6
Milano a Parigi, scelta anche per enfatizzare il legame con l’Imperatore, che
venendo dalla Francia avrebbe attraversato quest’opera monumentale
entrando in città.
Tale opera quindi non rientra all’interno di un sistema daziario e doganale
(al quale si legavano le altre porte) o almeno non è la sua vocazione
principe e il motivo per cui essa venne iniziata; assunse poi tale funzione
grazie all’aggiunta di due edifici destinati a funzione daziaria.
I due caselli daziari si trovano ai lati della costruzione, staccati da esso;
tuttavia è da sottolineare come questi vennero completati solo durante la
Restaurazione (nel 1838), così come l’Arco, che venne portato a termine ed
inaugurato nello stesso anno.
Infine, ma non ultima per importanza, bisogna considerare la grande
bibliografia relativa all’Arco della Pace
2
, argomento di grande interesse che
è stato oggetto di vari scritti e di cui si è lungamente discusso.
Ci sembrava giusto quindi non includere l’Arco della Pace all’interno di tale
lavoro per i motivi sopracitati, poiché non può essere accumunato alle tre
porte urbane trattate, essendo nato con caratteri più celebrativi che
doganali e terminato oltre il periodo napoleonico, nonché oggetto di
notevole interesse rispetto alle porte di cui ci occuperemo, molto meno
trattate e dibattute; era quindi più interessante concentrarsi su un
argomento poco conosciuto, rivelatosi più complesso del previsto in alcuni
punti, rispetto ad un altro di cui si conoscono molte cose, senza però
trascurarne l’importanza e il dovuto riconoscimento all’interno del periodo
napoleonico milanese.
Per ognuno dei singoli progetti si descrivono i differenti motivi che hanno
portato alla scelta di elevare tale opera, dalla volontà di completare il nuovo
assetto viario della città dopo l’abbattimento dei Bastioni (un aspetto quindi
più legato alla città e alla viabilità) fino al desiderio di erigere un
2
D. Lupi, L’arco della Pace: descrizione della totale architettonica costruzione di questo
monumento, Tip. Brambilla e Ferri, Milano, 1838; G.Reina, Descrizione dell’Arco della Pace in
Milano, Tip. Ronchetti e Ferreri, Milano, 1842
7
monumento in onore di Napoleone, sia per una battaglia che semplicemente
per la sua gloria
3
.
Vengono analizzate le principali proposte redatte dai singoli architetti,
secondo una logica temporale; si cerca inoltre di confrontare fra loro i
progetti, per evidenziarne le differenze a livello di linguaggio utilizzato,
tentando anche di riuscire a ritrovare in queste opere degli elementi
caratteristici di ogni architetto nominato, impiegati anche in altre opere e
che quindi possano essere definiti come degli “elementi chiave”.
Dal confronto emergono anche i probabili motivi che hanno portato alla
scelta di un determinato progetto rispetto ad un altro, motivi politici ma
anche di tipo economico, oltre che legati all’architettura e al messaggio che
l’opera doveva trasmettere.
Per la presentazione della tesi ci è sembrato opportuno iniziare con un
inquadramento generale del periodo napoleonico, parlando anche
dell’esperienza milanese con le sue grandi idee e i suoi grandi progetti
mancati, per poi invece concentrarsi sulle singole porte, vere protagoniste
della tesi.
Il lavoro effettuato ci ha permesso di comprendere alcuni aspetti del periodo
napoleonico che molto spesso non vengono considerati; soprattutto di
discusso di un tema piuttosto particolare come quello delle porte urbane,
sicuramente uno dei temi meno considerati all’interno della stagione
napoleonica milanese.
Infatti durante la ricerca di materiale riguardante l’argomento, si è
evidenziato una carenza a livello di informazioni soprattutto riguardante
Porta Marengo, poiché il percorso che ha portato alla sua elevazione è il più
complesso fra i tre.
In realtà il tema delle porte di Milano è stato trattato in alcuni testi che
risalgono almeno a una ventina di anni fa, per cui non si hanno informazioni
precise a causa della mancanza dei documenti d’archivio, fondamentali
all’interno di questo lavoro; negli ultimi anni non sono stati scritti dei testi
3
L. Patetta, L’idea della magnificenza civile: architettura a Milano, Electa, Milano, 1978,
pp. 23; F. Della Peruta, I cannoni al Sempione: Milano e la Grande Nation, 1796-1814,
Cariplo, Milano, 1986, pp. 114
8
su tale tema, per cui sono state riscontrate delle contraddizioni all’interno
dei diversi testi in bibliografia, poiché alcuni si basavano su informazioni
errate
4
.
La documentazione d’archivio è stata fondamentale all’interno del lavoro, e
permette di risolvere alcune contraddizioni, nate per la mancata visione di
tali documenti, all’epoca ancora inediti o non visionabili; un esempio da
citare sono i disegni di Pietro Pestagalli
5
, citati per la prima volta dalla
Professoressa Giovanna D’Amia
6
; tali documenti sono stati quindi allegati
alla tesi a conferma del lavoro svolto.
Grazie a questi, siamo quindi riusciti a tracciare un percorso lineare per
ognuna delle tre porte trattate, tentando di rispondere ad eventuali punti
oscuri presenti, ed ipotizzando, in alcuni casi, i motivi della scelta dei singoli
progetti.
Si è voluto dunque fare luce su un tema molto spesso non trattato poiché
considerato meno importante, anche se in realtà questi tre casi
rappresentano un’eccezione all’interno dell’architettura napoleonica in
Milano, essendo stati realizzati in tempi piuttosto brevi (considerato il
periodo), diventando quindi dei simboli per la città; probabilmente non
avendo un carattere di magnificenza o di utilizzo quotidiano, presente in
altre opere (vedi Arena Civica) sono sempre state considerate come opere
“minori”.
In realtà non è cosi, questo lavoro serve a dimostrare che l’interesse verso
queste tre porte urbane era elevato tanto che furono molti gli architetti che
presentarono delle proposte, anche per avere un riscontro personale, ma
sicuramente c’èra una volontà di realizzare progetti grandiosi degni della
città di Milano, della quale sarebbero diventati dei simboli anche col passare
del tempo.
4
Le contraddizioni nascono nel momento in cui si afferma che nel 1801 era già ben presente
la Società dei Possidenti, nata invece nel 1807.
5
I disegni sono conservati in AFD, Fondo Pestagalli, cart.1; Fondo Pestagalli in Censimento
delle fonti: gli archivi di architettura in Lombardia, a cura di Graziella Leyla Ciaga, Settore
Musei e Mostre, C.A.S.V.A., Centro di alti studi sulle arti visive, Milano, 2003, pp.132
6
G.D’Amia, Il Fondo Pestagalli, in Il disegno di architettura, 1999, n°20, pp. 54-60
9
Capitolo 1 – IL PERIODO NAPOLEONICO
1.1 Neoclassicismo: luci e ombre
Il Neoclassicismo, movimento che ha caratterizzato varie discipline
artistiche (letteratura, musica, teatro, scultura) lungo tutto il XIX secolo , in
architettura presenta una serie di sfaccettature che si sono espresse in
diversi modi e con diversi nomi, pur rientrando sempre sotto tale corrente;
tale movimento si sviluppò sia in Europa che negli Stati Uniti.
Importante fu il contributo di Johan Joachim Winckelmann, personaggio
chiave per il Neoclassicismo, nato soprattutto grazie al testo “Storia dell’arte
nell’antichità”
7
(1764); inoltre il termine neoclassicismo venne utilizzato per
definire il movimento artistico che caratterizzò il primo Ottocento.
Guardava al mondo antico, specialmente quello greco, quale fonte principale
a cui rivolgersi ed ispirarsi, credendo nella possibilità che alcuni principi del
disegno classico siano tramandabili attraverso le epoche storiche; propose
inoltre un andamento sinusoidale dell’arte, la quale conosce periodi di
auge,di decadenza e periodi di rinascita.
L’architettura neoclassica nasce dall’incapacità di fornire una soluzione
formale che sia migliore rispetto a quella classica; si ha quindi la volontà di
ricercare un vero stile mediante una rivalutazione dell’antichità, non solo
attraverso la mera imitazione, ma soprattutto tentando di comprendere e
“ubbidire”
8
ai principi sui quali si basavano le opere degli antichi.
Il mondo classico perciò, diventa una certezza a cui fare riferimento, una
cultura da cui trarre ispirazione per l’espressione artistica del periodo
contemporaneo; il problema risiedeva però a quale epoca del mondo
classico riferirsi, quale doveva essere la cultura di riferimento fra quella
greca e quella romana, che avevano dominato la scena culturale dell’epoca
classica.
7
J.J. Winckelmann, Storia dell'arte nell'antichità, Boringhieri, Torino, 1961
8
K. Frampton, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna, 1982, pp. 3
10
Le due posizioni dominanti si riflettevano attraverso due grandi personaggi
che dominarono la scena in questi anni: Le Roy in Francia, Piranesi in Italia.
Il primo si poneva nelle posizione già sostenute da Winckelmann,
sostenendo l’architettura greca quale origine del “vero stile”
9
, mentre il
secondo affermava l’importanza degli Etruschi e dei Romani all’interno
dell’architettura
10
; naturalmente entrambi si basavano sul testo di
Vitruvio
11
, fondamentale per conoscere l’architettura classica e per
verificarla attraverso la realtà delle rovine.
L’architettura neoclassica, come detto in precedenza, racchiuse al suo
interno varie correnti stilistiche, che si espressero in maniera diversa, pur
avendo come unico punto di partenza uno sguardo rivolto al passato.
Il mondo antico, greco e romano, era oggetto di studio da parte del
neoclassicismo, che nacque infatti nella seconda metà del XVIII secolo,
mentre negli anni successivi si originarono una serie di tendenze artistiche,
che si ispiravano e riproducevano stili del passato differenti dai precedenti.
Si parlò quindi di neoromanico, neorinascimento, revival e survival gotico,
eclettismo, naturalmente declinati in modi differenti sia per espressione che
per diffusione nei vari paesi europei e negli Stati Uniti; da ricordare che
queste si svilupparono soprattutto durante l’Ottocento, mentre il
neoclassicismo si origina nel secolo precedente, influenzando e
caratterizzando anche quello successivo.
Tuttavia bisogna affermare che l’architettura neoclassica non conobbe una
grande fortuna critica durante il XX secolo, con l’avvento del Movimento
Moderno, poiché la storiografia ufficiale la criticò continuamente e con
notevole ostinazione, creando “una patina di sospetto e antipatia”
12
che si è
protratta negli anni successivi, influenzando i giudizi critici.
Gli storici del movimento moderno definirono in modo estremamente
negativo tutto il neoclassicismo, rifiutandolo completamente e soprattutto
9
K. Frampton, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna, 1982, pp. 3
10
G. Piranesi, Della magnificenza ed architettura de'romani, Il Polifilo, Milano, 1993
11
M. Vitruvio Pollione, De Architectura, Studio Tesi, Pordenone, 1990
12
L. Patetta, L’idea della magnificenza civile: architettura a Milano, Electa,Milano, 1978, pp.
7
11
mettendone in luce solo i punti oscuri, lottando contro ogni forma di
espressione, dall’eclettismo al classicismo accademico, per avvalorare le
loro tesi e le loro convinzioni.
La critica principale rivolta nei confronti dell’architettura neoclassica si basa
essenzialmente sul carattere imitativo espresso da questa, oltre che sullo
stretto legame con il mondo dell’architettura classica, visto come un
rapporto di sudditanza.
Tuttavia il cambiamento del punto di vista rispetto a questa grande corrente
artistica, che ha segnato un secolo intero (in positivo e in negativo) porta ad
una diversa interpretazione dei risultati raggiunti, con un cambiamento
anche a livello della critica e della storiografia.
I pregiudizi rispetto all’architettura neoclassica vengono a mancare, grazie
ad un lavoro rigoroso e attento da parte degli studiosi (nel secondo
dopoguerra), evidenziando come i punti considerati oscuri risultino in realtà
i punti chiave e di forza di questa corrente artistica; non era solo una
cultura imitativa, obbediente a “regole compositive precostituite”
13
poiché
instaura un vero rapporto con l’antichità, basandosi anche su concetti
scientifici fino ad allora sconosciuti.
Infatti la scelta di avere come modelli di riferimento diverse epoche storiche
(Egitto, Roma, Grecia) e quindi avere un atteggiamento di tipo “eclettico”
14
testimonia un forte rapporto con la storia, derivante però da uno studio
critico, non solo da una volontà di imitazione per creare una cultura adatta
al periodo storico.
13
L. Patetta, L’idea della magnificenza civile: architettura a Milano, Electa,Milano, 1978, pp.
7
14
L. Patetta, L’idea della magnificenza civile: architettura a Milano, Electa,Milano, 1978, pp.
7
12
1.2 Milano capitale: i grandi progetti
Con l’ingresso in Milano delle truppe napoleoniche (5 maggio 1796) e con
la fondazione della Repubblica Cisalpina si aprì una stagione, breve ma
intensa, di presupposti e ipotesi per la trasformazione edilizia e urbanistica
della città.
Vennero proposti grandiosi progetti, che avevano l’intenzione di abbellire
Milano per renderla una città al pari delle grandi capitali europee; la
maggior parte di essi rimasero però esclusivamente sulla carta, e non
vennero realizzati.
I francesi, sin da subito, lasciarono per la gestione pubblica una relativa
autonomia alla municipalità, intesa come stretta collaborazione fra tecnici e
politici; questo clima favorì l’opera degli architetti, che si cimentarono in
diverse esperienze, da quelle più effimere degli apparati provvisori e
celebrativi, al progetto architettonico, ai programmi urbanistici volti a
trasformare la città
15
.
Gli architetti, favoriti da tale situazione, pertanto consideravano i loro
progetti come degli strumenti interlocutori che permettessero la nascita di
un dibattito pubblico sulla città, tentando di dare origine ad una nuova
politica urbanistica.
Essi sentirono il bisogno di collaborare alla costruzione di una nuova società,
impegnandosi in progetti a largo respiro; sul tema della grande scala si
stavano cimentando anche gli architetti accorsi a Milano nel triennio
giacobino (1796-1799), soprattutto i non-lombardi, come Giovanni Antonio
Antolini e Giuseppe Pistocchi.
Le loro proposte furono elaborate al di fuori di precise commissioni ufficiali e
quindi prodotte nel tentativo di influire sulle scelte del potere politico; sia
Antolini che Pistocchi prima, sia i successivi architetti che lavorarono a
Milano, elaborarono i loro progetti con il preciso scopo di collaborare alla
15
L. Patetta, L’idea della magnificenza civile: architettura a Milano, Electa,Milano, 1978, pp.
21
13
costruzione di una nuova città e di un nuovo assetto sociale, per essere
ispiratori del potere politico, e non subalterni.
Nel valutare i progetti più importanti redatti a Milano in questi anni, occorre
tenere presente il ruolo di capitale a cui Napoleone destina la città
lombarda, con la volontà che questa divenga vertice di un triangolo insieme
a Parigi e Vienna, oltre che essere la città emergente d’Italia.
Nasce dunque in questo contesto il progetto di Giovanni Antonio Antolini
(Figura 1.2.1) per il Foro Bonaparte, localizzato nell’area del Castello, sulla
direttrice del Sempione, privilegiata poiché conduceva a Parigi.
Bisogna affermare innanzitutto che all’esercito era stata affidata a Milano,
nel giugno 1800, la responsabilità delle demolizioni del Castello, iniziate con
l’abbattimento dei rivellini e delle piattaforme più esterne.
Lo spazio attorno al Castello, considerato emblema del potere, risultava
immenso, adatto alle parate militari ed alle folle, radunate dalle feste
repubblicane.
Veniva a crearsi uno spazio che infrangeva la misura delle piazze
settecentesche, raccolte e misurate, come Piazza Fontana o Piazza
Belgioioso, per imporre un’ottica senza confini, più consueta ai francesi che
già l’ammiravano nei vasti orizzonti della loro capitale, nell’opulenza delle
sistemazioni dei Giardini della Tuileries e di Place de la Concorde
16
.
Il progetto di Antolini deriva da una serie di varie fasi di elaborazioni e
successive messe a punto.
Nelle varie proposte, con la colonna disegna per la vittoria di Marengo come
elemento focalizzante o con il nucleo del Castello rivestito in forme
neoclassiche, la caratteristica principale del progetto antoliniano (1800),
rimaneva la scelta di escludere ogni ipotesi di uso speculativo e di
lottizzazione fondiaria per occupare tutta l’area con una vastissima piazza
circolare che fosse un vero e proprio “foro”, da intitolarsi al Bonaparte,
eretto ad imitazione di quello degli antichi e destinato a pubblici servizi:
culturali (biblioteche, musei, teatro),sportivi (palestre e terme), commerciali
(mercato, borsa), celebrativi (Pantheon).
16
F. Della Peruta, I cannoni al Sempione: Milano e la Grande Nation, 1796-1814, Cariplo,
Milano, 1986, pp. 114