Che dire infatti dei pregiudizi personali, quindi prima facie a carattere non
patrimoniale, che non si concretano in una patologia clinicamente
accertabile? Che dire del pregiudizio alla serenità familiare del congiunto
della vittima di un incidente stradale, di quello del coniuge costretto a vivere
con una moglie affetta da un grave handicap a causa del fatto illecito di un
terzo, o del lavoratore soggetto a pratiche di mobbing?
È in questo panorama che nasce il danno esistenziale. In particolare la strada
per affrancare dal rigido dato normativo i pregiudizi alla persona che non si
risolvano in una lesione accertabile secondo il canone medico-legale
sarebbe quello di operare uno stacco, nel genus del danno non patrimoniale,
tra i meri perturbamenti interiori od i patemi d’animo e gli altri pregiudizi
alla persona che non siano né puro danno morale né danno biologico
accertato secondo canoni medico legali. Insomma una “zona grigia di
confine” che ricomprende tutti i pregiudizi alla persona che non sono né
biologici né morali.
E ciò per un’autonomia ontologica del pregiudizio che ha cittadinanza in
questa zona grigia: un conto, infatti, il perturbamento interiore, altro conto
un danno alle attività realizzatrici della propria persona; un conto l’incisione
della sfera dell’essere, altro conto lo sconquasso della sfera del fare; un
conto, ancora, la considerazione del pianto versato, altro conto i
rovesciamenti forzati dell’agenda dell’offeso.
È, dunque, la compromissione dell’agire non reddituale ad occupare un
ruolo centrale nella definizione dell’area operativa del danno esistenziale. E
la peculiarità ontologica, il carattere quasi “materiale”, empiricamente
apprezzabile, di un pregiudizio non patrimoniale quale quello in esame,
impone la collocazione di questo danno nell’ambito delle teorie del danno
conseguenza, che ripudiano l’idea che la nozione di danno si possa esaurire
nella mera condotta illecita lesiva di un diritto.
L’area potenziale di operatività dell’istituto è allora davvero rilevante:
spazia dal mondo della famiglia e degli affetti turbati da uccisioni od
infortuni fino al mondo delle discriminazioni in generale, al mobbing
nell’ambiente di lavoro e così via. In tutte queste ipotesi si assiste certo, di
2
frequente, ad un pregiudizio morale attinente alla sfera interiore; ma a ciò si
accompagna quel turbamento, tutto esterno, alla vita dell’offeso. Danni
questi che non possono essere in nessun caso sovrapposti o confusi tra loro.
È così il richiamo alla categoria a consentire la libera risarcibilità del
pregiudizio – consistente nell’inevitabile “alterazione del regolare
andamento di vita” – derivato ai congiunti dalla perdita
1
, dal ferimento,
dalla violenza carnale su di una persona cara
2
; od ancora di quello
conseguente alla perdita di un nascituro o alla nascita di un bimbo con
malformazioni gravi non diagnosticate dal medico ecografo
3
; od ancora di
quello, a lungo definito come biologico, cagionato a chi subisce immissioni
rumorose (continue)
4
; ed ancora del pregiudizio che si concreta nelle
modificazioni dell’assetto di vita degli inquilini di un condominio distrutto
da una esplosione conseguente ad una fuga di gas
5
.
Il danno esistenziale, come anche il danno biologico ed il danno morale,
riguarda, al di là di ogni dubbio, pregiudizi non pecuniari: esso, dunque, si
inserisce a pieno titolo in un dibattito ben più ampio, che coinvolge tutte le
categorie di danno aventi come funzione primaria il risarcimento delle
alterazioni di segno negativo dei valori della persona diversi da quelli
squisitamente a contenuto patrimoniale e suscettibili di valutazione
economica.
Dal 1999 il danno esistenziale non solo si è elevato a protagonista principale
di ogni convegno di tortmen ricevendo apprezzamenti e consensi, ma è
altresì giunto ad occupare uno spazio di tutto rilievo nella giurisprudenza di
merito, fino ad approdare da ultimo anche in Cassazione, per la prima volta
in Cappelletto c. Hu Cheng (Cass., sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713).
Questione assai discussa è quella che attiene all’individuazione dei criteri in
base ai quali si possa procedere alla risarcibilità del danno esistenziale.
1
Per il caso di danno esistenziale conseguente all’uccisione del congiunto cfr. Cass., sez.
III Civile, 12 giugno 2006 n. 13546, in Danno e resp., 2006, pag. 846.
2
Trib. Agrigento, 4 giugno 2001 n. 191, in Danno e resp., 2001, pag. 62, che risarcisce il
danno esistenziale dei familiari di una vittima di stupro.
3
Per la nascita di un bimbo con malformazioni Trib. Locri, sez. di Sidereo, 6 ottobre 2000
n. 462, in Danno e resp., 2001, pag. 393.
4
Trib. Venezia, 27 settembre 2000, in Danno e resp., 2001, pag. 524.
5
Trib. Milano, 15 giugno 2000, in Resp. civ. prev., 2001, pag. 462.
3
La giurisprudenza fa naturalmente uso, al riguardo, del criterio equitativo.
In dottrina, per un verso, emerge un giudizio di favore rispetto al ricorso ai
canoni dell’equità: sono questi a consentire una valutazione concreta del
rilievo delle conseguenze negative nella sfera soggettiva dell’offeso. Per
altro verso, in prospettiva – pur confermandosi l’opportunità di un ricorso al
giudizio articolantesi, sempre logicamente, secondo linee meno drastiche e
rigorose del consueto – si evidenziano talune linee da percorrere per
giungere alla quantificazione del danno esistenziale: rilievo della
colpevolezza dell’agente, considerazione dei costi di attività sostitutive a
quelle colpite dall’illecito (e, a quest’ultimo proposito, ci si deve interrogare
sulle modalità operative del risarcimento in forma specifica del danno
esistenziale).
Tuttavia, sebbene il giudizio equitativo resti al centro della prospettiva
risarcitoria del danno esistenziale, si registrano, ancora in dottrina, dei
tentativi di affinamento dei criteri di quantificazione del danno. Ed, in
particolare, si evoca la prospettiva di un ricorso a tabelle analoghe a quelle
già operanti per la liquidazione del danno biologico, quanto meno per quel
che concerne la quota di danno esistenziale accertabile più oggettivamente,
secondo l’id quod plerumque accidit.
Le ultime pronunce in tema di danno esistenziale, recenti ed autorevoli
(Cass. S.U. 24 marzo 2006 n. 6572
6
, Cass. Sez. III Civile 12 giugno 2006 n.
13546
7
e Cass. Sez. II Civile 6 febbraio 2007 n. 2546), confermano l’assetto
del sistema risarcitorio dei danni non patrimoniali di cui fa parte anche
questo, tanto controverso e dibattuto, danno esistenziale.
6
In Riv. it. Dir. Lav. 2006, n. 3, pag. 696.
7
In Danno e resp., 2006, n.8-9, pag. 846.
4
CAPITOLO PRIMO
Il danno non patrimoniale nell’ambito della
responsabilità aquiliana
1. La responsabilità extracontrattuale.
L’istituto della responsabilità civile (detta anche “aquiliana”, dalla Lex
Aquilia de damno, che la disciplinava al tempo del diritto romano, chiamata
altresì “extracontrattuale”) opera laddove si verifichi uno scontro tra due
situazioni giuridiche non legate tra loro da un preesistente rapporto
obbligatorio. Responsabilità, questa, contrapposta a quella contrattuale,
derivante cioè dall’inadempimento di un’obbligazione preesistente che
determina a carico del debitore l’obbligo di risarcire i danni arrecati al
creditore. Mentre, dunque, la responsabilità contrattuale postula l’esistenza
di un rapporto obbligatorio, la responsabilità extracontrattuale ne prescinde
completamente
1
.
La norma fondamentale in tema di responsabilità aquiliana è l’art. 2043 c.c.
(inserita nel Titolo IX del Libro IV del Codice Civile) secondo il quale
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Questo istituto risponde ad una esigenza immediatamente percepibile:
quella, cioè, di concedere il diritto a ricevere una prestazione (normalmente
pecuniaria che integra gli estremi del risarcimento per equivalente) a chi
abbia subito una perdita di utilità giuridicamente rilevante (danno ingiusto),
ponendo correlativamente in capo al danneggiante un’obbligazione
risarcitoria. La funzione del fatto illecito a fondare l’obbligazione
risarcitoria è confermata dal fatto di essere collocato tra le fonti delle
obbligazioni (art.1173 c.c.)
2
.
1
L. NIVARRA - V. RICCIUTO - C. SCOGNAMIGLIO, Istituzioni di diritto privato, II
ed., Giappichelli Editore, Torino, 2002, pag. 257.
2
Cfr. C. M. BIANCA, La responsabilità, in Diritto Civile n. 5, Giuffrè editore, Milano,
1997: “La responsabilità extracontrattuale è la soggezione alle sanzioni dell’illecito
civile.(…) La necessità giuridica di non violare la norma mediante comportamenti lesivi di
interessi altrui si esprime nei termini del dovere. L’illecito civile può allora essere definito
5
La rilevanza pratica della distinzione tra i due tipi di responsabilità riguarda
innanzitutto l’onere della prova: nella responsabilità contrattuale l’attore
deve solo provare il suo credito e la scadenza dei termini per adempiere
l’obbligazione; è il debitore che, se vuole giustificarsi, ha l’onere di
dimostrare di non aver potuto adempiere per una causa a lui non imputabile
(art.1218 c.c.). Nella responsabilità extracontrattuale, invece, è l’attore che
ha l’onere di provare non soltanto che la condotta del convenuto gli ha
causato un danno, ma anche che si tratta di un comportamento tenuto con
colpa o con dolo (a meno che si tratti di una responsabilità aggravata per
fatto altrui). Bisogna però precisare che in molte ipotesi (artt. 2048-2054
c.c.) l’onere probatorio si articola diversamente, nel senso che mentre al
danneggiato spetterà sempre di provare l’ingiustizia del danno, la perdita
patrimoniale ed il nesso di causalità (e non l’elemento soggettivo), al
danneggiante spetterà di provare il fatto, di volta in volta considerato dal
legislatore, che sia idoneo a bloccare la formulazione del giudizio di
responsabilità (es. l’aver adottato tutte le misure per evitare il danno ex artt.
2050- 2054 c.c.; il caso fortuito ex artt. 2051-2052 c.c.).
I due tipi di responsabilità presentano differenze anche in ordine agli effetti
giuridici che da essi derivano: è il problema dei danni risarcibili. Ambedue
danno luogo al risarcimento del danno. Tuttavia, mentre l’art. 1225 c.c.
limita il risarcimento ai soli danni prevedibili nel tempo in cui è sorta
l’obbligazione
3
, se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo, questa
come la violazione di doveri di rispetto altrui nella vita di relazione”; cfr. M.
COMPORTI, Fatti illeciti (art. 2043-2059), in Codice Civile diretto da Schlesinger e
Busnelli, 2002; Cfr. A. DE CUPIS, Fatti illeciti, in Comm. al codice civile diretto da
A.Scialoja e G.Branca, (a cura di Galgano) 1971, Bologna-Roma (ma anche l’edizione
2003 di M. FRANZONI); cfr. P. G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, II, in
Trattato di diritto privato diretto da Bessone, 2002; cfr. C. SALVI, La responsabilità civile,
in Trattato di diritto privato a cura di Iudica e Zatti, 1998; cfr. P.G. MONATERI, Le fonti
delle obbligazioni, III, la responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da R.
Sacco, Utet, Torino, 1998; cfr. G. ALPA, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1992.
3
Per il risarcimento del danno non patrimoniale (in particolare del danno esistenziale) nel
caso di responsabilità contrattuale cfr. la sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n.
6572 del 24 marzo 2006 (in Riv. it. Dir. lav. n. 3, 2006, pag. 696) sul risarcimento del
danno da demansionamento e dequalificazione del lavoratore; da illegittimo licenziamento
ad es. con la sentenza del Pretore dell’Aquila 10 maggio 1991 (in Foro it., 1993, I, pag.
317); da mobbing ad es. con la sentenza del Tribunale di Forlì 15 marzo 2001 (in Resp. civ.
prev., 2001, pag. 1018). Cfr. queste tematiche in questo elaborato al Cap. quinto, par. 3, lett
a) e b).
6
limitazione non sussiste in materia di responsabilità extracontrattuale,
poiché l’art. 2056 c.c. non richiama l’art. 1225 c.c. citato, per il risarcimento
derivante da colpa extracontrattuale. Dunque, mentre per la responsabilità
contrattuale (se non vi è dolo, ma colpa) sono risarcibili solo i danni
prevedibili, in tema di responsabilità aquiliana non ha mai rilevanza, ai fini
del risarcimento, la prevedibilità del danno.
Vi è poi l’ulteriore differenza del termine di prescrizione: mentre l’azione
per il risarcimento del danno contrattuale è soggetta alla prescrizione
stabilita per le azioni nascenti dal contratto o dall’atto unilaterale, che di
solito è quella ordinaria (art. 2946 c.c.), il diritto al risarcimento del danno
extracontrattuale, invece, si prescrive in soli cinque anni (art.2947, co.1
c.c.), che si riducono addirittura a due quando si tratti di danni derivanti
dalla circolazione di autoveicoli (art.2947, co.2 c.c.).
Si discute se sia ammissibile il concorso tra la le due responsabilità: la
questione può avere importanza pratica quando, come può verificarsi nel
contratto di trasporto in cui è prevista una prescrizione breve (art. 2951 c.c.),
sia prescritta l’azione nascente da contratto e si voglia agire con quella
extracontrattuale, o, comunque, in ogni caso in cui l’attore si voglia giovare
della disciplina peculiare della responsabilità aquiliana, nella parte che è a
lui più favorevole (per es. richieda il risarcimento dei danni non prevedibili).
La giurisprudenza e parte della dottrina ritengono ammissibile il concorso,
perché le norme sulla responsabilità extracontrattuale sono concepite per
tutelare i diritti primari del singolo, tutela cui egli certo non intende
rinunciare, allorché entra in relazione contrattuale con un altro soggetto. Il
contratto vincola la parte alla esecuzione di quella specifica prestazione alla
quale si è obbligata, ma non la esime affatto dal dovere generale del
neminem laedere che incombe su tutti.
4
4
A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, XVII ed., Giuffrè
editore, Milano, 2004, pag. 670.
7
2. Il danno non patrimoniale e le sue funzioni.
Per potersi correttamente accostare alla nota distinzione tra danno
patrimoniale e danno non patrimoniale bisogna aver ben chiaro che non ci si
riferisce al bene oggetto della lesione: atti lesivi di beni non patrimoniali (es.
la salute o l’onore) comportano, di regola, risarcimenti (innanzitutto) di
danni patrimoniali (per es. il lucro cessante che può conseguire ad una
lesione dell’integrità fisica di una persona, la cui capacità lavorativa risulta
diminuita o azzerata), anche laddove possano dar luogo anche ad un danno
non patrimoniale; mentre la lesione di interessi certamente patrimoniali( per
es. nel caso di una truffa) può dar luogo anche al risarcimento del danno non
patrimoniale. La distinzione, dunque, riguarda il piano delle conseguenze
della lesione, non il piano del tipo di bene oggetto dell’illecito.
5
La funzione da assegnare al risarcimento del danno non patrimoniale è
questione molto discussa.
Il problema nasce dal fatto che la corresponsione di una somma di denaro
non appare adeguata a svolgere la funzione tradizionalmente riconnessa al
risarcimento, che è quella di rimediare al pregiudizio inferto al danneggiato,
riportandolo nella situazione in cui si trovava prima dell’illecito. Limite che
nel danno non patrimoniale è reso evidente dalla difficoltà di stima della
perdita subita.
Una volta appurato che i danni non patrimoniali andavano risarciti (in
primis al momento della formulazione dell’art. 185 c.p.), bisognava stabilire
se si trattava di vero e proprio risarcimento oppure di compensazione o
riparazione o altro. La questione terminologica serve ad evidenziare che il
risarcimento del danno non patrimoniale ha funzioni e scopi diversi da
quelli che ispirano il risarcimento di quello patrimoniale, e questa diversità è
palesata soprattutto dall’effetto redistributivo che il risarcimento comporta
nel caso di danno non patrimoniale, che, proprio in quanto non serve a
ripristinare la perdita subita, comporta inevitabilmente una somma
differenziale nel patrimonio del danneggiato, alterando la distribuzione
esistente delle risorse.
5
Ibidem, pag. 671.
8