- 5 -
INTRODUZIONE
La storia economica del nostro paese nell‟ultimo cinquantennio dello scorso secolo è
stata oggetto di molti studi da parte di storici, economisti, sociologi, politologi. Lo
scopo di questa ricerca è quello di sottolineare l‟influenza che hanno avuto le varie
scelte di politica economica assunte nei vari periodi di transizione storica italiana dalla
fine del secondo dopoguerra agli anni novanta.
Malgrado l‟evidente impossibilità di analizzare tutte le eventuali problematiche sociali,
economiche e politiche vi è una precisa idea unificante: che l‟analisi economica di
questo periodo storico rappresenti un elemento fondamentale anche per prendere future
decisioni politiche. Dalla storia economica politica e sociale si può imparare molto per
progredire positivamente senza continuare a fare gli stessi errori del passato che hanno
condotto a volte verso crisi da cui difficilmente si è usciti.
Nel primo capitolo si analizzerà la situazione economica italiana alla fine del secondo
conflitto mondiale e nel dopoguerra, cogliendone gli aspetti positivi e negativi anche
attraverso un confronto con il contesto internazionale; nel secondo capitolo si
prenderanno in considerazione gli anni cinquanta e sessanta, il periodo di maggiore
crescita economica nella storia del nostro paese; nel terzo capitolo si affronterà il
fenomeno dell‟emigrazione sia all‟interno del nostro paese che verso l‟esterno, in
quanto fattore di crescita economica e sociale; il quarto capitolo è dedicato al sistema
agrario italiano, settore molto importante per la nostra economia, innestato da
importanti riforme e mutamenti nel corso del periodo considerato; il quinto capitolo
propone un‟analisi della situazione italiana negli anni settanta, periodo di grandi
cambiamenti economici a livello mondiale; il sesto e ultimo capitolo, dopo una breve
introduzione dedicata al quadro internazionale e alla globalizzazione, tratterà dei
problemi economico sociali dell‟ultimo ventennio dello scorso secolo.
La conclusione cerca di riassumere gli aspetti positivi e negativi della situazione attuale,
fornendo alcuni spunti di riflessione.
- 6 -
CAPITOLO PRIMO
Ricostruzione e sviluppo italiano dopo la Seconda Guerra Mondiale
1.1 Situazione italiana e politiche economiche adottate nell’immediato
dopoguerra
Per comprendere la situazione italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale sarà utile
prendere in considerazione i principali avvenimenti che coinvolsero lo stato italiano alla
fine della guerra.
In Italia un colpo di stato venne compiuto il 25 Luglio del 1943. Esso vide uniti: la
monarchia, i settori antitedeschi del Partito nazionale fascista e gli esponenti più
consapevoli della borghesia industriale (che di fronte alla guerra ormai persa volevano
rapidamente riallacciare i rapporti con le potenze e i grandi gruppi finanziari
anglosassoni). L‟obiettivo raggiunto con il colpo di stato fu la definitiva destituzione di
Benito Mussolini e il cambiamento delle alleanze militari: dopo l‟8 settembre 1943
l‟Italia si schierò con le grandi potenze inglese e nordamericana e con i loro alleati. La
partecipazione delle forze partigiane e delle forze armate regolari al fianco dei vincitori
diede all‟Italia uno statuto particolare nel contesto della ricostruzione del secondo
dopoguerra
1
. La Resistenza consentì alla classe politica emersa dalle prime elezioni
democratiche del dopoguerra di trattare con maggiore dignità e autonomia dinanzi alle
potenze inglese e nordamericana.
La politica economica italiana ebbe, infatti, grandi margini di autonomia e questo è utile
per comprendere il significato e la forma assunti dalla ricostruzione
2
. Gli Stati Uniti
ovviamente premevano sulla classe politica democratica e sulla burocrazia economica
italiana perché utilizzassero gli aiuti del piano Marshall
3
nel quadro di una politica
keynesiana che, mentre si poneva l‟obiettivo di aprirsi all‟esterno con le esportazioni,
avesse nel contempo lo scopo dell‟ampliamento del mercato interno. I primi governi
italiani non seguirono però questa strada
4
. Appena furono in grado di porre in atto una
politica economica, adottarono una politica deflattiva, cioè fondata sul restringimento
del credito all‟industria, sui bassi salari e sulla liberalizzazione delle pratiche finanziarie
1
A. Graziani (a cura di), L'economia italiana dal 1945 a oggi, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 15 ss.
2
Cfr. S.J.Woolf (a cura di), Italia, 1943-1950. La ricostruzione, Bari, Laterza, 1974, pp. 285-286.
3
Si veda a tal proposito E. Aga Rossi (a cura di), Il Piano Marshall e l'Europa, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1983.
4
G. Sapelli, Storia economica dell’Italia contemporanea, Milano, Mondadori, 1997, pp. 2 ss.
- 7 -
degli esportatori, che consentirono forti guadagni a tutti coloro che investivano sui
mercati esteri, anziché verso quelli nazionali, interni.
Questa politica si affermò pienamente dopo il 1947, quando, similmente a quanto
accadeva in altri paesi europei, le sinistre furono allontanate dal governo e si
affermarono coalizioni politiche di centro con la maggioranza della Democrazia
Cristiana. Si può certamente dire che la classe politica italiana scambiò con gli Stati
Uniti il saldo controllo che essa deteneva sul paese in funzione anticomunista con una
sorta di libertà e indipendenza nella politica economica.
Lo scambio che funzionò, perché consentì di conseguire entrambi gli obiettivi: la
crescita dell‟economia e il contenimento dei comunisti
5
.
1.2 Principali fattori positivi e negativi della ricostruzione economica italiana
E‟ importante analizzare anche i fattori che contribuirono positivamente o
negativamente, allo straordinario processo di ricostruzione economica italiana.
In primo luogo il potenziale industriale italiano non fu gravemente danneggiato dalla
guerra
6
. Quest‟ultima fu soprattutto combattuta al Sud e nel Centro del paese, in un
territorio dove non si trovava il nucleo fondamentale del patrimonio industriale, situato
in prevalenza al Nord, nel cosiddetto “triangolo industriale” tra Torino, Milano e
Genova, con ampliamenti in Emilia Romagna e in Veneto. Il cuore del patrimonio
siderurgico, cantieristico, idroelettrico, meccanico pesante e leggero, tessile, rimase
pressoché intatto e questo permise di rimettere in moto assai velocemente le fabbriche,
grandi, medie e piccole. In secondo luogo non bisogna dimenticare che gli anni che
vanno dal 1945 al 1947 furono anni di grande collaborazione nelle fabbriche. I partiti di
sinistra e il sindacato unico collaborarono con il governo e con gli industriali per
mantenere basse le richieste salariali, diminuire le tensioni sociali e la conflittualità,
sviluppando così la produzione. Questo processo consentì un passaggio dall‟economia
di guerra all‟economia di pace tra i più rapidi d‟ Europa
7
. Le due condizioni prima citate
furono in grado di garantire il raggiungimento di buoni livelli di utilizzazione delle
capacità produttive degli impianti grazie anche alle possibilità che si presentarono in
5
Woolf (a cura di), Italia 1943-1950, cit., pp. 283-318.
6
P. Saraceno, Ricostruzione e pianificazione (1943-48), a cura di e con introduzione di P. Barocci,
Bari, Laterza, 1969, pp. 258 ss.
7
Ivi, pp. 259 ss.
- 8 -
Europa: la Germania era distrutta, come gran parte della Francia, di tutto c‟era bisogno e
chi sapeva mettere in moto prima degli altri la “macchina produttiva” poteva acquisire
enormi vantaggi economici. L‟industria e l‟economia italiana furono in grado di far ciò:
sfruttarono dapprima il vantaggio che avevano sulla ricostruzione economica degli altri
stati europei; e poi furono in grado di inserirsi con grande successo anche nel
commercio internazionale
8
.
Un quarto fattore fondamentale dello sviluppo italiano fu la soluzione data ai problemi
dell‟agricoltura, sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista del suo inserimento
in meccanismi più efficienti e meno disastrosi di quelli che avevano contraddistinto il
periodo fascista.
Dopo la fine della guerra, nel Mezzogiorno, i contadini occuparono le terre dei
latifondisti con grandi manifestazioni popolari che finirono spesso in scontri violenti
con la polizia
9
. La politica scelta dai governi dell‟immediato dopoguerra non fu tuttavia
prevalentemente repressiva, ma, all‟opposto, riformatrice: alla rivolta si rispose con la
riforma agraria, che suddivise il latifondo del Sud e di alcune aree padane
10
. Gli esiti
furono molteplici ma quello sicuramente più rilevante fu il sorgere e la diffusione di una
rete di aziende contadine e capitalistiche che risollevarono le sorti dell‟agricoltura e ne
favorirono la specializzazione ortofrutticola.
Anche nel Centro Italia avvenne un fenomeno interessante e ricco di conseguenze per il
futuro: entrarono in movimento i mezzadri, che, con grandi lotte, rivendicarono
l‟aumento della propria quota nella suddivisione dei raccolti e dei risultati delle aziende.
La conseguenza prevalente di tutto ciò fu economica e fu positiva. La riforma
economica fu favorevole ai mezzadri, i quali si trovarono così in condizione di
accumulare quote di prodotto più ingenti di quanto non fosse possibile sotto la dittatura
fascista. Questo consentì a molti esponenti delle famiglie mezzadrili di porsi al
comando del processo di accumulazione e di imprenditorialità che diede origine allo
8
E‟ quanto sottolinea A.O. Hirschman , Potenza nazionale e commercio estero: gli anni trenta, l'Italia e
la ricostruzione, a cura di P.F. Asso e M. De Cecco, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 259-279.
9
Cfr. G. Fabiani, L’agricoltura italiana tra sviluppo e crisi (1945-1985), Bologna, Il Mulino, 1986, pp.
110 ss..
10
Graziani, L’economia italiana…, cit., pp. 48-49.
- 9 -
straordinario tessuto di piccole e medie imprese che furono una delle caratteristiche
dell‟economia italiana di cui si parlerà in seguito
11
.
Un quinto fattore fondamentale cha caratterizzò la ricostruzione economica italiana fu la
soluzione in forma innovativa del problema dei vincoli derivanti dalla bilancia dei
pagamenti per un paese povero di fonti di energia (materie prime) che doveva ora
affrontare una rapida ricostruzione economica. Il problema era enorme perché le riserve
idroelettriche erano insufficienti a fornire energia alle grandi industrie e alla miriade di
piccole e medie imprese che andavano via via nascendo, soprattutto nel Nord del paese.
La soluzione fu trovata facendo ricorso alle dotazioni di gas metano della Valle Padana
e alla decisione di rifornirsi di petrolio autonomamente sui mercati mondiali. Nacque
così la prima impresa pubblica del gas metano e del petrolio in Italia: l‟Eni
12
. Essa
trasformava completamente le vecchie imprese autarchiche fasciste e dava vita a un
complesso formidabile di imprese ancora oggi produttrici di reddito e di benessere per
la nazione. La fondazione dell‟Eni fu fondamentale: essa era un tipo di impresa pubblica
molto diverso da quella sorta precedentemente, che si occupava prevalentemente dei
fallimenti disastrosi dell‟industria privata (a partire dalla grande crisi del 1929), come
fece l‟Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale)
13
. L‟Iri, sorto nel 1933, fu sempre un
gruppo instabile tra il declino e il salvataggio, ben diverso dall‟Eni, che fu invece uno
strumento decisivo della ricostruzione economica italiana. L‟obiettivo principale di
questo strumento era quello di garantire energia a basso prezzo per le imprese grandi e
soprattutto piccole e medie che stavano sorgendo e risorgendo nel Nord e nel Centro-
Nord, imprese che avrebbero assicurato il miracolo italiano prima e la crescita della
cosiddetta “terza Italia” poi.
Il mercato energetico internazionale, a quel tempo, era strettamente controllato dalle
grandi compagnie (le “sette sorelle”) e si avviava a cambiare radicalmente le proprie
fonti di approvvigionamento: nel 1946 il 77% dell‟approvvigionamento europeo
proveniva dall‟emisfero occidentale; nel 1961, invece, il 90% era di provenienza medio-
11
Per un concetto generale si veda G. Becattini e G. Bianchi, “I distretti industriali nel dibattito
sull'economia italiana”, in G. Becattini (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale,
Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 169-174.
12
V. Castronovo, “Economia e classi sociali”, in V. Castronovo (a cura di), L’ Italia contemporanea
1945-1975, Torino, Einaudi, 1976, pp. 26-27.
13
Ibidem.
- 10 -
orientale
14
. Questa trasformazione impose l‟assunzione di misure di sicurezza, di
protezione, di continuità di un rifornimento energetico più problematico di quanto non
fosse nel passato: ora doveva unificare due mondi culturalmente opposti e per certi versi
ostili, come dimostreranno le vicende successive. Le “sette sorelle” miravano alla
creazione di gigantesche unità operative, ottenendo nuove concessioni e nuove aree di
mercato: il controllo oligopolistico poteva affermarsi grazie all‟accumulo di ingenti
quote di potere, di condizionamento politico e istituzionale. Secondo gli obiettivi dei
membri dell‟Agip e dei “liberisti all‟anglosassone”, l‟esclusiva poteva essere, invece, un
primo passo per permettere alla compagnia di bandiera energetica italiana di ottenere un
rifornimento a prezzi e a quantità non controllate oligopolisticamente. Tale fine era
raggiungibile solo se cambiava il mercato mondiale: esso doveva trasformarsi in un
sistema tripolare costituito dalle compagnie multinazionali, dai paesi consumatori e dai
paesi produttori. Si trattava di una strategia complessa e diversificata: a livello nazionale
l‟esclusiva garantiva l‟industrializzazione a basso costo energetico per il sistema
industriale e civile; a livello internazionale si inseriva nella lotta competitiva contro lo
strapotere monopolistico del cartello d‟imprese allora dominante.
La soluzione data al problema del petrolio chiarisce decisamente le implicazioni
internazionali e conflittuali della ricostruzione italiana, evidenziando sia gli intrecci
esistenti tra economia e politica, sia le divisioni che si produssero nel fronte dei grandi
gruppi industriali.
Un sesto fattore fondamentale nella ricostruzione fu il mancato rispetto delle indicazioni
deflazionistiche e rigidamente liberiste date inizialmente a livello governativo allorché
si dettarono le linee guida della politica economica
15
. Nel concreto della politica
governativa, infatti, la cultura e la pratica liberista furono sostituite via via da una
pratica di sostegno all‟industria molto consistente e ricca di interventi diretti a
concedere il credito a condizioni agevolate, a favorire le esportazioni, a consentire
pratiche di controllo dei mercati fortemente collusive che garantirono uno sviluppo delle
imprese più forti da un lato, mentre consentivano a quelle più deboli e più giovani di
accedere alle risorse necessarie per finanziare la crescita e soddisfare la domanda
16
.
14
Sapelli, Storia economica…, cit., pp. 7 ss.
15
V. Castronovo, L’industria italiana dall’ottocento a oggi, Milano, Mondadori, 1980, pp. 250 ss.
16
Ibidem.
- 11 -
Dietro a un‟apparente politica non interventista proseguì così per molti anni in una
politica di incentivazione all‟impresa privata e pubblica, senza distinzioni.
Un settimo fattore fondamentale, che costituì un grande punto di forza nella e per la
ricostruzione, fu il ruolo svolto dalla classe politica della nascente Italia repubblicana.
Tale classe politica aveva due qualità fondamentali: era giovane come età, non tanto
anagrafica, quanto di pratica parlamentare; era il prodotto della nascita di grandi partiti
di massa che controllavano l‟operato dei loro parlamentari.
Il primo aspetto, esso era fondamentale. La nuova classe politica italiana si era formata
in massima parte nella lotta antifascista e non seguiva le culture tipiche
dell‟antropologia italica e mediterranea. Questo significa che la classe dirigente era
protesa a costruire non le proprie fortune personali secondo le categorie di azione delle
“caste amorali”, bensì il bene comune. Unitamente a questo fattore, il ruolo positivo
svolto dai partiti per un lungo periodo formò un personale politico indirizzato a
garantire la crescita, senza paura di colpire interessi particolari. Basti pensare, a questo
proposito, al fatto che la riammissione dell‟Italia negli organismi internazionali, prima,
e l‟entrata nella Comunità economica europea e nel Mercato comune, poi, furono volute
dalla classe politica, contro la volontà della potente Confederazione degli industriali,
con la sola esclusione delle poche grandi aziende innovative
17
. Anche la nostra
diplomazia economica fu assai efficace: trattò egregiamente i termini del nostro
reinserimento nel contesto dell‟economia mondiale garantendo alle imprese le migliori
condizioni.
Non si trattò però di una ricostruzione economica costituita soltanto da valori positivi.
Ve ne furono anche di assai negativi. Il principale fu che gran parte di questi fattori agì
fortemente al Nord e nel Centro del paese, ma scarsamente al Sud. Qui la mobilitazione
sociale e i partiti di massa erano deboli; qui le forze più sane e intraprendenti della
società civile e della società politica furono costrette a emigrare; qui agì prontamente e
potentemente la mafia, che sbarcò in Sicilia, dove era stata repressa durante il
fascismo
18
.
Un altro elemento negativo fu il fatto che la ricostruzione, proprio perché fu effettuata
anche sorreggendo e proteggendo le imprese senza criteri precisi, aprì un dualismo al
loro interno: quelle esposte alla concorrenza internazionale divennero più efficienti e
17
Ivi, pp. 272 ss.
18
Graziani, L’economia italiana…, cit., pp. 41 ss.