5
percorso conoscitivo è complesso. Purtroppo, in realtà, occorre
premettere che, relativamente ai concetti di fanciullo e abuso
sessuale, non si è ancora delineata una definizione precisa e
condivisa. L’abuso sessuale minorile, ad esempio, viene per lo
più determinato in base ai diversi vertici di osservazione che
vengono di volta in volta privilegiati (l’abusante e/o l’abusato, il
contesto e/o l’azione abuso). Ne consegue che è possibile
distinguere l’abuso sessuale minorile commesso dai coetanei da
quello perpetrato dagli adulti, oppure distinguere se esso avviene
all’interno delle mura domestiche (abuso intrafamiliare) o fuori
di esse (abuso extrafamiliare), o se in esso vi sia stato contatto
fisico, ovvero “rapporti genitali” (contact abuse), oppure atti che
non abbiano implicato contatti fisici (non contact abuse) tra
vittima e aggressore, quali l’incontro con esibizionisti o l’invito
ad assistere ad attività sessuali. Ciononostante, ancora oggi le
violenze sessuali compiute sui bambini costituiscono dei
fenomeni sottostimati dai vari rapporti ufficiali di tutti i Paesi.
L’attuale incapacità che si riscontra nel comprendere realmente
l’entità e l’incidenza di questo fenomeno sociale deriva dalla
diversità dei metodi di rilevazione utilizzati.
A tal proposito, l’obiettivo generale che la presente tesi si è
proposta è quello di approfondire la conoscenza sul fenomeno
dell’abuso, partendo innanzitutto dal delineare un primo quadro
generale della situazione legislativa internazionale concernente la
tutela del fanciullo. Il fanciullo, infatti, è stato da sempre,
nell’arco della storia, soggetto ai dettami del mondo degli adulti;
6
la fanciullezza è un’età che ha assunto aspetti diversi a seconda
del momento storico e della cultura di riferimento. Occorre
riconoscere, però, i cambiamenti culturali che hanno
accompagnato le varie società, se da un lato hanno mantenuto
l’idea del bambino giuridicamente incapace, dall’altro gli hanno
accordato una maggiore protezione. Era, però, una protezione di
tipo paternalistico che rispecchiava la visione di un bambino
oggetto dei diritti che potevano essere esercitati o dalla famiglia
d’appartenenza o dalla persona che se ne prendeva cura. Questo
concetto, di cruciale importanza, ha costituito ed ancora oggi
costituisce il nodo problematico principale con cui tutte le misure
rivolte alla tutela dei fanciulli, e in particolare quelle relative alla
sfera sessuale, devono confrontarsi. Ritenere, infatti, i fanciulli
una categoria, oggetto di tutela e di protezione particolare,
comporta implicitamente il fatto di non ritenerli capaci ad
autoleggittimarsi autonomamente senza l'aiuto, il supporto, la
cura degli adulti. Questo principio, per quanto di immediata
condivisibilità, legittima di fatto, in molti ambiti e, fra questi,
l'ambito sessuale, un’attribuzione di incapacità che, come
vedremo, non è esente dal sollevare complicazioni concettuali e
giuridiche.
Si è, quindi, ritenuto altrettanto necessario affrontare, nella
seconda parte della tesi, una breve analisi di quelli che sono da
ritenersi i principali diritti fondamentali della persona e, nella
fattispecie, del fanciullo, senza la piena realizzazione dei quali,
un’adeguata tutela contro l’abuso sessuale sarebbe inattuabile.
7
Tale tesi ha avuto, infine, come conclusivo punto di
riferimento l'ordinamento giuridico italiano, dato che ogni Stato
ha caratteristiche peculiari proprie che determinano, di volta in
volta, modalità (e difficoltà) di attuazione diverse; lo scopo è
stato quello di individuare se, nel nostro ordinamento, già
esistano principi generali tendenzialmente assimilabili a quelli
contenuti nella Convenzione del 1989 sui Diritti del fanciullo,
con la conseguenza di rendere molto semplice l'applicazione
della stessa.
8
Capitolo primo: un problema di definizione
1.1.La definizione di diritto umano
La tutela dei diritti dell’uomo
1
può dirsi pienamente
assicurata solo da uno “Stato di diritto”, ossia che riconosca la
1
Per un corretto approccio al tema dei diritti umani e al fine di pervenire ad una definizione
degli stessi, è necessario innanzitutto ricordare le principali fonti che li disciplinano: il
diritto internazionale pubblico, nella cui branca rientra il diritto internazionale dei diritti
umani, il diritto nazionale pubblico e il diritto comunitario (Cfr. GILIMBERTI G.,
Strumenti internazionali sui diritti umani, Roma, Amnesty International, 1995, pp. 7-8).
Il diritto internazionale pubblico regola i rapporti fra gli Stati ed ha come fonti essenziali la
consuetudine e i trattati. Questi ultimi, il cui iter si conclude con la sottoscrizione da parte
dei rappresentati degli Stati e con la ratifica nelle forme previste dai singoli ordinamenti,
obbligano ogni contraente sul piano internazionale, ma non hanno di per sé alcuna efficacia
nell’ordinamento interno dei singoli Stati (Vedi CUOCOLO F., Istituzioni di diritto
pubblico, Milano, Giuffré Editore, 1995, p. 133).
A tale scopo, è necessario un ulteriore atto che adatti l’ordinamento interno a quello
internazionale, sebbene, naturalmente, non si possa sostenere che il diritto internazionale
vada applicato ad ogni costo all’interno di uno Stato, dovendo quest’ultimo tutelare alcuni
valori costituzionali.
Al vertice delle fonti dell’ordinamento giuridico nazionale, si trova infatti la Costituzione e
le leggi ad essa equiparate, denominate, con qualche ambiguità, leggi di revisione
costituzionale e leggi costituzionali, a cui fanno seguito le fonti cosiddette “primarie”,
incentrate sulla legge ordinaria e sugli atti ad essa equiparati, cioè decreti legislativi e
decreti legge.
Nell’ordinamento italiano, l’adattamento al diritto internazionale consuetudinario avviene a
livello costituzionale attraverso l’art. 10, 1° comma della Costituzione, secondo cui
“l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale,
generalmente riconosciute” (Vedi CONFORTI B., Diritto internazionale, Napoli,
Editoriale Scientifica, 1997, p. 305). Per ciò che concerne i diritti umani, tale norma è poi
ulteriormente rafforzata dall’art. 2, secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali…”; diversamente
che per il diritto internazionale generale, la nostra Costituzione non contiene invece una
norma generale che preveda l’adattamento ai trattati; quest’ultimo avviene, quindi, con un
atto ad hoc, un ordine di esecuzione dato con legge ordinaria, con cui si esprime la volontà
che il trattato sia eseguito ed applicato all’interno dello Stato senza riformularne le norme,
solitamente attraverso la formula “Piena ed intera esecuzione è data al Trattato X…”
(normalmente la stessa legge che, ai sensi dell’art. 80 della Costituzione, autorizza la
ratifica del trattato da parte del Capo dello Stato, contiene la formula della “piena ed intera
esecuzione”). E’ il caso della Dichiarazione universale dei diritti umani adottata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 con Ris. 217 A III, resa
esecutiva dall’Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848.
Analogo iter per ciò che concerne i trattati istitutivi delle organizzazioni internazionali e
delle Comunità europee, sebbene, in questo ultimo caso, a causa della presenza di elementi
che non si riscontrano nel diritto delle comuni organizzazioni, in quanto attinenti a vincoli
9
supremazia della legge e nel quale gli organi politici,
amministrativi e giudiziari funzionino non in modo arbitrario, ma
con regole stabilite dal diritto positivo.
In realtà, però, è solo alla fine della seconda guerra
mondiale che l’idea dei diritti dell’uomo ha preso, finalmente,
consistenza giuridica effettiva. Fino ad allora infatti, lo Stato,
unico soggetto di diritto internazionale, garantiva, se e come
voleva, diritti civili, politici e sociali ai cittadini.
Neppure la Società delle Nazioni (S.d.N.), creata dal
Trattato di Versailles nel 1919, ritenne la tutela dei diritti umani
una pre-condizione essenziale al mantenimento della pace,
considerando erroneamente tali diritti come materia coperta dal
dominio riservato degli Stati, la sfera più intima e intangibile
della sovranità.
Nel 1945, la Carta delle Nazioni Unite assegnò invece alla
nuova organizzazione internazionale destinata a succedere alla
S.d.N.
2
, il compito di “incoraggiare il rispetto dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali” (art. 1); quali fossero
di tipo federalistico, l’adattamento abbia finito col seguire tappe diverse da quello
dell’adattamento ai comuni trattati, giungendo a dare al diritto comunitario una prevalenza
e una precedenza sulle norme nazionali. In Italia si è fatto leva, a tal scopo, sulla norma
dell’art. 11 della Costituzione, secondo cui “l’ordinamento giuridico italiano consente in
condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”
(Vedi CONFORTI B., op. cit., p. 322).
I principali atti della legislazione comunitaria, segnatamente regolamenti, direttive e
decisioni, seguono procedure di adattamento diverse. Ai sensi dell’art. 249 del Trattato CE
(si fa riferimento al Trattato Istitutivo la Comunità Europea, stipulato a Roma nel 1957), i
regolamenti sono “direttamente applicabili” in ciascuno degli Stati membri, mentre direttive
e decisioni necessitano di atti di adattamento ad hoc.
2
Si tratta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), istituita dalla Conferenza di
S.Francisco del 1945.
10
questi diritti venne precisato il 10 dicembre 1948, quando
l’Assemblea generale approvò la Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo, impegnando, per la prima volta, gli stati alla
tutela dei diritti umani, sulla base di un preciso elenco che
riscuoteva il comune consenso.
Costituisce infatti il primo vero strumento internazionale
sui diritti umani, la prima enunciazione organica di principi e
valori umani sul piano "universale" e, quindi, l'inizio del loro
processo di internazionalizzazione
3
.
Secondo la dominante interpretazione positivista
4
, le
norme contenute nelle dichiarazioni internazionali non hanno di
per sé forza vincolante, ma solo valore politico-programmatico;
tuttavia, con esse, l'Assemblea delle Nazioni Unite fornisce un
contributo notevole alla formazione del diritto internazionale
consuetudinario
5
.
Il carattere consuetudinario di una norma significa che essa
vincola gli Stati che non sono parti allo strumento che incorpora
la norma stessa
6
.
3
MASCIA M., L’internazionalizzazione dei diritti umani, in “Pace, diritti dell’uomo, diritti
dei popoli”, anno IV, n.1, 1990, p. 67.
4
Vedi OPOCHER E., Lezioni di filosofia del diritto, Padova, Cedam, 1984.
5
CONFORTI B., Diritto internazionale, cit., p. 54 ss.: "Le Dichiarazioni di principi non
costituiscono una autonoma fonte di norme internazionali generali. L'Assemblea generale...
non ha poteri legislativi mondiali... Le dichiarazioni di principi costituiscono una delle
più autorevoli manifestazioni dell'opinio juris ac necessitatis nell'ambito della comunità
internazionale e concorrono alla creazione di norme generali... nei limiti in cui si
combinano con conformi, costanti e generalizzati comportamenti degli Stati."
6
MERON T., Human Rights and humanitarian norms as customary norms, Oxford,
Clarendon Press, 1989, p. 80. Secondo l'autore tra le conseguenze, che discendono dal
carattere consuetudinario di una norma internazionale, vi è anche quella per cui il soggetto
interessato dalla norma risulta, almeno in linea di principio e limitatamente a tale ambito,
governato dal diritto internazionale, a discapito della giurisdizione interna.
11
Nel settore dei diritti umani, “States […] supporters of
declarations and resolutions […] naturally seek to promote the
universality of human rights by attempting to assure concordant
behaviour […] by States which have not supported the adoption
of the declaration and resolutions”
7
.
Non a caso, una delle principali vie, seguite dalla dottrina e
dalla prassi costante delle Nazioni Unite, consiste nell'ancorare la
Dichiarazione universale e gli altri strumenti internazionali
adottati nell'ambito dell'ONU, all'autorità erga omnes delle
disposizioni sui diritti umani contenute nella Carta di
S.Francisco, specialmente agli articoli 55 e 56
8
.
Un ulteriore passo avanti, nella qualificazione delle
disposizioni generali in materia, si ha con la loro inclusione nella
categoria delle norme di jus cogens
9
.
Questa corrente dottrinale, sviluppata in Italia in modo
particolare da Conforti, fa leva sull’art. 103 della Carta delle
Nazioni Unite, che sancisce la regola della prevalenza degli
obblighi derivanti dalla Statuto dell’ONU, su quelli assunti in
base a qualsiasi altro accordo.
La norma contenuta in tale articolo, essendo di natura
consuetudinaria, attribuisce carattere cogente ai principi della
Carta, o meglio a quei pochi principi generali da cui discendono
7
Ibidem, p. 81.
8
Ibidem, p. 82. Vedi anche POCAR F., La Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo…, in AA.VV., I diritti umani a 40 anni dalla Dichiarazione Universale, Padova,
Cedam, 1989, p. 31 ss.
9
DE STEFANI P., Il diritto internazionale dei diritti umani, Padova, Cedam, 1994, p. 57.
12
veri e propri obblighi per gli Stati.
Nessun accordo potrebbe, dunque, obbligare gli Stati che
vi partecipino, ad una violazione dei diritti dell’uomo, sebbene
sia evidente che, in ambito così generale, le applicazioni dell’art.
103 risultino piuttosto scarse
10
.
Per diritti umani s’intendono, quindi, i diritti e le libertà
fondamentali e inderogabili della persona, attribuiti all’uomo o
alla donna in quanto tali, “senza distinzione alcuna, per ragioni
di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione
politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizione.” (art. 2, 1° c.)
Nella formulazione del testo non mancarono certamente i
contrasti, a causa della diffusa resistenza ad accettare limiti
concreti alla propria sovranità a vantaggio di istituzioni
sovranazionali, e si dovette aspettare il 16 dicembre 1966 perché
i principi etico-politici della Dichiarazione si potessero tradurre
in due accordi giuridicamente vincolanti, il Patto Internazionale
sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e il Patto Internazionale
sui Diritti Civili e Politici, ma un primo passo era stato compiuto
nella direzione giusta.
La dichiarazione include in sé, senza alcuna graduazione di
importanza, tutti i diritti umani, civili, politici, un tempo definiti
come diritti di prima generazione e quelli economici, detti di
seconda generazione
11
.
10
Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale, cit., p. 185.
11
Fra i diritti di prima generazione, anche definiti “diritti di libertà”, in quanto fondano una
sfera di autodeterminazione dell’individuo rispetto allo Stato o all’interno delle pubbliche
13
Analogamente su scala “regionale” il Consiglio d’Europa
aveva adottato una Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo, senz’altro uno degli strumenti di tutela dei diritti
umani più efficienti
12
.
Accanto alle dichiarazioni di principi e agli strumenti
normativi a carattere generale, una serie di trattati e convenzioni
ha poi regolato specifici aspetti della materia, prendendo in
considerazione le necessità di gruppi particolarmente bisognosi
di tutela
13
.
A integrazione dell’intensa attività di tutela collaborano,
infine, con grande efficacia, anche le organizzazioni non
istituzioni, si distinguevano un tempo i diritti civili, a tutela della personalità, della libertà e
della libera esplicazione della propria attività, quali quello alla vita, all’integrità fisica, alla
libertà personale, di religione, di pensiero e di associazione e i diritti politici, che
consentono la partecipazione alla vita dello Stato, quali l’elettorato attivo e passivo e
l’ammissione ai pubblici uffici.
La cosiddetta seconda generazione comprendeva invece i diritti economici, sociali e
culturali quali l’assistenza sanitaria o il diritto allo studio, sebbene la distinzione non sia
così netta. Esistevano anche i diritti della terza generazione o diritti di solidarietà, per lo più
richieste etico-politiche emergenti in attesa di adeguata tutela, quali, per esempio,
l’autodeterminazione dei popoli, la pace, lo sviluppo, l’equilibrio ecologico etc. Si
affacciano poi, di recente, sulla scena internazionale anche i c.d. diritti "di quarta
generazione" relativi al campo delle manipolazioni genetiche e della bioetica, delle nuove
tecnologie della comunicazione, del mondo degli animali. L’assenza di graduazione tra i
diritti è stata affermata molti anni dopo nella Conferenza di Vienna del 1993, quando si è
affermato il principio della inscindibilità dei diritti umani, allo scopo di soddisfarli
possibilmente in modo integrale e simultaneo, senza ordine di precedenza. Vedi SAULLE
M.R., Dalla tutela giuridica all’esercizio dei diritti umani, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1999, p. 11. Per un dettagliato elenco dei diritti umani, vedi anche Allegato p. 301.
12
Firmata a Roma del 1950 dagli Stati del Consiglio d’Europa ed entrata in vigore nel
1953. E’ stata ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n.848. Riprende sostanzialmente
i contenuti della Dichiarazione Universale ma predispone anche degli strumenti politici e
giudiziari per la tutela dei diritti umani. Impegna tra l’altro gli stati aderenti a riconoscere la
giurisdizione della Corte Europea dei Diritti Umani, cui possono rivolgersi anche cittadini
privati e organizzazioni non governative.
13
Segnaliamo alcuni fra i più emblematici atti di tutela di specifiche categorie di persone: la
Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1950, la Convenzione internazionale
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965, la Convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna del 1979, la
Convenzione contro la tortura del 1984 e la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989.
Per una più completa elencazione delle principali Convenzioni vedi Allegato p. 302.
14
governative (ONG), visto che non sarebbe sufficiente confidare
esclusivamente nella buona volontà dei governi, se non fossero
sottoposti alla pressione dell’opinione pubblica internazionale.
Del resto, il fatto che gli uomini abbiano dei diritti e, tra
questi, anche il “diritto di conoscere i propri diritti”, comporta
inevitabilmente la necessità di un’opera di educazione e di
formazione pedagogica.
Lo stesso Kofi Annan, Segretario delle Nazioni Unite,
sostenne, in occasione della Giornata Mondiale dei Diritti
Umani, la necessità di “radicare una cultura dei diritti umani
mediante l’educazione e la formazione sui diritti umani, per
affermare la costruzione di capacità orientate verso le norme di
legge e i sistemi giudiziari, per assicurare l’attuazione a livello
nazionale delle norme e degli standard internazionali sui diritti
umani”
14
.
Negli anni '90, si è posto l'accento più sull'attuazione dei
diritti, e proprio su questo terreno concreto, politico più che
filosofico-giuridico, si assiste ad un incredibile paradosso:
all'approvazione generalizzata dei principi etici contenuti nella
Dichiarazione dei Diritti Umani (d’ora in avanti “DDU”), inseriti
in molte legislazioni nazionali, si accompagna la violazione
massiccia degli stessi principi da parte quasi sempre degli stessi
Stati che hanno sottoscritto la Dichiarazione nel 1948
15
.
14
CASSESE A., I diritti umani nel mondo contemporaneo, Bari-Roma, Laterza, 1995, p. 5.
15
Solo per fare degli esempi, l'Afghanistan dei talebani è il paradigma della violazione di
qualunque diritto; i paesi del Golfo e l'Iran si caratterizzano per la pratica di esecuzioni, la
sottomissione della donna e la tirannia dei governi; Iraq e Turchia massacrano gli
oppositori e tentano di sterminare il popolo kurdo; in Sudafrica, anche se non c'è più
15
Questa frattura tra etica e politica, e ancor più tra
assunzione di norme giuridico-politiche e prassi, è conseguente
alle politiche che regolano attualmente i rapporti tra gli Stati,
improntate a far prevalere interessi nazionali, geopolitici e
soprattutto economici.
Analizzando più specificamente il rapporto tra diritti
umani e politiche governative, sembra essere venuto
progressivamente a mancare il consenso degli Stati alle norme
elaborate dalle Nazioni Unite: lo si è verificato più volte, nelle
lunghe dilazioni sui tempi di approvazione dei documenti nel
rifiuto di sottoscrivere nuove Convenzioni internazionali anche
da parte di paesi "democratici"
16
e nel cautelarsi il più possibile a
livello interno da possibili ingerenze di Istituzioni giuridiche
internazionali.
Queste considerazioni nulla tolgono alla crescita di una
coscienza democratica nelle società civili, tesa a rivendicare
promozione e tutela dei diritti, soprattutto economici, sociali e
culturali nei paesi occidentali, ma, sebbene il percorso aperto
segregazione razziale, la discriminazione economica instaurata dagli afrikaner ancora
impedisce lo sviluppo della popolazione nera, largamente maggioritaria; Cile e Argentina
ancora subiscono le conseguenze delle passate dittature.
Negli Stati Uniti, paladini internazionali di democrazia, uguaglianza e libertà, le minoranze
continuano ad essere discriminate, 200 milioni di armi da fuoco circolano liberamente nel
paese e si pratica la pena di morte.
Intanto intere aree del mondo (Balcani, ex Unione Sovietica) sono destabilizzate da
sanguinosi movimenti secessionisti, da guerre interne, genocidi e spostamenti forzati di
popolazioni (ex Jugoslavia, Rwanda, Burundi); la tragica guerra del Kosovo, dove gli
accordi di pace ancora non riescono ad evitare morti quasi quotidiani, ha visto violato ogni
tipo di diritto, da quelli umani fondamentali delle popolazioni civili, al diritto internazionale
che regola i rapporti tra gli Stati, al diritto costituzionale interno dei paesi alleati della Nato.
UNICEF, Il mondo domani – Mensile per l’educazione allo sviluppo del Comitato italiano
per l’Unicef-Onlus, Anno XXII, n. 10, Roma, ottobre 1999.
16
Il caso senz’altro più emblematico è rappresentato dal rifiuto degli Stati Uniti d’America
di firmare la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia del 1989.
16
dalla DDU abbia consentito di mettere in atto obiettivi e
strumenti comuni a tutela della dignità della persona, oltre ad
aver diffuso la cultura dei diritti umani, tali diritti sembrano oggi
destinati ad affrontare nuove minacce, che costringono il diritto
internazionale a mettere in atto nuove strategie di difesa.
A tale scopo, le Nazioni Unite, in occasione
dell'anniversario della Dichiarazione, chiamano tutti
all'assunzione delle proprie responsabilità con la Dichiarazione
dei doveri e delle responsabilità dell'uomo nel nuovo millennio
17
,
presentata, con il patrocinio dell'Unesco
18
, a Valencia il 10
dicembre '98.
17
In continuità ideale con la Carta dei Diritti dell’Uomo, si rivolge non solo agli Stati ma
anche agli Enti sovranazionali e ai grandi gruppi privati per proporre una ridefinizione di
diritti e doveri dell'uomo nella nuova era tecnologica, anche su nuovi temi come la bioetica,
Internet, le armi nucleari, l'ambiente.
18
United Nations Educational Scientific and Cultural Organization.
17
1.2.) Il “diritto sessuale” come diritto umano e l’ “abuso
sessuale” come reato contro i diritti umani.
L’evoluzione del costume sessuale, che ha caratterizzato
quest’ultimo ventennio, ha creato un distacco sempre più
profondo tra il sistema giuridico, ancorato ad una tutela assoluta
dell’inviolabilità sessuale ed il sistema sociale, riconoscendo ad
entrambi, spazi sempre maggiori di libertà in ogni campo, e
quindi anche in quello della vita sessuale
19
.
L'intero sviluppo della sessualità è essenziale per il
benessere individuale, interpersonale e sociale; affinché questo si
realizzi appieno è necessario riconoscere, promuovere, rispettare
e difendere i diritti sessuali come diritti umani universali, basati
sulla libertà, sulla dignità e sull'uguaglianza propri di ogni essere
umano.
Possiamo sommariamente indicare i diritti sessuali
fondamentali, così come vengono riconosciuti dai principali atti
di tutela dei diritti umani
20
:
a) la libertà sessuale, che comprende (i) la
possibilità della piena espressione del potenziale sessuale
19
La sessualità è infatti parte integrante della personalità di ogni essere umano e il suo
pieno sviluppo dipende dalle soddisfazioni dei bisogni umani basilari come il desiderio di
contatto, intimità, espressione emozionale, piacere, tenerezza e amore, che si costruiscono
attraverso l'interazione tra l'individuo e le strutture sociali. SPAGNOLO G., La riforma dei
delitti contro la libertà sessuale, Siracusa, Istituto Superiore Internazionale di Scienze
Criminali, 1989, p. 72.
20
Ci riferiamo, in particolare, alla Convenzione sull’Eliminazione di tutte le forme di
discriminazione nei confronti della Donna adottata dall’Assemblea Generale delle N.U. il
18 dicembre 1979 e alla Dichiarazione e al Programma d’Azione adottati a Pechino nel
settembre 1995, in occasione della IV Conferenza Mondiale delle Donne.
18
degli individui ed esclude (ii) tutte le forme di coercizione,
sfruttamento ed abuso sessuale in qualsiasi momento e
situazione della vita;
b) il diritto all'autonomia, all'integrità e alla
sicurezza sessuale del corpo, che include (i) la facoltà di
prendere decisioni autonome sulla propria vita sessuale
all'interno della morale personale e sociale e comprende
anche (ii) la capacità di controllo e di piacere del corpo,
liberi da torture, mutilazioni e violenza di qualsiasi tipo;
c) il diritto alla privacy sessuale, che comprende
il diritto a decisioni e comportamenti individuali
nell'ambito della propria intimità sempre e quando questi
non interferiscano nei diritti sessuali degli altri;
d) il diritto all'uguaglianza sessuale che sancisce
il divieto di discriminazione basata su sesso ed
orientamento sessuale;
e) il diritto al piacere sessuale, fonte di
benessere fisico, psicologico, intellettuale e spirituale e il
diritto all'espressione delle emozioni sessuali, per cui, oltre
al piacere erotico o all'atto sessuale, tutti gli individui
hanno diritto ad esprimere la loro sessualità attraverso la
comunicazione, il contatto, le espressioni emozionali e
l'amore;