3
INTRODUZIONE
Il diritto di libertà religiosa e il relativo divieto di discriminazione appartengono
alla sfera di diritti umani e delle libertà fondamentali di cui è titolare ogni essere umano.
Si ritiene imprescrittibile il diritto di poter liberamente scegliere, in ogni momento della
propria vita, di aderire a una determinata confessione religiosa, di poterla mutare, di
poterla manifestare e di vivere quotidianamente secondo i precetti confessionali da essa
indicati, senza per questo subire discriminazioni
1
.
La tutela giuridica della libertà religiosa e il correlato apparato antidiscriminatorio
si sono sviluppati e affermati durante il secondo dopoguerra, sia in ambito nazionale che
internazionale, in un regime democratico di piena eguaglianza tra persone. La normativa
antidiscriminatoria prevede un sistema di azioni positive volte alla realizzazione
dell’applicazione del principio di eguaglianza sostanziale, che richiede di trattare in
modo analogo situazioni uguali, e in modo differente situazioni diverse. In questo senso
le misure di diritto diseguale mirano a risolvere situazioni di disparità di trattamento nei
confronti di soggetti svantaggiati, come possono essere i membri delle minoranze
religiose
2
.
I sistemi legislativi nazionali di Italia e Regno Unito, i due paesi su cui si
concentra il nostro studio, riconoscono il ruolo fondamentale dell’appartenenza religiosa
nel processo di costituzione della soggettività e dell’identità personale dell’individuo, e
un’importante funzione di coesione e inclusione sociale alle confessioni religiose
3
.
1
Ferrari S., La tutela della libertà di religione: ordinamento internazionale e normative confessionali,
Padova, CEDAM, 1998, pp. 7-10.
2
D’Avack P. A, Il problema storico-giuridico della libertà religiosa, Roma, M.Bulzoni, 1966, pp. 174-
180.
3
Botta R., Appartenenza confessionale e libertà individuali in “Quaderni di diritto e politica
ecclesiastica”, n. 1, aprile 2000, pp. 144-148.
4
Nel Regno di Sardegna prima e d’Italia dopo, l’eguaglianza formale tra cittadini a
prescindere dall’appartenenza religiosa fu riconosciuta per la prima volta dallo Statuto
Albertino del 1848 e dalla legge Sineo dello stesso anno, che sancisce che la differenza
di culto non può in alcun modo comportare diseguaglianze nel godimento di pieni diritti
civili e politici, definendo così la separazione tra cittadinanza e appartenenza
confessionale
4
. Con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana nel
1948 è stata garantita all’art. 3 l’eguaglianza tra cittadini, senza distinzioni, tra le altre,
di religione, mentre l’art. 8 garantisce l’eguale libertà delle confessioni religiose di
fronte alla legge (non già la loro eguaglianza), e prevede che i loro rapporti siano
regolati per legge su base di intese con lo Stato
5
.
Nel Regno Unito, il cui sistema di rapporti Stato-Chiesa è di tipo unionista, e in
cui non vi è una costituzione scritta, il diritto di libertà religiosa si ritiene essere un
principio assodato nell’ambito della common law. Gli atti normativi nazionali volti alla
sua tutela sono relativamente recenti; lo Human Rights Act del 1998, che recepisce la
Ceuropea dei diritti dell’uomo, ivi incluso l’art. 9, che riconosce la libertà di pensiero,
di coscienza e di religione, e l’art. 14 che vieta le discriminazioni fondate, inter alia,
sull’appartenenza religiosa
6
. I successivi Equality Act, rispettivamente del 2006 e del
2010, integrano la legislazione antidiscriminatoria, introducendo degli obblighi a carico
delle autorità pubbliche e a soggetti privati, sia di tipo negativo sia positivo, esplicabili
attraverso l’adozione di apposite positive actions volte a disporre la parità di trattamento
tra persone aderenti a diverse confessioni religiose.
Anche la legislazione internazionale sancisce il diritto di libertà religiosa; la
Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948, principale strumento di tutela
dei fondamentali diritti umani, sancisce il principio di eguaglianza tra uomini e,
4
Ruffini F., Relazioni tra Stato e Chiesa, Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 163-166.
5
Cardia C., Principi di diritto ecclesiastico,Torino, Giappichelli, 2010, pp. 174-175.
6
Coglievina S., L’“Equality Act 2006” e il divieto di discriminazione religiosa in “Quaderni di diritto e
politica ecclesiastica”, n. 2, agosto 2006, pp. 425-435.
5
all’articolo 18, il diritto alla libertà di pensiero coscienza e religione. I successivi Patti
sui diritti dell’Uomo del 1966 ribadiscono i pari diritti di eguaglianza e di libertà tra
persone, superando la natura programmatica della Dichiarazione e dando maggior
efficacia giuridica ai divieti di discriminazione religiosa. Sempre in seno all’Onu è stata
elaborata la Dichiarazione dell’Assemblea Generale concernente l’eliminazione di tutte
le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sulle opinioni
individuali del 1981, che confermare gli obblighi di non discriminazione in capo agli
Stati membri.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali del 1950 ha svolto un importante ruolo nella promozione dei diritti umani
in Europa; agli artt. 9 e 14 sancisce il diritto di libertà di religione e il relativo divieto di
discriminazione, includendo eventuali limiti posti alla libertà di manifestazione del
culto, che non appartiene alla sfera dei diritti assoluti.
A livello europea la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000
rappresenta uno strumento complementare alla Carta, e riconosce la libertà di religione
e il divieto di discriminazioni fondate sull’appartenenza confessionale. La Carta, in
seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, non ha più solo un valore
dichiaratorio, ma ha la stessa forza giuridica dei trattati europei
7
.
L’appartenenza religiosa non si limita alla mera libertà di pensiero e coscienza,
ma comporta per il fedele l’obbligo di osservanza di determinati precetti confessionali
con carattere di obbligatorietà, necessari per farlo sentire un membro a pieno titolo della
comunità confessionale di appartenenza e parte del messaggio salvifico; egli è chiamato
dunque a conformare la propria vita quotidiana a tali precetti
8
. Il lavoratore credente
7
Pasquali Cerioli J., La libertà religiosa nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, gennaio 2011,
http://statoechiese.it, p. 10.
8
Santucci R., Diversità culturali e di genere tra tutele e valorizzazioni, Milano, Franco Angeli, 2009,
pp. 34-35.
6
deve poter realizzare la propria identità religiosa anche nel contesto lavorativo, poiché
questo rappresenta uno dei principali momenti di realizzazione della propria personalità.
In questo senso il diritto di libertà religiosa e il correlato divieto di discriminazione si
inseriscono anche nei rapporti intersoggettivi tra privati, come i rapporti contrattuali di
lavoro; appartenendo alla sfera dei diritti di natura jus cogens, i due diritti non possono
essere derogati dalla negoziazione privata
9
.
Il lavoratore aderente a una confessione può rivendicare il diritto di usufruire di
specifici giorni di riposo lavorativo determinati dalla propria religione
10
.
Dato l’indebolimento del ruolo dello Stato nella regolamentazione del diritto del
lavoro ne è conseguita la proliferazione di normative internazionali volte alla tutela dei
diritti dei lavoratori svantaggiati, nell’ambito di un’economia globalizzata all’interno di
società sempre più multiculturali
11
. Il diritto internazionale del lavoro deve porre al
centro l’uomo e la sua dignità, prima delle esigenze di carattere economico, che devono
essergli subordinate.
Le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del lavoro sono volte a
codificare gli international labour standars, atti ad armonizzare le normative nazionali
a tutela dei diritti sociali dei lavoratori, dando rilevanza alla tutela dei membri posti in
una situazione di svantaggio nel contesto professionale
12
. La Convenzione n. 111 del
1958 vieta atti di discriminazione fondati sulla religione del lavoratore, sia in fase
preassuntiva sia durante lo svolgimento dell’attività. Le Convenzioni n. 14 del 1921 e n.
106 del 1957 sull’organizzazione dell’orario di lavoro, prevedono che le legislazioni
nazionali, nel fissare un giorno di riposo settimanale, devono prendere in considerazione
le esigenze delle minoranze religiose.
9
Borghi V., Vulnerabilità, inclusione sociale e lavoro, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 40-41.
10
Ivi, p. 335.
11
Ferraro G., Sviluppo e occupazione nel mercato globale, Milano, Giuffrè, 2004, p. 51.
12
Di Turi C., Globalizzazione dell'economia e diritti umani fondamentali in materia di lavoro: il ruolo
dell'OIL e dell'OMC, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 37-40.
7
I principi internazionali di libertà religiosa, e i relativi divieti di discriminazione
nel contesto lavorativo sono stati recepiti dagli ordinamenti interni di Italia e Regno
Unito. Nello specifico in Italia la Direttiva è stata recepita dal d.lgs. 216 del 9 luglio
2003, che risulta essere la trasposizione letterale della Direttiva stessa, mentre nel
Regno Unito attraverso l’adozione dell’Employment Equality (Religion or Belief) Act
del 2003
13
.
L’Unione Europea tutela il diritto di libertà religiosa in ambito lavorativo
attraverso alcune direttive. La Direttiva 278/2000/CE del Consiglio prescrive il divieto
di discriminazione religiosa nel rapporto di lavoro, sia di tipo diretto che diretto
14
. La
Direttiva 93/104/CE del 1993 concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario
di lavoro, modificata dalla successiva Direttiva 2000/34/CE del 2000, lascia la piena
discrezionalità agli Stati nel determinare il giorno di riposo lavorativo settimanale.
Queste lasciano impregiudicate le misure nazionali volte alla limitazione dei diritti di
libertà, necessarie alla sicurezza e all’ordine pubblico, alla salute e ai diritti di libertà
altrui
15
. Tra questi vi è il diritto alla libera iniziativa economica del datore di lavoro; per
questo la possibilità del prestatore di astenersi dall’attività lavorativa per obbedire ai
precetti previsti dal culto resta un’opportunità concessa solamente tramite legge
ordinaria dello Stato o tramite contrattazione collettiva in seno all’azienda, poiché non è
prevista da nessuna norma sovranazionale
16
.
Nel primo capitolo si affrontano gli argomenti relativi all’enunciazione del diritto
di libertà religiosa come principio umano fondamentale universalmente riconosciuto,
avvenuto in seguito all’affermazione della separazione tra cittadinanza e appartenenza
13
Colgievina S., Festività religiose e riposi settimanali nelle società multiculturali. La normativa italiana
alla prova del diritto antidiscriminatorio europeo, in “Rivista italiana del diritto del lavoro”, vol.27, n.3,
2008 , p. 360.
14
Corti M., Diritto dell’Unione Europea e status delle confessioni religiose. Profili lavoristici, febbraio
2011, http://www.olir.it, p. 6.
15
Corti M., Diritto dell’Unione Europea e status delle confessioni religiose. Profili lavoristici, p. 336.
16
Botta R., Tutela del sentimento religioso ed appartenenza confessionale nella società globale, Torino,
Giappichelli, 2002, p. 149.
8
religiosa conseguita dallo Stato moderno. Il diritto di libertà religiosa è tutelato
dall’organica normativa antidiscriminatoria delle legislazioni nazionali di Italia e Regno
Unito, e disciplinato dalla legislazione internazionale in seno all’ONU, ovvero dalla
Dichiarazione Universale del 1948 e dai due Patti del ’66, oltre che da quella
sovranazionale propria dello spazio europeo; la Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti e libertà fondamentali alla Carta dei diritti di Nizza.
Nel secondo capitolo si esamina la questione inerente alla libertà religiosa e al
relativo divieto di discriminazione in ambito lavorativo; in particolare viene evidenziata
l’importanza della protezione dell’identità culturale e religiosa del lavoratore. Tale
tutela è disciplinata da diverse convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro e da altrettante direttive emanate dall’Unione Europea. Queste, oltre a prevedere
una normativa antidiscriminatoria, disciplinano la protezione della manifestazione del
culto religioso del lavoratore, nello specifico riguardo alla conciliazione tra “il tempo di
lavoro” e il “tempo di riposo e preghiera”. Tale diritto però risulta essere limitato, sia
dalla normativa interna che da quella internazionale.
Nel terzo capitolo si osserva come le normative sovranazionali si inseriscono
peculiarmente negli ordinamenti nazionali di Italia e Regno Unito, e si esaminano tre
casi giurisprudenziali; due relativi all’Italia e uno al Regno Unito, in cui sono applicati i
principi riconosciuti da tutti gli atti interni ed internazionali precedentemente introdotti.
I casi giurisprudenziali mettono in rilievo l’importanza e l’attualità della questione
inerente alla manifestazione del culto religioso in ambito lavorativo, in particolare
sollevano la problematica relativa alla conciliazione tra il diritto all’osservanza della
festività religiosa settimanale e le esigenze economiche legate al mondo del lavoro.
9
CAPITOLO I
APPARTENENZA RELIGIOSA E DIVIETO DI
DISCRIMINAZIONE
1.1. IL CONTESTO STORICO
Il diritto individuale di libertà religiosa rappresenta una delle massime espressioni
della dignità umana e una delle libertà fondamentali assicurate dalle democrazie
contemporanee. Si ritiene fondamento della costituzione dell’identità individuale la
possibilità dell’uomo di aderire a un credo religioso o di non aderirne ad alcuno, nella
garanzia dell’affermazione personale all’interno della società.
Il fattore religioso svolge un ruolo fondamentale sia nella dimensione individuale,
in quanto risponde a un bisogno esistenziale dell’essere umano, sia nella dimensione
collettiva, nell’ambito della quale il soggetto realizza la propria identità sociale. Per
questo motivo le organizzazioni confessionali hanno sempre rappresentato parte
integrante della partecipazione all’organizzazione della vita dell’individuo in società.
Infatti, sia da un punto di vista politico che sociale, i principi dottrinali delle diverse
confessioni religiose hanno dettato nel corso della storia lo sviluppo dell’identità
personale del singolo che, partecipe e attivo all’interno della comunità religiosa di
riferimento, ha costruito una rete relazionale di valori condivisi, conservati e difesi
anche nello svolgimento della vita quotidiana
17
.
17
Loprieno D., La libertà religiosa, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 120-121.
10
Il tema della libertà religiosa e le sfide susseguitesi per la sua conquista hanno
perciò segnato le tappe fondamentali della storia. Dal punto di vista giuridico tali tappe
sono state contrassegnate dalle paci religiose, dagli editti di tolleranza, dalle
Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo e dalle Costituzioni
18
.
Storicamente l’idea di libertà religiosa intesa nella concezione odierna del
termine, ovvero la possibilità dell’individuo di scegliere liberamente a che culto
religioso appartenere e di poterlo manifestare, nasce con l’avvento del Cristianesimo
19
.
Nella civiltà precristiana infatti la questione non sussiste; in un sistema di politeismo
religioso e in assenza di una confessione con aspirazioni esclusivistiche come il
Cristianesimo, il fattore religioso non incide sulla sfera individuale e morale, ma svolge
un ruolo partecipativo essenzialmente nello spazio pubblico, in termini di aggregazione
politica e di elemento di coesione sociale. Nel sistema dei culti pagani dell’epoca antica,
la religione svolge il ruolo di mero strumento finalizzato alla partecipazione
dell’individuo alla vita politica nazionale, e sussiste, tra persone di diverso credo, una
condizione di tolleranza reciproca.
Con l’avvento del Cristianesimo la religione acquista un’aspirazione di tipo
esclusivista, esplicatosi nella pretesa all’universalità dei propri principi dottrinali. Tale
aspirazione fideistica annulla e categorizza come erronea ogni altra credenza religiosa
20
.
Secondo questa visione, le altre confessioni religiose sono considerate avverse e i loro
membri identificati come eretici; è in questo momento storico che nasce l’idea di
intolleranza religiosa
21
. Il Cristianesimo si diffonde gradualmente, ma molto
rapidamente, attraverso mezzi pacifici, da prima subendo gravi limitazioni esplicatasi
nelle persecuzioni a esso dirette, per poi diventare fattore di costruzione di comunità
religiose sempre più consistenti. Queste sono sin dal principio caratterizzate da una forte
18
Ruffini F., La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 19.
19
D’Avack P.A., cit., pp. 9-18.
20
Ruffini F., La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, cit, pp. 80-85.
21
Ivi, p. 85.
11
spiritualità collettiva e una propria specificità culturale, che va a rivestire ogni aspetto
delle relazioni sociali intersoggettive, diventando realtà imponenti e territorialmente
molto estese in tutto il territorio imperiale
22
.
Con l’Editto di Milano del 313 il Cristianesimo è riconosciuto religio licita da
Costantino il Grande. Nel 380 l’Editto di Tassalonica istituisce il Cristianesimo come
religione ufficiale dell’Impero, e nel 392 l’Editto di Costantinopoli interdice i culti
pagani, i cui appartenenti subiscono gravi limitazioni rispetto alla propria capacità
giuridica soggettiva
23
. Una volta conclusa l’epoca delle persecuzioni, gli imperatori si
convertono al Cristianesimo, coscienti del fatto che questo avrebbe potuto rafforzare
l’Impero, non solo culturalmente ma anche politicamente. Difatti l’Impero estende
progressivamente i confini territoriali diffondendo la religione, unificando così
culturalmente l’Europa
24
.
Alla Chiesa cristiana sono attribuite prerogative che un tempo appartenevano ai
culti pagani. Essa si vede riconoscere grandi privilegi all’interno del sistema giuridico e
delle istituzioni politiche imperiali, che si ergono a difensori della fede, instaurando un
sistema cesaropapista in cui il rapporto tra Stato e Chiesa vede quest’ultima subordinata
al potere statale. In tale regime, la Chiesa ufficiale è infatti subordinata allo Stato; le
questioni inerenti al culto sono materia riservata all’amministrazione pubblica, mentre
l’imperatore, il pontifex maximum, è il capo della religione
25
.
Il sistema di intolleranza religiosa nei confronti del paganesimo e delle sette
eretiche diventa quindi intolleranza civile, assunta a principio politico e giuridco
dall’autorità imperiale; ogni forma di dissidenza è considerata reato. Il non-cristiano che
non procede con la conversione alla religione dell’impero, è messo di fronte a due
altrenative, a seconda del territorio in cui risiede: l’espulsione dal territorio o
22
Cardia C., Principi di diritto ecclesiastico, cit., pp. 8-10.
23
D’Avack P.A., cit., pp. 23-26.
24
Cardia C., Principi di diritto ecclesiastico, cit., pp. 16-17.
25
Ruffini F., Relazioni tra Stato e Chiesa, cit., pp. 67-69.
12
l’assoggettamento alla disciplina giuridica della tolleranza, che gli riconosce il diritto di
risiedere, a determinate condizioni, e una limitata capacità giuridica, previo pagamento
di una somma di denaro. Testimonianza dello spirito dei tempi è il Codice Giustinianeo
che contiene molte norme contro eretici, blasfemi, scismatici, pagani e giudei.
Venuta meno l’unità politica dell’Impero Romano, l’unione tra sfera civile e sfera
religiosa non è comunque spezzata. Ciascuna unità territoriale viene costituita secondo
un rapporto peculiare tra Stato e Cristianesimo. Il primo mantiene il suo carattere
confessionista e il secondo assume il carattere di religione nazionale, con aspetti
specifici a seconda della sua posizione territoriale. Il sovrano sottolinea l’importanza
nazionale della religione ai fini dell’unità statale. In Europa quindi si afferma il
giurisdizionalismo, espressione dell’assolutismo regio, secondo il quale la legge è
prerogativa esclusiva della potestà statale e la stessa Chiesa è un’istituzione nazionale
26
.
La Chiesa diviene un officium dello Stato, il quale interviene nell’organizzazione
interna alla stessa, limitandone i privilegi del foro e decidendo su questioni riguardanti
la sua organizzazione interna. Per questo proposito il sovrano si appropria di alcuni iure
circa sacra, diritti in materia ecclesiastica, tra i quali lo ius reformandi, jus protectionis
lo jus cavendi, lo jus inspectionis e lo ius nominandi
27.
.
Nel Cinquecento, con la Riforma viene meno anche l’unità religiosa, la quale darà
origine alle guerre di religione
28
. Nel 1534 anche in Inghilterra si consuma la rottura con
Roma, non per ragioni dottrinali ma politiche. La riforma condurrà alla costituzione di
una Chiesa nazionale, ad opera di Enrico VIII, che ne diviene egli stesso capo
supremo
29
.
Con le Paci di Augusta del 1555 e di Westfalia del 1648 si pone fine alle guerre di
religione, con l’affermazione del principio cuius est regio, eius est religio. La
26
Ivi, pp. 85-87.
27
Ruffini F., Relazioni tra Stato e Chiesa,cit., pp. 90-93.
28
Cardia C., Principi di diritto ecclesiastico, cit., pp. 61-63.
29
Ivi, pp. 64-66.
13
confessione professata dai sudditi deve essere la stessa professata dal sovrano, l’unico
che detiene la facoltà di conversione religiosa.
Tuttavia, data la presenza economicamente rilevante di minoranze religiose e la
pressione della classe borghese, il regime di tolleranza religiosa, inteso come istituto
giuridico, la cui ratio corrisponde a un calcolo di natura meramente utilitaristica, si
consolida sempre di più. Tale sistema è sorretto da un apparato normativo che assicura
garanzie fragili, in quanto legato al potere discrezionale del sovrano, che mantiene la
facoltà di poterlo revocare in qualsiasi momento. Inoltre non è diretta a tutte le
confessioni religiose e non rappresenta affatto una legittimazione del pluralismo
confessionale
30
. Ad esempio, nel 1689 l’Inghilterra sancisce il diritto di libertà di culto,
ma continua a escluderlo per sociniani, ebrei e cattolici, mentre l’Impero Asburgico
ammette la libertà di culto solo per i greci non ortodossi e per gli elvetici
31
.
I cosiddetti dissidenti sono sottoposti a una condizione giuridica altamente
discriminatoria. Oltre a non poter manifestare pubblicamente la propria religione, il cui
esercizio è confinato alla devotio domestica, non godono degli stessi diritti civili e
politici degli appartenenti alla religione di maggioranza
32
. Difatti, se nell’ambito del
diritto pubblico è loro negato ogni accesso a incarichi pubblici e alle scuole, in ambito
privato sussistono gravi limitazioni ai loro diritti di libertà. I membri dei culti tollerati
devono risiedere nei ghetti, è loro impedito di indossare in pubblico abiti distintivi della
loro appartenenza religiosa, è vietata l’unione matrimoniale con individui appartenenti
al culto ufficiale e non godono dei diritti di proprietà. Le limitazioni inoltre si estendono
all’ambito del diritto penale e processuale; la loro testimonianza in processi che hanno
un cristiano come parte non è ammessa, godono di minori tutele nel campo penale e
sono soggetti, a parità di reato, a pene più gravi di quelle prescritte per una persona di
30
Ruffini F., La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, cit., pp. 105-107.
31
Cardia C., Principi di diritto ecclesiastico, cit., p. 72.
32
Ruffini F., La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, cit., pp. 109-110.
14
fede cristiana
33
. Alla vigilia della Rivoluzione francese, che sancirà l’inizio di quel
processo irreversibile di secolarizzazione delle istituzioni pubbliche, la religione è
associata al potere ed è sua fonte di legittimazione.
La Rivoluzione inaugura l’era corrente, sancendo, per la prima volta nel contesto
europeo, due principi che oggi costituiscono fondamentali eredità giuridiche di tutte le
democrazie contemporanee: la separazione tra cittadinanza e appartenenza religiosa, che
sancisce il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge indipendentemente
dall’appartenenza confessionale, e il riconoscimento del diritto di libertà religiosa a
tutti, cittadini e non.
Il diritto alla libertà religiosa viene ora concepito come un diritto naturale
dell’uomo, appartenente alla sfera dei diritti di libertà innati e imprescrittibili, nei quali
vengono ricompresi il diritto di libertà di coscienza, di domicilio, di stampa e di
associazione. Lo Stato moderno si costituisce come associazione di cittadini, essendo la
cittadinanza la base principale di collegamento con l’attività politica statale
34
. Il diritto
canonico perde ogni rilevanza nell’ambito dello spazio giuridico pubblico, mentre il
fattore religioso assume rilevanza prettamente nella sfera privata, in termini di piena
facoltà dell’individuo di credere o non credere a una determinata fede
35
. L’affermazione
di tali principi di fatto muta la posizione giuridica del cittadino, che non potrà più essere
limitata a causa della sua appartenenza a una determinata confessione religiosa
36
. Nel
nuovo clima razionalistico il vecchio confessionalismo dell’ancien régime viene
ricordato come una forma di oppressione dell’individuo, un ostacolo alla realizzazione
dello Stato di diritto. Con la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino,
proclamata in Francia il 27 agosto del 1789, si afferma, all’art. 10, che nessuno può
essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la loro manifestazione non
33
Ruffini F., La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, cit., pp. 95-108.
34
Ivi, p. 217.
35
Cardia C., Principi di diritto ecclesiastico, cit., p. 73.
36
Ibidem.
15
turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge. Ai membri delle minoranze, che in
precedenza erano sottoposte all’istituto di tolleranza giuridica, vengono riconosciuti
pieni diritti civili e politici.
Il processo di secolarizzazione non è però da intendersi come peculiarità propria
del separatismo francese; i principi di eguaglianza e di libertà religiosa si affermano
anche negli altri paesi europei caratterizati da rapporti Stato- Chiesa di diversa natura,
ovvero negli Stati unionisti, in cui esiste una Chiesa di Stato, e negli Stati concordatari.
Difatti, oggi, seppure tali sistemi differiscano a seconda delle peculiarità istituzionali
nazionali, e si distinguano ancora tra modelli di subordinazione, coordinazione e
separazione, vigono nello spazio europeo principi condivisi ritenuti irrinunciabili per la
democrazie. Nonostante la discordanza nei tempi e nelle modalità, c’è infatti un
percorso comune di allontanamento dalla forma confessionista dello Stato, che ha
caratterizzato la storia di tutti i paesi europei. Con la realizzazione dell’effettiva libertà
di coscienza vengono eliminate le disposizioni legislative discriminatorie che andavano
a colpire chi non professava la religione di Stato; l’abrogazione di tali disposizioni
garantisce l’effettiva eguaglianza di tutti cittadini
37
. Questa, la tutela dei diritti
individuali quali l’appartenenza religiosa e il relativo divieto di discriminazione per
questioni a essa relative, e l’incompetenza dello Stato in materia religiosa, sono da
considerarsi caratteristiche appartenenti al patrimonio di tutte le democrazie occidentali
contemporanee
38
. Lo Stato democratico, che ha tra gli obiettivi principali la tutela delle
libertà dei cittadini, tutti uguali davanti alla legge e liberi di accogliere nella dimensione
privata una propria etica o credenza religiosa in piena autonomia, è privo di investitura
divina. L’appartenenza confessionale è una questione privata e nessuno potrà subire
discriminazioni legate a tale fattore.
37
Rémond R., La secolarizzazione: religione e società nell’Europa contemporanea, Roma, Laterza, 2003,
pp. 179-181.
38
Loprieno D., cit., pp. 120-124.