6
Formazione sui Diritti dell'Uomo, Padova), Stefano Benini (Casa per la Pace, Verona), Giovanni Salio e
Carla Toscana (Centro Studi "D.S. Regis", Torino) e la mia amatissima Cristiana.
7
CAPITOLO I
LA DEFINIZIONE DEL FENOMENO
Sommario: I.1. Obiezione di coscienza e diritto di resistenza. I.2. L'ammissibilità del diritto di resistenza:
tesi contrarie. I.3. L'ammissibilità del diritto di resistenza: tesi favorevoli.
I.1. Obiezione di coscienza e diritto di resistenza.
E' difficile stabilire il rapporto tra obiezione di coscienza e diritto di resistenza, e ancora più arduo è definire
concettualmente questi due fenomeni, anzi, secondo Cassandro è "impresa quasi disperata"
2
, eppure tentata,
con risultati differenti, da alcuni Autori.
Ci viene in aiuto innanzitutto Passerin d'Entreves, il quale sostiene che il cittadino può assumere diversi
comportamenti di fronte alla legge:
a) obbedienza consenziente, cioè convinta adesione dell'individuo alla legge, riconosciuta non "eteronoma"
bensì "autonoma";
b) ossequio formale, ovvero meccanica obbedienza per abitudine sovente connessa ad apatia politica;
c) evasione occulta, cioè l'obbedienza solo per timore della sanzione comminata dall'ordinamento (quanto
maggiore è la certezza che la disobbedienza passerà inosservata, tanto maggiore è la sua frequenza);
d) obbedienza passiva, ovvero convinta adesione alla legge finchè questa non contrasti con gli obblighi
morali o religiosi. Quando ciò si verifichi, la persona disobbedisce alla legge e subisce passivamente, cioè
con rassegnata sottomissione, la sanzione conseguente;
e) obiezione di coscienza, ovvero rifiuto individuale di obbedire alla legge per testimoniare pubblicamente
l'obbedienza ad un dovere superiore;
f) disobbedienza civile, ovvero collettiva, pubblica e pacifica violazione della legge per migliorare
l'ordinamento;
g) resistenza passiva, si distingue dalla precedente in quanto diretta a sovvertire l'ordinamento;
h) resistenza attiva, mira a rovesciare l'ordine costituito attraverso l'uso collettivo della violenza.
Per questo Autore, gli ultimi cinque comportamenti esprimerebbero la resistenza alla legge; gli ultimi due
"sono azioni di rottura: non si pongono più all'interno, bensì all'esterno del sistema mirando a sovvertirlo
radicalmente, vuoi con mezzi pacifici, vuoi con mezzi violenti.
Non si può neppure più parlare, in questi casi, di inadempimento di un obbligo politico: l'esistenza stessa di
questo è negata"
3
. Da questa analisi risulta con chiarezza che per l'autore la resistenza è il fenomeno
comprensivo di ogni disobbedienza alla legge, inclusa quindi l'obiezione di coscienza, e che quest'ultima si
distingue dalle altre modalità della resistenza, per le caratteristiche indicate sopra.
E' bene sottolineare che per noi la resistenza, se intende assurgere a diritto, non deve mirare al rovesciamento
dell'ordinamento giuridico, bensì alla sua conservazione-integrazione, per cui la resistenza passiva ed attiva
non può essere ricompresa nel diritto di resistenza.
Allarga la visuale Cosi notando che "la dottrina americana ha individuato anche un tipo di resistenza
(prevalentemente di gruppo) che può assumere insieme caratteristiche rivoluzionarie e di disobbedienza
civile: la resistenza ai cosiddetti corporate bodies, istituzioni private che agiscono in vece dello Stato, senza
2
G. CASSANDRO, Resistenza, pp. 590 ss.
3
A. PASSERIN D'ENTREVES, Obbedienza e resistenza in una società democratica, pp. 213 ss.
8
necessariamente averne le stesse garanzie di democraticità (organizzazioni industriali, commerciali,
educative). Si possono sviluppare azioni di resistenza che sono oggettivamente rivoluzionarie nei confronti di
queste organizzazioni, in quanto tendono a mutarne struttura e rapporti interni di potere, e che al tempo
stesso non valicano i limiti della disobbedienza civile, se rapportate allo Stato. Vengono spesso portati come
esempio i grandi scioperi degli anni 1936-37 alla General Motors"
4
. Condividiamo questa osservazione, ma
nel nostro lavoro non verrà esaminata la resistenza a soggetti diversi dagli organi dello Stato.
Venendo a considerare in particolare il pensiero di Bobbio, vediamo che la resistenza alla legge può essere:
- omissiva o commissiva, cioè consistente nel non fare ciò che è comandato, o nel fare ciò che è proibito;
- individuale o collettiva, ovvero compiuta da un individuo isolato o da un gruppo organizzato;
- clandestina o pubblica, secondo che sia realizzata segretamente o sia diretta a ottenere la più ampia
risonanza;
- pacifica o violenta, cioè compiuta senza o con l'uso della forza fisica;
- parziale o totale, secondo che sia diretta contro una norma giuridica o contro l'intero ordinamento;
- passiva o attiva, cioè diretta contro la parte precettiva della norma mentre ne viene accettata la parte
punitiva, o diretta contro entrambe
5
.
Appare evidente che le analisi degli Autori citati si integrano e si approfondiscono a vicenda, per cui è
possibile inferire che la resistenza si manifesta nelle forme seguenti:
- l'obbedienza passiva è individuale, clandestina, parziale, passiva;
- l'obiezione di coscienza è individuale, pubblica, pacifica, parziale, passiva;
- la disobbedienza civile è collettiva, pubblica, pacifica, parziale o totale, passiva;
- la resistenza passiva è collettiva, pubblica, pacifica, attiva, totale;
- la resistenza attiva è collettiva, pubblica, violenta, attiva, totale.
E' necessario avvertire che alcuni Autori non concordano con le definizioni date sopra e da noi accolte, ad
esempio Venditti rinviene nella disobbedienza civile la manifestazione dell'obiezione di coscienza, cioè la
forma di un evento interiore
6
; Pugiotto sostiene che l'obiezione di coscienza, in senso proprio, oltre a
possedere i caratteri sopra indicati, deve essere commissiva
7
; al contrario, Prisco rinviene l'obiezione solo nei
comportamenti "di astensione volontaria da un obbligo e non quando pretendessero di contrastare divieti",
cioè solo nelle omissioni e non nelle commissioni
8
; Cerri distingue il colpo di stato dalla rivolta e dalla
rivoluzione
9
(fenomeni tutti ricompresi, per noi, nella resistenza attiva); Mortati identifica diritto di
resistenza e obiezione di coscienza contra legem
10
; Canfora ritiene "errato distinguere tra resistenza
individuale e collettiva, perchè, al di là della diversa efficacia pratica, il problema è e rimane morale e deve
essere pertanto risolto dalla coscienza individuale"
11
.
Concludiamo questo primo paragrafo, ribadendo che per noi l'obiezione di coscienza è una delle modalità di
manifestazione del diritto di resistenza alla legge: dunque d'ora in avanti, sarà implicito che, parlando di
diritto di resistenza, intenderemo riferirci anche all'obiezione di coscienza.
4
G. COSI, Saggio sulla disobbedienza civile, pp. 245 ss.
5
N. BOBBIO, Disobbedienza civile, pp. 84 ss.
6
R. VENDITTI, Le ragioni dell'obiezione di coscienza, p. 38.
7
A. PUGIOTTO, Obiezione di coscienza nel diritto costituzionale, p. 250.
8
S. PRISCO, Fedeltà alla Repubblica e obiezione di coscienza, p. 133.
9
A. CERRI, Resistenza, p. 3.
10
C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, p. 149.
11
F. CANFORA, Obbedienza alla legge, obiezione di coscienza e resistenza, p. 159.
9
I.2. L'ammissibilità del diritto di resistenza: tesi contrarie.
Appare paradossale pensare che esista il "diritto di resistere al diritto", in quanto il dovere fondamentale di
ogni persona soggetta ad un ordinamento giuridico (obbligo politico) è quello di obbedire alle leggi: essendo
combinazione di elementi logicamente inconciliabili, il diritto di resistenza sembra, prima facie, un istituto
giuridicamente irrazionale.
Per quanto detto sopra, nel momento in cui un tale diritto dovesse essere riconosciuto normativamente,
verrebbe meno la certezza ed il valore cogente dei precetti, affidati all'arbitraria e soggettiva accettazione dei
singoli e, in definitiva, la società verrebbe dissolta nell'anarchia ("ubi societas, ibi ius").
Sul punto Kant afferma: "affinché il popolo fosse autorizzato alla resistenza, dovrebbe infatti esistere una
legge pubblica che lo permettesse, vale a dire la legislazione sovrana dovrebbe contenere in sè stessa una
disposizione secondo la quale essa non sarebbe più sovrana e il popolo, come suddito, verrebbe dichiarato, in
un solo e medesimo giudizio, sovrano di colui al quale è soggetto, il che è contradditorio", conseguenza per
cui il popolo ha il dovere "di sopportare l'abuso del potere supremo, persino quando questo è dato come
insopportabile: solo il Parlamento ha il diritto di resistenza negativa, cioè il diritto di rifiutare di consentire
sempre a ciò che il governo domanda, sotto il pretesto del bene dello Stato"
12
.
Ma al diritto di resistenza si oppone anche l'opinione comune quanto antica che in democrazia, ovvero nel
sistema in cui la sovranità appartiene al popolo, non c'è posto per la resistenza alle leggi, essendo queste
deliberate dai rappresentanti eletti liberamente dai cittadini: la minoranza deve adattarsi alle decisioni prese
dalla maggioranza.
In tale ordine di idee Rousseau dice che la volontà generale è sempre retta e che l'individuo ha il dovere non
solo di sottomettersi ad essa, ma di riconoscerne la giustizia, ammettendo di essersi ingannato quando la sua
personale opinione fosse stata diversa da quella
13
.
Recentemente Rostow ha affermato che la volontà legale della maggioranza è, oltre che giuridicamente,
anche moralmente vincolante, in uno Stato in cui sia garantito il diritto di partecipare alla formazione delle
leggi
14
.
Questi esiti sono necessitati per chi, come Capograssi ritiene che il conflitto tra obbedienza alla legge e
obbedienza all'imperativo interiore sia improprio, in quanto riguardante norme di ordinamenti differenti: per
l'ordinamento giuridico esiste solo il precetto legislativo, quindi il comando interiore dovrà cedere, e il suo
adempimento verrà sanzionato.
"E' chiaro che l'ordinamento positivo ,appunto in quanto è sè stesso, in quanto esiste, non può non fermarsi
alla oggettività della coscienza comune che lo sorregge e lo alimenta;e che ,fino a che questa coscienza lo
sorregge, l'ordinamento non può non escludere tutte le altre affermazioni, che sono in contrasto con questa
coscienza, che pel solo fatto di essere in contrasto sono, di fronte all'ordinamento, già giudicate. E d'altra
parte è chiaro pure che le coscienze, che disobbediscono perchè non aderiscono all'ordinamento, non possono
pretendere che l'ordinamento le giudichi con i loro criteri, appunto perchè sarebbe considerare come cessato
e non più esistente proprio quell'ordinamento che combattono, cioè che anche per esse esiste. Non possono
pretendere, e del resto non pretendono: pretendono anzi l'opposto. Non vogliono essere nè assolte nè
perdonate: attestazioni di altri ordini e di altri valori esse sono, quasi si direbbe, invocazioni di sacrifizio! E
perciò c'è qui un perfetto accordo nel perfetto disaccordo. Le coscienze, che obbediscono ad altri valori, e
non accettano il criterio di valore dell'ordinamento, si pongono come negative; e come negative
l'ordinamento le giudica e le tratta"
15
.
12
I. KANT, La metafisica dei costumi, pp. 148 ss.
13
J.J. ROUSSEAU, Contratto sociale, II, 3; IV, 2.
14
E. ROSTOW, The ideal in law, pp. 79 ss.
15
G. CAPOGRASSI, Obbedienza e coscienza, pp. 47 ss.
10
Similmente Kelsen, sulla base di un'impostazione dogmatica positivistica, considera tale conflitto solamente
apparente
16
.
I.3. L'ammissibilità del diritto di resistenza: tesi favorevoli.
A chi ritiene trasfuso il concetto di diritto di resistenza in quello di Stato di diritto, che ne avrebbe concluso e
coronato tutto lo svolgimento, Cattaneo ribatte che "anche dopo l'assorbimento del diritto di resistenza
(inteso come istituto giuridicamente codificato) nella struttura dello Stato di diritto, permane all'interno dello
Stato liberale, un residuo che esprime il nucleo sostanziale del diritto di resistenza stesso; e tale residuo
consiste nell'irriducibilità della coscienza individuale all'espressione della volontà generale"
17
.
Anzi, per Morelli "dalla concezione dello Stato di diritto e dalla relativa divisione dei poteri si deduce e la
possibilità di conflitto tra l'individuo e lo Stato, e la possibilità di abusi da parte di organi dello Stato, che si
cerca di prevenire o combattere: o genericamente, attraverso la divisione dei poteri, o attraverso le garanzie.
Poichè, dunque, il sistema delle garanzie è essenziale al concetto di Stato di diritto, se ne deve dedurre che
una garanzia, se ipoteticamente concepibile, che valesse per il momento in cui l'ordinamento più non potesse
funzionare, è in linea con l'essenza e con lo scopo dell'ordinamento. E attesa la preminenza dell'individuo di
fronte allo Stato, non soltanto se ne deve dedurre che un'eventuale proibizione del diritto di resistenza
sarebbe una contraddizione in sè, ma che tale diritto anche nel silenzio dell'ordinamento, deve essere
ammesso in base all'ordinamento"
18
.
L'idea che le leggi non devono essere disobbedite in quanto deliberate dai rappresentanti eletti dal popolo, è
sconfessata da Bobbio il quale mette in luce che "la partecipazione popolare negli Stati democratici reali è in
crisi almeno per tre ragioni: a) la partecipazione si risolve nella migliore delle ipotesi nella formazione della
volontà della maggioranza parlamentare; ma il parlamento non è più nella società industriale avanzata il
centro del potere reale, essendo spesso soltanto una camera di registrazione di decisioni prese altrove; b)
anche se il parlamento fosse ancora l'organo del potere reale, la partecipazione popolare si limita a intervalli
più o meno lunghi a dare la propria legittimazione a una classe politica ristretta che tende alla propria
autoconservazione, e che è via via sempre meno rappresentativa; c) anche nel ristretto ambito di un'elezione
una tantum senza responsabilità politiche dirette la partecipazione è distorta, o manipolata, dalla propaganda
delle potenti organizzazioni religiose, partitiche, sindacali, ecc."
19
. Ma a prescindere dalla crisi della
partecipazione popolare, un altro vizio del ragionamento di chi ritiene irrazionale il diritto di resistenza è
rappresentato dal fatto che viene ignorato un carattere fondamentale delle moderne democrazie, cioè la
limitazione del principio di maggioranza, in virtù dell'esistenza di libertà individuali insopprimibili.
A tale proposito Gandhi disse:"Rimettersi alla maggioranza, quali che siano le sue decisioni, è schiavitù. La
democrazia non è una condizione in cui il popolo agisce come un gregge. [...] Nelle questioni di coscienza, la
legge della maggioranza non c'entra"
20
.
Ciò si basa sulla esistenza di un ordine (etico o religioso) che inscrive, legittimandolo o meno, il potere dello
stato, cioè sull'esistenza di diritti naturali (o fondamentali, o inviolabili, o inalienabili, o imprescrittibili che
dir si voglia) che lo precedono e lo sovrastano.
In tal senso, Venditti afferma: "la coscienza è la struttura portante della persona, è quella parte di me stesso
che fa sì che io sia un uomo. Nessuno può impormi di non essere uomo, di non essere me stesso. Esistono dei
diritti inviolabili dell'uomo che hanno la loro radice nella coscienza e di fronte ai quali lo Stato non ha potere
di dare o di togliere: deve limitarsi a riconoscere, a garantire, a tutelare"
21
.
Parafrasando il Mahatma, Passerin d'Entreves ritiene si debbano distinguere "casi che riguardano puramente
questioni di opportunità o di convenienza, e casi che riguardano invece questioni di principio: assai diverso
16
H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, p. 381.
17
M.A. CATTANEO, Considerazioni su diritto di resistenza e liberalismo, pp. 214 ss.
18
G. MORELLI, Il diritto naturale nelle Costituzioni moderne, pp. 377 ss.
19
N. BOBBIO, La resistenza all'oppressione, oggi, pp. 10 ss.
20
M.K. GANDHI, Antiche come le montagne, p. 196.
21
R. VENDITTI, Le ragioni dell'obiezione di coscienza, p. 53.