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1. APPRENDIMENTO SCOLASTICO: DIFFICOLTA’ E
DISTURBI
1.1 INTRODUZIONE
La realtà scolastica è ormai sempre più caratterizzata da una forte eterogeneità
delle classi. Gli insegnanti si trovano a dover fronteggiare sempre più spesso
innumerevoli situazioni problematiche non più riferite solamente ad alunni in situazione
di handicap, ma anche ai sempre più frequenti casi di alunni con disturbi
dell’apprendimento, problemi comportamentali ed emozionali, background culturali
diversi, situazioni familiari difficili ecc. (1).
Si stima che circa uno studente ogni cinque incontra, nel corso della sua carriera
scolastica, un particolare momento di difficoltà che spesso necessita l’attenzione di
insegnanti, genitori o esperti nel campo dei problemi scolastici. Se questa stima sembra
sovradimensionata, basta pensare al numero di studenti che annualmente abbandona la
scuola o che viene bocciato (2).
Un ambiente socioculturale non adeguato, la mancanza di autostima, le difficoltà a
rapportarsi con i propri coetanei o con adulti e altre cause portano all’interno della
scuola questo ampio ventaglio di problemi di apprendimento molto diversi dai problemi
dovuti ad handicap.
Se per quest’ultimi esistono chiare leggi a livello ministeriale, sia per la diagnosi sia per
il metodo di operare, non si può dire lo stesso per tutte quelle situazioni di difficoltà o
disturbo presenti quotidianamente nella scuola.
E’ necessario, quindi, fare una netta distinzione fra quelle che vengono definite
difficoltà di apprendimento, che si riferiscono a qualsiasi problematica incontrata da
uno studente nel corso della propria carriera scolastica, e i disturbi dell’ apprendimento,
termine che invece descrive problematiche ben più gravi e meglio definite legate al
processo di apprendimento (2) .
Il termine difficoltà verrà quindi utilizzato là dove la problematica è più ampia, meno
definita e non necessariamente grave.
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Sia per le difficoltà che per i disturbi di apprendimento risulta fondamentale
lavorare sugli aspetti motivazionali degli studenti. Proporre lezioni e argomenti
stimolanti, usare metodi didattici che coinvolgano i soggetti con queste problematiche
porta a interessanti risultati sia sui soggetti direttamente coinvolti, sia sull’andamento
generale della classe (3).
1.2 DIFFICOLTÁ DI APPRENDIMENTO
1.2.1 Definizione e caratteristiche principali
Le difficoltà di apprendimento sono molteplici e variegate, spesso non sono la
conseguenza di una specifica causa ma sono dovute al concorso di molti fattori che
riguardano sia lo studente sia il contesto in cui egli viene a trovarsi.
E’ stato ampiamente dimostrato come l’ambiente socioculturale, il clima familiare e la
qualità dell’istituzione scolastica influiscano sugli esiti scolastici (2).
Va notato che non esistono al mondo, e tanto meno in Italia, dei criteri ben definiti
e unitamente accettati per la classificazione e identificazione delle difficoltà di
apprendimento, per cui le identificazioni provenienti da diverse fonti non risultano
sovrapponibili.
I dati ISTAT relativi all’anno scolastico 1992/93 riportati nella tabella 1.1, confermano
che il disagio scolastico interessa, in generale più i maschi che le femmine (1) :
0
2
4
6
8
10
12
14
MASCHI
Basso rendimento
scolastico
Disturbi specifici
dell’apprendimento
Disturbi del linguaggio
Disturbi dell’ attenzione
Ritardo mentale
Disturbi di personalità
Disabilità plurime
Sordità e ipoacusia
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Tabella 1.1 Incidenza percentuale dei tipi di difficoltà di apprendimento scolastico:
TIPO DI DIFFICOLTÁ MASCHI FEMMINE
Basso rendimento scolastico 13 7
Disturbi specifici dell’apprendimento 4,5 3,5
Disturbi del linguaggio 1,5 1
Disturbi dell’ attenzione 5 1,25
Ritardo mentale 1 1
Disturbi di personalità 1 1
Disabilità plurime 0,15 0,15
Sordità e ipoacusia 0,1 0,1
Le cause principali delle difficoltà sono da ricercare all’interno della famiglia o,
più in generale, nel contesto socioculturale dove un ragazzo viene formato, nella
mancanza o eccesso di autostima e nelle difficoltà di rapportarsi con coetanei e adulti.
Molto spesso queste sorgenti di difficoltà nel campo scolastico sono legate fra loro
creando un ulteriore complicazione a chi cerca di diagnosticare e curare questo tipo di
problematiche (2).
1.2.2 Influenza della famiglia e dell’ ambiente socioculturale
Il ruolo giocato dall’ambiente socioculturale sul rendimento scolastico (messo in
luce non solo da studi scientifici, si pensi al famoso libro denuncia “lettera a una
professoressa” di Don Milani) è ormai confermato da un numeroso insieme di dati
empirici (2). Per l’Italia i primi e maggiormente rilevanti contributi sono stati offerti
dall’équipe guidata da Ornella Andreani, docente di psicologia presso l’Università di
Pavia, che già una trentina di anni orsono, aveva illustrato come a un basso livello
socioculturale corrispondessero maggiori difficoltà scolastiche (4). I risultati della ricerca
psicologica concordarono con i dati statistici che dimostrarono che gli alunni delle
classi sociali meno abbienti hanno tipicamente una carriera scolastica meno proficua,
interrompono prima gli studi e, qualora frequentino le scuole superiori, l’indirizzo è di
“minor prestigio”.
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Ovviamente, quando si parla di situazione socioculturale svantaggiata si possono
intendere più cose.
Si è potuto notare che, ancor più della situazione economica della famiglia,
contano fattori quali la zona di residenza (zone di montagna o campagna isolate possono
talvolta portare minori opportunità di apprendimento) e la eventuale appartenenza a
minoranze culturali o linguistiche (2).
Al di là di marginali fattori ereditari, un alto livello socioculturale è in grado di
incidere in differenti modi. In primo luogo l’ambiente di vita del bambino avvantaggiato
è più ricco di stimoli e sussidi: ci sono più libri in casa, vi è una maggiore
frequentazione con persone di buona cultura, e così via. In secondo luogo, il bambino
proveniente da un ambiente socioculturale avvantaggiato può ricevere stimolazioni
dirette che sono superiori sia sul piano qualitativo che quantitativo: per esempio gli
vengono insegnate più cose, è esposto ad usi linguistici più ricchi e appropriati, ha
esperienze più ricche. In oltre, generalmente, in ambienti socioculturali elevati, non
necessariamente sul piano del censo, c’è una maggiore sensibilità al processo di
apprendimento risultando più probabile che il bambino riconosca l’importanza di
apprendere cose nuove e sia motivato al successo scolastico.
Casi particolarmente clamorosi di influenza socioculturale sono legati alle
minoranze linguistiche: il bambino che proviene da una comunità con lingue e costumi
diversi incontra serie difficoltà a seguire l’attività scolastica e difficilmente trova aiuto
in famiglia. Attualmente i bambini di origine extracomunitaria stanno sperimentando
cospicue difficoltà di inserimento nella scuola italiana, suggerendo l’erronea idea che le
loro potenzialità intellettive siano minori. Bisognerebbe ricordarsi, prima di giungere a
facili generalizzazioni, che, non molti anni orsono, una buona parte dei bambini italiani
immigrati in Germania veniva considerata nella scuola tedesca presentare difficoltà di
apprendimento e collocata in apposite classi “differenziali” (2).
Non sempre la partecipazione della famiglia si misura in termini di tempo: in numerose
famiglie di elevato livello socio-culturale i genitori hanno un’attività professionale che
li tiene lontani da casa per tutta la giornata, ma ciò che fa la differenza è l’attenzione
rivolta al processo di apprendimento del figlio.
Il genitore deve essere equilibrato anche nel rapporto con gli insegnanti, in taluni casi
si è osservato che l’elemento di maggiore attrito all’innovazione educativa ed al
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raggiungimento di effettivi obiettivi che privilegino l’apprendimento piuttosto che la
prestazione, è l’atteggiamento dei genitori, preoccupati per l’appunto di raggiungere
risultati tangibili immediati. In una indagine a tappeto condotta in un comprensorio del
Nord-Est , gli psicologi S. Cacciamani, G. Falco e R. Focchiatti (5) hanno rilevato che
ben il 50% dei genitori ritiene di avere conoscenze adeguate per trattare le difficoltà di
apprendimento. E’ evidente che tanta presunzione può portare i genitori ha voler
imporre i propri punti di vista, anche quando non posseggono la dovuta competenza e
dovrebbero tenere una posizione più “defilata” e collaborativa.
1.2.3 Autostima
Una difficoltà di apprendimento può, molto probabilmente abbassare la
motivazione del ragazzo ad apprendere e a frequentare la scuola. E’ facile che egli arrivi
intimamente a stimarsi poco rispetto ai compiti cognitivi e scolastici.
Viene spesso fatta una distinzione fra il concetto di sé scolastico (l’idea che il bambino
ha di sé come alunno) e il concetto di sé non scolastico ( l’idea che il bambino ha di sé
stesso in tutte le attività che svolge al di fuori del contesto scolastico), osservando come,
all’interno della scuola, risulti molto più spesso compromesso solamente il primo (6).
Un basso concetto di sé scolastico può però portare lo studente ad una percezione di
scarsa autoefficacia e autoattribuzione (2), l’impressione cioè di non poter modificare il
corso degli eventi.
Questi concetti possono essere meglio compresi esaminando alcune tipiche
risposte contenute nei questionari che accertano il livello di autoattribuzione. Per
esempio si può chiedere al bambino di spiegare le ragioni dei suoi insuccessi scolastici :
“Immagina di aver riportato una cattiva votazione nella prova scritta di storia. A che
cosa può essere dovuto?”
Risulta molto interessante porre tali domande non solo ai bambini con difficoltà di
apprendimento, ma anche a quelli senza particolari difficoltà, che possono comunque
incorrere al pari degli altri in insuccessi scolastici.
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Noteremo che le risposte dei bambini saranno in relazione alla loro maggiore o minore
percezione di autoefficacia. La differenza maggiore fra i due gruppi si può riscontrare
nel senso di controllo degli eventi che manifestano.
La risposta “E’ accaduto perché non mi sono impegnato a sufficienza” è molto più
frequente nei bambini senza difficoltà di apprendimento, i quali danno una valutazione
positiva delle proprie possibilità e quindi ritengono che, qualora ci si impegni
adeguatamente, il risultato desiderato si possa raggiungere. Al contrario i bambini con
difficoltà di apprendimento utilizzano più frequentemente altre risposte, del tipo “Non
mi hanno aiutato a sufficienza”, “Non sono stato capace”, “Sono stato sfortunato”, e
così via, che fanno riferimento a fattori indipendenti dal loro controllo.
Anche in caso di successo scolastico i ragazzi con difficoltà tendono ad attribuire il
successo a fattori esterni, ritengono spesso che l’esito del compito sia da attribuirsi alla
fortuna, alla simpatia suscitata nell’insegnante o variabili analoghe, piuttosto che a una
reale propria capacità.
Notoriamente, una disposizione d’animo positiva rispetto a compiti cognitivi
complessi comporta una propensione a insistere o a riprovare dopo che si è riscontrato
un insuccesso: questa propensione è abbastanza rara nei bambini che non credono nel
ruolo del proprio impegno personale (2).
1.2.4 Problemi di socializzazione con coetanei e adulti
I problemi di socializzazione sono così frequenti nei bambini con difficoltà di
apprendimento, da indurre alcuni ricercatori a considerarli come elemento
caratterizzante; altri ricercatori hanno invece proposto una particolare categoria di
disturbi specifici di apprendimento, delineata dall’incapacità di apprendere a stare con
gli altri. Queste due posizioni decisamente estreme non hanno trovato particolare
credito, visto che le situazioni di difficoltà scolastiche e di socializzazione non sempre
sono presenti contemporaneamente (2). Basti pensare ad allievi iperdotati i quali spesso,
specialmente nei primi anni di scuola, manifestano difficoltà a relazionarsi con i
compagni, ma certamente non si può dire che essi abbiano carenze di apprendimento.
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Resta comunque il fatto che molti bambini con difficoltà di apprendimento,
anche se non tutti, presentano difficoltà di socializzazione. Un tratto frequente è
costituito dalla bassa popolarità che essi godono nei confronti dei compagni, che spesso
manifestano scarso desiderio di stare con loro, arrivando anche ad atteggiamenti di
chiaro rifiuto.
I dati delle ricerche su questi temi non sono sempre univoci, anche perché vi sono molti
fattori che complicano ulteriormente il quadro. Per esempio, un bambino con deficit
intellettivi non sempre è in grado di svolgere attività, sociali o ludiche, come i coetanei,
dando loro impressione di dover assistere ad un fratellino minore. Questo tipo di
rapporto non permette di instaurare una relazione che porti tutti i componenti di un
gruppo sullo stesso livello, ma aumenta il distacco dei ragazzi con difficoltà di
apprendimento (2).
Un ulteriore esempio di difficoltà di socializzazione riguarda spesso gli alunni
iperattivi che con il loro modo di agire, tendenzialmente molto impulsivo, tendono ad
interferire con i ritmi sociali dei compagni generando antipatie e allontanamento.
Il disagio provocato dall’interazione sociale di tipo “formale” con gli adulti può avere
per il ragazzo con difficoltà di apprendimento delle serie conseguenze. Alcune ricerche
hanno dimostrato come la probabilità di comportamenti devianti e microcriminali sia
maggiore per ragazzi con difficoltà di apprendimento. Gli studi sugli adolescenti di vari
paesi del modo, Italia compresa, indicano come principali condizioni di rischio, in
questa età, l’insuccesso scolastico, i problemi sociali oltre che , ovviamente, i sistemi di
valori, personalità, situazione familiare e gruppo sociale di riferimento. Alcuni di questi
studi hanno però messo in luce come, più che una maggiore incidenza di comportamenti
devianti, si tratti di una maggiore difficoltà ad uscirne una volta che si è entrati in
situazioni critiche. L’incapacità di interagire con gli adulti riaffiora, per esempio, nei
rapporti con la polizia o con la magistratura (2).
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1.3 DISTURBI DELL’ APPRENDIMENTO
1.3.1 Definizione e caratteristiche principali
Nella categoria di disturbi (specifici) di apprendimento (spesso designata con il
termine learning disabilities, e da distinguere dalla più ampia e generica di difficoltà di
apprendimento) rientrano tipologie estremamente diverse di difficoltà, associate più da
quello che non hanno in comune che da quello che hanno in comune (si parla a questo
proposito di fattori di esclusione) (2). Per esempio, non possono essere definiti disturbi
specifici dell’apprendimento i casi in cui la difficoltà è dovuta essenzialmente ad uno
svantaggio socioculturale, cosa che non impedisce che questo tipo di svantaggio finisca
con l’aggravare il quadro del disturbo.
E’ fondamentale ricordare che un soggetto con disturbi dell’apprendimento
presenta un Quoziente Intellettivo (Q.I.) (*) vicino a quello medio (circa 100) e ben
lontano da quello di 70 che dovrebbe costituire il criterio sotto il quale è consentita una
diagnosi di ritardo mentale.
Una definizione che ha trovato molti consensi è quella data nel 1988 dal NJCLD (**).
Per tale definizione:
“ disturbi specifici di apprendimento (learning disabilities) costituiscono un
termine di carattere generale che si riferisce a un gruppo eterogeneo di disordini che si
manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e uso di abilità di
comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura,
ragionamento, o matematica.
-------------------------------------
(*)
: Quoziente Intellettivo: esprime il rapporto fra l’età mentale (EM) dell’individuo e la sua età
cronologica (EC) moltiplicato per cento. L’età mentale viene quantificata tramite appositi test.
100 υ ECEMQI
(**)
:
National Joint Committee on Learning Disabilities, organizzazione nordamericana rappresentativa di
varie organizzazioni del campo dei disturbi dell’apprendimento.
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Questi disordini sono intrinseci all’individuo, presumibilmente legati a disfunzioni del
sistema nervoso centrale e possono essere presenti lungo l’intero arco di vita.Problemi
relativi all’autoregolazione del comportamento, alla percezione e interazione sociale
possono essere associati al disturbo di apprendimento, ma non costituiscono, per se
stessi, dei disturbi specifici di apprendimento.
Benché possano verificarsi in concomitanza con altre condizioni di handicap (per
esempio danno sensoriale, ritardo mentale, serio disturbo emotivo) o con influenze
esterne come le differenze culturali, insegnamento insufficiente o inappropriato, i
disturbi specifici di apprendimento non sono il risultato di queste condizioni.”
Questa definizione sottolinea i principali fattori di esclusione e cioè che si tratta di
bambini con disturbi di apprendimento non dovuti a handicap o a fattori esterni. E’
fondamentale tener presente che il bambino con disturbo specifico ha un’intelligenza
molto superiore alla resa scolastica che offre.
Tale caratterizzazione trasmette l’idea diffusa che queste disturbi siano associati a
qualche forma di disfunzione del sistema nervoso centrale: vi sono spesso indizi, molto
labili, che fanno ipotizzare uno sviluppo neurologico atipico. In passato, questo genere
di problematiche, venivano indicate anche come disfunzioni celebrali minime.
E’importante definire il termine: autoregolazione, esso si riferisce alla capacità
che ha l’individuo di controllare autonomamente il suo comportamento tenendo conto
dei segnali che provengono dall’esterno (2).
1.3.2 Chi se ne occupa
Chi si occupa di disturbi specifici di apprendimento e dove?
In base alla normativa attuale (Legge 104/ 1992) (7), solo casi di disturbi gravi di
personalità e di handicap possono godere di un aiuto diretto all’interno della scuola.
La legge prevede che essi vengano affiancati da un insegnante di sostegno con il
compito di favorire l’integrazione dell’alunno, promovendo percorsi di apprendimento
individualizzati e attività di mediazione fra le abilità dell’alunno e quelle dei compagni.
Anche altri enti (comuni, enti assistenziali, privati) possono essere coinvolti a vario