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Introduzione
La persona umana è disabile, è opera, è arte.
Disabile perché fatica ad essere integrata in un contesto moderno
Opera perché unica e irripetibile, ma proprio per questo comune
Arte perché gioca: sempre presente, sempre sfuggente.
Anna ci ha conosciuti prima che noi la ritagliassimo come un collage più o
meno strutturato per darle la forma che meglio ci convinceva su queste pagine.
Lei ha attraversato sin da quando era bambina i nostri corpi, sentendo le nostre
paure, percependo tensioni e imbarazzi, scoprendo, giorno per giorno, nei nostri
normalissimi sguardi, la sua diversità. Se solo avessimo avuto la capacità di
cogliere i suoi occhi di bambina, forse non le avremmo buttato addosso
l’estreneità di se stessa con il terrore delle nostre sclere sgranate: ma oramai
Anna è qui. Disabile dichiarata, certificata, assunta a tempo indeterminato.
La scuola può offrire a giovani come Anna una nuova possibilità: quella di
sentir emergere il proprio essere, la propria essenza; di poter esprimere,
emozionarsi, incontrare, aver di nuovo fiducia nell’altro. Ai giovani comuni
invece, la possibilità di poterli incontrare. Agli insegnanti come noi,
l’importanza di saperli curare.
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La poesia e l’arte non traducono/tradiscono mai, loro restituiscono soltanto con
uno sguardo simbolico, per questo raccontano con la stessa forma sempre
qualcosa di diverso ad ognuno. In questo breve testo era importante invece
cercare di analizzare e tradurre emozioni, osservazioni, riflessioni attraverso un
linguaggio definito e riconosciuto. Si è tentato di non tradirle.
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Si fa riferimento all’ atto della cura come elaborato nella Pratica dell’aver cura, dove
Lizzola relaziona alla persona disabile e quella normodotata il rapporto di cura
empatica in quanto apertura all’altro.
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1. QUADRO GENERALE
Il processo d’insegnamento/apprendimento trova nelle realtà della fragilità,
della differenza e della disabilità un terreno delicato e complesso nel quale
muoversi; il valore dell’approccio pedagogico, il come ci si pone di fronte e
dentro tali dinamiche è il punto di partenza dal quale muoversi, analizzandone le
istanze, per sviluppare ipotesi didattiche in specifici contesti educativi.
Occorrerà quindi capire quali categorie di lettura si incontrano nella realtà
scolastica verso la dimensione della disabilità, che differenze scaturiscono dai
diversi approcci culturali nella relazione con il disabile, e come poter strutturare,
con maggior efficacia possibile, un percorso educativo volto a valorizzare il
disabile nel pieno rispetto della cultura della persona.
Gli ambiti della salute, il corpo, le relazioni, i diritti, le normative presenti nella
scuola e l’extra-scuola, tra famiglie, studenti, insegnanti e realtà sociali esterne,
è la dimensione nella quale far crescere la consapevolezza dell’azione
educativa. Il concetto della disabilità è stato oggetto di varie e approfondite
analisi che toccano ambiti differenti ma convergenti verso un unico obiettivo:
quello dell’integrazione; della diversità, della marginalità, della devianza.
Diversità e integrazione
Particolare attenzione meritano quindi i concetti di diversità e di integrazione.
In un contesto socio culturale dove la visione della diversità si traduce spesso
come valenza negativa della mancanza rispetto alla normalità (intesa in senso
statico-positivo, tranquillizzante, stabilizzante) ci si dovrà rifare al valore
complesso e dinamico della diversità della persona, in quanto essere unico e
irripetibile, e proprio per questo uguale a tutti gli altri. Diversità/uguaglianza in
rapporto dunque come i due lati opposti della stessa realtà; lati che nella loro
continua compenetrazione danno spazio ad una crescita e valorizzazione
personale dell’essere. Il principio della personalizzazione si muove quindi nella
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direzione della complessità, dell’unicità, del profondo rispetto verso ciò che, in
quanto opera, è da intendersi in senso dinamico, mutante, vivo.
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Il disabile, in questa prospettiva, esattamente come tutti, risulta essere diverso e
uguale simultaneamente; diverso in quanto portatore della sua individualità (ed
ogni individualità è presenza/mancanza), ed uguale a tutte le diverse
individualità d’ognuno. L’attenzione particolare nella prassi educativa dovrà
allora soffermarsi su questo delicato aspetto, che crea cristallizzazioni
relazionali la dove tende a segnare un limite valutativo tra diversità inquadrate,
identificate e quindi ri-conoscibili/ri-conducibili alla norma, e diversità
sconosciute e quindi esclusive/escluse
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Una soglia, dunque, che si esemplifica nelle visioni pedagogiche di
naturalizzazione, intellettualizzazione e individualizzazione. Identificare la
persona attraverso la sua mancanza senza saper sentire la sua presenza significa,
infatti, essere incapaci di coglierne la complessità: ciò che si legge in quanto
mancanza è frutto della contestualizzazione socio/culturale che stabilizza valori
e dis-valori dell’essere. In questa direzione l’approccio tende a individuare
aspetti specifici della persona, frammentandone l’essenza, relazionandola a
criteri di efficienza cristallizzati. Accade così che il disabile sia percepito nella
sua disabilità come uomo da eteroeducare (naturalizzazione), vissuto nella
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E’ interessante riflettere sul significato del termine persona che, lo vediamo
nell’analisi di Bertagna, rispecchia sempre un movimento, un’ambivalenza, una
doppiezza valoriale tesa all’energia dell’essenza che si es-prime.
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porre la diversità dentro una dimensione di distanza dalla normalità, colmabile
attraverso una serie di espedienti di normalizzazione, è tutt’altra cosa rispetto al
saper cogliere nella diversità il potenziale dello sconosciuto da conoscere. Da un lato
si tenderà a lavorare verso la inclusione del diverso (governandolo), dall’altro si
cercherà di aprirsi alla contaminazione della diversità (comprendendola) in quanto
qualcosa che si muove in altra direzione, sconosciuta appunto, e quindi non ri-
conoscibile, ma proprio per questo aperta solo alla conoscenza. L’approccio è
radicalmente opposto perché in questo caso ci si pone di fronte alla diversità nel
rispetto della differenza, senza individuarne dis-valori, mancanze. Il disabile sarà il di-
verso del quale non si tenterà di riconoscere e sviluppare solo gli aspetti che
risultano vicini alla normalità, ma di comprendere la specificità della differenza, che
non è mancanza, ma arricchimento.
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specifica valenza del suo limite da sanare e medicalizzare (intellettualizzazione)
o identificato nella rigidità ed isolato nel suo limite cognitivo/relazionale
(individualizzazione). Nonostante tali visioni tendano all’attenzione verso la
disabilità, e nella realtà scolastica vengano ampliamente adottate, risultano,
nella pratica, dinamica di inclusione parcellizzata, inficiata da una distorsione
del significato stesso di disabilità, di valori e dis-valori sociali. Si ha allora
un’azione pratico/educativa che include per normalizzare, omologare,
identificare, cancellando o evitando ogni elemento di devianza, marginalità,
differenza. Pratica che non apre al diverso, al nuovo, all’inesplorato e
all’inconsueto con ansia conoscitiva, ma che attiva direttive compartimentate
uniformanti, limitanti, e spesso denigranti rispetto alla intima essenza d’ognuno.
Se dunque l’obiettivo delle azioni pedagogiche è l’in tegrazion e delle diversità
sarà utile inoltre, approfondire dove gli slittamenti concettuali del termine stesso
portano a confonderne la finalità. Cosa significa lavorare in una realtà sociale
per aiutare l’integrazione? Capire quale significato ha, nei diversi contesti, voler
integrare l’altro, può aiutarci a comprendere quale visione pedagogica sia
sottintesa nell’azione educativa. Esiste una grande distanza tra integrare dentro
la propria norma per normalizzare il diverso e integrarsi in una realtà per
arricchirla modificandola. L’integrazione di cui spesso si legge nella normativa
scolastica, nei programmi, nei percorsi educativi, tende a voler assorbire il
disabile purificandolo dai suoi errori.
Tale approccio specifico verso la disabilità rimanda inoltre ad una visone
complessiva della relazione dell’essere al mondo: la visione della conoscenza
attraverso l’iperspecializzazione, la frammentazione e compartimentazione del
sapere, la logica disgiuntiva che ne è fondante, pongono l’essere al mondo,
come conclusione ultima del suo processo, attraverso l’annichilimento
dell’emotività. E’ una visione di essere umano che, partendo da una
antropologia filosofica di tipo dualistico di stampo cartesiano (res cogitans, res
extensa) si è evoluta nella radicale svalutazione della complessità umana
attraverso il paradigma scientifico moderno. La pedagogia dell’uomo è
movimento meccanico strutturato su binari divergenti: il corpo-mano e la
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mente-testa allontanano l’inscindibile potenza creativa attraverso una
divergenza costretta. Allo stesso modo diversità e normalità, errore e regola,
arte e scienza, dis-abile e abile. In estremo questi binari possono proseguire in
un parallelismo più ideologico che sostanziale, costretti poi alla continua
prevaricazione/rivendicazione dell’uno sull’altro. Il senso della convergenza,
del tutt’uno, della prolifica compenetrazione delle grandi istanze filosofiche,
culturali, sociali, è inapplicabile in una realtà frammentata. E’ utile riflettere sul
significato dell’’unione in una realtà sociale ed economica che fa della
distinzione/separazione il suo valore produttivo.
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Come porsi in relazione ed entrare in empatia diventa quindi l’aspetto
fondamentale per conoscere in modo complesso la dimensione specifica della
disabilità. Raggiungere la consapevolezza del contesto sociale nella sua grande
complessità per sapervi relazionare lo specifico caso di disabilità è propedeutico
a qualsiasi azione educativa.
Avere una conoscenza complessa dell’ambiente significa saperlo osservare,
analizzare, sentire: saper individuare nei diversi ambiti che lo compongono
(sociali, normativi, espressivi, logistici, economici etc) il filo conduttore che
può e deve tessere relazioni sinergiche volte all’unità del percorso e
dell’obiettivo. La visione della persona si muove in questa direzione toccando
ambiti apparentemente distanti ma profondamente legati da un fare comune: la
crescita della persona nella sua complessità relazionale.
La normativa che in Italia regolamenta la dimensione dell’handicap e
dell’integrazione sia nel contesto scolastico che nella realtà sociale complessiva
offre un quadro attento e sensibile alla visione del disabile in quanto persona. La
104 Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate, il dpr 24.02.94 sull’iter d’integrazioone scolastica e la
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in particolare si intende sottolineare in questo ambito la produttività della
conoscenza che, dove porta ad una spendibilità del prodotto acquisisce un senso,
dove invece porta ad una sostenibilità del processo perde di valore. Si pensi per
esempio alla poca valorizzazione che viene data alla conoscenza espressivo/artistica
nell’ambito scolastico; il liceo artistico è ancor oggi considerato poco valido perché
non spendibile in termini di titolo di studio e vincolato dal retaggio culturale d’esser il
liceo dei fannulloni
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328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali strutturano complessivamente una visione specifica della
disabilità contestualizzata nel tessuto sociale, defininendo la persona
handicappata come persona svantaggiata, dandole diritti d’integrazione nei
differenti ambiti, fornendo, attraverso la concertazione, l’efficienza della rete a
sostegno del disabile nel contesto locale.
Ma, come spesso accade, le leggi anticipano ciò che una società ancora non ha
interiorizzato, e nello specifico della disabilità, sono molti gli aspetti profondi
che ancora escludono, allontanano coloro che sono differenti, diversi, e la cui
vicinanza porterebbe ad uno sconvolgimento del proprio essere al mondo.
Allargando lo sguardo, portandolo oltre la disabilità, si scorge una costellazione
di diversità e marginalità che rispecchiano l’incapacità culturale d’essere com-
prese. L’azione di prevaricazione sul debole, il fragile, l’improduttivo, sono
sempre incombenti anche in situazioni apparentemente protette, anche dove
leggi e strutture sembrano preservare dal sopruso; anche nella scuola, dove il
giovane disabile, circondato da competenze e normative, dovrebbe trovare
invece un’accoglienza inclusiva e vivificante.