7
minimo comune denominatore il fatto di limitarsi a disciplinare
le operazioni commerciali che pregiudicano il commercio tra
Stati membri, mentre lasciano agli ordinamenti interni di questi
ultimi la regolamentazione degli interscambi nazionali.
Detta disciplina, e con essa i principi introdotti con la sua
applicazione, ha comunque condizionato le regole vigenti in
materia negli ordinamenti nazionali, come dimostra l’art.1, n.4,
della legge italiana n.287/90, ai sensi del quale le disposizioni
antitrust nazionali devono essere interpretate alla luce dei
principi comunitari sulla concorrenza
1
.
La politica comunitaria della concorrenza si basa sul
riconoscimento della libertà di iniziativa, vale a dire sulla
possibilità di operare in tutti i settori del processo economico,
dalla produzione alla distribuzione
2
: l’idea fondamentale è che a
nulla può servire l’unificazione dei distinti mercati nazionali in
un vasto mercato comune europeo, se questo non risulterà
realmente libero e, potenzialmente, accessibile a tutti coloro che
intendono intraprendere ed esercitare un’attività economica.
Il garantire eque condizioni di competitività tra gli
imprenditori rappresenta, in ultima analisi, uno dei mezzi per
1
MUNARI, La l.10 ottobre 1990, n.287, e il diritto comunitario della concorrenza, in C.I.,
1992, pag.602 e ss.
2
GIARDINA A. – TOSATO G.L., Diritto intenazionale, parte IV, Politica commerciale e
della concorrenza nell’Unione Europea, Milano, 1996, pag.521 e ss.
8
raggiungere una più equilibrata crescita dell’intera società e, con
essa, un maggiore benessere per tutti i cittadini europei
3
.
Si comprende ora come non potevano mancare
nell’ordinamento comunitario quelle specifiche disposizioni,
sopra indicate, dirette a tutelare la concorrenza, a partire dagli
artt.81 e 82 che, sancendo il divieto di accordi anticompetitivi fra
imprese e di abusi di posizioni dominanti sul mercato, realizzano
una vera e propria disciplina “antitrust”, sull’esempio
dell’esperienza degli Stati Uniti, primo paese a dotarsi di una
normativa in materia.
4
In particolare, il sistema comunitario è basato sul
principio che gli accordi tra imprese e le pratiche di abuso di
posizione dominante che, in pratica, violano la disciplina
antitrust, sono vietate in quanto incompatibili con il mercato
comune.
Tale impostazione si scontra, a volte, con le previsioni
normative dei singoli Stati, in quanto in alcuni di essi le succitate
pratiche restrittive della concorrenza sono lecite, salvo successivi
ed eccezionali controlli che le dichiarino inammissibili: è chiaro
che tali sistemi, presenti all’interno della Comunità, sono
destinati a scontrarsi prima di tutto con le legislazioni degli altri
3
MOAVERO MILANESI E., Antitrust e concentrazioni tra imprese nel diritto
comunitario, parte I, Le concentrazioni fra imprese alla luce delle disposizioni normative
del trattato di Roma, Milano, 1992, pag.11 e ss.
9
Stati in cui le restrizioni sono vietate ab origine e, su di un piano
più generale, con la disciplina comunitaria.
Un simile coacervo di sistemi giuridici ed economici ha
portato la Comunità, in molti casi, da un lato ad usare dei propri
poteri di controllo per inibire il sorgere o il perdurare di pratiche
anticoncorrenziali; dall’altro, in singole ipotesi e sempre previo
puntuale riscontro delle condizioni di ammissibilità, a temperare
detto rigore attraverso la possibilità, legislativamente prevista dal
Trattato, di esenzioni individuali o per categoria
5
.
Prima di affrontare specificamente il sistema normativo
comunitario in materia, è doverosa un’ulteriore precisazione,
relativa al concetto di impresa, nozione fondamentale di cui il
Trattato non dà, inspiegabilmente, una precisa definizione.
La Corte di Giustizia, attraverso le varie pronunce
giurisprudenziali, ha elaborato una nozione di impresa che tiene
principalmente conto degli aspetti economici della stessa: in
quest’ottica ha affermato che è impresa “qualsiasi entità
esplicante un’attività economica, indipendentemente dallo stato
giuridico di questa entità e dal suo modo di finanziamento”
6
; la
Commissione ha poi ulteriormente precisato tale nozione nella
4
Lo Sherman Act statunitense del 1890 ha rappresentato per molto tempo la legge antitrust
per eccellenza. Ved. in proposito A.D.NEALE – D.G.GOYDER, The antitrust laws of the
United States of America, Cambridge, 1980.
5
Delle esenzioni, che costituiscono vere e proprie eccezioni al sistema comunitario
anticoncorrenziale, si parlerà in seguito, nei successivi paragrafi di questo capitolo.
6
Così in CGCE 23 aprile 1991, Klaus Hofner e Fritz Elser c. Macroton GmbH, causa C-
41/90, in Raccolta, 1991, pag.I-1979 e ss.
10
decisione del 27/10/1992, affermando che “costituisce un’attività
di natura economica qualsiasi attività che partecipi agli scambi
economici, anche a prescindere dalla ricerca del profitto”
7
.
Tali definizioni prescindono palesemente da qualsiasi
implicazione giuridica, affidandosi esclusivamente a concetti
economici; per questo motivo le varie decisioni degli organi
comunitari in materia spesso non sono apparse conformi alle
qualificazioni giuridiche date dai singoli Stati membri alla
nozione di impresa: il principio adottato dalla Comunità è quello
per cui è impresa ogni attività che abbia carattere economico,
dove il carattere economico è rapportato alla circostanza che
l’attività possa essere oggetto di scambio commerciale
8
.
Una conferma di tale impostazione è data dalle sentenze
del Tribunale di primo grado, in cui, riaffermando
un’interpretazione meramente economica del concetto di
impresa, viene statuito che l’art.85 (ora 81) si rivolge ad ogni
entità economica costituita da un insieme di elementi materiali ed
umani che possano concorrere alla commissione di una
infrazione
9
.
7
Decisione n.92/521/CEE della Commissione del 27 ottobre 1992, relativa ad una
procedura ai sensi dell’art.85 del Trattato CE (IV/33.384 e 33.378 – distribuzione di
pacchetti turistici in occasione della Coppa del Mondo di calcio 1990), in GUCE, 12
novembre 1992, L 326, pag.31 e ss.
8
CGCE 5 ottobre 1988, Udo Steymann c. Staatssecretaris van Justitie, causa 196/87, in
Raccolta, 1988, pag.6159 e ss.
9
Tribunale di primo grado, 17 dicembre 1991, Enichem Anic Spa c. Commissione delle
Comunità Europee, causa T-6/89, in Raccolta, 1991, pag.II-1623 e ss.
11
Corollario di una tale impostazione è che, come
dimostrano le pronunce giurisprudenziali in materia, si è giunti a
condannare, per pratiche anticoncorrenziali, a volte le imprese
originarie, in applicazione del principio della continuità giuridica,
pur in presenza di una dismissione del settore, altre volte si è
condannata la società incorporante, in applicazione del principio
della continuità funzionale ed economica: quel che rileva è
ottenere il maggior risultato concreto, anche se giuridicamente
non corretto, ciò che si realizza colpendo il reale soggetto
economico che ha operato contra legem, a prescindere dalle
intervenute modificazioni giuridiche del soggetto stesso
10
.
1.2 – Le regole applicabili alle imprese. Le intese tra imprese
e le decisioni di associazione di imprese incompatibili
Gli artt. da 81 (ex 85) a 86 (ex 90) sono diretti alle
imprese ed a queste impongono dei divieti.
In particolare l’art.81 prescrive il divieto delle imprese,
l’art.82 vieta l’abuso di posizione dominante, l’art.86, infine,
riguarda le imprese pubbliche e le imprese incaricate della
gestione di servizi di interesse economico generale.
10
L’individuare l’impresa esclusivamente quale unità economica determina altresì che un
gruppo di società può essere considerato un’unica impresa: ciò è possibile quando le
12
In primo luogo va sottolineato che tali disposizioni
concernono uno specifico settore della disciplina della
concorrenza, vale a dire la repressione di quei comportamenti
delle imprese che siano suscettibili di pregiudicare il commercio
tra gli Stati membri, senza che ciò escluda la competenza degli
Stati membri a regolare quelle condotte delle imprese che, non
coinvolgendo gli scambi intracomunitari, producono effetti
anticoncorrenziali sul piano esclusivamente nazionale.
Ai sensi dell’art.81, sono “incompatibili con il mercato
comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che
possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che
abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato
comune”.
Come risulta dalla lettera di tale articolo, esso presuppone
l’esistenza di almeno due soggetti che pongano in essere tra di
loro quella che viene definita “un’intesa”; di conseguenza va
immediatamente posto in luce che il comportamento
anticoncorrenziale addebitabile ad una sola impresa non rientra
nel campo di applicazione dell’art.81 e può ricadere,
eventualmente, in quello dell’art.82
11
.
diverse componenti del gruppo non sono autonome, ma sono sottoposte ad una gestione e
ad un controllo unitario.
11
DANIELE L., Il diritto materiale della comunità europea, Trieste, 1995, pag.162 e ss.
13
Perché un’intesa ricada sotto il divieto di cui all’art.81,
essa deve soddisfare due condizioni: a) deve essere in grado di
provocare anche solo parzialmente un pregiudizio al commercio
degli Stati membri; b) deve avere per oggetto e per effetto di
impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza
all’interno del mercato comune.
L’art 81 menziona tre ipotesi di intese: accordi, decisioni
di associazioni di imprese e pratiche concordate. Tra queste,
l’accordo rappresenta il tipo di intesa maggiormente definito, in
quanto presenta come suo elemento caratterizzante e
individuatore l’esistenza di un vero e proprio incontro di volontà
tra le parti.
Non è richiesto che l’accordo sia giuridicamente
vincolante e valido ai sensi del diritto nazionale applicabile, né
che sia redatto in forma scritta o che la sua accettazione risulti
per iscritto, essendo sufficiente anche un comportamento
concludente; perché vi sia accordo, pertanto, appare sufficiente
l’esistenza di una volontà congiunta di comportarsi in un
determinato modo. Sulla scorta di tale assunto, sono da
considerarsi accordi ai sensi dell’art.81 anche le “convenzioni
verbali vincolanti reciprocamente due imprese”
12
.
La norma in esame vieta tanto l’accordo orizzontale
quanto quello verticale; il primo si realizza tra imprese che,
14
operando nello stesso ambito commerciale e trovandosi su di un
piano paritetico, intendono tenere lo stesso comportamento
decidendo di dividersi o suddividersi il mercato. Un esempio di
accordo orizzontale è dato da un accordo tra produttori di un
medesimo tipo di prodotto o servizio per la ripartizione di
mercati: in questo caso la concorrenza oggetto della restrizione è
detta interbrand, in quanto riguarda prodotti o servizi dello stesso
tipo, ma di marca differente.
Il secondo si verifica in tutte quelle ipotesi in cui le due
imprese non sono sullo stesso piano, ma operano in fasi distinte
del processo produttivo-distributivo: per esempio, un’impresa è
rivolta alla produzione e l’altra alla commercializzazione
13
. In
questo caso la pratica è anticoncorrenziale in quanto con essa
viene limitata la possibilità per altri operatori di distribuire il
prodotto della stessa marca.
La seconda categoria disciplinata dall’art.81 è quella delle
decisioni di associazioni di imprese; in tale ipotesi, le imprese di
un determinato settore non stipulano direttamente dei contratti o
degli accordi con altre imprese, ma seguono il contenuto della
decisione adottata e posta in essere dall’associazione di cui fanno
parte
14
.
12
CGCE 20 giugno 1978, Tepea BV c. Commissione delle comunità europee, causa 28/77,
in Raccolta, 1978, pag.1321 e ss, par.41.
13
CALAMIA, Diritto comunitario delle imprese e la concorrenza, 1999, pag.27 e ss.
14
Questa seconda figura di intesa comprende il caso di una raccomandazione adottata da
una associazione che sia però, a termini dello statuto, obbligatoria per gli associati ovvero
15
All’interno del Trattato non si rinviene alcuna definizione
specifica di associazione di impresa; da ciò ne è derivata una
interpretazione estremamente ampia che ha portato a
comprendere in tale nozione le più svariate forme giuridiche di
associazione, quali società commerciali, associazioni di fatto,
consorzi, gruppi di imprese e, anche, le associazioni di singole
attività produttive o gli stessi gruppi europei di interesse
economico. Quindi, ciò che è necessario per trovarsi di fronte ad
una associazione di impresa ai sensi dell’art.81 è l’esistenza di
una organizzazione che abbia natura prevalentemente corporativa
e che sia dotata di un organismo di coordinamento
15
.
Il termine “decisioni” va inteso sia nel senso delle
raccomandazioni adottate dalle associazioni sia gli accordi tra
associazioni di imprese.
Dalle decisioni pronunciate dalla Commissione in materia
si evince, infine, che tutte le imprese aderenti a tali associazioni
sono solidalmente responsabili della violazione posta in essere, a
meno che non riescano a provare di essersi opposte in modo
chiaro ed espresso alla decisione avente ad oggetto la pratica
vietata
16
.
sia stata accettata da un gran numero di questi. In tal senso, ved. sentenza 29 ottobre 1980,
Van Landewich, cit. in DANIELE L., cit, pag.164.
15
DRAETTA U., Commento all’art.85, in R.QUADRI – R.MONACO – A.TRABUCCHI,
Commentario al Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, vol. II, art.85-136,
Milano, 1965, pag.607 e ss.
16
Tribunale di primo grado 14 maggio 1998, Metsa – Serla Oy, United Paper Mill Ltd c.
Commissione delle Comunità Europee, nella quale l’organo giurisdizionale ha ritenuto che
“un’impresa può essere dichiarata solidalmente responsabile con un’altra impresa per il
16
1.3 – Le pratiche concordate incompatibili.
Figura molto più problematica e di difficile
inquadramento è quello della pratica concordata, ossia un mero
comportamento di fatto che non trova nessuna formalizzazione
esterna e che richiede soltanto la presenza di “una consapevole
collaborazione tra le imprese a danno della concorrenza”
17
.
Di conseguenza, una pratica concordata può essere il
risultato tanto di una concertazione espressa tra più imprese
quanto di un comportamento “parallelo” delle singole imprese
che, pur in assenza di espliciti accordi, hanno posto in essere tra
loro una collaborazione pratica che ha condotto ad una situazione
non corrispondente alle normali condizioni di mercato
18
.
Si è sottolineato che non tutti i “comportamenti parelleli”
costituiscono, però, una pratica concordata, essendo necessari
ulteriori elementi, quali l’esistenza di condizioni di mercato non
corrispondenti a quelle usuali dello stesso, tenuto conto dei
prodotti e delle imprese che vi operano.
Non è quindi sufficiente dimostrare che le imprese
operanti all’interno di un determinato mercato abbiano
mantenuto un “ parallelismo di comportamenti” tenuto conto che
pagamento di un’ammenda inflitta a quest’ultima, per aver commesso un’infrazione
intenzionalmente o per negligenza, a condizione che la Commissione dimostri, nello stesso
atto, che questa infrazione avrebbe potuto parimenti essere accertata a carico dell’impresa
solidalmente responsabile per l’ammenda”.
17
DANIELE L., cit., pag.163 e ss.
17
una tale situazione può essere il risultato tanto di una
concertazione, quanto, come evidenziato dalla Corte di Giustizia
con un orientamento consolidato, della autonoma scelta di
ciascun impresa di “ reagire intelligentemente al comportamento
noto o presunto dei concorrenti”
19
.
Il Tribunale di primo grado ha affrontato la problematica
in questione in una serie di sentenze note come il “caso
polipropilene”
20
. In tali pronunce è stata considerata come pratica
concordata la partecipazione delle principale imprese produttrici
di polipropilene a riunioni “nel corso delle quali le imprese
concorrenti si scambiavano informazioni sui prezzi che si
proponevano di praticare, sul loro limite minimo di redditività,
sulle limitazioni dei volumi di vendita che ritenevano necessarie
o sulle loro cifre di vendita”, poiché queste riunioni “avevano lo
scopo di influire sul rispettivo comportamento all’interno del
mercato e di rivelare il comportamento che ciascun produttore si
proponeva di tenere, esso stesso, sul mercato”.
Il principio che emerge da tali pronunce è che, nel
momento in cui la Commissione sia riuscita a dimostrare
l’esistenza di comportamenti di tal genere, è a carico delle
18
CALAMIA, cit., pag.30.
19
CGCE sent.31 marzo 1993, Alstrhom; sent. 16 dicembre 1975, Suiker Unie; la Corte ha,
altresì, sottolineato come un comportamento parallelo possa dipendere da situazioni
oligopolistiche nel mercato, e di conseguenza la contemporanea modificazione dei prezzi al
ribasso o al rialzo venga determinata da variazioni tra domanda ed offerta.
20
Ved. sentenza Tribunale di primo grado 24 ottobre 1991, Rhone-Poulenc SA c.
Commissione Comunità Europee, in Raccolta, 1991, parte II-867.
18
imprese l’onere di provare che tali condotte non hanno finalità
anticoncorrenziali.
1.4 – Intese esentate e nullità delle intese vietate
Il divieto di cui all’art.81 non è assoluto. Infatti il
paragrafo 3 di detta norma prevede la possibilità di esentare dal
divieto stesso un’intesa determinata (esenzione individuale)
ovvero un’intera categoria di imprese (esenzioni per categoria).
La possibilità di concedere un’esenzione è subordinata a
varie condizioni.
Viene dichiarato inapplicabile il divieto in particolare a
quegli accordi tra imprese, decisioni di associazione o pratiche
concordate che, da una parte, “contribuiscano a migliorare la
produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori
una congrua parte dell’utile che ne deriva” e, dall’altra, evitino di
“imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano
indispensabili per raggiungere tali obiettivi e di dare a tali
imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte
sostanziale dei prodotti di cui trattasi”.
La possibilità, quindi, di concedere un’esenzione è
subordinata a quattro condizioni cumulative, di cui due positive e
due negative.
19
Anzitutto deve verificarsi un miglioramento della
produzione e distribuzione dei prodotti ovvero la promozione del
progresso tecnico od economico: così sono stati esentati, ad
esempio, dal divieto accordi in materia di ricerca e di sviluppo,
sulla base del loro contributo ad una maggiore diffusione delle
conoscenze tecniche, allo sviluppo del progetto e alla
facilitazione per le imprese all’acquisizione di conoscenze
complementari
21
.
L’art.81 richiede, inoltre, per la concessione
dell’esenzione, che i benefici si estendano ai consumatori e agli
utilizzatori finali, riservando quindi a questi ultimi una congrua
parte dell’utile che ne deriva.
È inoltre compito della Commissione, sempre in base
all’art.81, par.3, verificare se i vantaggi, da cui deriverebbe il
diritto all’esenzione, non possano essere ottenuti percorrendo vie
meno restrittive della concorrenza, senza, in tal caso, dover
concedere l’esenzione richiesta.
Da ultimo, la quarta condizione richiesta è quella che non
venga consentito alle imprese esentate di eliminare la
concorrenza per una parte considerevole di prodotti.
In questo settore è, come si è visto, la Commissione a
prendere le decisioni sulla base del regolamento n.17 emanato
21
In tal senso il IV considerando del Regolamento CEE n.418/84 della Commissione del 19
dicembre 1984, sull’applicazione dell’art.85, par.3, Trattato Cee a categorie di accordi in
materia di ricerca e sviluppo, in GUCE, 22 febbraio 1985, L 53, pag.5 e ss.
20
dal Consiglio nel 1962, di cui si tratterà ampiamente nel
successivo capitolo II.
Va, comunque, sin da ora rilevato che la Commissione,
nell’accertare l’esistenza delle condizioni per poter accordare una
esenzione, si trova ad esercitare un ampio potere discrezionale
finalizzato a valutare i vantaggi o gli svantaggi che ciascuna
intesa presenta.
Essa, in particolare, può concedere l’esenzione dal divieto
a favore delle intese, o categorie di intese, che presentino le
condizioni richieste; constatare che non vi sia motivo di
intervento, attraverso quindi un’attestazione negativa; o, infine,
vietare l’intesa, che in tal caso è “nulla di pieno diritto” ai sensi
dell’art.81, par.2.
Si noti che la nullità viene constatata dal giudice interno;
in altri termini, se due imprese hanno stabilito tra di loro
un’intesa vietata, una di esse non potrà invocare l’accordo
davanti ad un giudice interno (per esempio se l’altra impresa non
l’ha rispettato) perché, appunto, tale accordo è nullo.
Tale sanzione di tipo civilistico, la cui applicazione è
affidata ai giudici nazionali, viene affiancata dalle sanzioni di
tipo amministrativo previste dal diritto comunitario, in
particolare dal succitato regolamento 17/62.