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L’AFFIDAMENTO DEI MINORI IN ITALIA
In Italia ci sono circa 32400 minori che vivono fuori dalla famiglia, di questi
16800 sono in affidamento familiare mentre 15600 sono ospiti dei servizi residenziali
(dati aggiornati al 31 Dicembre 2007).
L’affidamento temporaneo dei minori italiani e stranieri è disciplinato dalla legge
n.184 del 4 Maggio 1983, “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”,
successivamente modificata dalla legge n.149 del 28 Marzo 2001, “Diritto del minore
ad una famiglia” (vedi allegato).
L'affido è un'istituzione dell'ordinamento civile italiano che si basa su un
provvedimento temporaneo. Si rivolge a bambini e ragazzi fino ai diciotto anni di età,
di nazionalità italiana o straniera, che si trovano in situazioni di instabilità familiare
dovuta a gravi difficoltà, e quindi temporaneamente impossibilitata o incapace di
assolvere al proprio compito educativo, mettendo in pericolo la loro crescita psico-
fisica.
L’affidamento si riferisce ai casi in cui il minore viene allontanato temporaneamente
dalla propria famiglia d’origine per essere “preso in cura da terzi” (famiglia
affidataria, persona o istituto):
- può essere richiesto dai servizi sociali, con il consenso dei genitori (viene infatti
detto affido consensuale) e sentito il minore a partire dai 12 anni, ma anche di età
inferiore tenendo conto della sua capacità di discernimento; è reso poi esecutivo dal
giudice dopo aver controllato la sussistenza dei presupposti;
- è disposto dal giudice del Tribunale per i Minori (è definito affido giudiziale) su
proposta del Servizio Minori, laddove manchi l’assenso dei genitori esercenti la
potestà e pertanto assume natura autoritativa, in quanto limita la potestà dei genitori
o, quantomeno, ha una funzione di controllo su di essa; è l’autorità giudiziaria che ha
il potere di disporre l' allontanamento del minore dalla famiglia naturale,
autorizzando gli Enti a provvedere all'affidamento.
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In entrambi i casi si tratta di situazioni in cui la crescita psicofisica del minore è
messa in pericolo dalle gravi difficoltà
1
in cui si trova la sua famiglia,
temporaneamente impossibilitata a prendersi cura del figlio (o più figli), che per
questo può essere affidato ad un’altra famiglia, persona od istituto in grado di
assicurare un regolare evolversi del processo maturativo, mantenendo comunque i
contatti con la famiglia d’origine, perché l’obiettivo fondamentale è proprio il
reinserimento in quest’ultima (anche se non è sempre realizzabile), così come
enunciato nell’art.5 della Legge 184
2
.
Il provvedimento disposto dal tribunale indica le ragioni dell’affidamento, la
tipologia (diurni, o a tempo parziale, per week end o vacanze; residenziale a tempo
pieno) e durata prevista (che generalmente non dovrebbe superare i 24 mesi);
l’affidatario e le eventuali prescrizioni a cui quest’ultimo deve attenersi nella cura del
minore; il servizio locale tenuto a vigilare sull’andamento dell’affido.
L’affidamento termina quando viene meno la causa che ha determinato la situazione
di grande difficoltà, ma anche per altre cause di forza maggiore (come malattia grave
o morte dell’affidatario). Può succedere però che al termine del tempo previsto
ancora sussistano le cause per cui è stato disposto il provvedimento, in questi casi il
giudice può fissare un nuovo termine, ma se lo stato di difficoltà diventa definitivo (le
cause sono cioè irrisolvibili), avvia il procedimento di adozione e l’affidamento da
temporaneo diventa pre-adottivo.
L’affidamento non deve essere solo un “contenitore” dove mettere un oggetto che
non si sa dove riporre, ma deve prendere la forma di un “contenuto” inteso come un
progetto maturato per ogni individuo diverso, come un processo personalizzato anche
a livello operativo, questo per dargli una funzione efficace che è quella di
riqualificare le figure genitoriali e ridefinire il contesto in cui il minore è adatto a
vivere.
1
Difficoltà date da varie motivazioni tra cui le principali risultano essere: problema di condotta dei genitori in
particolare tossicodipendenza, problemi psichici, detenzione, grosse difficoltà lavorative ed economiche, situazione di
clandestinità o profughi, incuria, violenza.
2
Art.5 […] “L’affidatario deve agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori e favorire il reinserimento nella
famiglia di origine”.
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L’affidamento è l’affermazione di un diritto: quello di salvare un bambino e la sua
famiglia, in attesa di un cambiamento di quest’ultima.
1. FAMIGLIA E AFFIDAMENTO FAMILIARE
La famiglia è, dal punto di vista umano, la struttura dedicata alla crescita e
all’educazione; è un luogo di relazioni forti, spontanee, positive e negative, ma
comunque relazioni importanti che diventano dei punti fermi nella nostra esistenza.
La famiglia è da sempre la prima “agenzia” educativa, che dovrebbe avere la capacità
di progettare e di offrire contesti di esperienza tali da corrispondere al meglio alle
potenzialità sociali e conoscitive dei bambini.
Dalla teorie psicologiche ci provengono molte indicazioni riguardanti l’attaccamento
materno o l’affettività nel bambino, possiamo citare Bowlby che trovò una
correlazione tra scadenti condizioni di vita, in particolare carenza di cure materne, e
sofferenza psichica: l’abbandono o il rifiuto incidono sulla salute mentale. Questa
posizione non vuole sostenere che deficit nello sviluppo del sistema di attaccamento
siano responsabili di ogni sorta di danno, ma che possano influire in tal senso.
Sostiene che esperienze di separazione, abbandono o perdita tendono a ridurre le
occasioni di apprendimento di strategie di modulazione autonoma delle emozioni, i
cui fattori correlati sembrano essere bassa autostima, scarsa fiducia in sé stessi e negli
altri, dipendenza o, al contrario, autosufficienza compulsiva.
Ancor meglio Winnicott si è dedicato allo studio dello sviluppo affettivo del
bambino, sostenendo l’importanza della relazione madre-bambino nello sviluppo
dell’individuo e della famiglia. Si rese conto che il bambino ha una competenza
innata a cercare relazioni con l’ambiente, ed è in grado di dare a queste un significato
positivo o negativo. L’esperienza relazionale lascia comunque delle tracce che
possono essere anche queste positive o negative, ma che rimangono comunque come
memoria ed hanno a che fare con il consolidamento di sé.
Si parla quindi di sintonizzazione affettiva quando le relazioni permettono un rapporto
funzionale e sintonico; è invece di interazione affettiva negativa quando il contatto
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affettivo con l’ambiente produce sofferenza, eccesso di tensione, incomprensione ed
il bambino cerca di uscire da questa situazione di disagio attraverso l’isolamento.
La rilevazione situazionale, esposta più avanti, ne è una dimostrazione perché il
bambino protagonista ha avuto una disturbata relazione materna, in cui cioè la madre
era affettivamente sorda, ha avuto uno stile di rapporto inadeguato, creandogli un
vuoto affettivo interiore, non acquisendo fiducia in sé stesso e nella propria
effettualità, questo lo ha portato all’allontanamento dal mondo circostante.
Diversi studi e ricerche hanno dimostrato quanto l’affidamento familiare sia
preferibile all’istituzionalizzazione dei minori. Alla conferenza internazionale sui
minori e famiglie vulnerabili tenutasi a Padova nel marzo 2008, si parlò di uno studio
inglese secondo cui: “…i bambini in assistenza residenziale presso istituti di
accoglienza, hanno maggiore probabilità di avere disturbi mentali rispetto a quelli
inseriti presso famiglie o parenti (72% contro il 32%)”.
Questa indagine, condotta in Inghilterra, sulla salute mentale dei bambini in
assistenza residenziale presso un istituto, dimostra che i “disturbi del
comportamento” sono quelli predominanti
3
, e che questi stessi bambini hanno
maggiori probabilità di avere anche altri problemi. Nello studio sostengono infatti
che: “…più di tre quarti hanno almeno un problema fisico, ed è due volte più
probabile che abbiano anche grosse difficoltà negli apprendimenti”.
Lo scopo dell’affidamento familiare non è quello di mettere in competizione la
famiglia d’origine e quella affidataria (dove l’una appare come cattiva e l’altra
buona) ma quello di far vivere il bambino in una rete relazionale di aiuto per sé e la
sua famiglia. Poiché questo è un intervento a favore del minore e della sua famiglia, i
servizi sociali devono intervenire aiutando a comprendere e poi a risolvere i problemi
che hanno causato l’allontanamento temporaneo del figlio
4
, tenendo conto che
3
“Il 60% presenta disturbi della sfera emotiva e disturbi legati all’iperattività”.
4
Art. 5 Legge n.149 del 2001, comma 2,4 (vedi allegato 2) :
2. Il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del
caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro
nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre
strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari.
4. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie
dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria.
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l’obiettivo principale è il reinserimento del bambino nel suo nucleo d’origine, per
questo è importante un intervento mirato all’accompagnamento e al sostegno della
coppia genitoriale. Si cercherà di decolpevolizzare la famiglia d’origine (“..non è
perché tu sei un cattivo genitore che il bambino è affidato ad altri..”) di rassicurarla
perché comunque gli affidatari integrano e non sostituiscono la famiglia naturale, e di
evidenziare che il vero interesse è la crescita ed educazione del bambino a cui loro
vogliono bene.
La famiglia affidataria d’altro canto deve essere informata, formata e sostenuta, per
un compito e un percorso così delicato che dovrà intraprendere con il minore e che
richiede un forte investimento emotivo.
2. L’INCONTRO CON LA FAMIGLIA AFFIDATARIA
L’affido è un processo molto delicato che genera nei suoi protagonisti diretti,
bambino e famiglie, processi psicosociali e dinamiche emozionali molto complesse.
Quando il bambino o ragazzo entra nella famiglia affidataria, la situazione è
complessa perché trovandosi in un contesto nuovo, tende a vivere l’esperienza
dell’affido come un vero e proprio lutto. La difficoltà maggiore consiste, non solo nel
dover accettare la perdita (anche se temporanea) della figura materna, ma soprattutto
nel dover riorganizzare il comportamento di attaccamento e dirigerlo verso nuove
figure. In questo caso il bambino vive un forte disagio in quanto “la scelta di famiglia
che gli viene sostanzialmente richiesta non lo aiuterà ad uscire dal suo disagio, ma lo
caricherà di problemi di lealtà, di sensi di colpa e di timori di abbandono”
(Dell’Antonio, 1989).
Nell’accoglienza di minori, che si attua con l’affido, è necessario porsi consciamente
delle mete, significa porsi una responsabilità formativa ed accettare di essere al
contempo formati. Accade il medesimo processo con i figli naturali: essi sono formati
nella famiglia e la famiglia è da loro formata con la differenza che in questo caso
hanno un impatto naturale perché rientra nella normalità degli avvenimenti. Nel caso
di una situazione di affido l’impatto empatico è molto forte e meno naturale: il