Senza addentrarci ulteriormente nelle peculiarità di questo e di altri autori come
Ricardo, Marx e Keynes, è possibile affermare che esiste un legame molto forte tra
etica ed economia in quanto, almeno in base alle teorie degli autori liberisti, uno
dei principi di base presuppone che agendo per il proprio interesse si riesce
inaspettatamente anche a far del bene a tutto il sistema economico, facendo così
funzionare in maniera corretta i suoi meccanismi.
Lo slogan “egoista è bello”, piuttosto che “grasso è bello” o simili, sembrerebbe
quindi in apparente contrasto con l’eticità ed il bisogno di crescita economica della
società stessa, ma lo stesso Smith afferma, sempre nel lavoro sopraccitato, che
l’intero sistema economico è in equilibrio grazie ad un’entità immateriale, la
cosiddetta “mano invisibile”, la quale avrebbe il compito di disciplinare il sistema
medesimo.
Nel momento in cui l’individuo va a massimizzare, appunto, il suo profitto riesce
in modo involontario ad ottenere un altro obiettivo che non rientrava nei suoi scopi
iniziali, ossia l’aumento della ricchezza totale che andrebbe a beneficio di tutta la
collettività.
Questo procedimento impatta sul reddito nazionale (che altro non è che la
sommatoria dei redditi a livello individuale), il quale aumenta se ogni soggetto è in
grado di raggiungere i suoi scopi ed è inutile, dunque, farsi scrupoli morali a
livello individuale per il benessere altrui se è la “mano invisibile” che se ne
occupa, secondo le teorie di Smith.
7
Gli economisti liberisti in seguito, basandosi su alcune formule matematiche messe
a punto dalla scienza fisica dell’Ottocento, sono riusciti ad elaborare dei trattati
inerenti all’ottimizzazione globale dell’intero sistema economico, la quale
scaturisce dalla maggiore diffusione dell’egoismo e della corrispondente riduzione
dell’altruismo (quest’ultimo, in base alle ipotesi fatte, sarebbe in effetti un ostacolo
al raggiungimento dell’equilibrio del sistema stesso, perché porterebbe in
definitiva ad un calo della sua efficienza).
Un altro degli autori più moderni, Vilfredo Pareto, nel suo primo lavoro del 1897,
il “Cours d’économie politique”, pone le basi concettuali che consentiranno di
definire il teorema dell’equivalenza tra concorrenza perfetta ed ottimo paretiano e,
conseguentemente, di formulare i cosiddetti ulteriori “due teoremi dell’Economia
del benessere”2.
Il primo postula che “in un sistema economico di concorrenza perfetta nel quale vi
sia un insieme completo di mercati, un equilibrio concorrenziale, se esiste, è un
ottimo paretiano”, mentre il secondo afferma che “nel caso in cui vengano
rispettate determinate condizioni riferibili alle funzioni di utilità individuali
(insiemi di preferenza convessi) ed alle funzioni di produzione (insiemi di
produzione convessi) e nel momento in cui esistano dei mercati completi, ognuna
delle posizioni di ottimo paretiano può essere ottenuta come equilibrio
2
Come afferma Nicola Acocella, Elementi di politica economica, Carocci, 2002, dando una definizione
dei due teoremi dell’economia del benessere tradizionali.
8
concorrenziale, presupponendo un’equa redistribuzione delle risorse (o dotazioni
iniziali) tra gli individui”3.
La definizione “concorrenza perfetta” in ogni caso fa riferimento ad un regime di
mercato contraddistinto sia da parte della domanda che dell’offerta da alcuni
requisiti basilari4, di seguito elencati:
• assenza di asimmetrie informative (o perfetta informazione);
• elevata (o addirittura infinita) presenza degli operatori sul mercato;
• mancanza di intense o accordi (i cosiddetti “cartelli”) tra essi;
• libera entrata od uscita dal mercato;
• omogeneità dei beni scambiati.
L’espressione “completezza dei mercati”, invece, prende come punto di
riferimento l’assenza di esternalità oppure di effetti esterni, rappresentati dai
vantaggi od anche dai danni scaturenti dai comportamenti tenuti da un agente
economico che impattano sugli altri operatori del mercato, in base ai quali il primo
di essi non riceve un corrispettivo dall’altro oppure è costretto a pagarglielo.
Ovviamente tutto quello che è stato esaminato finora non basta per poter affermare
che il mercato è in grado da solo di garantire il famoso “equilibrio”, tenendo conto
3
Nicola Acocella, opera citata.
4
Secondo l’elenco ideale fornito da Nicola Acocella, opera citata.
9
anche dei due teoremi appena esaminati, dunque le asserzioni di Smith sono valide
solo da un punto di vista strettamente teorico.
In realtà, soprattutto per quanto concerne l’aspetto pratico, è indispensabile
l’intervento dell’operatore pubblico, nella fattispecie lo Stato e le sue articolazioni
territoriali, che agisce come un moderno “Robin Hood” attraverso due strumenti
importantissimi, vale a dire il prelievo fiscale e lo Stato sociale, quest’ultimo
deputato in modo particolare a sottrarre alle logiche di mercato i beni essenziali,
come la salute, l’istruzione, la sicurezza sociale, eccetera.
Un prelievo fiscale equo (vale a dire la differenziazione delle entrate fiscali in base
alle fasce di reddito) e l’erogazione di determinati beni e servizi di spessore sociale
a titolo gratuito (ossia l’insieme di risorse garantite dallo Stato stesso alle fasce
della società più deboli) hanno permesso, infatti, di compiere una redistribuzione
della ricchezza e delle opportunità in modo etico.
Se si tiene conto infine dell’importanza dell’etica, soprattutto considerando che
essa affonda le sue radici addirittura nella Filosofia stessa, è possibile fornire tre
definizioni differenti del termine medesimo5:
• parte della Filosofia che si occupa di studiare il comportamento umano, le sue
motivazioni e le valutazioni inerenti il punto di vista morale dell’agire stesso;
5
Possibili definizioni dell’etica fornite dal sito Internet www.riflessioni.it, alla voce etica.
10
• insieme di norme (piuttosto che di leggi) che regolano le relazioni all’interno di
una società, di un gruppo, eccetera;
• comportamento od atteggiamento in contrapposizione ad un corrispondente
modo di fare “interessato”, prendendo come punto di riferimento, in
quest’ultimo caso, il cosiddetto “imperativo categorico” di Kant, secondo cui
“la volontà, per la legge morale, dovrebbe essere determinata solo dalla legge
morale stessa, intesa come volontà libera”.
Proprio per questo nel corso del presente lavoro lo sforzo maggiore sarà
rappresentato dalla ricerca dei possibili collegamenti tra diritti umani fondamentali
ed economia, in particolar modo evidenziando tutte quelle situazioni in cui questi
due aspetti non vanno a braccetto e magari proponendo delle soluzioni attuabili e
sostenibili che possano rappresentare un tentativo di miglioramento possibile delle
circostanze medesime.
1.2. BREVE STORIA DEI DIRITTI UMANI FONDAMENTALI
La nascita dei diritti umani fondamentali probabilmente si perde nella notte dei
tempi se si considera, indipendentemente dalla fattispecie particolare che si
potrebbe prendere in considerazione (tanto per citarne alcuni dei più importanti, si
richiamano il diritto alla vita, alla salute, alla sicurezza e via discorrendo)
11
innanzitutto che essi si rifanno al diritto romano e che si possono riassumere in tre
famose massime latine, molto importanti e valide tuttora, in pratica suum cuique
tribuere (dare a ciascuno il suo), honeste vivere (vivere onestamente) ed alterum
non laedere (non arrecare danno all’altro), le quali rientrano nel più generale e
riconosciuto ius gentium (diritto delle genti)6.
Indubbiamente il diritto nasce con l’uomo, come testimonia la prima raccolta di
leggi sopravvissuta integralmente al passare del tempo per arrivare fino ai nostri
giorni, in altre parole il famoso codice di Hammurabi, datato intorno al XVIII
secolo a. C., un insieme di norme che regolavano i rapporti matrimoniali, di lavoro
e patrimoniali e che avevano come obiettivo primario quello di conferire un
determinato ordine alla vita sociale quotidiana dell’epoca7.
Successivamente, si sono avuti altri esempi di codificazione come le leggi delle
XII tavole di epoca romana (del 451 a. C.), che affermavano gia all’epoca il
principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (ripreso secoli dopo da
molte delle Carte Costituzionali degli Stati moderni), e le leggi Canuleia e Licinie
Sestie, sempre di epoca romana (del 445 e del 367 a. C.), le quali sancivano,
rispettivamente, il diritto di matrimonio tra patrizi e plebei e l’equa divisione delle
terre conquistate.
6
Lucio Iannotta, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare),
saggio scritto in memoria di Franco Ledda, 2005.
7
Lucia Rossi, Alla scoperta del Diritto e dell’Economia, Casa editrice Tramontana, 1992, la quale compie
un breve escursus storico del diritto.
12
E’ possibile menzionare inoltre, perché rientranti nello stesso periodo storico, il
codice di Teodosio (del V secolo d. C.) ed il corpus iuris civilis (del VI secolo d.
C.), quest’ultimo composto da quattro parti (il nuovo codice Giustiniano, il
digesto, le istituzioni e le novelle) grazie alla preziosa opera di Giustiniano, il
quale ebbe il merito di raccogliere e riordinare i numerosi editti, leggi e
costituzioni sia di diritto pubblico che privato avvicendatisi nei secoli.
Nel 643 d. C. fu emanato l’editto di Rotari, dall’omonimo re dei longobardi
allora regnante, il cui punto di forza era la trasformazione delle consuetudini in
norme scritte.
Proprio le consuetudini (i famosi usus feudorum) e le norme non scritte
rappresentarono le fonti giuridiche principali in epoca medioevale, fungendo da
capostipiti per la redazione delle prime norme scritte e degli usus loci che si
ebbero con l’avvento dei Comuni (dopo l’anno 1000).
L’evoluzione che subirono in seguito questi ultimi permise di dare vita ad un
ordinamento comunale proprio, grazie in particolare anche all’elaborazione di un
altro fondamentale documento scritto, ossia l’antenato dell’attuale statuto8,
presente nelle istituzioni comunali ancora tuttora.
Dalla fine del Settecento in poi si assiste al passaggio dallo Stato assoluto a quello
moderno, tramite alcuni importanti avvenimenti di portata “storica” come la
Rivoluzione francese e quella industriale, accompagnate da un’evoluzione del
8
Lucia Rossi, opera citata, in cui emerge l’importanza rivestita dagli usi e dalle consuetudini gia a
quell’epoca.
13
diritto che portò alla stesura della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino (del 1789) e del code civil o Napoléon (di qualche anno dopo,
esattamente del 1804).
La prima affermava solennemente che il potere non proveniva più dall’alto, ma
nasceva dalla volontà e dal consenso di ogni persona, che non era più suddito ma
assumeva la qualifica di cittadino.
Quest’ultima evoluzione, non soltanto terminologica, comportò che ogni soggetto
avesse diritto a tutta una serie di libertà civili (individuale, di stampa, di pensiero, e
così via).
Con il secondo, invece, fu riaffermata l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla
legge almeno dal punto di vista formale, furono riconosciute, ed al tempo stesso,
protette la libertà di iniziativa economica, quella contrattuale e la proprietà privata
e stabilite delle norme, innovative per l’epoca, riguardanti la famiglia, in
particolare fu istituito il matrimonio civile ed il divorzio.
Sempre nello stesso periodo furono varate la Dichiarazione d’indipendenza (del
1776) e la Costituzione americana (del 1789), che stabilirono tutta una serie di
principi di libertà, uguaglianza e tolleranza, in maniera simile alla Costituzione
francese, la quale a sua volta si basava su due di questi tre principi fondamentali:
libertà, uguaglianza e fraternità9.
9
Lucia Rossi, opera citata.
14
Grazie a quest’importantissima innovazione, dal punto di vista giuridico, non solo
si sono diffuse in tutta Europa negli anni successivi le costituzioni scritte, che
hanno permesso di fare in modo che anche lo Stato fosse soggetto al diritto stesso e
regolare in maniera sistematica i rapporti tra quest’ultimo ed i cittadini, ma è stata
finalmente sancita la nascita del cosiddetto Stato di diritto, il quale prevede che il
potere d’imperio dello Stato non derivi più dalla forza ma dalla legge.
Tutto ciò cominciò a minare fortemente le monarchie vigenti in quel delicatissimo
momento storico, le quali vedevano sempre più emergere la figura del cittadino
che iniziava a rivendicare i suoi diritti basilari nei confronti del sovrano, il quale
fino a quel momento, con il suo comportamento assolutistico, aveva sempre
preteso una pedissequa esecuzione degli ordini che impartiva a destra ed a manca,
senza magari mai chiedersi quale fosse il vero bene per i suoi sudditi.
Proprio in quella fase (siamo ormai tra il 1820 ed il 1848) la maggior parte degli
stati europei, vista l’evoluzione in corso, dovette “a malincuore” (a differenza di
come sostenne e sostiene ancora qualche storico famoso quando afferma che le
costituzioni dell’epoca furono “benevolmente concesse”!) concedere quelli che
potevano essere considerati i primi prototipi di costituzioni moderne.
Si tratta, infatti, delle celebri costituzioni liberali che, se da un lato
rappresentarono un passo avanti nel transito dall’assolutismo monarchico alla
democrazia, dall’altro non permisero la partecipazione delle masse popolari,
poiché il potere era detenuto materialmente dalla classe emergente dell’epoca,
15
ossia la borghesia, la quale godeva di determinate prerogative che escludevano di
fatto le classi inferiori (basti citare come esempio il diritto di voto che poteva
essere esercitato solo da chi avesse un certo censo ed un grado di istruzione
minimo).
Questo obiettivo si otterrà, per fortuna, grazie alla costituzione degli Stati a
democrazia parlamentare e non più liberale, i quali si fondano su carte
costituzionali votate e non più concesse (quindi approvate finalmente attraverso la
reale partecipazione di tutte le classi sociali), tramite le quali il potere dello Stato
scaturisce dalla volontà del popolo, attraverso l’esercizio di uno degli strumenti
democratici per eccellenza a disposizione di tutti i cittadini.
Si sta facendo riferimento in concreto al diritto di voto, sancito anche dall’articolo
48 della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948 e composta
da centotrentanove articoli riguardanti i diritti ed i doveri dei cittadini stanziati sul
territorio, i rapporti economici, politici e sociali intercorrenti tra essi e
l’ordinamento costituzionale della Repubblica.
Come ultima tappa di quest’ipotetico percorso è necessario soffermarsi proprio
sulla considerazione che, attualmente, la maggior parte degli Stati si fonda su una
costituzione democraticamente votata e, conseguentemente, il diritto si compone di
un insieme di norme che promanano dallo Stato stesso o che quest’ultimo
legittima.
16
Dal Secondo dopoguerra in poi, in particolare, tutte le nazioni che erano state
coinvolte nel conflitto mondiale hanno deciso di porre in essere quei presupposti
indispensabili per proteggere una volta per tutte i diritti umani fondamentali, con
l’emanazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata
dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel lontano 194810.
Nonostante tutte le ulteriori tutele poste in essere da allora, in tante parti del globo
lo stesso principio base della sovranità popolare non viene rispettato affatto ed i
diritti medesimi spesso non vengono neanche riconosciuti, pur trovandoci ormai
all’inizio di un nuovo Millennio.
Anche se il diritto ha fatto notevoli passi da gigante nel corso delle varie fasi
storiche che sono state descritte brevemente, esso è sempre in continua evoluzione,
essendo, tra l’altro, uno strumento a disposizione dei consociati per poter regolare i
principali rapporti giuridici che vengono ad instaurarsi tra loro, attraverso la
creazione di ulteriori regole consuetudinarie che vanno ad incrementare quelle
previste dal diritto positivo.
La consuetudine, in ogni caso, è una delle fonti del diritto per eccellenza,
considerando la sua fondamentale importanza per esempio in Inghilterra, dove il
diritto è presente sia tramite le leggi (o statute law) che, in maniera più pregnante,
con le norme non scritte (o common law), le quali scaturiscono dalle sentenze
della giurisprudenza e dalle varie elaborazioni della dottrina.
10
Cesare Pinelli, Il momento della scrittura, Il mulino, capitolo otto.
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