INTRODUZIONE
Dopo l‟attacco alle Twin Towers dell‟11 Settembre 2001, l‟universo islamico è divenuto oggetto di
studio di molti analisti e politologi in Occidente. Molte volte, però, è una acriticità disarmante a
caratterizzare questi approcci, contribuendo a strutturare un‟immagine dell‟Islam e delle società
musulmane che ne identifica le radici culturali, ed il relativo processo storico, con le manifestazioni
integraliste, fondamentaliste o addirittura terroriste che oggi hanno luogo
1
. Risultando palese e forse
anche retorico che lo studio delle civiltà non può partire da approcci così volti alla generalizzazione
e banalizzazione, la qui presente ricerca si pone come primario intento la volontà di demistificare
molte di queste conclusioni – affrettate – sul mondo musulmano, volendo piuttosto rendere una
effettiva conoscenza della reltà ad oggi corrente nei Paesi islamici.
Tenendo ferma la base giuridica della ricerca del lavoro di analisi, esso partirà con l‟esporre la
materia del Diritto islamico, passandone in rassegna gli istituti che maggiormente lo caratterizzano
e lo differenziano dai sistemi giuridici occidentali. Già da questo primo approccio sarà visibile
quanto il connotato islamico caratterizzi in maniera forte l‟aspetto giuridico delle società
musulmane, come d‟altronde accadeva per le realtà cattoliche fino al Medioevo, sotto l‟influsso del
1
E‟ inaccettabile, e sicuramente non funzionale alla comunicazione tra i popoli, sostenere che “Fino ad ora le religioni
sono riuscite tutte o quasi, pur rispettando i propri principi etici e morali, ad integrarsi con la democrazia, unica
eccezione l‟islam che per sua connotazione non può accettare di integrarsi, in quanto è stato concepito e soprattutto
interpretato e divulgato, in modo che ogni islamico diventi portatore del principio dell‟islam, che lo rende di fatto un
combattente seduta stante, ovunque si trovi a vivere la propria esistenza e un potenziale boia, qual‟ora una fatwa,
emanata da uno qualsiasi degli imam o sceicco, qual dir si voglia, che numerosi occupano posti di prestigio, ordini ai
fedeli di assassinare qualcuno, con una sentenza di morte, senza appello in nome di un principio, che non ha ragione
d‟essere se non nel concetto di distruggere qualsiasi forma di pensiero diversa e libera dai condizionamenti dei dettami
coranici o peggio dei dettami che loro hanno deciso siano quelli coranici” (www.lisistrata.com, “Due domande
sull’Islam. E’ compatibile la democrazia con l’Islam? Sono integrabili gli islamici nelle democrazie occidentali?). A
una tale posizione, a mio avviso controproducente, e sicuramente non in linea con lo sviluppo di un ordine mondiale
realmente “globale”, risponde Farian Sabahi, docente d'Islam e democrazia alla facoltà di scienze politiche presso
l'università di Torino, sostenendo che “Sicuramente Islam e democrazia possono sembrare in una contraddizione
interna, ma io non penso sia questo il caso e la mia opinione è molto simile a quella della Nobel per la pace, la signora
Shirin Ebadi, ovvero non possiamo sostenere che l'Islam e la democrazia siano inconciliabili, altrimenti facciamo il
gioco degli imperialisti, occorre trovare una mediazione e vedere quale Islam potrà essere compatibile con quale
democrazia? Questo è un tema su cui ha scritto ed ha dibattuto parecchio, anche in occasione della sua visita in Italia
dell'anno scorso, Hojjat ol-Eslam Mohsen Kadivar che è uno dei protagonisti a cui do voce nel mio ultimo libro
„Un'estate a Tehran‟. Il dottor Kadivar spiega al pubblico italiano che soltanto un "Islam moderato" potrà essere
compatibile con la democrazia. ( http://italian.irib.it, “Farian Sabahi ci parla di Islam, democrazia e della questione
iraniana”). È altresi ancora più inaccettabile la politica cominciata dai governi mondiali in opposizione al “Terrorismo
islamico”, innanzitutto nel suo riflesso sulla cultura, che ha favorito la formazione di un immaginario collettivo di
esecrazione dell‟intero universo islamico in Occidente. “I comportamenti dei singoli vengono identificati con quelli
previsti dalla Shari’a e, quindi, se un tempo gli ottomani sgozzavano (…), o se oggi integralisti ammazzano (…), la
comune reazione degli europei è di considerare tali orrori conseguenza della religione islamica” (A. Predieri; Islam e
Costituzione; Laterza; Bari 2006; p. 50). Inoltre, occorre notare che al pari non si parla di Terrorismo ebraico o cattolico
quando attentati o altre forme di attacco vengono prodotte da credenti di dette religioni.
2
diritto canonico. Tuttavia, sarebbe riduttivo concludere semplicemente – e semplicisticamente – che
l‟Islam oggi vive un periodo similare al Moedioevo occidentale, in quanto con ciò non si darebbe la
giusta considerazione alla traiettoria civile delle realtà che vi si inquadrano, né si renderebbe il
senso che l‟influsso religioso esercita su di esse. L‟Islam infatti, religione monoteista e classificata
tra i sistemi “occidentali”
2
– di contro alle religioni orientali, quali il Taoismo, lo Shintoismo,
l‟Induismo e, secondo alcuni, il Buddhismo
3
- ha costituito, al momento della sua rivelazione – di
sette secoli posteriore a quella biblica, comune a Cristianesimo ed Ebraismo – un‟innovazione per i
tempi correnti alla sua emanazione. Lo dimostra il fatto stesso che il dettato coranico sia attento a
riconoscere il valore dei precedenti messaggi divini – primo tra tutti quello rappresentato dalla
Bibbia -, nonché del lavoro teologico svolto dai suoi Profeti – tra i quali annovera Gesù Cristo,
riconoscendo grande rilievo anche alla figura di Maria. Oltre a questo il Corano è però, vista la sua
maggiore “contemporaneità”, portatore di un messaggio più politico e socialmente concreto, per il
fatto che esso si è strutturato come testo su cui basare la vita civile della comunità islamica -
affermandone l‟identità in opposizione a quella meccana, che all‟epoca ne minacciava l‟esistenza -
nonché per le ragioni anche economiche della svolta identitaria di detto raggruppamento. Così il
Corano, oltre a costituire un Testo sacro, è stato una fonte costituzionale sin dai suoi albori: come
reso evidente dal fatto storico che la sua comunità di riferimento, stanziatasi inizialmente a Medina
sotto il potere riconosciuto a Mohammad, lì avrebbe redatto un prorpio testo costitutivo – la
Costituzione di Medina
4
, appunto.
Da questo si inizia a dedurre quanto irrinunciabile sia, nello studio della civiltà islamica, il
riferimento religioso, che caratterizza tanta parte della vita di comunità dei relativi soggetti sociali.
In virtù di ciò, questo lavoro prende ad oggetto di analisi, dopo il primo menzionato approccio sul
Diritto islamico, la cultura dei popoli musulmani, per come si è strutturata nei passaggi storici e
negli importanti apporti teorici che i suoi filosofi hanno reso. Così, dopo una trattazione delle fasi
storiche lungo le quali si è svolta l‟evoluzione dei popoli musulmani, attenta a decifrare sempre
l‟aspetto costituzionale rivolto alla strutturazione dei sistemi statali che hanno caratterizzato detti
passaggi, l‟analisi prenderà ad oggetto il lavoro dei filosofi della tradizione musulmana, che nei
secoli ne hanno forgiato il pensiero, costituendo, a tutt‟oggi, un importante arricchimento anche per
le culture occidentali. In questo caso si darà rilievo al contributo giuridico dei pensatori islamici,
facendo riferimento, nell‟esposizione delle loro teorie, ai loro tratti più eminentemente
2
“La Shari’a, legge, non può apparire diversa, nella sostanza, dalla legge biblica, dall‟ebraica torah intesa come
insegnamento dato da Dio agli uomini”. A. Predieri, Islam e Costituzione, Laterza, Bari 2006, p. 73.
3
Secondo molti, primi tra tutti i suoi osservanti, il Buddhismo è filosofia di vita più e prima che religione.
4
Cfr. Capp. 1 e 2.
3
costituzionali, che afferiscono alle forme di organizzazione politica della società. Da questa analisi
emergerà, oltre all‟influsso religioso sul pensiero politico, proprio della tradizione musulmana,
anche il richiamo laico di molti filosofi di area islamica, il cui contributo ha lasciato idee che in
molti casi hanno preconizzato concetti cui sarebbe in seguito giunta la cultura europea, soprattutto
nei secoli XVI e XVII. Completato questo excursus storico-filosofico, lo studio della cultura
islamica procederà restituendo all‟analisi il taglio comparativo che le è proprio. Dapprima in chiave
interna – volgendo l‟attenzione al confronto tra riformisti e fondamentalisti islamici -, poi sotto il
profilo esterno – prendendo ad oggetto il rapporto tra l‟universo musulmano e la civiltà occidentale,
valutato sulla base di diversi parametri di ricerca: da una parte la Dichiarazione dei Diritti
dell‟Uomo approvata in sede ONU, raffrontata agli omologhi documenti approvati in seno alle
Organizzazioni degli Stati islamici; dall‟altra il concetto di democrazia e la percezione che di esso
hanno le comunità politiche islamiche odierne. Un approfondimento sulla cultura islamica, e
l‟approccio storico alla conoscenza delle categorie giuridiche che esso determina, costituisce una
base costante di riferimento euristico per questo lavoro, che rende possibile tradurre i passaggi
storici in conseguenze espresse sotto l‟aspetto di forme costituzionali che si susseguono e che, a
loro volta, possono poi costituire l‟antecedente storico degli avvenimenti successivi.
Giunta a tal punto, l‟analisi stringerà il proprio obiettivo su di un caso concreto, capace di mettere in
relazione di interdipendenza le categorie del Diritto islamico esaminate con la cultura islamica per
come si è prodotta lungo i secoli. In particloare, a dimostrazione di come l‟Islam non sia categoria
sociologica che consente generalizzazione alcuna, ma che piuttosto è soggetto ad un divenire
differente a seconda del contesto culturale in cui si inscrive, verrà presa in analisi la cultura sciita.
Quindi, per analizzare il territorio che da sempre costituisce la base dello sciismo – ivi affermatosi
nella sua versione duodecimana -, si stringerà l‟obiettivo analitico sull‟Iran. Detta scelta non sarà
rivolta all‟Iran in quanto Repubblica islamica, onde dimostrare una consustazialità presunta
dell‟Islam con la democrazia, che certo però non si vuole neppure, aprioristicamente, negare. Al
contrario, scopo del presente lavoro è la semplice conoscenza delle reciproche alterità tra universo
islamico e Occidente, prendendo in considerazione un soggetto internazionale che da sempre svolge
un ruolo di rilevante influenza sulla zona mediorientale. Quindi, al di là dell‟importanza geopolitica
incarnata dalla Repubblica Islamica d‟Iran – che non si può negare, stante la presenza di petrolio
sotto il suolo iraniano, che ne fa uno dei maggiori produttori di greggio -, intento di questa analisi è
la reale conoscenza di un sistema politico e costituzionale, al di là delle semplicistiche conclusioni
che lo disegnano come sponsor del terrorismo. Così, partendo ancora dalle vicende storiche che
hanno caratterizzato le dinamiche dell‟Iran moderno e contemporaneo, si risalirà alla forma odierna
4
assunta dall‟ordinamento giuridico della Repubblica islamica, considerando le une come
antecedenti logici dell‟altro. Per fare questo, sarà necessario soffermarsi sul pensiero di personalità
che hanno svolto il ruolo di mèntori nella formazione della società iraniana e iniziatori delle relative
vicende storiche, quali sono stati, ad esempio, l‟ayatollah Khomeini – padre della Rivoluzione che,
nel 1979, ha dato la genesi all‟attuale modello istituzionale iraniano - e l‟hoyatolleslan Khatami –,
Presidente della Repubblica dal 1997 al 2005, tra i personaggi dotati di maggiore apertura di
pensiero all‟interno dell‟agone politico iraniano; egli ha provato, prima dell‟avvento di
Ahmadinejad – oggi al potere -, a riformare gli obiettivi ed i costumi politici e costituzionali della
Repubblica d‟Iran. Infine, si concluderà con uno scorcio sulla società iraniana di oggi, con l‟intento
di demistificare alcuni preconcetti ad essa riferiti, sempre più accreditati nell‟immaginario collettivo
occidentale. Innanzitutto, il fatto che quello di Ahmadinejad non può essere un regime
fondamentalista in quanto non esiste un regime in mano all‟attuale Presidente della Repubblica
d‟Iran. I suoi poteri sono e rimangono limitati quanto quelli di ogni precedente titolare della
presidenza della Repubblica, quindi se di regime fondamentalista si tratta, bisogna attribuire
l‟esercizio della titolarità del potere sovrano ad altra istituzione. Studiando le vicende della
Rivoluzione del 1979, e passando attraverso la fase della guerra contro l‟Iraq, si può evincere come
titolare di un potere molto influente – per non dire quasi assoluto – sugli altri organi come sulla
società civile iraniana sia la Guida Suprema: ruolo ricoperto dal padre della Repubblica d‟Iran ed
oggi – a partire dal 1988 - dal suo allievo Alì Khamenei. Altro tema cardine delle analisi occidentali
sull‟Iran è la sostanza teocratica che ne connota il funzionamento. Se non può negarsi la veridicità
di tale affermazione, altro è condividerne sempre l‟approccio, che molte volte risulta acritico e privo
di autocritica. Acritico perché si ferma al dato, senz‟altro vero, della sovranità divina concepita
all‟interno del sistema iraniano, senza analizzarne gli altri comparti istituzionali ispirati alla
rappresentatività; privo di autocritica perché muove detta osservazione all‟Iran, dimenticando la
storia e le attuali congiunture in cui versa la civiltà d‟Occidente. Si tende molte volte a sostenere,
quando si tacciano gli ordinamenti islamici di teocraticità o fondamentalismo, che gli assetti statali
di tradizione anglo-europea siano i modelli di laicità da imitare, elemento senza il quale una
formazione statale non può essere, secondo questi approcci, concepita. Se è vero da un lato che detti
modelli si siano ispirati al laicismo delle istituzioni, più incerta appare la conclusione se altrettanto
secolare possa definirsi l‟adesione dei singoli alle dinamiche istituzionali, o se piuttosto non si
crede, anche in Occidente, a concetti quali quello di Sovranità popolare, primato della legge o
Democrazia come a degli assoluti di promanazione concettuale, dal rilevante quanto trascendente
valore. Senza considerare, poi, che lo Stato islamico non può essere secolare e non è “Stato” nel
5
senso inteso dalla cultura occidentale, semplicemente in ragione della alterità che si registra tra
questa civiltà e quella musulmana. In conclusione, se l‟Occidente non saprà acquisire una coscienza
dell‟altro - a quasi due secoli da quando ha saputo acquisire la coscienza di sé - rischierà di veder
degenerare quello che dovrebbe essere uno scambio tra modelli diversi – collegato al relativo
recirpoco arricchimento che ne dovrebbe conseguire -, in uno scontro volto alla supremazia globale
– che tra l‟altro, secondo le prospettive geopolitiche
5
, non potrà appartenenere a nessuno di questi
due sistemi, a meno che non sappiano, appunto, unire i propri destini. Da ultimo – ma non di certo
per ordine di importanza – e tornando all‟Iran, si deve considerare almeno una minima parte di
responsabilità da attribuire all‟Occidente in merito all‟affermazione di movimenti fondamentalisti al
potere nelle realtà islamiche. Secondo quanto sosteneva la scomparsa Benazir Bhutto – Presidente
del Pakistan, notoriamente contro le posizioni fondamentaliste ed uccisa da frange terroriste vicine
alla rete di al-Qaeda – nello stesso Iran venne attuato il golpe che, nel 1953, rovesciando un
Governo democraticamente eletto, ispirato a principi laici e intenzionato a nazionalizzare il petrolio
iraniano, quale quello presieduto da Mohammad Mossadeq, le potenze occidentali – Usa e Gran
Bretagna in testa – non esitarono a far intervenire i propri servizi segreti nella questione,
mantenendo al potere lo Shah Mohammad Reza Pahlavi, vicino a dette compagini e pronto ad
accettarne l‟influenza sulla politica interna iraniana - oltre che minacciato, insieme a tutta la Corte,
dalla linea politica di austerità intrapresa dal governo Mossadeq. Occorre far menzione di come, a
quasi trent‟anni di distanza, la Rivoluzione di Khomeini - dalla quale discende l‟assetto odierno
delle istituzioni iraniane, che in molte analisi occidentali non si fatica a chiamare teocrazia né a
sottolineare le basi fondamentaliste che gli sono prorpie – si mise alla testa non solo, e non tanto, di
istanze portatrici di un ritorno all‟Islam delle origini, quanto di una lotta dei “diseredati” per
l'indipendenza nazionale, volta all‟acquisizione dell‟autodeterminazione dal controllo straniero e
alla liberazione da vertici statali, quali quelli della Monarchia dei Pahlavi, corrotti ed inefficienti.
Nelle Conclusioni, infine, si affronterà un breve ed ultimo confronto tra la civiltà islamica e quella
occidentale, facendo un cenno alla considerazione che se la Democrazia non caratterizza oggi la
maggior parte degli Stati ad ispirazione islamica, questo non accade in conseguenza del contenuto
stesso di detto sistema religioso e della cultura che ad esso si riconduce, bensì delle vicende storiche
che hanno caratterizzato il cammino di questi popoli, le cui radici islamiche sono state troppe volte
strumentalizzate dalle compagini che su di esse esercitavano il governo, trasformando il messaggio
coranico in una base di legittimazione che stringesse intorno a tali vertici la sovranità.
5
Vedi G.E. Fuller e I.O. Lesser; Geopolitica dell’Islam. I Paesi musulmani, il fondamentalismo, l’Occidente; Donzelli
Editore; Roma 1996.
6
Da questo lavoro emerge la volontà di sottolineare l‟esigenza di avviare un percorso di reciproca
comprensione
6
e conoscenza con l‟universo islamico, finalizzato alla creazione di una reale
globalità, non più solo economica ma anche, e soprattutto, culturale. A questo compito, in ambito
accademico, di certo non può non ottemperare il Diritto Costituzionale Comparato, ad esso
spettando un ruolo di primaria importanza nel fare approdare la cultura occidentale a questo
improcrastinabile obiettivo
7
.
6
“Solo rileggendo, come nota Cilardo, le fonti islamiche con un metodo storico-critico, depurando, cioè, il diritto
islamico da norme contingenti all‟epoca delle sue emanazioni (…) si potrà completare il quadro dei diritti dell‟uomo già
presente nell‟Islam, e reinterpretando le fonti evolutivamente, avvicinare il pensiero sciariatico a quello democratico
sancito dai principi universali che sanciscono i diritti dell‟uomo in tutto il mondo”. Cit. in AA.VV.; Compendio di
Diritto Islamico”; Ed. Simone; 2008; p. 149.
7
“(…) le problematiche (…) sul piano della compatibilità culturale, sociale e giuridica (si pensi, ad esempio, a quella
parte delle norme di diritto islamico ritenute inconciliabili con la nozione di Diritti Fondamentali dell‟Uomo di
tradizione occidentale) impone al mondo occidentale una riflessione e un approfondimento in ordine alla natura e ai
principali fondamenti del diritto islamico quali necessari presupposti per la costruzione di un dialogo costruttivo con
l‟Islam, oggi non più rimandabile”. Ibidem, p. 11.
7
CAPITOLO 1
IL DIRITTO ISLAMICO
Quando si analizza il Diritto islamico va premesso che si prende in esame il terzo sistema giuridico
mondiale per estensione, dopo quelli di common e civil law. E che l‟Islam rappresenta la seconda
religione per numero di credenti al mondo, con 1200 milioni di fedeli, stanziati in ognuno dei
cinque Continenti. I credenti musulmani formano una comunità sopranazionale, elemento dagli
importanti risvolti anche per le concezioni giuridiche che regolano le società degli Stati islamici.
Questi, infatti, basano in buona parte i propri ordinamenti sul rispetto della legge che promana dal
Corano – la shari’a – o meglio, dall‟interpretazione che ogni singolo Paese ha accreditato delle
enunciazioni coraniche – secondo le diverse esigenze e contingenze storico-politiche. A queste si
sono poi sovrapposte le codificazioni intervenute successivamente - di ispirazione chiaramente
europea -, che hanno adeguato il campo normativo di questi Stati alle situazioni sociali e, di
conseguenza, giuridiche attuali
1
.
Risulta chiara quindi, data la consistenza in termini di popolazione dei fedeli musulmani e
l‟estensione a livello di Stati che si definiscono islamici o che ispirano la propria legislazione ai
principi del Corano - senza considerare l‟importanza dei rispettivi territori per quanto attiene alla
concentrazione di risorse ivi presente -, l‟esigenza, per un ordine geopolitico mondiale globale, di
acquisire un modus vivendi o comunque intraprendere la strada del confronto con la cultura
musulmana. Con ciò si vuole affermare l‟intenzione, propria della presente elaborazione, di favorire
la comprensione dell‟universo islamico analizzando, nel caso di specie, i caratteri generali del
Diritto musulmano in maniera obiettiva e senza voler giungere a valutazioni di sorta e comparazioni
improbabili, e, allo stesso modo, senza voler essere influenzati da alcun preconcetto
2
. Il presente
1
A. Predieri sostiene, a proposito della shari’a, che “Può consentire attuazioni diverse, con riferimento a valori
fondamentali dalla libertà alla solidarietà, con molte soluzioni, che permettono differenze di sistemi economici, di
ordinamenti istituzionali, di normazioni, di diversità etniche […], da comprendere, innanzi tutto, in un complesso studio
simultaneo dello spazio e del tempo che connota la Umma, la comunità dei fedeli. A Predieri, Islam e Costituzione,
Laterza, Bari 2006, p. 19. “Questa assenza di regole sulle norme è, volta a volta, forza o debolezza, perché consente uno
spettro di possibilità che possono portare a regimi di ogni genere (e a far invocare la shari‟a con i progetti più diversi, da
quelli degli integralisti a quelli degli ulema che li condannano)”. Ibidem, p. 72.
2
“Confutazione del Corano e demonizzazione di Mohammad rappresentano due vasti e consolidati capitoli molto
scarsamente contrastati e le cui conseguenze non si può affermare siano completamente scomparse neppure ai nostri
giorni”. P. Martinez Montavez, C. Ruiz Bravo, Europa Islamica. L’espansione; Istituto Geografico De Agostini,
Novara 1991, p. 192.
8
capitolo si propone di dare una base essenziale di oggettività all‟analisi, esponendo quelle che sono
le caratteristiche fondamentali del Diritto islamico. Per fare questo si partirà da una breve
trattazione dei cenni storici riguardanti l‟evoluzione dei precetti coranici, venendo poi a considerare
la categorie centrali del sistema giuridico musulmano, passando per l‟interpretazione che del
Corano stesso hanno dato le varie scuole giuridiche, che nel tempo si sono susseguite e affermate
nei diversi sistemi statali venutisi a creare con la decolonizzazione. In seguito l‟analisi si rivolgerà
alle fonti del sistema di Diritto in esame, secondo la ripartizione, ormai condivisa pressoché
unanimemente dalla dottrina, tra fonti canoniche e non canoniche, per concludere da ultimo con la
trattazione del rapporto tra Islam e Stato, cercando così di restituire allo studio la matrice
costituzionalista che deve essere propria del suo livello d‟indagine.
1. Cenni storici: dall’Arabia preislamica e la vita di Mohammad
3
alla diffusione dell’Islam.
Per analizzare la ricostruzione storica delle vicende che hanno portato alla strutturazione dell‟Islam
come religione e, allo stesso tempo, del Diritto islamico come sistema di norme che regola la vita
delle comunità musulmane, non si può prescindere dalla centralità e rilevanza di un personaggio
come Mohammad, il Profeta dei musulmani. Nel periodo immediatamente antecedente alla vita di
quest‟ultimo, infatti, la penisola arabica si presentava come un territorio prevalentemente desertico,
abitato da popolazioni per lo più nomadi o dedite alla pastorizia. Ciò nonostante, essa costituiva
un‟importante crocevia commerciale dell‟epoca, essendo attraversata dalla via della seta e da quella
delle spezie, che dall‟Europa si diramavano verso la Cina e l‟India. Il sistema giuridico era a
carattere consuetudinario, costituito da norme sacrali, come la divinazione, e da una visione del
Diritto positivo estremamente concreta, tale da statuire l‟applicazione della lex talionis. Questa
impostazione giuridica si inseriva all‟interno di un sistema di comunità tribali, ove i singoli gruppi
si presentavano come entità separate al di fuori delle quali l‟individuo, ad esse appartenente, si
vedeva sprovvisto di ogni forma di protezione. Il sistema giudiziario non poteva dirsi strutturato,
affidando la risoluzione delle controversie ad un arbitro (hakam), da nominarsi col consenso delle
parti, il quale si avvaleva della consuetudine normativa vigente (schacht)
4
.
Con Mohammad cambia questa congiuntura. La nascita del Profeta viene collocata all‟incirca tra il
562 e il 572 d.C. Proveniente da famiglia di importanti mercanti, Maometto - o meglio Mohammad,
.
3
Vedasi A. Kader; Il Messaggero; Iperborea Ed.; Milano 2010.
4
“Non esisteva […] un sistema giudiziario strutturato e la risoluzione delle controversie veniva affidata ad un arbitro
(hakam), scelto in base alle sue doti personali, al prestigio e alla provenienza familiare, la cui decisione era inappellabile
ma non esecutiva e rappresentava sostanzialmente un‟affermazione autorevole sulla consuetudine normativa (Schacht)”.
In Compendio di Diritto islamico; AA.VV.; Ed. Simone; Napoli 2008.
9
per rimanere più vicini alla pronuncia araba
5
- rimane presto orfano, affidato alla custodia del nonno
prima - al-Muttahib, capo dei Quraysh -, e dello zio Abù Talib poi. In un primo tempo al seguito
dello zio, e successivamente della ricca vedova Khadija, che diverrà la sua prima moglie,
Mohammad intraprende una serie di viaggi, importanti per la sua formazione culturale. Nel 610,
durante la “notte del destino” - che cade in pieno Rhamadan -, l‟arcangelo Gabriele – stando alla
legenda - gli rivela per la prima volta le enunciazioni del Corano - Qur-an: recitazione, testo da
salmodiare -, secondo la tradizione la “diretta e letterale trascrizione della parola di Dio che, in
quanto espressione di tale Suprema, l‟uomo non può modificare”
6
. Le rivelazioni, da qui in poi,
perverranno al Profeta in diversi tempi e luoghi nel corso della sua vita, sotto forma di versetti e
ordinate successivamente in Sure dai suoi discepoli. Tra i primi discepoli di Mohammad ritroviamo,
oltre a sua moglie Khadija, il cugino e genero Alì Ibn Abù Talib e l‟amico Abù Bakr - succedutigli
rispettivamente come quarto e primo Califfo. In questo periodo, tuttavia, l‟opera di proselitismo di
Mohammad riscosse uno scarso numero di consensi. Così, nel 622, anno dell‟Egira -
„Emigrazione‟, primo anno del calendario islamico -, il Profeta decise di trasferirsi con il suo
seguito di fedeli dalla Mecca, sua città natale, a Yathrib, poi rinominata Medina – “Città del
Profeta” -, città natale di sua madre. Qui fondò la Umma, la prima comunità politica di credenti, la
quale traeva fondamento giuridico dal consenso dei membri. Dalla comunità tribale, l‟aggregazione
sociale si evolveva verso una forma basata su una comunanza di ideali religiosi
7
. Nel 630
Mohammad torna alla Mecca e la conquista, dando l‟inizio all‟espansione dell‟Islam. Due anni
dopo, però, morirà, senza aver prima precisato le norme che avrebbero dovuto attendere alla sua
successione. Donde, la serie di scissioni e lotte intestine endemiche al mondo islamico che,
possiamo dire, perdurano tutt‟oggi.
Costituisce un esempio di tali diatribe la frattura tra sunniti - da Sunnah, la raccolta di detti,
comportamenti e silenzi del Profeta, utile ancora oggi al sunnismo per integrare i precetti del
Corano - e sciiti - da shi’a, partito di Alì -, avvenuta in occasione dell‟uccisione di Alì Ibn Abù
Talib, come già detto cugino e genero del Profeta e a questi succeduto come quarto Califfo. Per i
sunniti, con Mohammad si chiude l‟epoca della rivelazione e nessuno può succedergli in quanto
5
Sull‟ importanza della lingua araba ai fini della lettura e interpretazione del Corano, vedasi A. Predieri, Islam e
Costituzione, Laterza, Bari 2006.
6
Compendio di Diritto Islamico; AA.VV.; Simone Ed.; Napoli 2008; p. 7.
7
“La più grande rivoluzione politica mai verificatasi nella storia del mondo antico ebbe luogo nell‟arco delle due
generazioni che seguirono la morte del profeta Mohammad nel 632 d.C. […]. Per la prima volta nella storia umana, le
popolazioni di quell‟arcipelago di regioni abitate da popolazioni stanziali che andava dal Marocco all‟Andalusia
all‟Asia centrale e al Punjab si trovarono a far parte di un unico sistema politico”. P. Brown, The rise of Western
Christendom, Basil Blackwell, Oxford 1995, p. 227.
10
Profeta. Il Califfo, secondo questa confessione, viene scelto tra i più fedeli e dotti della disciplina
coranica, svolgendo la funzione di guida e amministrando la comunità islamica secondo i dettami
del Corano stesso. Per gli sciiti, invece, oggi concentrati per lo più in Iran e in buona parte dell‟Iraq,
in maggioranza appartenenti alla scuola imamita duodecimana, la successione avviene in maniera
ereditaria. Infatti, secondo questo diverso approccio, Alì sarebbe stato istruito direttamente da
Mohammad sui più profondi segreti dell‟Islam e, per ciò stesso, designato a prenderne il posto. La
dottrina sciita conferisce sacralità alla famiglia del Profeta, seguendo la linea dinastica che segue la
discendenza di Alì; di conseguenza, essi riservano alla figura dell‟Imam – „guida dei fedeli‟ -
incontrastata autorità nell‟amministrare la comunità dei credenti.
Dopo il regno dei cosiddetti “Califfi ben guidati”
8
, si assiste all‟espansione dei domini islamici, con
conseguente aumento dei proseliti. Le conquiste islamiche si estenderanno fino alla Spagna, ad
occidente, e alle rive dell‟Indo, a oriente, durante il regno delle quattro dinastie successive,
segnatamente:
Gli Omayydi, i quali spostarono la capitale a Damasco, detenendo il potere fino al 750 d.C.;
Gli Abbasidi, che riportarono la capitale a Baghdad e, contemporaneamente, i Fatimidi - da Fatima,
figlia di Mohammad -, dinastia sciita ismailita, stanziata in Egitto;
Questi sarebbero poi stati rovesciati dai Turchi Selgiucchidi, il cui regno va dalla fine del X alla
metà dell‟ XI secolo, vedendo la propria fine con l‟invasione mongola, in seguito alla quale le tribù
torcomanne sarebbero state spinte ai confini dell‟Impero bizantino;
In seguito, si assistette all‟ascesa al potere della tribù di Otsman (gli Ottomani), la quale diede vita
all‟istituzione imperiale che, a partire dalla presa di Costantinopoli nel 1453, avrebbe esteso le
proprie conquiste fino all‟Europa balcanica, tramontando solo dopo il primo conflitto mondiale.
Con il progredire delle conquiste islamiche, soprattutto ai danni dell‟Impero bizantino e di quello
persiano, veniva favorita la conversione all‟Islam degli abitanti, che decretava la loro appartenenza
alla medesima comunità islamica. Questa produceva la propria efficacia a prescindere da ogni
differenza di carattere razziale e di casta, e, di conseguenza, attribuiva loro gli stessi diritti dei
conquistatori musulmani, comportando l‟adesione di tutti ad un comune ideale di fratellanza.
Inoltre, si imponeva l‟arabo come lingua ufficiale e uno stile di vita conforme ai principi del
Corano. Le cariche pubbliche avevano anche natura confessionale, risultando, come a tutt‟oggi, il
8
Vengono così definiti dalla tradizione musulmana i primi quattro Califfi: Abu Bakr, Umar, Uthman e Alì Ibn Abu
Talib.
11
confine tra potere spirituale e temporale decisamente sfumato
9
. I pubblici ufficiali dovevano infatti
osservare fede musulmana e tenere un comportamento basato sui precetti del Corano
10
.
Per quanto afferisce al rapporto con le altre religioni, e, ancor più, tra i rispettivi fedeli, è d‟obbligo
ricordare la generale tolleranza impartita dal Corano nei confronti delle “Genti del Libro”,
rientrando in questa espressione i credenti delle altre religioni monoteiste, primi tra tutti i cristiani e
gli ebrei, estesa, successivamente, anche a induisti e zoroastriani. Nei loro confronti il messaggio
islamico statuisce l‟istituto della dhimma, un patto perpetuo di protezione a loro vantaggio,
corrisposto dalle istituzioni musulmane dietro pagamento di un tributo
11
. Troviamo ancora oggi, in
alcuni Paesi islamici - Siria, Libano, Iraq e Giordania -, comunità non musulmane che adottano
proprie leggi e riconoscono propri tribunali, competenti per le materie attinenti allo statuto
personale.
Oggi, come già affermato, i musulmani sono più di un miliardo, mentre sono 47 i Paesi a
maggioranza islamica e 57 quelli aderenti all‟Organizzazione della Conferenza Islamica
12
. Questo
dovrebbe bastare a rendere l‟idea della rilevanza del mondo che si rifà alla cultura propria
dell‟Islam, e affermare una volta di più la necessità improcrastinabile di giungere ad una effettiva
comprensione di tale universo, mettendo da parte tante impostazioni preconcette ed altri connotati
tipici della nostra cultura occidentale, che impediscono una migliore comunicazione con queste
comunità, necessaria - va ribadito – all‟instaurarsi di un ordine mondiale che veramente voglia dirsi
globale.
2. Caratteri generali del diritto islamico.
L‟Islam, che letteralmente significa “totale sottomissione a Dio”
13
, regola con i suoi precetti ogni
aspetto della vita del fedele, dalla sfera sociale a quella economica e politica, giungendo a permeare
9
“L‟islam è dogma, culto, patria e nazionalità, religione e stato, spiritualità e azione, Corano e sciabola”. Al-Banna,
fondatore dei Fratelli Musulmani, cit. in A. Predieri, Islam e Costituzione, Laterza, Bari 2006, p. 29.
10
“Si distinguono le seguenti figure di vertice dell‟Islam:
Il Sultano, ovvero il sovrano di uno stato indipendente, che gode del titolo di comandante dei credenti sul quale
fonda la propria legittimità […];
Il viceré o delegato del sovrano (il dey di Algeri, il bey di Tunisi, chedivè in Egitto);
Il pascià o governatore della città;
Lo sceicco, governatore della provincia, o meglio, dei territori tribali della provincia;
Il capo del villaggio (muqaddam);
I visir, che sono i ministri del governo”.
Compendio di Diritto Islamico, Edizioni Simone, Napoli 2008, p. 9.
11
Da ricordare anche che “L‟Islam ha visto in Gesù un grande mistico e un grande profeta”. A. Predieri Islam e
Costituzione, Laterza, Bari 2006.
12
L‟Organizzazione della Conferenza Islamica è un‟Organizzazione Internazionale con delegazione permanente presso
le Nazioni Unite. Rappresenta 57 Paesi del Medio Oriente, Africa, Asia centrale e del subcontinente indiano.
13
Vedi in Z. Sami; Islam popolo e Stato; Jaca Book Ed.; Milano 2010.
12
di sè anche la scienza giuridica e anzi riservando a quest‟ultima un particolare rilievo. Il Diritto
islamico, infatti, può considerarsi senza dubbio il cuore dell‟Islam, la scienza religiosa per
eccellenza
14
all‟interno del dettato coranico. A differenza dei sistemi di common e civil law, laddove
la norma risulta essere frutto del ragionamento, per il sistema giuridico in esame il legislatore si
identifica con Dio, che ha rivelato la legge al Profeta; per cui mettendo in questione la legge
(shari’a), si pone in dubbio implicitamente la stessa parola di Allah, “unico Dio”. Il Diritto
islamico, in quanto Diritto confessionale, presenta fini di convivenza sociale e di natura ultraterrena.
Inoltre, strettamente legato al Corano, subordinato al rituale religioso e influenzato dalla cultura
araba
15
, esso denota caratteri del tutto peculiari, che non ne consentono una facile comparazione con
gli altri modelli di ordinamento giuridico e in particolare col Diritto canonico - suo omologo più
prossimo, in quanto Diritto sacro - all‟interno della cultura occidentale. Tentando di evidenziare le
principali differenze con il Diritto canonico, si può innanzitutto sottolineare l‟importanza del
contesto socio-culturale sullo sviluppo delle categorie giuridiche, rilevando come la storia europea
sia stata caratterizzata da un lungo processo di laicizzazione delle strutture politiche, che ha
consentito la sostituzione, di fondamentale importanza nella formazione della cultura del vecchio
Continente, dei sistemi giuridici di ispirazione canonica. Il Diritto islamico, invece, accogliendo una
visione olistica della legge sacra, non accetta travisamento alcuno della parola di Dio, pervadendo
ogni livello di attività della vita della Umma – la comunità dei credenti. Al contrario, il Diritto
canonico si presenta come sistema giuridico realmente ed esclusivamente sacro, prefiggendosi,
sotto la guida autocratica del Papa, fini solo ultraterreni, tali da non entrare in contrasto – o non
entrarci più, dopo la secolarizzazione degli ordinamenti – con le norme statali
16
.
Venendo poi ad un tentativo di comparazione tra Diritto musulmano e gli altri sistemi giuridici
occidentali, si può riscontrare una prima e sostanziale differenza nel considerare come per l‟Islam la
legge non sia, come per il Diritto romano, produzione dell‟uomo, ma venga ricavata dal Corano e
dalla Sunnah. Tra i principi per l‟individuazione delle norme si ritrova: l‟esegesi, il ragionamento –
14
“Nel diritto islamico ritroviamo:
Una teologia (aquida) che fissa i dogmi e stabilisce ciò in cui ogni musulmano deve o non deve credere;
Una legge rivelata (shari’a o via da seguire) che prescrive cosa un musulmano deve o non deve fare;
Una scienza del diritto (fiqh), intesa come l‟esatta interpretazione e comprensione della shari‟a”.
In Compendio di diritto islamico; Edizioni Simone; Napoli 2008; p. 12.
15
“ Vincolato ad un testo sacro, il diritto islamico è subordinato al rituale religioso e la scienza giuridica è vincolata
dalla teologia, anche se queste discipline hanno nella cultura islamica un‟estensione ed un rapporto reciproco diversi
che in quella occidentale”. M.G. Losano, I grandi sistemi giuridici; Einaudi, Torino 1978, p. 195 s.
16
In proposito c‟è chi sostiene - come fa B. Geremek in Le radici comuni dell’Europa, Il Saggiatore, Milano 1991, p.
66 - che “il concetto di christianitas abbracciò […] la realtà politica laica e insieme la sfera della vita spirituale
collettiva, […] il concetto di christianitas trova supporto nella comunione reale dei contenuti culturali e morali, esprime
lo stato della coscienza collettiva il cui ambito sociale si ampliò nel corso del Medio Evo. L‟universalismo papale e il
movimento delle crociate utilizzarono questo concetto come un efficace strumento di propaganda”.
13
ijtihad
17
, laddove ce ne sia bisogno per creare fattispecie nuove -, il metodo analogico
18
- ijma,
preferito a quello analitico, prevalente invece nella tradizione giuridica propria dell‟Europa
continentale - ed il metodo casistico - utilizzato, più che per analizzare separatamente le diverse
fattispecie, al fine di individuare serie graduali di casi, risultando essere le categorie giuridiche più
sfumate rispetto a quelle occidentali, secondo le quali il singolo atto viene valutato secondo la
logica binaria del lecito-illecito. Per il diritto islamico, infatti, l‟atto dell‟uomo può essere:
obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato o vietato: coincidendo tali concetti intermedi con
altrettanti effetti giuridici graduali
19
. Pur considerando il carattere privato e individualistico del
Diritto islamico, “somma dei diritti soggettivi (o privilegi) e dei doveri degli individui”
20
, tale
visione si ritrova anche nel Diritto pubblico, dove è assente ogni forma di definizione dei pubblici
poteri, riscontrando invece la presenza di soli doveri in capo agli individui chiamati a svolgere
pubblica funzione. Non esiste poi, nel Diritto musulmano, alcuna sistematizzazione delle norme per
materia, ritrovandosi regole di Diritto tributario o fiscale accanto a quelle di Diritto bellico o a
precetti più politici. L‟esistenza di una molteplicità di casi particolari, senza un corpus di principi
generali e con l‟importante funzione integrativa delle fonti scritte svolta dai dottori della legge, non
17
Cfr. § 1.5, p. 24.
18
Cfr. § 1.5, Ibidem.
19
Per riprendere la classificazione in Compendio di diritto islamico, Edizioni Simone, Napoli 2008:
“[…] l‟atto meritorio o doveroso o necessario è quello che il musulmano deve compiere inderogabilmente e
senza indugi. Se la sua esecuzione, accompagnata dalla niya („consapevolezza, intenzionalità‟), comporta una
ricompensa nell‟aldilà, l‟omissione costituisce un peccato punibile nell‟altra vita e, qualora incida sulla
collettività, un reato contemplato dalla legge positiva e dunque perseguibile. Occorre innanzitutto distinguere
tra obblighi incidenti esclusivamente sul rapporto Dio-uomo (es. l‟obbligo di assolvere alle cinque preghiere)
ed obblighi la cui violazione produce conseguenze negative anche sul corpo sociale (es. la zakat). Solo per
ottenere l‟adempimento dei secondi può essere intentata un‟azione giudiziaria. Un‟altra distinzione riguarda gli
obblighi individuali e gli obblighi comunitari incombenti su una parte della comunità o su un membro della
stessa competente ad assolverli (es. ogni comunità deve dotarsi di un giudice e di tutti gli altri professionisti di
cui ha bisogno) […];
l‟atto meritorio, raccomandato o desiderabile è quello che il legislatore raccomanda in modo non categorico e
rende colui che lo compie meritevole di lode in questa vita e degno di ricompensa nell‟altra (es. il matrimonio).
Tra questi ritroviamo atti più fortemente raccomandati, come quelli che completano gli obblighi religiosi (es.
chiamare i fedeli alla preghiera);
l‟atto permesso, indifferente o lecito è quello che il legislatore lascia completamente libero il fedele di
compiere o meno e che pertanto non è associato a nessuna ricompensa o punizione;
l‟atto riprovevole o reprensibile rappresenta l‟opposto dell‟atto raccomandabile: rende colui che non lo compie
degno di lode e colui che lo compie rimproverabile […]. Tali atti possono essere autorizzati in caso di
necessità assoluta (es. mangiare carne di maiale se altrimenti si rischia la morte);
l‟atto illecito o vietato è punibile in questa e nell‟altra vita e rende colui che non lo compie degno di
ricompensa nell‟aldilà. Anche in questa ipotesi bisogna distinguere tra atti che incidono negativamente sul
corpo sociale e sono per questo perseguibili (es. il furto) e atti proibiti che, se compiuti, inficiano il rapporto di
obbedienza dell‟uomo a Dio (es. mangiare intenzionalmente durante il mese di Ramadan), con conseguenze
sul piano strettamente intimo”.
Ibi, pp.19-20.
20
Ibidem, p. 13.
14
permette comunque di accostare il Diritto islamico ai sistemi di common law, risultando esso più di
derivazione dottrinale che giurisprudenziale.
Se, da un lato, si può dunque sostenere che il Diritto islamico, poiché di derivazione divina, risulti
essere immobile e intangibile per definizione, va tuttavia considerato anche l‟insieme di istituti e
procedure che ne hanno permesso l‟evoluzione, adeguandolo alla realtà dei tempi e integrando i
principi contenuti nel Corano: un testo sacro risalente a più di quattordici secoli fa. Tra tali
strumenti si annoverano: l‟interpretazione, la consuetudine, le convenzioni tra parti, le finzioni
giuridiche e l‟intervento del principe. La sopravvivenza del Diritto islamico fino ai nostri giorni è
poi dovuta anche alla capacità di convivenza di tale sistema giuridico con altri ordinamenti, più
volte verificatasi nel corso della storia
21
. Il sistema giuridico musulmano, infatti, non presume la
propria universalità, affermandosi come vincolante nei confronti dei soli propri fedeli.
Ciò nondimeno, si deve ricordare come, tornando per un momento a trattare la storia dello sviluppo
del sistema giuridico qui in oggetto, a partire dall‟XI secolo, al termine del dominio abbaside, si sia
assistito alla cosiddetta “chiusura della porta” dell‟ijtihad
22
, il ragionamento interpretativo
autonomo che fino ad allora aveva permesso alla dottrina di integrare le fonti coraniche. Con questa
“chiusura”, l‟ortodossia musulmana giunse a considerare compiuta l‟elaborazione del relativo
sistema di Diritto nei suoi tratti fondamentali
23
. Le principali questioni giuridiche venivano così
date per risolte grazie all‟opera dei maggiori dotti del passato, gli unici a possedere le qualità per il
ragionamento autonomo sul Diritto. Se per i primi esperti di Diritto islamico l‟ijtihad aveva quindi
costituito lo sforzo autonomo del ragionamento volto all‟integrazione del Corano, successivamente
tale attività sarebbe stata circoscritta all‟interno di una serie di limitazioni, sostanziatesi nel
consenso (ijma)
24
e il suo principio di infallibilità, nel formarsi di gruppi all‟interno delle scuole e
nella comparsa di tradizioni (Sunnah) attribuite a Mohammad o ai suoi compagni. D‟altra parte, non
si può sostenere che il principio di “chiusura della porta” sia stato mai accettato in maniera
unanime, data l‟attività di giudici - qaddi - e mufti
25
- che hanno continuato a porre in essere lo
21
Costituisce un esempio in tal senso quanto avvenuto “nella penisola iberica successivamente all‟invasione e alla
cacciata degli arabi (X sec. d.C.), dove ai musulmani rimasti è stato consentito di vivere pacificamente nel territorio
conquistato dai cristiani e viceversa”. Ibi, p. 15.
22
Cfr. § 1.5, p 25.
23
Per proseguire sul filone della comparazione, si veda M.G. Losano, I grandi sistemi giuridici, Einaudi, Torino 1978,
p. 13, quando sostiene che “la civiltà romano-bizantina consegna all‟alto medioevo dell‟Europa continentale un diritto
romano cristallizzato in una forma sistematica che si presenta come definitiva. Questo passaggio da costume vissuto a
libro studiato condizionò l‟esistenza del diritto romano fino al nostro secolo, perché rese possibile applicarvi il
complesso di tecniche interpretative che la teologia cristiana andava applicando al libro per eccellenza, alla Bibbia”.
24
Cfr. § 5.1, p. 24.
25
“Il mufti è una sorta di consulente giuridico, un esperto privato del diritto islamico in grado di emettere pareri (fatwa)
di carattere pratico speculativo relativamente a casi concreti accettati come autorevoli dalla comunità e dai suoi
rappresentanti. Il carattere essenzialmente pratico della sua attività contrappone questa figura a quella dei fuqaha,