Capitolo I
4
caratterizza il passaggio dalla dittatura alla Repubblica, conserva
molti di quei poteri che lo avevano reso durante il fascismo lo
strumento principe della politica autoritaria e accentratrice del
regime.
Il Prefetto è la massima autorità di Pubblica Sicurezza nelle
province e per quanto attiene alle funzioni di polizia le sue
competenze sono ancora regolate principalmente dal Regio decreto
18 Giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza) che all’articolo 2 recita: “Il Prefetto, nel caso di urgenza o
per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti
indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza
pubblica.”. Una norma che, seppur dichiarata parzialmente
illegittima dalla Corte Costituzionale,
3
si presterà sempre alle più
ampie interpretazioni. Inoltre restano di fatto invariati i poteri
attribuiti al Prefetto dall’articolo 19 del Testo unico della legge
comunale e provinciale
4
, altro provvedimento emanato durante il
fascismo.
La Polizia è nelle mani dei prefetti: gli incarichi di vertice nei
“servizi”, le branche in cui il Ministero dell’Interno suddivide la
Pubblica sicurezza, e il ruolo di Capo della Polizia saranno sempre
ricoperti da funzionari della carriera prefettizia sino al 1979. I
“Intendente”, che agisce come longa manus del governo. Con la Legge 24 Luglio 1802, di
ispirazione francese, al Prefetto viene attribuito anche il potere di sovrintendere alla polizia e
vegliare alla conservazione della pubblica tranquillità. Con la legge 23 Ottobre 1859
sull’amministrazione locale il Prefetto, provvisoriamente chiamato “Governatore”, diventa la
massima autorità provinciale di pubblica sicurezza: “rappresenta il potere esecutivo in tutta la
provincia […]; soprintende alla pubblica sicurezza, ha diritto di disporre della forza pubblica e
di richiedere la forza armata” (art. 3). Il fascismo estende le attribuzioni dei prefetti
rafforzandone il ruolo prima con la Legge 3 Aprile 1926 n. 563 e fissandolo definitivamente nel
Testo unico della legge comunale e provinciale emanato con il Regio decreto 3 Marzo 1934 n.
383.
3
La Corte Costituzionale, con sentenza 23 maggio 1961, n. 26, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale 3 giugno 1961, n. 135, edizione speciale, ha così deciso: «Pronunziando sopra i
quattro procedimenti riuniti di cui in epigrafe, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2
del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.
773, nei sensi e nei limiti indicati nella motivazione». I limiti indicati nella motivazione entro i
quali la disposizione legislativa in esame è stata dichiarata illegittima, sono quelli nei quali essa
attribuisce ai Prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi
dell'ordinamento giuridico, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 70, 76, 77 e 138 della
Costituzione, senza, in altre parole, provvedere ad indicare i criteri idonei e delimitare la
discrezionalità dell'organo a cui il potere è stato attribuito.
4
La cui formulazione è stata modificata dalla Legge 8 Marzo 1949 n. 277.
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
5
prefetti tuttavia non sono altro che funzionari civili dello Stato,
spesso dotati di grande conoscenza della macchina amministrativa
ma di scarsa o nulla esperienza per quanto concerne la pubblica
sicurezza. Come già accennato ciò che porta ad optare per una simile
organizzazione è il fatto che i “prefettizi”, funzionari civili dello
Stato, vengono nominati direttamente dal Governo e al Governo
rispondono andando in tal modo a costituire la cinghia di
trasmissione del potere politico e assicurando il controllo politico
dell’esecutivo sulle Forze di polizia.
I prefetti sono infatti dotati di superiorità funzionale, oltrechè
gerarchicamente sovraordinati, rispetto agli effettivi responsabili del
servizio cioè i funzionari di Pubblica Sicurezza. Questi ultimi
tuttavia (questori, vicequestori, commissari), a differenza dei prefetti,
sono poliziotti a tutti gli effetti sulle cui spalle grava la direzione dei
servizi di pubblica sicurezza. Il Questore esercita la direzione tecnica
di tutti i servizi di polizia e di ordine pubblico nella circoscrizione
provinciale. Egli appartiene alla carriera del personale civile
dirigenziale della Pubblica Sicurezza
5
. Nello svolgimento della loro
attività, il Questore e i funzionari di Pubblica Sicurezza sono
coadiuvati dal personale militare facente parte del Corpo delle
guardie di Pubblica Sicurezza
Il Corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza
6
, come recita
l’articolo 1 del Regio decreto legge 31 Luglio 1943, n. 687, “dipende
dal Ministero dell’Interno”, “fa parte delle forze armate dello Stato
e di quelle in servizio di pubblica sicurezza insieme all’Arma dei
5
BERNARDI, op. cit., p. 48
6
Il primo “Corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza” venne istituito dal governo del Regno
di Sardegna con la Legge 11 Luglio 1852 n. 1404; assunse poi la denominazione di “Corpo delle
guardie di città” con la Legge 21 Dicembre 1890 n. 7321. Il Regio decreto 14 Agosto 1919 n.
1442 istituì un “Corpo di agenti di investigazione” e, poco dopo, il Regio decreto 2 Ottobre 1919
n. 1790 affiancò ad esso il “Corpo della regia guardia per la Pubblica Sicurezza”, facente parte
delle Forze Armate dello Stato e sottoposto alla giurisdizione militare. Entrambi i Corpi vennero
soppressi con il Regio decreto 31 Dicembre 1922 n. 1680 che stabilì l’integrazione di essi
nell’Arma dei Carabinieri. In diretta continuità istituzionale con i precedenti corpi di pubblica
sicurezza, un “Corpo degli agenti di pubblica sicurezza” (ad ordinamento civile) venne
ricostituito con il Regio decreto 2 Aprile 1925 n. 383. La denominazione “Corpo delle guardie di
Pubblica Sicurezza” viene ufficialmente reintrodotta con il Decreto legislativo luogotenenziale 2
Novembre 1944 n. 365.
Capitolo I
6
Carabinieri”. Ad eccezione quindi dei funzionari, gli appartenenti
alla Pubblica Sicurezza sono sottoposti alle legge militare di pace e
di guerra e, in caso di violazioni, sono giudicati dai tribunali militari.
La ragione storica che aveva portato all’emanazione di un simile
provvedimento stava nell’assoluta emergenza in cui si trovava ad
operare il neonato governo Badoglio nei giorni caotici che seguirono
alla caduta del regime fascista e all’arresto di Mussolini (25 - 26
Luglio 1943). Era fondamentale, infatti, al fine di rafforzare il
controllo del paese, assicurarsi la fedeltà della Polizia: equiparandola
alle Forze armate, il governo mirava a porla sotto il diretto controllo
del re, che delle FF.AA. era il capo supremo, sottraendola al potere
del personale fascista della Pubblica Sicurezza.
7
Nel 1946, secondo i dati ufficiali, il Corpo delle guardie di P.S.
conta su un organico di 40.000 uomini e 900 ufficiali. A questi
uomini vengono presto affiancati quelli del personale della disciolta
Polizia dell’Africa Italiana
8
nonché nuovo personale ausiliario (i
cosiddetti “aggiunti”), arruolati al fine di rinforzare le disastrate fila
del Corpo.
9
Nel 1947 nascono i “Reparti celeri” destinati a costituire
lo strumento principe del controllo dell'ordine pubblico.
10
Nel
Gennaio 1948 un arruolamento speciale assume temporaneamente in
servizio 18.000 guardie di P.S., 2.000 sottufficiali e 300 ufficiali. La
7
BERNARDI, op. cit., p. 35
8
Corpo di polizia coloniale che fu istituito, dopo la conquista dell’Impero d’Etiopia, con il
Regio decreto 14 Dicembre 1936 n. 2374 e posto alle dipendenze del Ministero dell'Africa
Italiana. Dislocata nelle Questure di Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia, la P. A. I. era costituita
da agenti nazionali ed indigeni (ascari). Trasferita in Italia dopo la caduta delle colonie, verrà
sciolta ufficialmente nel 1945.
9
Per una dettagliata ricostruzione delle vicende del Corpo nel periodo immediatamente
successivo alla Liberazione vedi SANNINO, Le forze di Polizia nel dopoguerra, Milano 2004,
pp. 53-110
10
BERNARDI, op. cit., pp. 50-51. Fino al 1976 i Reparti o Raggruppamenti celeri erano
quattro (Roma, Padova, Milano, Napoli) e insieme agli otto Reparti mobili (Torino, Genova,
Bologna, Senigallia, Firenze, Bari, Catania, Palermo), al Battaglione e ai Reparti di soccorso
pubblico e al Raggruppamento squadroni a cavallo costituivano le “Forze mobili” della Polizia.
A partire dal 1976 la denominazione viene unificata in quella di “Reparti celeri” tra i quali non
esiste più alcuna differenziazione: un nuovo reparto celere viene costituito a Vibo Valentia. Il 1
Gennaio 1978 è sciolto il IX Reparto di stanza a Senigallia. Alla vigilia della riforma i Reparti
celeri sono dodici: Roma (I), Padova (II), Milano (III), Napoli (IV), Torino (V), Genova (VI),
Bologna (VII), Firenze (VIII), Vibo Valentia (X), Bari (XI), Catania (XII), Palermo (XIII).
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
7
Polizia nel 1948 può contare su 68.348 uomini che salgono a 75.604
nell'anno successivo.
Nel 1949 il parlamento è chiamato a decidere se convertire o
meno in legge il Regio decreto 687/43. La commissione
parlamentare nominata ad hoc esprime parere negativo in quanto
sono venute meno quelle condizioni di necessità ed urgenza che
avevano giustificato l’emanazione del provvedimento. Nonostante
ciò, dopo un rapidissimo dibattito parlamentare, il decreto, anziché
venire abrogato o semplicemente riformato, viene convertito senza
alcuna modifica nella Legge 5 Maggio 1949 n. 178. L’ordinamento
militare della Polizia, certamente più congeniale allo svolgimento di
compiti di ordine pubblico, viene così definitivamente confermato.
Negli anni successivi lo squilibrio tra risorse destinate ai servizi di
ordine pubblico e risorse destinate ai servizi di polizia giudiziaria
continua ad aumentare vistosamente a favore dei primi con la
conseguenza di una maggiore disorganizzazione delle forze in
campo e quindi di continui insuccessi dello Stato contro la
criminalità organizzata.
11
Nel 1959, con la Legge n. 1088 del 7 Dicembre, viene infine
costituito anche un Corpo di Polizia femminile, a ordinamento civile.
Formato dalle ispettrici di polizia (personale direttivo) e dalle
assistenti di polizia (personale di concetto) a tale Corpo sono affidati
i compiti della prevenzione e dell’accertamento dei reati contro la
moralità pubblica, il “buon costume”, la famiglia nonché compiti in
materia di tutela del lavoro delle donne e dei minori; attività
investigativa di polizia giudiziaria relativa ai reati commessi da
donne e minori o contro gli stessi; assistenza e vigilanza di donne e
minori, nei cui confronti sono stati adottati provvedimenti di
pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, oppure in stato di
abbandono morale o sociale.
11
FEDELI, Sindacato Polizia, Milano - Roma 1975, p. 23; vedi anche ISMAN, I forzati
dell’ordine, Venezia 1977, pp. 37-48.
Capitolo I
8
1.2 Il Corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza
Nel precedente paragrafo è stato illustrato come la Polizia italiana
del secondo dopoguerra sia una specie di “centauro” per metà civile
e per metà militare in cui poi entrambe le parti sono comandate dalla
“testa” prefettizia (nominata e controllata dal Governo) che,
addirittura, è estranea sia all’una che all’altra. Questo “mostro” è
inoltre di proporzioni spropositate con un apparato elefantiaco
gravato da competenze eccessive (e talvolta anacronistiche) in troppi
campi, per nulla decentrato e funzionale, fiaccato da squilibri e
inefficienze croniche al suo interno.
Fino al periodo precedente alla riforma, la vita del poliziotto
italiano è assai dura. Anzitutto vi è una condizione professionale
obsoleta, al limite della tolleranza: pesantezza del servizio, bassa
retribuzione, regole rigide imposte dall’ordinamento militare del
Corpo e, non di rado, incapacità dello Stato di garantire l'adeguata
sicurezza del personale. A questi problemi se ne aggiunge uno
ulteriore di tipo “sociale”: il soggetto poliziotto ha infatti oggettive
difficoltà ad inserirsi in una società che a lui guarda, se non con
risentimento, quantomeno con distacco; che, spesso, lo vede come
un “diverso”, un estraneo; che, di conseguenza, viene ad essere
insensibile nei confronti dei suoi problemi di “lavoratore”.
Nel presente paragrafo si cercherà di analizzare specificamente i
problemi degli operatori di Polizia con attenzione particolare al
Corpo delle guardie di P.S., la parte certamente più svantaggiata e su
cui grava il peso maggiore del servizio. Si illustreranno le principali
tematiche sulle quali nasce e si sviluppa l’azione rivendicativa
all’interno della Polizia che porterà dapprima alla formazione del
“Movimento” e poi del sindacato.
12
Anzitutto è necessario precisare che ciascuna delle tre componenti
(prefettizi, funzionari, militari) segue una propria normativa di
12
MEDICI, Vite di poliziotti, Torino 1979; LEHNER, Dalla parte dei poliziotti, Milano
1978, pp. 33-125; SANNINO, op. cit., pp. 175-182; FEDELI, op. cit., pp. 17-45; BERNARDI,
op. cit., pp. 51-64.
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
9
riferimento per quanto concerne sanzioni disciplinari, preparazione
professionale, trattamento economico e prospettive di carriera.
In questa situazione ovviamente favorite sono le componenti civili
(massime i prefettizi) mentre la componente militare, con qualche
eccezione per gli ufficiali, è certamente, come già detto, la più
svantaggiata.
ξ Il Regolamento di disciplina
L’ordinamento militare e la confusione che sussiste in campo
normativo per quanto concerne il Corpo delle guardie di P. S.
13
crea
terreno fertile per abusi e discriminazioni.
Come già detto, il Regio decreto 31 Luglio 1943 n. 687 stabiliva
che l’allora Corpo degli agenti di P.S.
14
entrando a far parte delle
Forze armate fosse conseguentemente assoggettato alla legge penale
militare di guerra e di pace. Tuttavia lo stesso decreto nulla diceva
riguardo all’applicazione del Regolamento di disciplina militare. La
stessa lacuna si riscontra nel successivo Decreto legislativo
luogotenenziale 2 Novembre 1944 n. 365
15
. In mancanza di una
normativa il Ministero dell’Interno continuava a considerare valido il
vecchio “Regolamento per il Corpo degli agenti di P.S.” approvato
durante il fascismo con il Regio decreto 30 Novembre 1930 n. 1629.
Conseguenza di una tale decisione del Viminale, ribadita più volte
nei primi anni cinquanta con una serie di circolari, è il mantenimento
all’interno dell’Ordinamento, sulla base di un’interpretazione a dir
poco estensiva della legge, di un atto normativo sicuramente in
contrasto con quello “spirito democratico della Repubblica” cui, in
13
“Uno dei più mendaci e grossolani manifesti per la campagna arruolamenti diffusi negli
ultimi anni diceva: «Se non ti spaventano le responsabilità, arruolati in polizia, ché il resto è
risolto! La polizia è una professione di oggi che guarda al domani.». Ebbene in questo corpo
«di oggi che guarda al domani» tutti i regolamenti sono di ieri e inoltre parecchio confusi.”
LEHNER, op. cit., p. 71-72.
14
vedi nota n. 6
15
idem
Capitolo I
10
base all’articolo 52 della Costituzione, si deve “informare”
“l’ordinamento delle Forze armate”.
Nel 1956 vengono emanate le norme sullo stato giuridico degli
ufficiali di P.S. (Legge 29 Marzo 1956 n. 288). Tale provvedimento
all’articolo 4 stabilisce che gli ufficiali sono soggetti “alle norme del
regolamento militare dell’Esercito” (altro provvedimento emanato
durante il fascismo nel 1942) “e alla legge penale militare in quanto
applicabile”. Tuttavia la successiva Legge 3 Aprile 1958 n. 460,
contenente le norme sullo stato giuridico dei sottufficiali di P.S., tace
per ciò che concerne il regolamento applicabile. La stessa lacuna si
presenta anche nel provvedimento ancora successivo (Legge 26
Luglio 1961 n. 709) contenente stavolta le norme sullo stato
giuridico dei militari di truppa della P.S.
Alla già odiosa disparità di trattamento tra funzionari e militari se
ne va a sommare una ulteriore (e assurda) tra ufficiali da un lato,
sottoufficiali e truppa dall’altro.
E’ chiaro che tali lacune non sono dovute a dimenticanze ma sono
indici di una politica precisa in base alla quale il Ministero, nel
silenzio della legge, può continuare a regolare il settore della
Pubblica Sicurezza semplicemente attraverso le circolari
amministrative interne, con un grado di discrezionalità ed arbitrio
chiaramente rilevabili.
La circolare 800.9801.A.23 del 26 Aprile 1961 implicitamente
riconosce ancora la vigenza del Regolamento del 1930. La circolare
800.9280.A.900 del 10 Marzo 1963, emanata dal Capo della Polizia
Angelo Vicari, dispone invece l’“adeguamento” delle disposizioni in
vigore nel Corpo alle norme delle FF.AA. Il 31 Ottobre 1964, con
Decreto del Presidente della Repubblica, viene emanato il nuovo
Regolamento di disciplina militare. Tale Regolamento tuttavia,
essendo stato emanato su proposta del Ministero della Difesa, per
legge privo di autorità sulla P.S., non potrebbe essere considerato
applicabile al Corpo. Purtuttavia un’ennesima circolare del 1966,
sempre a firma del prefetto Vicari, ribadisce l’“adeguamento” delle
disposizioni come già stabilito nella circolare del 1963. Ma il 28
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
11
Marzo 1969 con la circolare n. 800.9820.A, emanata dal Ministro
dell’Interno Franco Restivo, viene nuovamente indicato come
applicabile il Regolamento del 1930.
16
“Ai militari, ai quali nessuno ha mai fatto leggere e conoscere i
Regolamenti di disciplina, la sorte ha dunque riservato, a seconda
delle scelte dei superiori, di scottarsi nella brace del regolamento
del 1930 o di friggere nella padella del regolamento di disciplina
militare”
17
.
ξ L’arruolamento e la formazione
Per lungo tempo l’identikit del poliziotto italiano medio rimane
sempre lo stesso: maschio, meridionale, sulla quarantina, di bassa
estrazione sociale e di bassissimo livello culturale
18
. Di selezione, al
momento dell’arruolamento, neppure a parlarne. Anzi. Con la fine
degli anni sessanta contestualmente ad un aumento delle domande di
dimissioni dal Corpo, le domande di arruolamento diminuiscono in
maniera vistosa. Si creano per tale ragione grossi “buchi”
nell’organico e, nel tentativo di turare le falle, l’Amministrazione è
costretta letteralmente a raccattare quanti più uomini possibile, senza
badare troppo alla qualità del materiale umano disponibile. Poco
male, in realtà: ciò che interessa infatti è non tanto formare poliziotti
quanto arruolare soldati da utilizzare principalmente per servizi di
16
“Essendo [i Regolamenti] entrambi applicabili, a voler essere pignoli si potrebbero
trovare nella loro somma esiti pazzeschi o semplicemente idioti: osservava, per esempio, il
colonnello Italo Azzolini nel 1975 che, seguendo entrambi i regolamenti alla lettera, il militare
di P.S. dovrebbe andare a letto o fare la doccia indossando l’uniforme. Il regolamento del 1930
dice infatti: «Tutti gli appartenenti al corpo sono considerati in servizio permanente anche
quando non sono comandati.», mentre quello di disciplina militare impone al militare in servizio
di indossare sempre e comunque l’uniforme.” LEHNER, op. cit., pp. 73-74.
17
LEHNER, op. cit., p. 73
18
Nel 1974 il 62,93% degli arruolati proviene dalle regioni del meridione d’Italia, il 22,52%
dalle regioni centrali e il 14,55% da quelle settentrionali; dal punto di vista culturale il 47% degli
arruolati è in possesso unicamente della licenza elementare (titolo minimo richiesto); dal punto
di vista anagrafico l’età media degli appartenenti alla P.S. supera i 42 anni.
Capitolo I
12
ordine pubblico
19
. La vera scuola del poliziotto italiano è infatti una
sola: la piazza.
L’allievo poliziotto è l’unico studente sempre autorizzato a
marinare le lezioni. Sebbene il già citato Regolamento del 1930
prescriva, all’articolo 25, che gli allievi delle scuole possano essere
utilizzati in servizi di ordine pubblico solo in casi eccezionali e
previo espresso ordine del Capo della Polizia, di fatto nella pratica
avviene esattamente l’opposto. In un promemoria elaborato a cura di
un gruppo di cappellani militari della P.S. all’inizio degli anni
settanta si legge che “troppo spesso gli allievi vengono distolti da
quei compiti istituzionali per cui le scuole sono sorte: i quattro
quinti del tempo previsto per lo studio vengono invece impegnati in
servizi di ordine pubblico”
20
.
Oltre a ciò, sempre questo promemoria, tra “le cause di un diffuso
analfabetismo culturale, morale, psicologico nei reparti” indica
anche “l’inadeguatezza dei programmi”.
Sulla carta la preparazione degli allievi guardie (della durata di un
semestre) si articola sul piano culturale, professionale e militare.
Ammesso, come già detto, che essi vengano effettivamente svolti,
quanto alla cultura generale i programmi comprendono
l’insegnamento della lingua italiana
21
e le nozioni fondamentali di
aritmetica; sul piano professionale si impartiscono sommarie nozioni
di diritto e procedura penale, tecniche di polizia, Regolamento del
Corpo. I libri di testo sui quali dovrebbero studiare gli allievi, a
partire dalla famigerata “Enciclopedia di Polizia” di Luigi Salierno,
sono, nel migliore dei casi, superati, per la maggior parte infarciti di
vuota retorica e dei peggiori luoghi comuni. La superficialità e il
nozionismo nell’insegnamento delle materie di cultura generale
19
“«Siamo come ci vogliono»: questa frase ormai sulla bocca di tutto il personale di P.S. ci
sembra più eloquente di qualsiasi discorso.” FEDELI, op. cit., p. 19
20
FEDELI, op. cit., p. 22.
21
Si consideri il fatto che accade spesso che molte reclute non parlino né scrivano
correttamente in italiano avendo sempre fatto uso esclusivo o prevalente del proprio dialetto.
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
13
rendono le scuole di Polizia
22
incapaci di assolvere ai compiti a cui
sono preposte: esse non sono in grado di dare ai poliziotti una
cultura, o una preparazione specifica per svolgere il loro ruolo
secondo le esigenze della società. Preponderante è invece
l’istruzione militare: l’educazione fisica, le tecniche di
combattimento, quelle di impiego nei servizi di ordine pubblico, le
esercitazioni di tiro.
Anche in questo campo tuttavia, soprattutto a causa delle
dotazioni obsolete e della brevità del periodo di addestramento, le
esercitazioni risultano spesso essere sommarie con il risultato che gli
allievi non acquisiscono un livello di preparazione ottimale
rischiando, una volta entrati in servizio, di mettere a repentaglio
anzitutto l’incolumità propria e quella dei colleghi.
Detto tutto questo è facile immaginare come la selezione
all’interno del Corpo non sia possibile neppure concluso il periodo di
addestramento tant’è che gli esami di fine corso sono semplicemente
“una burletta pro-forma”
23
. Se selezione ci sarà, sarà magari di
carattere politico.
La condizione degli ufficiali è forse l’unica che possa ritenersi
soddisfacente dal punto di vista della formazione e della selezione
del personale. Gli allievi ufficiali vengono arruolati tramite concorso
pubblico riservato per un terzo tra i cittadini tra i 18 e i 23 anni e per
un terzo ai sottufficiali del Corpo con almeno due anni di anzianità.
Gli aspiranti ufficiali, oltre all’idoneità psico-fisica al servizio
permanente in Polizia, devono essere in possesso del diploma di
scuola superiore. Anche qui, tuttavia, non mancano i problemi.
Anzitutto, frequentare l’Accademia assicura la preparazione del solo
22
Le scuole più importanti della P.S. si trovano a Roma: Scuola superiore di Polizia (per la
formazione dei funzionari), Accademia del Corpo delle Guardie di P.S. (per gli ufficiali), Scuola
tecnica per le specializzazioni. La Scuola di polizia giudiziaria ha due sedi: una a Roma, l’altra a
Milano. La Scuola sottufficiali di P.S. si trova a Nettuno (RM). Le scuole per gli allievi guardie
sono ad Alessandria, Caserta, Bolzano e (fino al 1976) a Trieste. Vi sono inoltre la Scuola alpina
a Moena (TN), il Centro d’addestramento per la Polizia stradale a Cesena, per la Polizia
ferroviaria a Bologna, per la Polizia di frontiera a Ventimiglia, per i sommozzatori a La Spezia.
Altri corsi vengono organizzati presso i Reparti mobili (vedi nota n. 12).
23
FEDELI, op. cit., p. 20.
Capitolo I
14
biennio del corso di laurea in giurisprudenza e quindi coloro che
volessero concludere gli studi dovranno farlo a spese proprie e fuori
dal servizio. Anche qui inoltre l’addestramento militare è sempre
nettamente privilegiato rispetto alle altre materie. Come vedremo più
avanti, la prevalenza dei caratteri militari dell’insegnamento rende
gli ufficiali meno adatti allo svolgimento di compiti di polizia civile
(per esempio, rispetto ai funzionari) e facilita la tendenza
dell’Amministrazione ad impiegarli solo nei compiti di
inquadramento del personale del Corpo.
ξ Il matrimonio
Una volta entrato in servizio, per il poliziotto che voglia crearsi
una famiglia, o anche semplicemente fidanzarsi, comincia una vera e
propria corsa ad ostacoli. Per poter contrarre matrimonio è infatti
necessario ottenere la “declaratoria”, in pratica il nulla osta del
Ministero dell’Interno.
Il primo ostacolo è costituito dall’età. Fino al 1965 i poliziotti
erano autorizzati a contrarre matrimonio solo dopo aver compiuto i
30 anni. Il limite viene successivamente abbassato prima a 28 anni
poi, dal 1973, a 26. A partire dal 28 Aprile 1976 il limite viene
portato a 22 anni e 6 mesi congiuntamente ad almeno 4 anni di
servizio. Da sottolineare che queste limitazioni sono imposte solo a
Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Corpo degli agenti di
custodia
24
ma non agli altri appartenenti alle Forze armate.
Il secondo scoglio, ancora più odioso, è costituito dalle
“informative” sulle future spose. Frutto di una vera e propria
indagine, l’“informativa” deve certificare che la ragazza in questione
goda di “ottima moralità”, non abbia idee politiche “sovversive”, sia
24
Corpo ad ordinamento militare istituito con il Regio decreto 6 luglio 1890 n. 7011 allo
scopo di “vigilare e custodire i detenuti delle Carceri giudiziarie centrali, succursali,
mandamentali; i condannati chiusi negli stabilimenti penali o lavoranti all'aperto; i minorenni
nei Riformatorii governativi.” (art 1.). Verrà sciolto dalla Legge 15 Dicembre 1990 n. 395 che
istituisce il nuovo “Corpo di polizia penitenziaria” a ordinamento civile.
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
15
di religione cattolica; oltre a ciò è necessario verificare l’“ottima
moralità” della sua famiglia e specificamente di tutti i parenti entro il
terzo grado. Il compito di redigere l’“informativa” è solitamente
affidato a un militare dell’Arma dei Carabinieri, il quale deve
procedere all’interrogatorio della aspirante sposa e alla raccolta delle
informazioni presso vicini di casa, amici e conoscenti della stessa,
nonché alla verifica, presso gli appositi uffici, di eventuali
procedimenti penali, schedature, ecc… Con l’istituzione del Corpo
di polizia femminile le “informative” vengono estese anche agli
aspiranti mariti delle poliziotte: esse infatti “contraggono
matrimonio previa autorizzazione del Ministero dell’Interno,
subordinata ai requisiti di moralità dello sposo e della di lui
famiglia.” (art. 9, Legge 7 Dicembre 1959 n. 1088). Particolarmente
intransigenti nel periodo dello “scelbismo”
25
, le “informative”
diventano meno capillari alla fine degli anni sessanta, per subire poi
un nuovo irrigidimento in coincidenza con lo svilupparsi del
“Movimento” per la riforma delle Polizia.
E’ chiaro come questa procedura costituisca un deterrente
psicologico fortissimo, coerente del resto con l’impostazione militare
che vuole il poliziotto legato il più possibile all’Istituzione, la fedeltà
alla quale deve essere anteposta anche ai legami affettivi.
Conseguenza di tutto ciò sono situazioni socio-familiari gravissime,
con relazioni che si rompono o che vengono vissute
clandestinamente, non di rado con figli che nascono fuori dal
matrimonio e che il padre spesso si trova impossibilitato a
riconoscere.
25
Mario Scelba (Caltagirone, 5 Settembre 1901 - Roma, 29 Ottobre 1991), esponente della
destra democristiana, fu Ministro dell’Interno dal 1947 al 1955 e Presidente del Consiglio dei
Ministri nel periodo 10 febbraio 1954 - 2 luglio 1955. Tornò successivamente al Ministero
dell’Interno, per un breve periodo, tra il 1960 e il 1962.
Capitolo I
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ξ La condizione sociale
Non ci sono parole migliori per descrivere la condizione sociale
del poliziotto di quelle del poeta Pier Paolo Pasolini: “E poi,
guardateli come li vestono: come pagliacci / con quella stoffa
ruvida, che puzza di rancio / fureria e popolo. Peggio di tutto,
naturalmente, / è lo stato psicologico in cui sono ridotti / (per una
quarantina di mille lire al mese): / senza più sorriso, / senza più
amicizia col mondo, / separati, / esclusi (in un tipo d’esclusione che
non ha eguali) / umiliati dalla perdita della qualità di essere uomini
/ per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).”
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E’ proprio l’essere esclusi e separati dal resto del contesto sociale
ciò che più pesa nella vita dei poliziotti. La “perdita della qualità di
essere uomini” del resto è una delle prime cose che si cerca di
ottenere una volta che un giovane si arruola. Nella mentalità militare,
lo si è già detto, c’è bisogno di soldati e non di uomini. Isolare i
poliziotti dal contesto sociale, azzerarne la personalità è garanzia
della loro totale fedeltà e del completo asservimento all’Istituzione.
Fedeltà che a lungo andare diventa dipendenza, perché una volta
sacrificato tutto per essa, una volta isolato dal contesto sociale, senza
rapporti col mondo esterno, l’Istituzione stessa diventa il solo luogo
entro il quale il soggetto-poliziotto si sente al sicuro e, in un certo
senso, a casa.
Ed ecco la vita di caserma incensata ed esaltata costantemente in
tutte le pubblicazioni destinate agli appartenenti al Corpo (nonché
incentivata dagli stessi regolamenti e indirettamente dalle norme sul
matrimonio), ecco la formazione finalizzata proprio a creare il
poliziotto ideale arrogante, antipatico anche con gli amici e i
conoscenti e poco importa se è anche ignorante.
Molti poliziotti vengono da famiglie povere, dalla fame. Cercano
nell’arruolamento oltre che un salario anche un modo per riscattarsi
dalla propria condizione d’origine, per avere, per così dire, una loro
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PASOLINI, Il PCI ai giovani!!, L’Espresso, n. 24, 16 Giugno 1968.
DAL CORPO DELLE GUARDIE DI PUBBLICA SICUREZZA ALLA POLIZIA DI STATO
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piccola fetta di “potere”. Si trovano invece immersi in una società
che li rifiuta, che li guarda con occhio diffidente se non addirittura
ostile. Che li vede solo come strumento di oppressione e che si
disinteressa dell’uomo che sta sotto l’uniforme. E il poliziotto, per
contro, non conosce i problemi della società ma è stato educato solo
a diffidare delle “masse”. Un muro di incomunicabilità reciproca
difficile da abbattere, foriero di frustrazioni e complessi di inferiorità
che si traducono in circolo vizioso in cui la diffidenza dell’uno
accresce quella dell’altro.
Naturalmente tutto questo fa gioco a chi ha interesse a portare
avanti la strategia dei “corpi separati” dello Stato da utilizzare in
funzione antipopolare.
Spesso poi la separatezza dalla società è doppia: perché si è
poliziotti e perché si è meridionali. Questo aumenta ulteriormente le
difficoltà di inserimento specie se, come capita, si viene trasferiti
spesso. Non si fa in tempo a piantare radici, a consolidare dei
rapporti, che ogni volta si deve ricominciare da capo. L’indifferenza
dei vicini, del quartiere, dei parrocchiani è la peggiore perché è la
più diretta, la prima ad essere percepita. E questi problemi di riflesso
li vive anche tutta la famiglia.
ξ Il lavoro
La Polizia italiana, è, lo abbiamo gia visto, un apparato enorme
che la più volte ricordata tripartizione in prefettizi, funzionari e
militari rende ancora più lenta e macchinosa nella sua azione e crea
squilibri e inefficienze al suo interno.
L’inefficienza più grande ed evidente è certamente data dalla
politica del personale: quasi 80.000 uomini mal ripartiti sul territorio
e assai spesso impiegati in maniera inefficiente o per compiti che
esulano totalmente da quelli propri di un corpo di Polizia.