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1. INTRODUZIONE
Durante il corso degli ultimi secoli si è assistito ad una svolta radicale della botanica, in
particolare al modo di determinare e caratterizzare le specie del regno vegetale.
Nel XVIII secolo lo svedese Carl von LinnØ (Linneo, 1707-1778), tenendo conto del numero
degli stami, dei pistilli e della loro organizzazione, sviluppa una suddivisione in classi, ordini,
generi e specie che, adottando la nomenclatura binomiale, permette di identificare ogni
organismo vivente.
Nel corso del XIX secolo, con lo sviluppo della chimica organica, vengono determinate le
strutture chimiche di molti dei composti isolati. Questo sviluppo è proseguito con una velocità
sempre crescente nei decenni seguenti. Dal 1950 l’interesse si è focalizzato sulle reazioni
mediante le quali le piante producono queste molecole biologicamente attive.
Gli organismi viventi producono molti tipi di prodotti naturali in quantità variabili e spesso la
via biosintetica responsabile della produzione di questi composti è differente tra i gruppi
tassonomici. La distribuzione di questi composti e le loro vie biosintetiche corrispondono
meglio delle classificazioni tassonomiche esistenti, basate sul criterio morfologico. I dati
chimici sono stati piø volte utilizzati per sopperire alla difficoltà che talvolta si incontrano
nella classificazione tradizionale delle specie, in alcuni casi questi hanno contraddetto le
ipotesi esistenti o, piø positivamente, hanno fornito informazioni decisive in situazioni in cui i
dati morfologici non erano sufficientemente discriminatori (Maffei, 1999).
Con l’ausilio delle nuove tecniche di biologia molecolare si è in grado di evidenziare la
variabilità a livello di sequenze del DNA, ovvero il polimorfismo genetico. PoichØ il materiale
genetico di un organismo è identico in tutte le cellule dei suoi tessuti e in ogni momento della
sua vita, il DNA può essere ottenuto da qualsiasi parte della pianta (es. radici, legno, foglie o
semi) e l’analisi può essere effettuata in qualsiasi periodo. Le caratteristiche del DNA non
sono influenzate dallo stato della pianta e quindi le analisi basate sulle tecniche di barcoding
generano un sistema robusto di riconoscimento tra le specie.
Lo sviluppo della Polymerase Chain Reaction (PCR), nella metà degli anni ‘80, ha
rappresentato una vera rivoluzione per tutta la biologia. La PCR è una tecnica notevole che
implica la sintesi enzimatica in vitro di milioni di copie (amplificazione) di un segmento
specifico di DNA in presenza dell’enzima DNA polimerasi. I prodotti di amplificazione
permettono di ottenere “fingerprinting” genomici di individui, varietà e popolazioni di specie
anche poco studiate e per le quali non sono ancora disponibili molte informazioni di sequenza.
¨ soprattutto l’analisi biosistematica che sta modificando le interpretazioni filogenetiche
ottenute da dati morfologici. Numerosi sono i casi in cui le sequenze di DNA ribosomiale o
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plastidiale hanno confutato il dato morfologico, ma molto piø numerose sono le conferme fra
dato morfologico e biosistematico nelle analisi filogenetiche.
I dati molecolari, come quelli chimici, possono quindi essere impiegati a pieno supporto delle
analisi tassonomiche basate sui caratteri morfologici. Di seguito saranno brevemente illustrati
i principi della tassonomia chimica e molecolare.
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1.1. CHEMOTASSONOMIA
1.1.1. Profili metabolici di caratterizzazione
La chemotassonomia è un metodo utilizzato per l’identificazione di diverse unità
tassonomiche, quando i classici metodi morfologici non sono sufficienti ed esaustivi. Lo
scopo della chemotassonomia è di fornire evidenze chimiche per il chiarimento dei rapporti
filogenetici, per la definizione dei gruppi tassonomici e dei loro rapporti gerarchici, in sintonia
con i dati, tassonomicamente rilevanti, ottenuti da altre discipline. Essa si basa sulla
caratterizzazione del chemotipo attraverso l’analisi e lo studio del profilo metabolico-chimico;
si dà così valore sistematico alle variazioni dei componenti chimici dei vegetali e di tutte le
relative interrelazioni ed applicazioni (Hadacek, 2002).
La chemotassonomia è stata largamente utilizzata per la classificazione di piante che
presentavano profili aromatici-essenzieri (oli essenziali) differenti, individuabili come
polimorfismi intraspecifici. ¨ risaputo che la composizione chimica di un olio essenziale può
variare in base a diversi fattori. In accordo con quanto esposto da Barra (2009), fattori
endogeni (quali per esempio caratteristiche anatomiche, fisiologiche e biochimiche delle
piante) ed esogeni (ad esempio condizioni pedoclimatiche e ambientali) portano al
differenziamento di ecotipi e/o chemotipi in piante della stessa specie.
Il chemotipo è considerato essere l’espressione fenotipica del genotipo, sebbene in molti casi
lo stesso genotipo dia origine a diversi fenotipi e/o chemotipi; in relazione alle condizioni
ambientali lo stesso genotipo può portare all’espressione di differenti patterns chimici o al
contrario diversi genotipi, sottoposti alle stesse pressioni ambientali, possono sviluppare
fenotipi simili (convergenza evolutiva) (Coyne, 2009). Le specifiche molecole prodotte
(metaboliti secondari) sono determinate da geni attraverso enzimi, entrambi i quali sono
influenzati dal clima, dalle condizioni del suolo, da fattori climatici quali altitudine,
esposizione, variazioni della qualità di luce in termini di lunghezza d’onda, ecc. Non sono
trascurabili infine le variazioni stagionali e i momenti dello sviluppo della pianta (Bowles,
2004; Thompson, 2003).
In particolare per le piante essenziere l’interazione con l’ambiente (abiotico e biotico) fa
variare il profilo quali-quantitaivo delle componenti aromatiche che vanno a costituire l’olio
essenziale (Barra, 2009), creando non pochi problemi sull’inequivocabilità della
determinazione di specie, sottospecie e chemotipi attraverso analisi chemotassonomiche.
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1.1.2. Limiti dei metodi chimici
I metodi chimici utilizzati per l’analisi della composizione degli oli essenziali, allo scopo di
identificare e discriminare specie e chemotipi, possono presentare alcuni svantaggi.
Nell’analisi dei chemotipi ciò che viene indagato è il fenotipo della pianta e non il genotipo:
per questo, data la possibile variabilità naturale nella composizione (plasticità fenotipica delle
piante), diventa difficile discriminare e caratterizzare un’entità tassonomica poichè, in
particolare per le piante aromatiche, i profili essenzieri subiscono variazioni stagionali e/o
dovute all’azione di agenti biotici e abiotici (Gnavi et al., 2010). Inoltre il materiale vegetale,
se non conservato adeguatamente o troppo a lungo, può andare incontro a deterioramento
invalidando l’analisi (Gnavi et al., 2010).
Altro limite delle tecniche chimiche è la variabilità dei risultati sia in base al profilo chimico
studiato (frazione volatile, frazione semivolatile, ecc) sia in base alla tecnica di studio
adottata: metodi estrattivi e di isolamento differenti possono portare all’esaltazione di una
componente a scapito dell’altra. Alla luce di quanto detto diventa fuorviante, se non
impossibile ed inutile, confrontare risultati ottenuti con metodiche differenti.
La diffusa presenza di variabilità chimiche infraspecifiche dimostra come la composizione
dell’olio essenziale non possa essere utilizzata come unico strumento per la caratterizzazione
della particolare specie o ibrido (Lawrence, 2007).
1.2. Sistematica molecolare: tecniche per la caratterizzazione di genotipi
Spesso chemotipi differenti rispecchiano e sono originati da genotipi differenti, per questo
l’applicazione di tecniche di DNA barcoding, integrate da analisi statistiche, risultano essere
utili per discriminare tali differenti genotipi (Gnavi et al., 2010).
Queste tecniche rispetto ai metodi tradizionali presentano i seguenti vantaggi:
* insensibilità alle contaminazioni: il metodo è in grado di identificare la presenza di
contaminanti, come ad esempio materiale proveniente da altre piante,
* applicabilità a qualsiasi tipo di matrice vegetale: foglie, fiori, fusti, semi, frutti, radici,
ecc, anche al di fuori del periodo balsamico
* necessità di ridotte quantità di materiale (quantità minori di 100 mg)
* scarsa influenza del deterioramento del materiale vegetale: vista l’alta stabilità del DNA
genomico, la tecnica è pressochØ insensibile alla degradazione post raccolta del
materiale (contrariamente ai metodi chimici, cfr. 1.1.2)
Recentemente, le relazioni filogenetiche di molte specie di piante superiori (gimnosperme ed
angiosperme) sono state delucidate ed analizzate utilizzando come tecnica d’elezione lo studio
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delle sequenze spaziatrici del gene 5S-rRNA (5S-rRNA gene spacer regions o non-transcribed
spacers, NTS).
La sequenza genica 5S-rRNA è una componente fondamentale dei ribosomi di cellule ed
organuli cellulari fatta eccezione per i mitocondri di alcune specie di organismi (Brown e
Carlson, 1997). Negli eucarioti superiori, le sequenze di 5S-rRNA vengono trascritte da cento
a migliaia di geni codificanti. Tali geni sono separati dalle sequenze codificanti 18S e 26S-
rRNA e organizzati in ripetizioni in tandem con sequenza variabile; l’intera sequenza genica
presenta porzioni codificanti 5S-rRNA e non, definite come sequenze spaziatrici o non-
transcribed spacers (NTS) che possono essere distribuite in una o piø parti del genoma (Park
et al., 2000). L’alto livello di conservazione delle sequenze geniche codificanti 5S-rRNA è
correlata alla precisa e fondamentale funzione dei 5S-rRNA come componenti della subunità
maggiore dei ribosomi di tutti gli eucarioti. Alcune regioni sono maggiormente conservate di
altre; questo è spiegabile con i meccanismi di regolazione della trascrizione (Negi et al.,
2002). L’elevato grado di conservazione delle sequenze codificanti e l’alta variabilità delle
regioni spaziatrici dà origine ad un ottimo metodo per analizzare l’organizzazione,
l’evoluzione e la variabilità multigenica in molte specie di piante (Scoles et al., 1988; Cox et
al., 1992). In base a queste considerazioni le regioni NTS sono state utilizzate in diversi lavori
per valutare la variabilità inter e intraspecifica di molte specie di piante, mappare 5S-rDNA
arrays, valutare l’evoluzione del genoma e infine per ricostruzioni filogenetiche (Udovicic et
al.,1995; Baker et al., 2000; Negi et al., 2002; Gnavi et al., 2010).
1.3. Fingerprinting molecolare usando sequenze NTS: PCR-RFLP
Fingerprinting, ovvero un’impronta digitale caratteristica della particolare unità tassonomica
può essere ottenuta mediante l’amplificazione di particolari regioni del genoma, come
appunto le regioni NTS, caratterizzate da una variabilità nella composizione nucleotidica tale
da presentare specifici siti di riconoscimento di peculiari enzimi di restrizione. Tali enzimi
operando il taglio nelle zone riconosciute della sequenza amplificata (attraverso PCR con
specifici primers amplificanti regioni NTS) permettono di ottenere un profilo caratteristico.
Questo fa sì, vista la grande variabilità inter/intraspecifica delle regioni NTS, che si generino
profili di restrizione differenti (detti anche profili RFLP, dall’inglese Restriction Fragment
Length Polymorphism) i quali analizzati con tecniche di elettroforesi capillare ad elevata
sensibilità permettono la caratterizzazione di specie, sottospecie, ibridi, chemotipi, ecc. Tale
metodo di caratterizzazione biomolecolare prende il nome di PCR-RFLP.