6
umana. Principio ripreso a distanza di più di cinquanta anni dal
Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea dove si afferma che: “l’Unione si fonda sui valori
indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di
uguaglianza e di solidarietà” e dall’articolo I-2 dell’appena
nata Costituzione europea, secondo il quale: “l’Unione si fonda
sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del
rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti ad una minoranza”[…] Un modo solenne di
ricordare ai popoli europei, che i valori su cui si basa il
processo di unificazione del vecchio continente, derivano dalla
memoria del male assoluto della Shoah e dal superamento del
mito della sovranità statale non condizionata da limiti di
carattere etico.
Oggi l’ordine internazionale bipolare, vigente ai tempi
dell’approvazione della dichiarazione universale, si è
sgretolato. Il collasso del mondo comunista e la diffusione
massiccia del nuovo “zeitgeist democratico”
1
, sembravano le
premesse necessarie per diffondere su scala globale il
1
Sui processi di democratizzazione che hanno portato i regimi democratici ad essere
119 su 192 stati, con una percentuale del 62% di stati democratici sul totale, vedi
D. Grassi, La globalizzazione della democrazia: transizioni e consolidamento
democratico agli albori del ventunesimo secolo. pp. 3-29. Per un quadro generale dei
più recenti processi di democratizzazione S.P. Huntington, La terza ondata. I processi di
democratizzazione alla fine del ventesimo secolo.
7
linguaggio dei diritti umani. La fine della guerra fredda, aveva
infatti posto sul tavolo, problemi politici la cui natura etica era
evidente. Questioni come i diritti umani, l’intervento
umanitario, il trattamento dei rifugiati, la sostenibilità
ambientale dei processi di sviluppo
economico, emergevano prepotentemente come temi centrali
dell’agenda politica globale, dopo che per quasi cinquanta anni
erano stati sacrificati in nome degli interessi geopolitici delle
due superpotenze. Sembrava che per la prima volta nella storia
dell’umanità, non esistessero spaccature ideologiche
fondamentali, in altri termini nulla di insanabile (divario
economico a parte), pareva in grado di distinguere e
contrapporre i popoli della terra.
Nel mondo post-guerra fredda, riaffiorava anche la
possibilità che l’ONU, potesse ricoprire il ruolo di garante
della legalità internazionale e di guida della comunità
mondiale, che per più di quaranta anni gli era stato negato, a
causa dei veti reciproci delle due superpotenze. La crisi
irachena del 1991, in cui l’ONU aveva assunto un ruolo
centrale, pareva confermare questa tendenza, e sembrò
possibile costruire un nuovo ordine internazionale post-
bipolare, in cui le Nazioni Unite potessero assumere il potere
8
di sanzionare le minacce alla sicurezza internazionale e le
violazioni dei diritti umani.
L’evoluzione successiva del sistema politico globale
smentì invece, le ipotesi ottimistiche di chi dopo il 1989
riteneva imminente e inevitabile la “fine della storia”,
2
ed il
trionfo del modello occidentale basato sull’economia di
mercato e sulla liberal-democrazia.
Il “nuovo ordine internazionale,” che il Presidente degli
Usa George Bush Sr. voleva instaurare a partire dalla prima
guerra irachena, risultò irrealizzabile senza un’opportuna
riforma di istituzioni internazionali risalenti al modello
bipolare di Yalta
3
. Anche il tentativo compiuto dal suo
successore Bill Clinton, di ricercare un maggiore
multilateralismo e una condivisione degli oneri del governo
mondiale fallì, e azioni come quelle che l’11 settembre 2001
hanno trascinato gli Stati Uniti e il mondo in un nuovo tipo di
guerra rappresentano il prezzo di tale fallimento
4
.
Nuovi fattori di tensione, quali l’emergere delle differenze
culturali e del conflitto tra le civiltà, rendono instabile il
terreno delle relazioni internazionali e difficile l’emergere di
2
F.Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo. Recentemente lo stesso
Fukuyama ha ammesso sul quotidiano francese “Le Monde” che l’11 settembre 2001, è
un accadimento che impone una nuova periodizzazione storica.
3
Su questo vedi V.E.Parsi, L’impero come fato? Gli Stati Uniti e l’ordine globale,
pp. 83-113.
4
Ivi, p. 99.
9
prospettive etiche universalmente condivise, ma non le negano
del tutto. Anzi, di fronte all’orrore del terrorismo globale e
della guerra, i diritti umani possono essere la base di quella che
John Rawls chiama una “società dei popoli ragionevolmente
giusta”
5
e il punto di partenza su cui costruire le istituzioni che
assicurino la nuova governance dell’era globale”
6
.
Il tema dei diritti umani, che sarà l’oggetto della nostra
discussione, rientra a pieno titolo nell’area di studi emergente,
chiamata etica delle relazioni internazionali. Sebastiano
Maffettone e Gianfranco Pellegrino, sostengono che: “l’etica
delle relazioni internazionali prende le mosse dall’esistenza
effettiva di problemi di natura normativa, sia giuridici sia etici
in senso stretto, nell’arena internazionale, per vedere se è
possibile comprenderli al meglio e talvolta ipotizzare loro
soluzioni basate su principi teorici.”
7
Si tratta, dunque, di utilizzare un approccio di tipo
normativo, in un campo, quello delle relazioni internazionali,
dominato fino a qualche decennio fa dalle teorie realiste. Il
5
J.Rawls, Il Diritto dei popoli, p. 5.
6
Sul punto vedi: M.Telò, Europa potenza civile, p. 13: “il concetto di governance si
distingue da quello di governo per la maggiore inclusività, cioè per la sua intenzione di
comprendere, oltre alle forme istituzionalizzate e formalizzate di potere regolatore,
legate agli stati e considerate in declino, soprattutto forme di autorità complesse,
pluralistiche, pubbliche e private, decentrate a vari livelli, a geometria variabile,
policentriche, transnazionali e sub-nazionali, informali non istituzionalizzate né
gerarchizzate”. Per una ricostruzione maggiormente dettagliata del concetto vedi: R. De
Mucci, Fenomenologia e critica del concetto di governance, pp. 27-41.
7
S. Maffettone, Gianfranco Pellegrino, Etica delle relazioni internazionali, p. VII.
10
realismo politico internazionale è una corrente di pensiero
molto antica, che affonda le sue radici in storici della Grecia
classica come Tucidide, per passare da Machiavelli ed arrivare
a teorici contemporanei come l’americano Hans J.
Morghentau, l’inglese Martin Wight, il francese Raymond
Aron. Secondo l’approccio realista alle relazioni internazionali
l’unico criterio che le nazioni usano nei loro rapporti reciproci
è l’interesse, inteso ora come interesse alla sicurezza, ora come
interesse a estendere la propria area di influenza. Questo si
verifica perché in mancanza di un organismo sovra-ordinato
capace di regolare le controversie tra i soggetti del sistema
internazionale, quest’ultimo assume una struttura anarchica
inidonea ad avere un centro di potere, in cui ogni stato può
sopravvivere e realizzare i suoi interessi soltanto agendo come
garante di se stesso.
8
La politica internazionale è caratterizzata
dunque, dalla ricerca del potere, perché solo con il potere
militare lo stato sopravvive e realizza l’interesse nazionale. In
un quadro in cui i soggetti del sistema internazionali, cercano
soltanto di accrescere il proprio potere, al fine di realizzare i
propri interessi nazionali. Qualsiasi richiamo a pretese di tipo
etico con valenza universalistica, è considerato dai teorici
8
Per un quadro esauriente delle teorie realiste e neo-realiste, vedi: F. Attinà, il sistema
politico globale, p. 27-35.
11
realisti, strumentale a ragioni di dominio e quindi da
combattere come esempio di utopia pericolosa per la stabilità
del sistema.
L’approccio normativo alle relazioni internazionali è il
tentativo di superare la teoria realista, basandosi sul
presupposto che esistano principi morali e sociali comuni, che
rendono possibile la composizione pacifica dei conflitti
d’interesse tra stati. Per citare ancora Rawls, il problema di
fondo dell’etica delle relazioni internazionali, è trovare “una
concezione politica del giusto e della giustizia valida per i
principi e le norme del diritto e della pratica internazionale”
9
.
Il tema dei diritti umani oggetto di questo lavoro, fa dunque
parte, pur non esaurendole, di quelle che Salvatore Veca ha
definito questioni di giustizia globale. Le questioni di giustizia
globale, come: la necessità di una redistribuzione globale della
ricchezza che riduca le diseguaglianze tra nord e sud del
mondo; la gestione dei flussi migratori; la protezione dai rischi
ambientali; la lotta contro le reti transnazionali del terrorismo
globale; sono quelle che travalicano i confini nazionali e gli
spazi locali per riferirsi a quella che Habermas ha definito la
“costellazione post-nazionale”
10
. La sfida che attende oggi un
9
J. Rawls, il diritto dei popoli, p. 3.
10
J. Habermas, la costellazione post-nazionale, pp. 29-102.
12
approccio di tipo normativo, è quindi, quella posta dalla
necessità di riferirsi a criteri di giudizio e di valutazione etica
non limitati a comunità chiuse ma validi al di là dei confini
statali
11
.
In questo lavoro la questione dei diritti umani sarà
affrontata da un punto di vista fondazionale e filosofico.
L’attenzione verrà posta sull’analisi dei problemi concettuali,
ontologici ed etico-politici, che la questione pone sul tappeto.
Un approccio di tipo normativo non è l’unico possibile, si può
analizzare la questione diritti umani anche attraverso un
approccio empirico che tenga conto delle peculiari condizioni
storiche e dei problemi di ordine pratico, connessi alla
realizzazione giuridica e politica dei diritti umani. Ma,
utilizzare un simile approccio, significherebbe allontanarsi
troppo dall’obiettivo di questo lavoro, che è quello di fornire
ragioni e criteri per il giudizio etico che giustifichino
l’adesione al linguaggio dei diritti umani. È chiaro che nel
corso della trattazione non potremo esimerci dall’utilizzare
l’approccio di tipo empirico, ma lo faremo soltanto quando
sarà funzionale alla ricostruzione filosofica della nostra
questione.
11
S.Veca, La bellezza e gli oppressi, p. 46.
13
Il lavoro è suddiviso, in quattro capitoli. Il primo capitolo
si occupa del problema della fondazione filosofica dei diritti
umani. L’ipotesi che viene portata avanti, scarta la possibilità
di una fondazione filosofica assoluta, per concentrarsi su una
giustificazione dei diritti umani, come risorse a difesa della
fragilità della condizione umana.
Nel secondo capitolo, viene affrontato il tema
dell’universalizzazione dei diritti umani. L’argomentazione
che viene avanzata, è che in un mondo caratterizzato da diverse
versioni e visioni di ciò che è bene, ogni cultura deve
esprimere la propria adesione al linguaggio dei diritti umani, in
maniera confacente ai propri valori.
Il terzo capitolo, si sofferma sull’opportunità di estendere
ai diritti sociali e ai diritti differenziati in funzione
dell’appartenenza di gruppo, la categoria di diritti dell’uomo.
L’analisi che viene portata avanti, mostra la necessità di
individuare un nucleo minimo di diritti dell’uomo, che possa
essere garantita in ogni stato, a prescindere dal livello di
sviluppo economico.
14
Per questo motivo, pur rispondendo a legittime richieste di
libertà e di eguaglianza, i diritti sociali e i diritti differenziati
positivi, che per essere realizzati necessitano di una prestazione
da parte dei poteri pubblici e di risorse economiche rilevanti,
non possono essere considerati diritti umani in senso proprio.
Infine, nel quarto capitolo, viene affrontato il problema di
quali misure, sia legittimo intraprendere in caso di gravi
violazioni dei diritti umani. L’ipotesi portata avanti, parte dal
presupposto, che i cosiddetti interventi umanitari sono
giustificati, soltanto se riescono a conseguire realmente,
l’obbiettivo di minimizzare il numero delle violazioni dei
diritti umani.
Norberto Bobbio, ha sostenuto che il problema di fondo
relativo ai diritti umani è non tanto quello di giustificarli,
quanto quello di proteggerli. Quello dei diritti umani, sarebbe
dunque, un problema non filosofico ma politico. Siamo
pienamente d’accordo con Bobbio, ma ci permettiamo di
integrare il suo pensiero, dicendo che, se il compito della
filosofia politica non è quello di trovare il fondamento assoluto
dei diritti umani, essa non può astenersi dal ricercare di volta in
volta buone ragioni per proteggerli.
15
Prima di concludere questa introduzione, vorrei ringraziare
il prof. Fabrizio Sciacca per i suoi preziosi consigli e
suggerimenti, Il prof. Matteo Negro, e infine Il dott. Lucio
Messina per la disponibilità nella realizzazione tecnica di
questo lavoro.
16
Capitolo I
Il problema della fondazione filosofica dei
diritti umani
1. Il mito della fondazione assoluta dei diritti umani
Un’autorevole tradizione filosofica come quella
giuspositivista, ha da sempre sostenuto l’impossibilità di una
fondazione filosofica assoluta dei diritti umani. In particolare,
Norberto Bobbio ha argomentato l’inconsistenza di ogni
ricerca del fondamento assoluto, sulle base di quattro difficoltà
in cui incorre ogni tentativo fondazionale.
La prima difficoltà da affrontare riguarda la stessa
possibilità di dare una definizione esaustiva del concetto di
diritti umani. La maggior parte delle definizioni secondo
Bobbio sono: o tautologiche, “diritti dell’uomo sono quelli che
spettano all’uomo in quanto uomo”
12
. Oppure ci dicono
qualcosa riguardo allo status desiderato e proposto da questi
diritti, e non sul loro contenuto: “Diritti dell’uomo sono quelli
12
N. Bobbio, l’età dei diritti, p. 8
17
che appartengono, o dovrebbero appartenere,a tutti gli uomini,
e di cui ogni uomo non può essere spogliato”.
13
“Infine, quando si aggiunge qualche riferimento al
contenuto, non si può fare a meno di introdurre termini di
valore, e qui nasce una nuova difficoltà dovuta al fatto che i
termini di valore sono interpretabili diversamente secondo
l’ideologia dell’interprete”.
14
La seconda difficoltà deriva dal fatto che i diritti
dell’uomo costituiscono una “classe variabile” che va
modificandosi con l’evoluzione storica. Diritti considerati
assoluti nel Settecento come ad esempio il diritto di proprietà,
oggi sono sottoposti a limitazioni, altri diritti come quello alla
privacy, il diritto a vivere in un contesto ambientale sano o
alcuni diritti sociali che non erano presenti nei secoli passati,
sono invece tutelati dalle dichiarazioni contemporanee.
Secondo Bobbio, ciò prova che “non vi sono diritti per loro
natura fondamentali. E quello che sembra fondamentale in un
epoca storica e in una determinata civiltà, non è fondamentale
in altre epoche e in altre culture”.
15
La terza critica che Bobbio muove alla pretesa di
fondazione assoluta riguarda la natura eterogenea dei diritti
13
Ibid.
14
Ibid..
15
Ivi,p. 9-10.
18
dell’uomo. Il numero di diritti umani valido sempre e in
maniera assoluta è molto ridotto, e normalmente a seconda
delle circostanze e dei soggetti si richiede una scelta tra un
diritto e l’altro o meglio una restrizione di un diritto a
vantaggio di un altro.
Il tentativo compiuto da un pensatore come John Rawls per
limitare il più possibile il numero di conflitti tra diritti
fondamentali è stato quello di restringere la definizione dei
diritti fondamentali. Come ha evidenziato Robert Alexy,
16
Rawls tenta di superare la possibilità di conflitti tra diritti,
avvalendosi della distinzione ampiamente adottata dal diritto
costituzionale tra restrizione (restriction) e regolazione
(regulation). In luogo dell’espressione
“regolazione,”[Regelung], Alexy adopera l’espressione
“articolazione”[Ausgestaltung] utilizzata dal diritto
costituzionale tedesco, è ritenuta maggiormente capace di
esprimere il concetto opposto a quello di “restrizione”.
17
Nella
lettura di Rawls proposta da Alexy, se i diritti fondamentali
vengono soltanto articolati, essi non vengono sottoposti a
nessuna restrizione.
16
R. Alexy, la teoria delle libertà fondamentali di John Rawls, pp. 28-31.
17
Ivi, p. 29.
19
L’esempio di cui Rawls si serve per illustrare il concetto,
riguarda la libertà di parola. Secondo Alexy: “ Rawls sembra
quindi voler accettare solo una restrizione dei diritti
fondamentali, se viene leso il contenuto del discorso (content
of speech). Fintantoché si tratta di tempo, luogo e mezzo di
espressione, si è in presenza di una mera articolazione che per
definizione non rappresenta nessun intervento e quindi nessuna
restrizione”.
18
In opposizione a quanto affermato da Rawls,
Alexy propone un esempio che mostra come l’argomentazione
“rawlsiana”, non riesca a evitare i conflitti tra diritti
fondamentali.
Scrive Alexy: “Supponiamo che in una comunità di media
grandezza domini un’intensa discussione su una questione
politica ed i cittadini si radunino in massa in un luogo per
prenderne parte.[…] All’amministrazione comunale ciò non
piace per diversi motivi[…] e quindi autorizza le discussioni
soltanto in un determinato giorno, in un determinato orario, in
un particolare luogo. La regolazione riguarda solo il luogo e il
tempo. Tuttavia essa rappresenta una lesione dei diritti
fondamentali di riunione ed opinione. Può darsi che molti
cittadini abbiano da fare qualcosa di diverso nell’orario e nel
18
Ivi, p. 29.