5
Il potere della P. A. può assumere un aspetto più specifico, e diventare così
potere tecnico discrezionale, quando l’autorità amministrativa è tenuta a
compiere la valutazione di fatti o situazioni che richiede una conoscenza
tecnico – scientifica di tipo specialistico. Il problema in materia di
discrezionalità tecnica, attiene al suo sindacato giurisdizionale, ed ha visto
impegnate sia la dottrina sia la giurisprudenza. Dapprima si era optato per
un sindacato solo estrinseco delle valutazioni tecniche, vale a dire un
sindacato formale ed esteriore sull’iter logico seguito dall’autorità e/o sulle
macroscopiche illogicità della decisione amministrativa, affinché non
fossero necessari ulteriori approfondimenti istruttori. Questo comportò, sul
piano processuale, il fatto che il giudice amministrativo non potesse
sindacare l’attività svolta dall’autorità amministrativa, ma si doveva
limitare a verificare dall’esterno la presenza di elementi che avrebbero
indicato un uso errato del potere discrezionale.
In breve tempo l’orientamento della giurisprudenza mutò, e, infatti, il
Consiglio di Stato con la sentenza n. 901 del 1999 stabilì che il sindacato
sulla discrezionalità tecnica dovesse essere intrinseco, vale a dire doveva
essere diretto a verificare l’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il
profilo della loro correttezza sia del criterio tecnico adottato che del
procedimento applicativo.
Con l’entrata in vigore della l. n. 15/2005, il legislatore ha introdotto la
C.T.U. tra i mezzi di prova, sia della giurisdizione esclusiva, sia
dell’ordinaria giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo,
affinché questi potesse, attraverso questo strumento, accedere facilmente al
fatto tecnico, così da compiere un sindacato più penetrante sulla
valutazione tecnica.
Anche nel secondo capitolo, il punto di partenza è stato fornito dall’attività
del legislatore, in particolare quello del 1990, che ha innovato la legge sul
6
procedimento amministrativo e, per quel che riguarda questo lavoro, ha
modificato l’art. 3, estendendo l’obbligo di motivazione a tutti i
provvedimenti amministrativi, compresi quelli relativi all’organizzazione
amministrativa, allo svolgimento dei concorsi pubblici e al personale.
La motivazione non è più stata considerata come un aspetto formale
dell’atto, ma ha assunto una valenza sostanziale. È stata ritenuta, come il
mezzo attraverso cui è possibile ricostruire il ragionamento intrapreso
dall’autorità per l’emanazione di un determinato atto. Pertanto, al suo
interno, deve contenere sia i presupposti di fatto sia le ragioni giuridiche al
fine di presentarsi come la risultanza dell’istruttoria, ossia l’insieme dei
fattori formali che hanno determinato la scelta. Al tempo stesso, la
motivazione ha assunto un ruolo di primaria importanza, divenendo
espressione di numerosi principi costituzionali, tra cui quelli previsti
dall’art. 97 della Costituzione, assumendo sempre più un ruolo di raccordo
tra la comunità dei consociati e l’autorità amministrativa. Si può sostenere
che la motivazione è chiamata a svolgere una funzione di garanzia per la
collettività, poiché tramite questa, l’attività della P. A. è trasparente, e può
essere conosciuta, nonché “giudicata” dal cittadino.
Si capisce, allora, come sia fondamentale la presenza della motivazione al
termine dell’esecuzione di una prova d’esame, o dell’aggiudicazione di una
gara. Se da un lato, si è ritenuta necessaria l’indicazione della motivazione,
anche perché è stata espressamente prevista dal legislatore, dall’altro lato si
è molto discusso sulla forma che essa deve avere, e sul tipo di giudizio che
deve esprimere, tenuto conto della fattispecie in cui è emesso, concorsi
pubblici, esami, gare pubbliche e del relativo numero di candidati.
Allora, è stato necessario calarsi nelle varie procedure concorsuali, in
particolare, si è dovuto tenere conto della composizione delle commissioni,
7
dei criteri di valutazione da queste adottate, per poi finire a considerare il
valore delle attribuzioni di punteggio assegnate.
Analizzando i regolamenti degli esami per l’abilitazione alla professione di
avvocato, dei concorsi per uditore giudiziario e quelli per notaio, si è visto
che tutte queste fattispecie sono molto simili tra loro, in quanto in tutti
questi casi le commissioni sono dotate di un potere discrezionale che
finisce per incidere sulla valutazione compiuta.
Per questo motivo i giudici, sia di primo grado sia d’appello, sono dovuti
intervenire, in modo da rendere meno approssimativa l’attività di
valutazione compiuta dalla commissione, dimostrando, l’effettiva validità
di questi concorsi, in virtù anche del grande sforzo compiuto dai candidati
nel sostenere le numerose prove che li caratterizzano.
All’interno di questo lavoro sarà possibile ripercorrere, a grandi linee,
l’orientamento della giurisprudenza degli ultimi dieci anni,
sull’assolvimento dell’obbligo di motivazione di un atto amministrativo
tramite l’attribuzione di un punteggio numerico, e di come le pronunce dei
giudici hanno finito per influire nelle procedure concorsuali.
8
Capitolo I
L’attività amministrativa ed il potere discrezionale.
1. Il potere amministrativo e il fondamento del potere
discrezionale.
L’attività della Pubblica Amministrazione viene concepita in modo diverso
a seconda dell’ ordinamento giuridico in cui si colloca: nei paesi di
common law
1
(Inghilterra – Nord America) la P. A. è un soggetto giuridico
come gli altri e di conseguenza in tutti i rapporti che essa viene ad
instaurare, non sono riscontrabili norme diverse da quelle che regolano i
normali rapporti tra privati; negli stati “ad atto amministrativo”
2
, tra cui
rientra anche l’Italia, la P. A. non è un soggetto giuridico sottoposto alla
disciplina dei normali rapporti intersoggettivi, in quanto gode di propri
poteri, che le permettono di avere una particolare supremazia nei confronti
degli altri soggetti giuridici. Pertanto nel nostro ordinamento la P. A., nello
svolgimento della sua attività, pone in essere una serie di comportamenti
diretti alla cura concreta degli interessi pubblici
3
ad essa affidati, ovverosia
1
ACQUARONE L. Attività amministrativa e provvedimento amministrativo, Ecig, Genova, 1985, p. 5 ss.
“Il rule of law, secondo il giurista inglese Dicey, ha tre significati o può essere considerato da tre
differenti punti di vista… Gli inglesi sono governati dalla legge e solo dalla legge: un uomo può essere
punito per violazione della legge, ma non può essere punito per altre ragioni.”
2
CARINGELLA F., Corso di diritto amministrativo, vol. II, Giuffrè, Milano, 2003, p. 899.
3
Sull’interesse pubblico cfr. CANNADA BARTOLI E., (voce) Interesse (d. amm.), in Enc. del Diritto
vol. XXII, 1972, p. 1 ss., il quale analizza in correlazione le due nozioni di “interesse pubblico” e
“interesse legittimo”; VIRGA P., Diritto amministrativo, Atti e ricorsi, (5 ed.), Giuffrè, Milano, 1999:
“Nell’emanare il provvedimento, l’autorità amministrativa deve avere di mira l’interesse pubblico; ciò
non esclude che con i provvedimenti ampliativi delle facoltà dei privati (es. autorizzazioni, concessioni),
possa essere soddisfatto un interesse che l’ordinamento riconosce degno di tutela (es. sviluppo
economico); ma ove si determini un contrasto fra l’interesse privato e quello pubblico, è quest’ ultimo che
deve prevalere sul primo. L’interesse pubblico che costituisce limite alla discrezionalità, non si identifica
con quello di un ramo dell’amministrazione, né con quello che corrisponde alla valutazione soggettiva
della singola autorità, ma con quello della collettività nel suo complesso.”
9
gli interessi dell’insieme dei consociati così come sono stati elaborati in
seguito al processo democratico
4
.
L’individuazione del fine da perseguire, la sua qualificazione come
pubblico e la sua assegnazione alla P. A. sono effettuate alla luce di un
indirizzo politico, alla cui determinazione concorrono organi a cui è
attribuita la funzione politica e di governo
5
. Per cui gli sforzi dell’attività
amministrativa saranno rivolti alla cura di interessi propri, analogamente a
qualsiasi altro soggetto.
Nella nuova concezione di attività di cura dell’interesse pubblico, si è
finalmente riconosciuta alla P. A. la possibilità di svolgere la sua attività
non solo avvalendosi degli strumenti di diritto pubblico, ma anche
attraverso mezzi e forme comuni del diritto privato
6
.
L’agire secondo le norme del diritto privato non implica che la P. A. non
sia in grado di raggiungere i fini istituzionali indicati dalla legge, in quanto
l’interesse pubblico è sempre rilevante, e come tale, condizionerà la
validità del negozio. L’attività amministrativa incontrerà limiti ben
maggiori di quelli posti in essere dall’autorità privata, a tal proposito si
distinguerà tra: limiti positivi, che consentono alla stessa di estrinsecare
correttamente la volizione amministrativa sulla scena giuridica, e limiti
negativi, che svolgono la funzione di mantenere l’attività amministrativa
nell’ambito del lecito, e sono di volta in volta stabiliti dalle norme applicate
4
IEVA L., Potere tecnico – discrezionale della P. A. e sindacato del giudice amministrativo: profili
teorici ed applicativi, in Foro amm. - Consiglio di Stato, 2002, p. 2655.
5
CARINGELLA F., op. cit., p. 839.
6
NIGRO M., Giustizia amministrativa, Bologna, (V ed. a cura di E. Cardi - A. Nigro), 2000, p. 98,
secondo cui l’interesse pubblico ovverosia l’interesse collettivo istituzionalmente tutelato dalla P. A.:
“Non è un interesse che incorpora o nega gli interessi privati, ma che convive con essi, di volta in volta
sacrificandoli o soddisfacendoli”; nello stesso senso è V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale
amministrativo, Torino, II ed., 1994, p. 189; mentre per C.E. GALLO, (voce) Soggetti e posizioni
soggettive nei confronti della P. A.., in D. discipl. pubbl., vol. XIV, 1999, p. 284 ss. e in part. 290, l’
interesse pubblico: “Non è l’interesse di un’amministrazione, non è l’interesse di una collettività
personalizzato in un’organizzazione, ma è l’interesse del pubblico, e cioè della collettività e delle
individualità dei singoli cittadini che si trovano di fronte al potere amministrativo.”
CARINGELLA F., Corso di diritto amministrativo, vol. II, Giuffrè, Milano, 2003, p. 847.
10
al caso concreto. Nell’ipotesi in cui questi limiti siano fissati in modo
preciso e puntuale, l’attività della P. A. sarà vincolata, nell’ipotesi in cui
questi siano stabiliti in maniera elastica allora si parlerà di attività
discrezionale
7
.
Nel nostro sistema giuridico, il potere amministrativo, che si manifesta
attraverso il compimento di atti amministrativi, non è qualcosa di “innato”
della P. A., ma è subordinato al potere legislativo e al principio di legalità
8
,
diversamente da quanto era stato sostenuto da alcuni autori del passato
9
.
Da questo si evince chiaramente, che nessuna posizione di potere, o di
preminenza spetta alla P. A. se questa non le è stata conferita dalla legge, e
comunque, laddove conferito, il potere dovrà essere esercitato ai fini
dell’interesse collettivo.
Come punto di partenza dell’ analisi compiuta attraverso questo lavoro, si
potrà affermare che il fondamento del potere discrezionale è da rinvenire
nella legge
10
. Per cui l’attività discrezionale della P. A. verrà compiuta nel
momento in cui, valutate tutte le soluzioni astrattamente applicabili al caso
di specie, questa agirà in modo da realizzare il principio di imparzialità
7
GALLI R. – GALLI D., Corso di diritto amministrativo, tomo II, VI ed., Cedam, Padova, 2004, p. 624:
“L’attività della P. A. è vincolata quando la materia in cui l’amministrazione interviene è coperta da
riserva assoluta; sarà discrezionale quando il settore d’interferenza amministrativa sia coperto da
riserva relativa di legge.” Sulla distinzione tra limiti positivi e negativi dell’ attività della P. A., e i suoi
legami con la discrezionalità si veda anche IEVA L., op. cit., il quale ritiene che essi debbano essere
considerati anche in relazione ai principi fondamentali che reggono l’attività amministrativa, ai sensi
dell’art. 97 Cost.
8
Il principio di legalità è affermato expressis verbis dall’ art. 1 l. n. 241/1990 con l’espressione:
“L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”.
9
Il filone pandettistico della cd. Scuola di Vienna ( fra tutti Bernatzik) sorto durante la metà dell’ 800.
10
BASSI F., Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2000, p. 59 ss.: “La P.A. in tanto ha il
potere di emanare un provvedimento in quanto tale potere le sia conferito dalla legge”.
CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano 2005, p. 41 ss.: “Il principio di legalità
pur non essendo espresso esplicitamente nella Costituzione può essere desunto attraverso
un’interpretazione sistematica delle stesse norme e può essere considerato in termini di non
contraddittorietà dell’atto amministrativo rispetto alla legge. Questa accezione di legalità la prima ad
essere cronologicamente proposta, corrisponde all’idea di un’amministrazione che può fare tutto ciò che
non sia impedito dalla legge. Tale opinione è stata poi superata dall’elaborazione della tesi della legalità
formale e della legalità sostanziale. Il principio di legalità sostanziale ripropone il problema della
disarmonia con l’opposta esigenza di lasciare spazi discrezionali all’azione amministrativa, al fine di
consentirle di rispondere in modo adeguato alle diverse situazioni concrete”.
11
enunciato dalla Carta costituzionale
11
, al fine di assumere una posizione di
sostanziale giustizia nella valutazione di tutti gli interessi coinvolti
dall’esercizio del potere.
1.1 L’evoluzione storica del potere discrezionale.
Il concetto di discrezionalità o potere discrezionale appare per la prima
volta agli inizi dell’ 800, nella dottrina e nella giurisprudenza francese. Per
acte discretionnaire ou de pure administration s’intendevano quegli atti
dell’autorità amministrativa che non ammettevano il sindacato da parte del
giudice
12
. Nella seconda metà dello stesso secolo, dottrina e giurisprudenza
ritennero concordemente che il sindacato giurisdizionale della
discrezionalità potesse essere ammesso solo nei casi in cui l’atto
amministrativo avesse leso un diritto soggettivo per il raggiungimento di
scopi non previsti espressamente dalla norma attributiva del potere.
13
In Francia, con l’applicazione della teoria della separazione dei poteri, si
affermarono i principi di legalità e dell’ azionabilità delle pretese del
cittadino nei confronti della P. A.; fu perciò stabilito un sindacato
giurisdizionale limitato al controllo dell’osservanza da parte
dell’amministrazione delle norme disposte dalla legge per l’esercizio della
sua azione. L’atto discrezionale era quindi l’atto emesso dalla P. A., che
non poteva essere rimesso in discussione dal giudice, in quanto l’unica
tutela disposta a favore del privato era quella amministrativa
14
.
11
Art 97 Cost.: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Sul principio di imparzialità della P. A. si veda anche: SATTA F., (voce) Imparzialità della pubblica
amministrazione, in Enc. Giur., vol. XV, 1989; ALLEGRETTI U., L’imparzialità amministrativa,
Cedam, Padova, 1965.
12
GIANNINI M. S., Diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1993, p. 45 ss.
13
PIRAS A., (voce) Discrezionalità amministrativa, in Enc. del Diritto, XIII, Milano, 1958, p. 68.
14
GIANNINI M. S., op. cit., p. 46.
12
Fu evidente che questo orientamento della dottrina sarebbe stato superato
ben presto, in quanto il problema posto a fondamento della costruzione
della teoria della discrezionalità, era quello di evitare l’arbitrio nelle scelte
dell’autorità, il che poteva sempre accadere nel rispetto della legge
15
.
Nel corso di quegli anni la giurisprudenza del Consiglio di Stato francese
inventò la figura del detournement de pouvoir (1892)
16
, come vizio
dell’atto amministrativo, ammettendo un parziale sindacato sull’ acte
discretionnaire. L’evoluzione della prassi giurisprudenziale finì per
affermare che l’annullamento del provvedimento per sviamento di potere
rappresentasse, in quel tempo, la sanzione di un giudizio di “mera legalità”
avente ad oggetto “l’abuso” compiuto dall’organo dotato del potere
discrezionale; ovvero “l’illiceità dello scopo” compiuta attraverso
l’esercizio di un potere conferito dalla legge per la realizzazione di fini
diversi da quelli presi a riferimento
17
.
A quei tempi non vi era alcun riferimento normativo, che esplicitamente
ipotizzasse che l’atto amministrativo dovesse essere in grado di soddisfare
gli interessi in gioco nei limiti disposti dalla legge; nonostante tutto, questa
interpretazione era ormai considerata pacifica nella moderna dottrina
18
del
15
CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2001, p. 364.
16
OTTAVIANO V., Studi sul merito amministrativo, Scritti Giuridici, I, Giuffrè, Milano, 1993, p. 293:
“Nell’ordinamento italiano il detournement de pouvoir determinò l’origine della figura dell’eccesso di
potere, che ebbe, ad opera della giurisprudenza, uno sviluppo che lo ha differenziato da quello francese.
Esso si è evoluto in modo da conciliare l’esigenza di sottomettere l’atto amministrativo ad un controllo
giurisdizionale pieno, così da poter sindacare se risponda alle esigenze dell’interesse pubblico, e quella di
limitare il sindacato, e ciò sia per ragioni di ordine teorico che pratico, tra le quali è soprattutto rilevante
che un provvedimento non sia emanato o modificato la un organo irresponsabile il quale, per la sua
posizione, non può considerare tutte le particolarità delle situazioni a cui gli atti amministrativi
provvedono.”
17
PIRAS A., op. cit., p. 69.
18
Come riportato da GIANNINI M. S., in op. cit. p. 52, in materia di discrezionalità si è a lungo discusso
se abbia rilievo preminente il giudizio o la volontà; se essa consiste in un’attività creatrice di nuovi
precetti, o solo sviluppo di precetti già impliciti nelle norme; se sia libertà positivamente regolata, o
libertà finalizzata. Oggi queste teorie sono cadute, in quanto si ritiene che la discrezionalità sia un’insieme
di tutti questi concetti. Certamente chi riteneva che a fondamento dell’azione amministrativa vi fosse il
principio di legalità era propenso a ritenere la discrezionalità un “completamento soggettivo di norma
giuridica imprecisa.” (Per una migliore comprensione delle dottrine che agli inizi, tentarono di opporsi
alle tendenze divenute poi dominanti, si veda la polemica tra il Bernatzik e il Tezner, apparsa nella
13
diritto amministrativo secondo cui: “i fini… determinati dal legislatore,
s’impongono per l’obbligo della loro attuazione… al potere
amministrativo”
19
.
All’evoluzione della teoria del potere discrezionale contribuirono anche i
giudici austriaci
20
con la legislazione del 1875 che, se da un lato delineava
una tutela giurisdizionale amministrativa diretta a difendere esclusivamente
i diritti soggettivi, dall’altro lato escludeva dalla cognizione del giudice
designato le materie discrezionali tipiche dell’autorità amministrativa.
Attraverso gli studi degli autori austriaci si ebbe quindi il passaggio dalle
vecchie teorie ai nuovi principi che portarono importanti sviluppi.
Nel corso del tempo, con il progredire del diritto positivo e con lo sviluppo
del principio di azionabilità, in Italia, come in Germania e negli Stati Uniti,
la discrezionalità cessò di essere un aspetto tipico dell’attività
amministrativa, e finì per divenire un atto emesso nell’esercizio di attività
(potere) discrezionale.
Oggi, quindi, si può dichiarare con assoluta certezza che sussiste un
collegamento tra la discrezionalità e la funzione dell’attività
amministrativa; questo perché la discrezionalità comporta sempre una
scelta tra più soluzioni possibili: la scelta della soluzione più adeguata al
caso concreto
21
.
Grünht’s Zeitschr., 1891, pp. 148 e 1892). Chi partiva dalla premessa dell’amministrazione come potere
esecutivo, poteva giungere a concepire la discrezionalità come “doverosità” di raggiungimento dello
scopo. Se poi questa la si collegava al giudizio, era possibile sostenere che la discrezionalità fosse un
giudizio quasi scientifico, perché in ciascun caso concreto la “soluzione più opportuna” non poteva che
essere una sola. Tutte queste teorie continuano ancora oggi ad essere sostenuti da alcuni autori: JESCH
D., Unbestimmter Rechtsbegriff und Ermessen, AöR 1957, 163; BENVENUTI L., La discrezionalità
amministrativa, Cedam, Padova, 1986; GASPARRI P., Considerazioni sulla discrezionalità
amministrativa, in Studi Cagliari, 1946; OTTAVIANO V., op. cit.
19
ZANOBINI G., L’attività amministrativa e la legge, in Riv. Dir. Pubbl.,1924, I, p. 383.
20
PIRAS A., op. cit., p. 79.
21
GIANNINI M. S., op. cit., 47.
14
1.2 La discrezionalità amministrativa e le sue caratteristiche.
La dottrina tradizionale definisce la discrezionalità come facoltà di scelta
22
tra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento
dell’interesse pubblico, e per il perseguimento di un fine rispondente alla
causa del potere esercitato
23
. Sempre secondo la migliore dottrina
24
sono
limiti generali dell’esercizio del potere pubblico: a) l’interesse pubblico; b)
la causa del potere; c) il principio di logicità e ragionevolezza; d) il
principio di imparzialità. Partendo dal presupposto che il potere
discrezionale andrà sempre esercitato in modo da raggiungere un interesse
pubblico primario, la scelta compiuta dall’autorità dovrà essere fondata sui
parametri della razionalità, e di conseguenza sarà imparziale e comunque
equidistante rispetto agli interessi dei privati
25
. Come già riportato in
precedenza
26
la discrezionalità e i suoi limiti sono concetti che vanno
esaminati alla luce dei principi fondamentali enunciati ai sensi dell’art. 97
della Costituzione
27
; il che comporta che l’unica discrezionalità possibile è
quella fondata su una norma giuridica. Laddove questo non si verificasse,
22
D’AGOSTINO F., Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2000, p. 102: “La facoltà di
scelta della P.A. può riguardare vari aspetti del suo operare: l’an indica un apprezzamento
sull’adottabilità o meno di un determinato provvedimento; il quid riguarda i contenuti di un
provvedimento di cui sia stata decisa l’adozione; il quomodo concerne le modalità applicative; il quando
riguarda il momento in cui adottare il provvedimento. Tutti i criteri possono essere utilizzati
contemporaneamente nella scelta discrezionale.”
23
VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1972, p. 19.
24
VIRGA P., Diritto amministrativo. Atti e ricorsi (5 ed.), Milano, Giuffrè, 1999, p. 8 – 9.
25
Sul principio di ragionevolezza, cfr. G. MORBIDELLI, Il principio di ragionevolezza nel procedimento
amministrativo, in AA. VV., Scritti in onore di G. Guarino, Padova, 1998, 89 ss., per il quale detto
principio assume un rilievo primario e trova come punti di riferimento costituzionale i principi di
eguaglianza, imparzialità e di buon andamento. Si tratta di una vera e propria:“Clausola generale
dell’azione amministrativa”, che “permea” la legislazione positiva imponendosi ad essa; per questo
autore: “La ragionevolezza equivale a correttezze ed adeguatezza della funzione”, di conseguenza:”
l’irragionevolezza equivale a “vizio della funzione”. Cfr. inoltre R. VILLATA – G. SALA, (voce)
Procedimento amministrativo, in D. discipl. pubbl., vol. XI, 1996, 574 ss. e, in part., p. 596, con riguardo
specifico al principio di ragionevolezza, il quale rappresenta un “principio normogenetico” anche con
riguardo al procedimento ed esprime i postulati della coerenza intrinseca, della razionalità e della logicità.
26
Cfr. paragrafo 1 note 10-11.
27
Art. 97 co. 1 Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo
che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
15
l’esercizio del potere pubblico sconfinerebbe nell’ arbitrio puro, non
essendo collegato ad una norma, né ispirato al criterio dell’efficienza
28
.
Infine la discrezionalità presuppone l’esercizio del potere in modo
proporzionato e congruo alla fattispecie concreta, senza l’inutile intervento
dei soggetti coinvolti
29
. Come scritto nel paragrafo precedente
30
l’esercizio
del potere pubblico da parte dell’autorità determina il compimento di
un’attività che sarà regolata solo in parte dalla legge, in quanto per il suo
completamento sarà rinviata al prudente
31
apprezzamento dell’autorità
stessa
32
.
In questo modo si evidenzia l’essenza stessa della discrezionalità, che non
equivale a “libero arbitrio” della P. A., bensì ad un “potere funzionalizzato”
al perseguimento di un interesse pubblico
33
, che costituisce la ratio della
potestà pubblica.
Questi aspetti evidenziano in maniera netta i limiti collegati alla natura
necessariamente funzionale dell’attività amministrativa. La discrezionalità
è l’agire libero della P. A. quando si pone come autorità, il che significa
che essa coincide con quella parte di attività che è funzione. Dalla
funzionalizzazione del potere amministrativo si evince che questo, pur
negli “spazi aperti” lasciati dalla legge, non è libero, ma è vincolato nei
28
Sullo stesso argomento cfr.: Consiglio di Stato, sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281, in Giust. It., n. 5, 2002:
“L’ampia discrezionalità riconosciuta alla pubblica amministrazione in una determinata materia non
sottrae i relativi provvedimenti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, volto a controllare,
proprio attraverso l’esame della motivazione, l’esercizio del potere sotto il profilo della logicità, la
razionalità e la congruità per evitare che esso possa scadere nel mero arbitrio.”
29
Sul punto cfr.: SORACE D., Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Monduzzi,
Bologna, 2000, in part. p. 265 ss., secondo il pensiero dell’autore la corretta estrinsecazione della
discrezionalità amministrativa deve rispettare predeterminati principi generali dipendenti dal pr. di
legalità (art. 97 Cost.) che sono: 1) principi comuni; 2) principi peculiari della p. a.; 3) principi
strumentali che completano e rafforzano i summenzionati principi.
30
Cfr. paragrafo 1 nota 7.
31
Il concetto di prudentia nella lingua latina equivale a “sapienza”, per questo il riferimento alla
discrezionalità della p. a. deve essere inteso come prudente apprezzamento ovverosia come una sapiente e
consapevole (e non arbitraria) valutazione di ogni fattore rilevante.
32
IEVA L., op. cit., p. 2666.
33
Cfr. paragrafo 1 nota 3.
16
fini, dove il fine è rappresentato dall’interesse pubblico fissato dalla
legge
34
. Assume un ruolo sostanziale il concetto di pubblico interesse
rispetto alla discrezionalità, questo sarà strettamente collegato all’agire
discrezionale, e per tale motivo dovrà essere in grado di soddisfare un
bisogno già riconosciuto come pubblico da una norma
35
.
La discrezionalità “permette al suo titolare di valutare gli interessi per cui
dovrà esercitarla, ma vieta che da tale valutazione egli possa
prescindere”
36
; così si dimostra che l’autorità è costretta ad effettuare le
proprie scelte in virtù delle esigenze di pubblico interesse che hanno
determinato il suo agire.
Appare, quindi, ancora più evidente la distinzione tra discrezionalità
amministrativa ed autonomia negoziale proprio perché quest’ultima, è in
grado di autoregolamentarsi nella realizzazione degli interessi, senza che
l’ordinamento giuridico dia rilevanza ai fini che i privati intendano
perseguire, ma stabilendo solo limiti “esterni” di meritevolezza e liceità”
(ex artt. 1322, 1343, 1344, 1345, cc.)
37
.
Inoltre, il concetto di discrezionalità si distingue a sua volta da quello di
atto politico
38
, inteso come “atto libero nel fine” tipico del potere politico,
e come tale svincolato dai limiti tipici della discrezionalità amministrativa,
in quanto è inidoneo a individuare autonomamente gli interessi pubblici da
curare e i fini pubblici da perseguire, entro i principi generali enunciati
dalla Costituzione.
34
CERULLI IRELLI V., op. cit., p. 345.
35
GIANNINI M. S., op. cit., p. 51.
36
PIRAS A., op. cit., p. 77.
37
GALLI R. – GALLI D., op. cit., p. 361.
38
Sull’atto politico, cfr.: BARILE P., (voce) Atto di governo (e atto politico) in Enc. del Diritto, vol. IV,
1959, p. 220 ss.; GARRONE G. C., (voce) Atto politico (disciplina amministrativa) in Dig. disc. pubbl.,
vol. I, 1987, p. 544 ss.; SANDULLI A. M., Manuale di diritto amministrativo, vol. I, XV ed., Napoli,
Jovene, 1989, p. 16 ss.
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Quando gli organi costituzionali determinano l’indirizzo politico, le
amministrazioni dello Stato sono tenute ad attuarlo; siccome l’indirizzo
politico comporta una scelta tra i vari interessi pubblici, si verificherà che
questi organi diverranno i centri di riferimento di quegli interessi. Le scelte
compiute seguendo un determinato pensiero politico non opereranno
sempre allo stesso modo, ma saranno comunque soggette alla maggiore o
minore discrezionalità di cui gode l’autorità pubblica; impedendo così
all’indirizzo politico di interferire nei rapporti esistenti tra il potere
discrezionale e la norma giuridica che ne è a fondamento
39
.
1.3 La natura, l’acquisizione e la comparazione degli interessi
secondari alla luce della l. n. 241/1990.
Si è detto che l’amministrazione deve perseguire l’interesse pubblico
primario che le è stato affidato in cura dalla norma attributiva del potere
40
.
Al tempo stesso questo interesse, nella realtà non è mai solitario, ma
coesiste con altri interessi pubblici, privati e collettivi, che appariranno
come secondari rispetto all’esercizio di quel determinato potere
41
.
L’autorità dovrà soddisfare l’interesse primario nel modo migliore
39
GIANNINI M. S., op. cit., p. 49.
40
VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1972, p. 19: “Dire che l’esercizio del
potere amministrativo è vincolato nel fine presuppone che si tratta di un agire non interamente vincolato,
e anche parzialmente libero.” Cfr. CERULLI IRELLI V., op. cit., p. 366, in particolare l’esempio
legislativo per cui: “Le miniere possono essere coltivate soltanto da chi ne abbia avuto la concessione”.
“La concessione di una miniera può essere fatta a chi abbia, a giudizio… del ministro dell’industria,
l’idoneità tecnica ed economica a condurre l’impresa.” Il ministro concederà la miniera alla ditta
risultante più idonea dal punto di vista tecnico ed economico; ma questa idoneità sarà valutata in modo
diverso dando luogo a scelte diverse. In questo caso il fine primario del potere di concessione mineraria
sarà nell’interesse dello sviluppo industriale del Paese, che andrà perseguito affidando alle imprese
tecnicamente ed economicamente più idonee, lo sfruttamento delle risorse minerarie di proprietà
pubblica.
41
GIANNINI M. S., op. cit., p. 48: “In un mondo immaginario, in cui ogni interesse pubblico esistesse
solitario, la scelta dell’autorità dovrebbe corrispondere alla soluzione che comporta la massimizzazione di
quell’ interesse. La soluzione massimale certamente però non si può avverare, o meglio si avvera entro
certi limiti, in occasione di eventi straordinari, nei quali tutto va sacrificato in virtù di un solo interesse.”
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possibile, tenendo conto di tutti gli altri interessi presenti e coinvolti
dall’esercizio in concreto del potere
42
.
Si dovrà, dapprima, procedere all’individuazione dell’interesse pubblico
primario
43
, operazione ermeneutica non semplice, a sostegno della quale vi
è la legislazione più recente
44
, che indica gli obiettivi che il provvedimento
deve realizzare.
Successivamente, dopo aver definito l’interesse pubblico primario, si dovrà
verificare la presenza degli interessi secondari, e in caso positivo, questi
non potranno essere ignorati poiché saranno strettamente collegati alla
norma attributiva del potere, ma dovranno essere conosciuti dalla P. A.
Non sempre accade che gli interessi secondari siano evidenti, soprattutto
quando appartengono a soggetti privati, così risulterà necessario che essi
siano manifestati all’operatore pubblico
45
; dovranno essere adeguatamente
rappresentati al titolare della funzione. L’amministrazione è tenuta ad
acquisire nella loro completezza e a valutare con il massimo
approfondimento tutti gli interessi (pubblici - privati - collettivi) presenti
nella situazione concreta nella quale l’esercizio del potere va ad incidere
(principio della necessaria acquisizione degli interessi)
46
.
Una volta acquisiti, gli interessi andranno confrontati con quello primario,
per stabilire un rapporto di prevalenza o di coerenza e comunque per
determinare in maniera definitiva tutte le situazione coinvolte.
42
CERULLI IRELLI V., op. cit., p. 368.
43
La scelta compiuta dall’amministrazione nello spazio lasciato aperto dalla norma avverrà secondo i
criteri di ragionevolezza: la scelta dovrà essere consequenziale sul piano logico rispetto alle premesse
costituite dai dati evidenziati nella situazione concreta. CERULLI IRELLI V., op. cit., p. 370; Sul
principio di ragionevolezza cfr. anche paragrafo 1.2 nota 25.
44
Ad esempio l’art. 1 d. lgs. 502/1992 indica gli obiettivi relativi alla riorganizzazione della disciplina in
materia sanitaria stabilendo che la tutela della salute deve essere compiuta in relazione a certi standards.
45
D’AGOSTINO F., op. cit., p. 101.
46
CERULLI IRELLI V., op. cit., p. 371.