due mondi: da una parte, sono legati
alla cultura della zona di provenienza, tramite i genitori; dall’altra, sono legati ai modelli culturali
del gruppo dei pari, modelli che possono contenere elementi anche molto dissonanti, come quelli
che riguardano gli stili di vita. Soprattutto durante il periodo dell’adolescenza, molto probabilmente
9
Rumbaut (1997b), ha proposto il concetto di generazione 1,5 per indicare la generazione che cominciato il processo di
socializzazione e la scuola primaria nel paese d’origine, ma ha completato l’educazione scolastica all’estero.
41,2%
18,6%
35,0%
37,9%
19,9%
40,6%
3,9% 2,9%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
totali non italiani
ist.e licei
arte
ist.prof.li
ist.tecnici
licei
12
si svilupperanno dei conflitti, causati dall’incerto senso di appartenenza10; tendenzialmente, se per
la società ospite avrà un carattere inclusivo, il conflitto culturale sarà di minore intensità, mentre si
riscontreranno atteggiamenti poco inclusivi, ci sarà una tendenza a riabbracciare i modelli culturali
riguardanti la cultura dei parenti. Un’altra importante tessera del mosaico dell’immigrazione, è
costituita dal ruolo dei Servizi socio sanitari, unitamente al loro accesso, in quanto possono essere
potenti mezzi di promozione dell’integrazione.
Il Servizio Sanitario Nazionale, istituito nel 1978, è un sistema pubblico, avente carattere
universalistico verso tutti gli individui, non solo i cittadini, con tutte le accezioni ambigue che
questo termine può comportare; ha inoltre un carattere universale, in quanto garantisce la salute,
tutelando non solo la cura, ma la prevenzione in ambito lavorativo, ambientale, alimentare: da qui la
prospettiva universalistica. Dato il carattere universale del SSN, anche i migranti figurano tra gli
aventi diritto: ciò è ribadito dall’articolo 34 e in parte dall’articolo 35 del Testo Unico
sull’immigrazione, che equiparano i cittadini stranieri regolari ai cittadini italiani nell’accesso alle
cure e che garantiscono cure minime agli stranieri non regolari.
Tuttavia, sono state rilevate barriere di diversi tipi: innanzitutto riguardanti l’accesso e riguardanti la
fruizione; nel particolare:
le possibili barriere nell’accesso ai servizi, sono:
Le barriere giuridico legali;
Le barriere economiche;
Le barriere burocratico amministrative
Le barriere organizzative
le possibili barriere nella fruibilità sono:
Le barriere linguistiche;
Le barriere comunicative;
Le barriere interpretative
Oltre alle barriere sopraccitate, potrebbero essere presenti nodi critici nella compliance e disparità
nel trattamento, ma su queste tematiche sono stati compiuti ancora pochi studi, ma anche il SSN sta
lentamente e faticosamente riconoscendo le proprie lacune e tentando in qualche modo di colmarle,
pur con evidenti differenze a livello territoriale, in quanto ogni azienda ospedaliera, ogni presidio
ospedaliero e ogni ASL, adotterà una propria prassi di attuazione delle leggi sull’immigrazione; la
minore o maggiore accessibilità o fruibilità dei servizi dipenderà dai dirigente locali. Non si hanno
10
Un film che esprime emblematicamente questo tipo di conflitto, è “sognando Beckham” di Gurinder Chada, Gran
Bretagna, 2002, studi in questo senso sono condotti a Torino da R.Ricucci e C.Capello, dell’università degli studi di
Torino.
13
dati certi in merito all’accesso ai Sevizi Sanitari da parte dei migranti; gli ultimi dati nazionali in
merito sono costituiti dalle SDO relative ai ricoveri dei pazienti stranieri nel 2004.
I Servizi Sociali hanno una mission diversa da quella del Servizi Sanitario, ma molto contigua ad
esso: la promozione del benessere e la riduzione/eliminazione delle cause di disagio; per accedervi è
però necessario essere in possesso del Permesso di Soggiorno, o titolo equipollente. Il ricorso ai
Servizi Sociali da parte dei migranti può essere condizionato negativamente da una serie di nodi
critici, soprattutto per quanto riguarda l’accessibilità ai Servizi stessi, e l’adeguatezza della presa in
carico messa in atto dagli operatori sociali verso un’utenza multiculturale.
A livello formale, non esistono norme specifiche per i pazienti migranti, ma nei codici deontologici
sono presenti diverse affermazioni: per esempio nel codice deontologico degli Assistenti Sociali,
che tuttavia non sono gli unici operatori coinvolti, è sancito:
La professione si fonda sul valore, sulla dignità e sulla unicità di tutte le persone, sul rispetto dei
loro diritti universalmente riconosciuti e sull'affermazione delle qualità originarie delle persone:
libertà, uguaglianza, socialità, solidarietà, partecipazione.
La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle
diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l'autonomia, la
soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nell'uso delle risorse proprie e
della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni
iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione.11
Questi enunciati si dovrebbero tradurre in politiche ed azioni, e in diversi settori dei Servizi Sociali,
si stanno fronteggiando le problematiche relative al fornire servizi alla persona adeguati e di qualità
per i migranti, promuovendo nel contempo l’integrazione e la convivenza tra diverse comunità. La
qualità e la quantità di questi interventi varieranno però da zona a zona, anche in merito alle diverse
risorse e ai diversi bisogni dell’utenza.
La partecipazione alla vita pubblica è regolata dall’articolo 9 comma 12c del Testo Unico
sull’immigrazione; esso afferma che:
“oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, il
titolare del permesso di soggiorno o soggiornante di lungo periodo può:
(…)Partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente
normativa”.
11
Articoli 4 e 5 del Codice Deontologico dell’Ordine Assistenti Sociali
14
Da una parte il diritto alla partecipazione alla vita pubblica è garantito in modo formale, ma, dato
che la legge italiana sulla cittadinanza permette il voto locale e nazionale solo ai cittadini italiani (e
ai cittadini europei in caso di amministrative europee12), di fatto gli stranieri non votano. Tentativi
di estensione di voto sono stati portati avanti a livello locale, in città come Genova13, e a livello
nazionale con la proposta di riforma sull’immigrazione, la Amato Ferrero14 del 2007, che avrebbe
portato a 5 anni gli anni necessari per richiedere la cittadinanza italiana; tuttavia entrambi i tentativi
non sono andati a buon fine. In Italia, per votare, bisogna essere cittadini; per diventare cittadini
bisogna nascere da un cittadino, o sposare un cittadino, oppure risiedere da almeno 10 anni
ininterrotti in Italia; ecco una tabella riassuntiva in merito:
Grafico 3: concessioni di cittadinanza nel tempo.
0
5.000
10.000
15.000
20.000
25.000
30.000
35.000
40.000
45.000
19
91
19
93
19
95
19
97
19
99
20
01
20
03
20
05
20
07
Il numero delle concessioni di cittadinanza è, come si nota, in costante aumento; tuttavia questo
succede anche perché i potenziali aventi diritto, con il tempo aumentano; vi è piuttosto una forte
12
Per le elezioni europee dell’anno 2009, i rumeni in Italia possono votare, in quanto cittadini comunitari; sono circa
700.000 persone, ma sulla loro affluenza al voto si hanno seri dubbi; di facto, nessuna forza politica li ha presi in
considerazione in quanto tali.
13
A Genova, con la delibera 105/2004, venne esteso il diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni comunali e
circoscrizionali ai cittadini extra UE; questa delibera venne poi bloccata dal Consiglio Dei Ministri.
14
Il disegno di legge Amato Ferrero del 2007, prevedeva, tra le altre cose, l’elettorato per i cittadini extra Ue residenti
in Italia da almeno 5 anni; tuttavia con la caduta del Governo Prodi, il ddl fu abbandonato.
anni Numero concessioni
1991 4.158
1992 4.204
1993 5.954
1994 5.840
1995 7.330
1996 7.131
1997 9.589
1998 9.021
1999 11.328
2000 9.595
2001 10.401
2002 10.685
2003 13.406
2004 11.945
2005 19.266
2006 35.766
2007 38.466