Capitolo I : I principi generali del diritto penale
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Paragrafo 1 : Il principio di legalità
1.1 : Nullum crimen, nulla poena sine lege: questa la
formulazione più nota del principio di legalità, formulazione che,
contenendo l'essenza del principio, è contemporaneamente
propedeutica ad ogni dissertazione intorno ad esso e sintetica di tutto
ciò che si verrà a dire; tale capacità di fungere da stella polare tanto
per il giurista in erba (lo studente al primo approccio con la materia),
quanto per lo studioso che intende andare a fondo nello studio della
stessa; di rimanere scolpita nella mente sin dalla prima lettura,
consentendo un'immediatezza nella percezione quasi visiva, sono doti
che verrebbe spontaneo attribuire ad un brocardo latino, riconducendo
tale limpida formulazione del principio al diritto romano.
In realtà presso i romani non sussisteva affatto il rigoroso
divieto di punire fatti non espressamente previsti dalla legge come
reati, tant'è che il ricorso all'analogia fu quasi sempre ammesso ed un
ampio margine di discrezionalità sussisteva tanto nell'ambito della
coercitio, quanto della poenitio; dunque per quanto nelle fonti
giustinianee fossero frequenti le esortazioni a giudicare secondo le
leggi, le costituzioni e le consuetudini non si può assolutamente far
Capitolo I : I principi generali del diritto penale
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risalire a tale epoca la nascita del principio
1
. Nel Medioevo poi, tranne
che forse nell'età comunale, dell'analogia in materia penale fu fatto
uso ed abuso, laddove i confini tra i diversi poteri andavano
scomparendo ed il diritto diventava strumento di potere e di
sopraffazione
2
.
La reazione ad una situazione siffatta che, tranne poche
eccezioni limitate nel tempo e nello spazio, si è trascinata fino a tutto
il '600, scoppiò nel diciottesimo secolo nell'ambito della rivoluzione
illuminista: è infatti Feuerbach l'autore dell'aforisma nullum crimen
sine lege, anche se già Montesquieu aveva teorizzato la necessità di
una rigorosa separazione dei poteri all'interno della quale il compito
del giudice sarebbe stato esclusivamente quello di applicare la legge
creata in altra sede dal potere legislativo; profonde ragioni politiche
erano alla base del suo pensiero che mirava alla costruzione di uno
1
G.VASSALLI, Nullum crimen sine lege, in NOVISSIMO DIGESTO ITALIANO, 1957, VOL XIX,
p.493 e ss; contra cfr. PETROCELLI, Appunti sul principio di legalità, in SAGGI DI DIRITTO
PENALE, Padova 1957, p.185 e ss: l'autore afferma che il principio di legalità nasce "con lo stesso
sorgere della civiltà e dei civili ordinamenti" e dunque sussisteva già presso i romani e nell'età di
mezzo - almeno dal punto di vista teorico - ; l'autore ritiene che le violazioni perpetrate in via
continuativa ad esso durante tali epoche vadano ricondotte a ragioni storico - politiche che non
inficiano la (almeno) teorica sussistenza di esso nell'ordinamento.
2
Per un punto di vita lievemente differente cfr. F.MANTOVANI, Il diritto penale, terza edizione,
p.40: “Benché l’istanza legalitaria trovi precedenti storici anche nel diritto romano, in quello
comunale e nella criminalistica medievale, ed una più puntuale anticipazione nella Magna Charta
libertatum di Re Giovanni d’Inghilterra (1215), il moderno principio di legalità fu una conquista
del pensiero illuministico – liberale quale reazione allo strapotere dello Stato di polizia e nuova
garanzia per il cittadino.”
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stato liberale, i cui pilastri fossero giustappunto i tre poteri
assolutamente separati tra di loro; il principale contributo dell'autore
francese all'affermazione del principio di legalità consiste nell'avere
egli indicato come criterio di razionalizzazione di ogni sistema penale
la individuazione di leggi fisse e stabili, prodotte da un potere diverso
da quello giudicante e da quello esecutivo, precostituite alla
commissione del fatto; le leggi penali che rispettano tali parametri
sono, secondo l'autore, leggi buone, che garantiscono la sicurezza del
cittadino e, quindi, in ultima analisi la sua libertà
3
.
A tal proposito Franz von Listz afferma "i principi del nullum
crimen, nulla poena sine lege sono il baluardo del cittadino contro
l'onnipotenza statale e tutelano il singolo contro la forza brutale della
maggioranza, contro il Leviatano"
4
.
Feuerbach focalizza invece l'attenzione, nel momento in cui
formula tale principio, piuttosto sulla funzione intimidatrice della
pena, che non trova modo di operare se non in presenza di precise
norme incriminatrici, immediatamente individuabili dalla comunità
dei cittadini ed in grado di fungere da controspinta psicologica alla
3
Sulla genesi "non strettamente penalistica, ma squisitamente politica" del principio di legalità cfr.
G.FIANDACA - E.MUSCO, Diritto penale, parte generale, seconda edizione, p.55 e ss.
4
FRANZ VON LISTZ "Die determinisichen Gegner der Zwechstafe", in G.VASSALLI. cit., p.502
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volontà di delinquere: "grazie a tale impostazione, il principio di
legalità trova una coerente giustificazione di ordine scientifico, di
natura interna al sistema penalistico, rimanendo al contempo chiara la
connessione con i principi liberal - democratici dell'Illuminismo di cui
Feuerbach fu un eminente rappresentante"
5
.
Dalla fine del diciottesimo secolo in poi, in realtà, tranne rare
eccezioni come, ad esempio, la Danimarca, il principio del nullum
crimen fu generalmente accettato in tutte le legislazioni continentali e,
a ben riflettere, per quanto il sistema di common law sia strutturato in
maniera completamente diversa, la forza cogente del precedente e la
sua stringente vincolatività possono paragonarsi, forse, a quelle della
legge e, dunque, può ipotizzarsi un sostanziale parallelismo tra esse ed
il principio del nullum crimen
6
.
La storia ci ha fatto però conoscere anche due vicende - la
rivoluzione nazional - socialista e quella comunista - che, nella loro
apparente diversità, anzi contrapposizione, presentano tra i tanti profili
comuni, anche quello di aver completamente ribaltato il principio del
nullum crimen (almeno in un primo momento per ciò che attiene la
5
G.FIANDACA - E.MUSCO, cit., p.56.
6
Cfr. sul punto F.MANTOVANI, cit., p.41 “…il principio di legalità impronta anche gli ordinamenti
anglosassoni, dove la certezza del diritto riposa non sulla legge scritta, ma pur sempre sulla
vincolatività delle regole dettate dai precedenti giudiziali e dalla consuetudine”.
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Russia), elevando a sistema il ricorso all'analogia per fini prettamente
politici. "La negazione del principio di legalità da parte di regimi
dispotici si spiega perfettamente col fatto che essi, anziché considerare
la pena come una sanzione di giustizia, tendono a farne uno dei mezzi
di costrizione della libertà del cittadino, nell'intento di colpire,
indipendentemente da ogni regola prestabilita, ogni comportamento
che non convenga ai fini del tiranno o della fazione che si è
impadronita del potere"
7
. Ovviamente tale dato s'inserisce ed andrebbe
valutato in un più ampio contesto d'analisi che esula dalla materia in
esame…
Terminate, in maniere ed in momenti diversi, le esperienze in
questione le norme abrogatrici del nullum crimen furono eliminate ed
attualmente in entrambi gli stati il principio è pienamente vigente.
Da non dimenticare è anche l'esperienza dei tribunali
internazionali contro i crimini di guerra, istituiti all'indomani della
seconda guerra mondiale per il giudizio contro i criminali di guerra
tedeschi e giapponesi: tali tribunali furono oggetto di numerose
critiche poiché si riteneva da alcuni che il loro operato violasse
palesemente il principio del nullum crimen ed in particolare
7
B.PETROCELLI, cit., p.187.
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l'irretroattività della legge penale, il divieto di ricorrere alla
consuetudine come fonte del diritto penale ed il divieto di far ricorso
all'analogia. Sebbene sia incontestabile che ciò sia effettivamente
avvenuto, parte della dottrina lo giustifica rilevando che si tratta di un
contesto del tutto sui generis cui non possono essere applicate le
normali categorie penalistiche, infatti: richiedere un'irretroattività
della legge penale in tale caso avrebbe significato lasciare impuniti
una serie impressionante di gravissimi crimini, anche perché le
consuetudini internazionali hanno fornito una base sufficientemente
rigorosa e salda per l'individuazione delle fattispecie da punire e dei
limiti da osservare, così come il ricorso all'analogia si è profilato
necessario per evitare che esperienze nuove ed imprevedibili
rimanessero impunite
8
.
Per quanto tali rilievi possano apparire condivisibili è
importante affermare in ogni caso l'inopportunità di allontanarsi da un
principio, qual è quello di legalità, universalmente accettato ed
affermato dal diritto interno e da quello internazionale: i crimini
commessi durante la seconda guerra mondiale, o in tempi più recenti
nella ex - Jugoslavia, sono sicuramente tremendi ed efferati e ci
8
G.VASSALLI, cit., p.501 - 502.
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appaiono ancor di più come tali a causa delle loro enormi dimensioni,
ma sono pur tuttavia crimini che colpiscono beni ordinariamente
tutelati dallo Stato e dalla comunità internazionale con strumenti che,
se applicati con fermezza ed immediatezza, si rivelano efficaci anche
in contesti straordinari.
In buona sostanza non bisogna avallare con giustificazioni
teoriche nessun allontanamento dal principio di legalità (e dagli altri
principi fondamentali che andremo ad enucleare) sulla base di
considerazioni storiche eticizzanti, per non aprire la strada a possibili
strumentalizzazioni future ad uso di ben diversi fini.
Nel diritto italiano, il principio di legalità, che già fece il suo
ingresso nei codici penali preunitari e fu sancito nello Statuto del
1848, trovò solenne consacrazione nel codice liberale del 1889 (art.1).
Nonostante l’avvento del nuovo regime autoritario, sopravvisse anche
nel codice del 1930, con identica formulazione rispetto a quella
attuale, ma con ben altra ratio ispiratrice: infatti il principio di legalità
fu concepito dal codice Rocco anche e soprattutto in funzione
autoritaria, antilluministica ed antigiusnaturalistica, quale
affermazione del primato delle legge in uno Stato autoritario, che non
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ammetteva altra fonte di diritto se non le leggi da esso emanate,
manifestazioni uniche ed inderogabili della sua volontà
9
.
Oggi in Italia la sussistenza del principio di legalità si appalesa
sia in Costituzione, che nella legge: l'art.25, secondo comma, Cost.
recita infatti "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge
che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"; l'art.1 c.p.
afferma "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente preveduto dalla legge come reato, né con pene che non
siano da essa stabilite" e l'art.2, primo comma, c.p. interviene a
specificare "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la
legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato"; ed ancora
l'art.14 disp.prel. al c.c. sancisce: "Le leggi penali e quelle che fanno
eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi
ed i termini in esse considerati".
Dunque i profili in cui si articola il principio sono molteplici ed
è opportuno analizzarli singolarmente.
9
F.MANTOVANI, cit., p.42.
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1.2 : Riserva assoluta di legge
Una valida analisi dell'art.25 cpv. Cost. può forse cominciare
dalla collocazione di esso all'interno della Costituzione nella parte
prima ("Diritti e doveri dei cittadini"), titolo primo ("Rapporti civili"):
evidentemente esso viene posto tra i fondamenti della tutela della
libertà del singolo contro arbitrarie limitazioni di essa. D'altro canto il
principio era già sancito, e con maggior precisione, dall'art.1 del c.p.,
il quale parla di "previsione espressa di legge", facendo pensare ad
una riserva assoluta e quindi "prospettando la necessità di un'espressa
previsione del reato da parte della legge non soltanto come una
garanzia di tassatività, ma altresì di integrale formulazione della
fattispecie da parte della medesima"
10
; quando invece la più elastica
dizione costituzionale non sembrerebbe escludere, prima facie, una
riserva solo relativa.
E' tuttavia da sottolineare come, in epoca precostituzionale, la
sussistenza di una riserva assoluta - qual è quella fissata dall'art.1 c.p.
- aveva scarso valore pratico poiché, essendo lo Statuto Albertino una
costituzione flessibile, la legge poteva porre qualsiasi deroga a se
10
F.BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, I, Milano 1956, p.233.
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stessa, non avendo alcun limite esterno (ed era alquanto frequente la
normazione in materia penale ad opera di regolamenti delegati). In un
ordinamento a Costituzione rigida, invece, assume tutt'altro valore la
determinazione del carattere della riserva che, essendo stata statuita
dalla nostra legge fondamentale, non ammette deroga alcuna.
Per decidere se l'interpretazione esatta sia a favore del carattere
assoluto o relativo della riserva è opportuno porre attenzione a quello
che è il fondamento della riserva stessa: alcuni autori lo rinvengono in
esigenze di certezza del diritto che, si afferma, sarebbero ben garantite
da una riserva anche solo relativa, in quanto la fonte regolamentare
può offrire, da questo punto di vista, le stesse garanzie della legge
ordinaria. Tuttavia, a parte il rilievo che non sono esigenze di certezza
del diritto a fondare il principio della riserva di legge, bensì esigenze
di massima garanzia per il cittadino, chi afferma tale tesi dimentica
che tramite l'ammissione di una riserva relativa si apre la porta non
solo alla fonte regolamentare, ma anche alla consuetudine ed alla
discrezionalità del giudice ed entrambe non soddisfano affatto
esigenze di certezza.
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Ritornando al fondamento della riserva di legge, esso può
sicuramente rinvenirsi in esigenze di tutela della libertà del cittadino e,
dunque, la riserva non può che essere assoluta in quanto la legge, e gli
atti ad essa equiparati, forniscono le massime garanzie politiche -
considerata l'ampia rappresentatività del potere legislativo - e tecniche
- considerata la complessità dell'iter legislativo; d'altro canto "la
disposizione costituzionale non può che avere un contenuto
significativo corrispondente a quello della disposizione codicistica: se
è vero che il legislatore costituente del 1948 si proponeva di
reintrodurre tutte le garanzie politiche dei diritti di libertà proprie della
tradizione liberal - democratica, sarebbe contraddittorio ritenere che
nel procedere alla costituzionalizzazione del nullum crimen sine lege
egli non intendesse recuperarne tutte le dimensioni garantistiche"
11
.
Dunque la normazione in materia penale è affidata alla legge,
intesa in senso sostanziale, poiché decreti legge e decreti legislativi
prevedono, per quanto in materia differente, un essenziale ruolo del
Parlamento nella loro formazione e dunque le esigenze di massima
garanzia sono pienamente soddisfatte anche con tali strumenti
12
.
11
G.FIANDACA - E.MUSCO, cit., p57; sul punto cfr. anche BRICOLA, cit., p.229 e ss..
12
Per una diversa visione sulla portata garantistica di decreti legge e decreti legislativi cfr.
G.FIANDACA - E.MUSCO, cit., p.61.
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Posto che fonte del diritto penale può essere solo la legge intesa
in senso sostanziale, non è tuttavia da ritenersi lesivo del principio di
legalità il rinvio che eventualmente la stessa possa fare ad una
qualsiasi altra fonte, al fine di meglio delineare i connotati del fatto
tipico di reato; infatti la previsione di una riserva assoluta significa
aver rimesso al legislatore, da parte del Costituente, la scelta di ciò che
è penalmente rilevante e la fissazione del rapporto tra la commissione
di un determinato fatto e la comminazione, da parte dell'ordinamento,
di una sanzione: ciò non esclude tuttavia che il contenuto della
prescrizione possa essere specificato facendo riferimento ad una fonte,
anche extra - penale, senza che ciò significhi degrado della stessa al
rango di mero presupposto di fatto
13
.
Per ciò che concerne in particolare il ruolo dei regolamenti
governativi, essi possono intervenire laddove "la norma penale indichi
già di per sé la sfera di significati di disvalore che intende ricoprire"
14
,
cosicché ad essi sia rimesso un intervento "tecnico" per la
specificazione ed eventualmente l'aggiornamento dei comportamenti
negativi previsti dalla legge in base a criteri obiettivi e predeterminati;
13
Sull'inopportunità di degradare la fonte regolamentare a mero presupposto di fatto, al fine di
giustificare il ricorso ad essa nella configurazione del modello di reato, cfr. G.FIANDACA -
E.MUSCO, cit., p.59.
14
F.BRICOLA, Teoria generale del reato, in NOVISSIMO DIGESTO ITALIANO, vol. XIX, p.43.
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peraltro un tale apporto da parte della fonte secondaria appare
indispensabile, specie nei settori della legislazione speciale
caratterizzati da complessità tecnica e bisognosi di continuo
aggiornamento (es. classificazione di una sostanza come
"stupefacente"). In definitiva ogni scelta caratterizzante, ogni
fondamentale aspetto politico della norma penale sono di competenza
esclusiva del legislatore: la fonte sub – legislativa, in settori
particolarmente tecnici ed in rapporto, per esempio, a precise esigenze
di aggiornamento, può tuttavia essere chiamata a svolgere un compito
limitato, ma prezioso nel conferire alla descrizione dell’illecito –
sempre e solo nel solco da essa tracciato – quella precisione di
espressione e quella puntualizzazione della regola di condotta che
emergono quale sviluppo obbligato del principio di legalità
15
.
Per ciò che attiene alla ormai non più attuale questione circa la
potestà normativa delle regioni in campo penale, entro i limiti
dell'art.117 Cost., giova solo ricordare le ragioni per cui essa è stata
esclusa, che sono talmente forti, da permettere di archiviare
l'argomento: in primis una normativa penale che presentasse una
15
Cfr. sul punto M.ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Milano 1987, vol. I,
art.1, p.28 e ss.; l’autore, argomentando come sopra conclude affermando che “entro questi
circoscritti confini, ha un suo innegabile significato anche l’idea – guida della riserva relativa”.
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diversificazione su base territoriale sarebbe lesiva del principio di
uguaglianza sancito nell'art.3 Cost.; inoltre l'art.120 Cost. impedisce
alle regioni di "adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi
modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le regioni" e
di "limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualsiasi parte del
territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro": non si vede
come, a fronte di tali limiti, la normativa regionale potrebbe poi
arrogarsi il diritto di sancirne di molto più penetranti - quali sono
quelli in materia penale -.
Argomentando poi ex art.5 Cost., si rileva come un eventuale
pluralismo di fonti regionali contrasterebbe col principio dell'unità
politica dello Stato; ed infine è evidente l'inopportunità di affidare ai
Consigli regionali la facoltà di emanare norme limitative della libertà
personale a fronte della evidenziata ratio dell'art.25 Cost., che ci ha
portato ad escludere qualsiasi fonte che non sia la legge sostanziale
nazionale.
In diritto penale è poi assolutamente pacifica, proprio in forza
del principio di riserva di legge, l'inattitudine della consuetudine