2
E’quindi negli altri commi dell’art. 117 che si rinviene la parte più interessante dell’attività
di elaborazione della norma nella direzione di una specifica disciplina del c.d. “potere estero
regionale”.
Tuttavia la formula poi recepita nel 1°co. dell’art. 117 è frutto di una modifica intervenuta
nell’ultima parte della fase parlamentare di approvazione attraverso una modifica della iniziale
“bozza Amato” ove era contenuta la previsione del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
internazionale, ma riferito esclusivamente al riparto di potestà legislativa tra Stato e Regioni.
In altri termini si prevedeva che i vincoli fossero destinati a incidere non già sull’esercizio
della funzione legislativa, bensì sul riparto di competenze tra Stato e Regione.
La modifica intervenuta nell’ultima fase ha cambiato radicalmente il volto di questa
disposizione suscitando, in un primo momento, una certa sorpresa per via dell’innegabile carica di
innovatività che essa finisce per recare con sé.
Avendo il legislatore costruito l’intervento riformatore, con la trasformazione, in linea di
principio, della potestà statale da generale in “enumerata” e di quella regionale in “generale-
residuale”, la definizione di un comune sistema di limiti avrebbe dovuto sottolineare ancor più
decisamente la completa equiparazione delle due potestà legislative che la riforma intendeva
realizzare
4
.
In realtà il disegno della legge costituzionale 3/2001 è ancor più complesso e si caratterizza
per l’inserimento di una serie di altre disposizioni che mirano a potenziare il ruolo dello Stato e
delle Regioni sia sul piano dei vincoli con l’ordinamento internazionale e con quello comunitario,
sia sul piano dell’esecuzione degli obblighi nel diritto interno.
Così il 3°co. dell’art.117 individua tra le materie di potestà concorrente i rapporti
internazionali delle Regioni nonché quelli delle Regioni con l’Unione Europea, il 9°co. riconosce
alle Regioni il potere di concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro
Stato e il 5°co. assicura alle Regioni il diritto a partecipare alle decisioni dirette alla formazione
degli atti normativi comunitari.
3
Dietro questo complesso di disposizioni possono individuarsi tutta quella serie di precedenti
interventi del legislatore ordinario diretti a raccordare il sistema delle autonomie regionali con
l’ordinamento comunitario e a consentire alle Regioni di assumere un sia pur limitato ruolo sul
piano dei rapporti internazionali
5
, e tuttavia la formulazione del 1°co. dell’art. 117 risente,
soprattutto, dell’esigenza di offrire una base più stabile ai rapporti sia dello Stato che delle Regioni
con l’ordinamento comunitario e di rimediare alla fragilità che caratterizzava l’esecuzione degli
obblighi internazionali nel diritto interno.
La collocazione di una simile disposizione all’interno di un articolo della Costituzione che
definisce gli ambiti della potestà legislativa di Stato e Regione non deve però trarre in inganno,
perché, in realtà, essa finisce per implicare, sul piano dell’interpretazione, una serie di problemi
molto più complessi che, in larga misura, esulano dal tema dei comuni limiti delle due forme di
potestà legislativa.
Essa, infatti, incide sul sistema dei rapporti con l’ordinamento internazionale come definiti
dall’art. 10 Cost. ed è a questa disposizione che si collega strettamente, mentre per ciò che riguarda
l’ordinamento comunitario essa va confrontata con il complesso dei principi elaborati dalla
giurisprudenza, tutti interamente ricostruiti intorno al regime delle limitazioni di sovranità previsto
dall’art. 11 Cost.
Una disposizione, quindi, che al di là della sua “occasionale” collocazione nel Titolo V della
Seconda Parte della Costituzione, finisce per saldarsi con i principi fondamentali dell’apertura al
diritto internazionale e con le basi del diritto comunitario contenute tutte nella Prima Parte della
Costituzione e che suscita quesiti e dubbi interpretativi forse scarsamente percepiti durante
l’elaborazione parlamentare che ha condotto alla sua approvazione.
4
CAPITOLO PRIMO
1. Commento all’art.117, 1° co., Cost.
1.1 I vincoli discendenti dagli obblighi internazionali.
Per valutare il concreto grado di innovatività che la disposizione in questione ha prodotto nel
diritto costituzionale è necessario muovere dalla posizione consolidata, sia in dottrina che in
giurisprudenza, in ordine al valore da attribuire alla norma contenuta nell’art.10 Cost. la quale
prevede che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute”.
Il ruolo di questa disposizione è quello di immettere nell’ordinamento italiano il sistema
rappresentato dalle norme internazionali non scritte di applicazione universale, consentendo così
l’adattamento automatico e permanente del nostro ordinamento al solo diritto internazionale
consuetudinario.
Il meccanismo approntato dall’art.10 individuerebbe, quindi, un rinvio al solo diritto della
coscienza con la conseguente esclusione del diritto della volontà e, quindi, del diritto di origine
pattizia scaturente dai trattati internazionali
6
.
In conseguenza di ciò le norme interne che realizzano l’adattamento al diritto internazionale
generale, godendo della copertura costituzionale apprestata dall’art.10 Cost., non possono essere
abrogate, derogate o modificate da leggi statali
7
, mentre le norme derivanti dal diritto internazionale
pattizio, immesse nel nostro ordinamento con una legge ordinaria, possono essere abrogate,
derogate o modificate da una legge successiva, salvo che non si tratti di norme appartenenti ad
alcune specifiche categorie per le quali la stessa Costituzione afferma una diversa e specifica
garanzia ( quali, ad esempio, le disposizioni dei Patti Lateranensi, quelle relative alla condizione
giuridica dello straniero ovvero quelle relative ad accordi di limitazione reciproca della sovranità ).
E’ stato sostenuto che questa impostazione dei rapporti con l’ordinamento internazionale
non sarebbe stata sostanzialmente scalfita dal nuovo art.117, sia perché la disposizione è stata
5
collocata nel quadro del sistema delle autonomie e dei rapporti tra funzione legislativa statale e
funzione legislativa regionale, sia perché le indicazioni provenienti dai lavori preparatori non
avrebbero consentito di ricavare indicazioni di segno diverso.
Secondo questa interpretazione il regime dei vincoli internazionali non avrebbe subito
mutazioni e l’art.117 non avrebbe avuto la pretesa di ridisegnare direttamente i rapporti tra le fonti
8
che sarebbero rimasti, pertanto, inalterati rispetto al previgente sistema, con la conseguenza che i
vincoli cui fa riferimento l’articolo in questione andrebbero sempre ricercati nelle altre disposizioni
costituzionali dedicate ai rapporti con l’ordinamento internazionale e con quello comunitario.
In una prospettiva parzialmente diversa si colloca la posizione di chi, pur muovendo dalla
medesima considerazione secondo cui il meccanismo di attuazione degli obblighi internazionali non
avrebbe subito sostanziali modifiche, né tanto meno vi sarebbe stata influenza sulla posizione delle
norme di origine internazionale le quali rimarrebbero comunque prive di valore costituzionale e
quindi soggette alle vicende della legge ordinaria che ne dà esecuzione, sottolinea che il nuovo
art.117 si limiti a fissare una garanzia di osservanza degli obblighi da parte sia del legislatore
nazionale che di quello regionale.
Tuttavia, questa posizione riconosce comunque l’esistenza di un inevitabile tasso di
innovazione nell’ordinamento, perché comunque la garanzia dell’osservanza impone una stabilità
delle norme di origine pattizia la quale, si sostiene, rischia di trasformarsi in uno strumento
potenzialmente pericoloso per il sistema perché consentirebbe al Governo di assumere obblighi sul
piano internazionale, attraverso lo strumento degli accordi in forma semplificata, e quindi di
aggirare la funzione del Parlamento e al tempo stesso di vincolarla a obblighi che, anche se vigenti
sul piano internazionale, non hanno subito alcun controllo proprio ad opera dello stesso Parlamento.
Si tratta di opinioni che hanno finito per assumere una posizione decisamente minoritaria ed
emerge una chiara linea di tendenza a individuare nella disposizione dell’art.117 uno strumento che
muta sensibilmente la posizione degli obblighi internazionali di origine pattizia introdotti nel nostro
ordinamento.
6
Ma, anche in questo campo, le opinioni non sono del tutto convergenti, oscillando tra
posizioni che vedono nell’innovazione costituzionale uno strumento capace di incidere sulle stesse
modalità di adattamento dei trattati e posizioni di coloro i quali, forse più plausibilmente,
individuano nella nuova disposizione un mezzo teso a produrre effetti nei rapporti tra legge di
esecuzione dei trattati e leggi ordinarie, sia statali che regionali, successive.
Nella prima prospettiva si colloca la posizione che ritiene di attribuire al nuovo art. 117 il
ruolo di una norma che avrebbe reso automatico l’adattamento anche al diritto di origine pattizia,
con il conseguente venir meno di ogni necessità di specifico adattamento mediante la legge di
esecuzione.
In altri termini tutti i trattati sottoscritti dovrebbero d’ora in avanti considerarsi come
produttivi di effetti giuridici diretti e immediati nell’ordinamento senza la necessità di una legge di
esecuzione.
Così concepito il nuovo articolo della Costituzione avrebbe, in realtà, finito con il rendere
esplicita e far meglio affiorare la nota, ma assolutamente minoritaria, tesi avanzata da Quadri
secondo cui, dovendosi annoverare l’antico principio pacta sunt servanda tra le norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute ( e pertanto automaticamente immesse nell’ordinamento
in virtù del “trasformatore permanente” rappresentato dall’art 10 Cost. ), anche l’osservanza dei
trattati sottoscritti dovrebbe trovare copertura in Costituzione e dunque essere guidata dal
meccanismo dell’adeguamento automatico.
Siffatto adeguamento dovrebbe, tuttavia, ritenersi circoscritto ai soli trattati per i quali vi sia
stato esplicito consenso parlamentare all’adesione considerato che, solo in questo caso, in analogia
con quanto previsto dall’art.80 Cost. che prevede la ratifica parlamentare per i trattati che
comportino, tra l’altro, “modificazioni di leggi”, può concepirsi un vincolo sulla successiva
legislazione.
Non vi è dubbio che questa tesi sia rivolta a esaltare più d’ogni altra l’elemento di
innovazione racchiuso nella modifica della Costituzione e finisca per dare corpo a una suggestione
7
di forte apertura internazionalista dell’intero ordinamento, ma è anche vero che essa finisce, forse,
per attribuire al nuovo testo costituzionale effetti e conseguenze che non solo vanno al di là delle
intenzioni del legislatore di riforma, ma soprattutto si scontrano con un’interpretazione che è stata
sempre esclusa dalla giurisprudenza costituzionale e dalla stessa prassi dei rapporti internazionali.
In una linea di maggior attenzione all’inserimento dell’art.117 nel tessuto preesistente della
Costituzione, e al tempo stesso tesa ad attribuire a questa disposizione un significato di forte novità,
si muove la posizione di chi ritiene che il ruolo del vincolo agli obblighi internazionali vada
ricercato nel rapporto tra legge di esecuzione e leggi statali e regionali.
Muovendo dall’esigenza di interpretare le leggi di revisione costituzionale tenendo nella più
ampia considerazione gli altri principi costituzionali e, soprattutto, i principi fondamentali della
Costituzione, esigenza questa ancora più sensibile se si tiene presente il complesso dei problemi e
delle consolidate interpretazioni nelle quali il nuovo art.117 va a inserirsi, si è sottolineato come il
significato da attribuire a questa norma, sia quello di incidere nei rapporti tra legge di esecuzione
dei trattati e leggi statali o regionali successive.
Si è sostenuto, al riguardo, che se davvero l’intenzione del legislatore di revisione fosse stata
quella di creare un meccanismo di adeguamento automatico ai trattati internazionali, la sede
dell’intervento avrebbe dovuto essere quella dell’art.10 Cost. e non già quella, surrettizia, di una
norma dettata nella prospettiva di configurare limiti all’esercizio delle due funzioni legislative
( statale e regionale ) nella prospettiva della loro parificazione.
Il carattere innovativo sarebbe allora da individuare proprio nel rapporto tra ordine di
esecuzione e legge ordinaria successiva e configura una vera e propria garanzia costituzionale di
rispetto del primo da parte della seconda di guisa che ogni contrasto della legge successiva con la
legge di esecuzione finirebbe, oggi, per dar luogo inevitabilmente a una questione di legittimità
costituzionale.
Una simile impostazione avrebbe, peraltro, il pregio di riconoscere all’innovazione
costituzionale un ruolo comunque di grande rilievo, perché portatore di una conseguenza che,
8
seppur adombrata in trasparenza da quelle opinioni che avevano tentato di costruire l’ordine di
esecuzione come fonte atipica, capace di resistere a deroghe o modifiche da parte della legge
ordinaria, era però rimasta priva di un chiaro aggancio in Costituzione.
Per altro verso, si sostiene, così interpretata, la norma costituzionale non consentirebbe di
produrre nell’ordinamento quegli effetti distorsivi legati all’ipotesi che tutti gli obblighi
internazionali, anche quelli assunti dal solo Governo al di fuori del circuito dell’approvazione
parlamentare, possano costituire vincolo per il futuro legislatore perché, in realtà, se si ammette che
l’art.117 incide solo sul rapporto tra ordine di esecuzione e legge successiva, è evidente che solo un
obbligo internazionale immesso nell’ordinamento con legge può poi trovare copertura e garanzia
nella disposizione costituzionale in questione.
E’ poi da condividere l’osservazione secondo cui quest’innovazione è destinata a produrre
effetti sul piano dei rapporti tra legge di esecuzione del vincolo internazionale e legge statale,
mentre pressoché ininfluente si rivelerebbe sul piano dei rapporti con la legge regionale per via
della circostanza che, già in precedenza, il legislatore regionale trovava un limite negli obblighi
internazionali.
Quest’ordine di argomenti viene, quanto meno, in parte, contestato - a testimonianza della
complessità delle questioni che l’innovazione costituzionale ha prodotto - da quelle opinioni che,
facendo leva sulla formulazione letterale della disposizione, la quale parla di “obblighi
internazionali”, ritengono che il vincolo sulla funzione legislativa possa configurarsi, non già in
relazione alla legge di esecuzione, bensì, potrebbe dirsi a monte, in relazione agli obblighi una volta
che questi si siano formati sul piano del diritto internazionale.
Seguendo quest’ordine di idee l’art.117, 1°co., sarebbe diretto non già a creare un
meccanismo di produzione automatica delle norme interne di adattamento al diritto internazionale
pattizio, bensì avrebbe creato un limite alla capacità di produzione normativa delle fonti interne da
individuare proprio nelle norme internazionali pattizie.