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tecnologici, con quelli legislativi ed organizzativi determinando un poliedrico insieme,
caratteristico di ogni tempo e di quel tempo specchio fedele.
Ed un insieme storico, per nulla statico ma in un costante fermento vitalizzato dagli
interessi dei protagonisti: i curanti, i pazienti, gli amministratori, e, in tempi più recenti,
tutto quel mondo economico e produttivo che intorno all'ospedale ha costruito il suo
legittimo business; ciascuno intento ad immaginare e realizzare un ospedale “migliore”,
almeno dal suo punto di vista.
Operazione non facile ed infatti un cultore e maestro di “medical humanities” come
Sandro Spinsanti ci mette in guardia osservando che: “la sicurezza di conoscere la
natura dell'ospedale è illusoria. È vero che è agevole identificare l'ospedale. La
denotazione è facile: chiunque può indicarlo con un dito ,anche perché nella città
moderna tende ad assumere l'evidenza architettonica che in quella medioevale spettava
alle cattedrali. In senso denotativo, l'ospedale di una città è quello di cui possiamo
domandare l'indirizzo, che identifichiamo sulla piantina ,che chiediamo al tassista di
raggiungere. La connotazione, invece, è molto complessa. Nella linguistica la
connotazione di una parola riguarda i significati, compresi quelli simbolici, e le
emozioni connesse con l'uso della parola. Numerosi significati sono attribuiti
all'ospedale come istituzione, sedimentandosi gli uni sugli altri. I più recenti non hanno
sostituito quelli precedenti. In una stessa realtà convivono l'ospedale, del passato e del
presente, nonché quello che - osiamo sperarlo - sarà l'ospedale del futuro.”
Ma anche se rischiosa l'operazione è stata fatta: seguendo un breve percorso
cronologico, è stata analizzata dell’organizzazione ospedaliera (la sua nascita, la sua
evoluzione, le sue possibilità future).
E’ da sottolineare che per chi vuole occuparsi di promozione della salute all’interno di
un ospedale il concetto di clima organizzativo non sarà l’unico da affrontare, ma con
tutta probabilità avrà soprattutto a che fare con questioni e concetti inerenti la qualità.
Qualità intesa:
¾ non come teoria astratta ma come manifestazione di un esigenza di
cambiamento;
¾ come componente “naturale” di tutte le attività e le relazioni;
¾ qualità come unione di tre concetti quali: efficacia, efficienza ed equità;
¾ la qualità si riferisce all’organizzazione del lavoro, alle relazione interne ed
esterne, alla comunicazione ed alle specifiche attività amministrative e
sanitarie;
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¾ qualità come obbiettivo strategico per un miglioramento delle attività svolte,
per una maggiore soddisfazione dell’utenza e degli operatori e per un
miglioramento dell’immagine aziendale.
L’approccio sistemico per processi, contenuto nelle norme ISO 9000, individuate a
livello nazionale e regionale come riferimento per le politiche di qualità ed
accreditamento, comporta una diversa integrazione di aspetti tradizionalmente ritenuti
separati, pur essendo in realtà tutti fattori legati da interconnessioni ed influenzamenti
reciproci:
• competitività dell’azienda,
• capacità di perseguimento degli obiettivi,
• soddisfazione dei suoi utenti,
• motivazione del personale,
• adeguati processi di integrazione organizzativa,
• clima aziendale.
La Psicologia della Salute può svolgere un ruolo significativo in questo nuovo terreno di
incontro, mettendo a sintesi, da un lato, le conoscenze e le problematiche relative alla
dimensione individuale con quelle proprie dei contesti e delle dimensioni organizzative
ed aziendali; dall’altro, i dati relativi al trattamento dei problemi di salute con quelli
pertinenti le strategie di prevenzione e promozione.
Certamente questo è possibile solo attraverso un proficuo confronto con le acquisizioni
delle discipline psicologiche (clinica, lavoro ed organizzazioni, ecc.) e delle altre
discipline (sociologiche, organizzative, mediche) che si occupano di temi e questioni
inerenti questo settore.
Lo scopo del terzo capitolo è di analizzare la letteratura e le politiche per la qualità in
sanità e le sue ripercussioni sui temi organizzativi e sul burnout in questo ambito
professionale. Su tali basi verranno proposte delle ipotesi di soluzioni che tocchino
anche gli aspetti organizzativi.
Il quarto capitolo tratterà invece nello specifico l’organizzazione dei reparti di terapia
intensiva neonatale e della relazione tra genitori e operatori sanitari.
Partendo dall’analisi storica che caratterizza la nascita delle terapia intensiva neonatale
verrà poi affrontata la normativa di accreditamento e qualità che caratterizza questi
reparti.
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Purtroppo però, non basta una normativa per rendere chiaro e soprattutto fattibile una
buona relazione tra i neo genitori e gli operatori (che siano essi medici o infermieri),
anche perché proprio per questi ultimi la situazione da affrontare ogni giorno è carica di
tensione e di stress.
Nel capitolo verrà inoltre analizzata una ricerca condotta all’interno del reparto di
terapia Intensiva neonatale degli Ospedali Riuniti di Bergamo condotta alla fine del
2003.
Infine, il quinto capitolo, nonché la conclusione, riprenderà gli argomenti trattati in
precedenza soffermandosi però sugli aspetti e le implicazione etiche che questi
comportano.
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CAPITOLO 1: IL BURNOUT
1.1 Verso una definizione del termine
La parola “burnout” compare per la prima volta all'inizio del secolo con Kraepelin, che
aveva intuito il termine come lo intendiamo noi e metteva in evidenza come le scarse
risorse pubbliche della psichiatria e le condizioni particolari della vita professionale
dello psichiatra (tra cui "la mancanza di speranza nei risultati" e "le condizioni
economiche non soddisfacenti"), portavano, come "conseguenza inevitabile, lavoro
eccessivo di singoli, piacere nullo per la professione e il rapido esaurirsi del medico
stesso".
Negli anni ’30 nel gergo dell’atletica e di altri sport il termine burnout è usato per
designare quel fenomeno per cui, dopo alcuni successi, un’atleta “si brucia”, “si
esaurisce” e quindi non può dare nulla dal punto di vista agonistico.
Nell'agosto del '73 Christina Maslach espresse le sue idee nel corso di un convegno
annuale dell'APA (American Psychological Association), tenuto a Montreal, idee che
furono riprese e completate sviluppando un concetto più organico del processo di
burnout che descrisse nel 1976 in una rivista. Fu l'anno successivo che coniò il termine
"burnout syndrome", per riferirsi ad una situazione che aveva osservato con frequenza
sempre maggiore nelle "helping profession", dove dopo mesi o anni di generoso
impegno, questi operatori manifestavano apatia, indifferenza; erano spesso nervosi,
irrequieti, qualche volta cinici nei confronti del lavoro, erano operatori che si erano
"bruciati".
Dopo la sua introduzione, la nozione conobbe, soprattutto negli Stati Uniti d'America
una rapida popolarità, suscitando tuttavia non pochi dubbi sulla reale consistenza del
fenomeno.
Richard H. Price definisce burnout come una metafora significativa, spesso però
imprecisa, che da l'idea del fuoco dell’entusiasmo che si spegne, di un energia che si
esaurisce.
Questo concetto è spesso però usato in modo non appropriato, ed è diventato un
"concetto pattumiera" buono per tutti gli usi, una etichetta che crea però confusione
sulla sua vera definizione.
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Frequentemente si è incorso nell'errore di confondere burnout con frustrazione, cioè si
sono considerati come dei sinonimi, ma Edelwin e Brodskj (1982), hanno specificato
che la frustrazione non è il burnout. Il burnout significa apatia.
Un grosso contributo allo studio del burnout è stato dato da Cary Cherniss che nel 1980
lo ha definito come una ritirata psicologica dal lavoro in risposta all'eccesso di stress e
insoddisfazione. Sempre lo stesso autore nel 1983 ha dato una definizione più completa
definendolo come un processo molto complesso articolato in più fasi dove all'inizio c'è
uno squilibrio tra risorse disponibili e risorse richieste che genera una stress; a questo
situazione segue l'immediata risposta emotiva caratterizzata da una sensazione di
tensione, ansietà, fatica ed esaurimento. Tutto ciò porta ad una serie di cambiamenti
nell’atteggiamento e nel comportamento, si ha la tendenza a trattare gli utenti in modo
distaccato, meccanico, cinico, c'è perdita dell'idealismo che ha spinto l'operatore verso
questa professione, c'è compromissione della propria identità professionale che porta ad
avere una cattiva immagine di se, riduzione del livello di autostima, sentimento di
impotenza e di passività, perdita del senso delle proprie capacità.
Tutto questo può essere riassunto schematicamente in tre fasi:
- stress lavorativo;
- esaurimento dell'operatore;
- accomodamento psicologico.
Cherniss colloca questa sindrome dentro un preciso background socio-culturale
economico, sostenendo che è collegata a cambiamenti sociali che sono avvenuti a
partire dagli anni’60 negli Stati Uniti d’America e che si sono propagati
successivamente nel resto del mondo occidentale.
La modifica nelle persone della concezione lavorativa, gli innumerevoli significati
individuali che esulano il solo compito di sostentamento contribuiscono a creare attese
che il lavoratore difficilmente può soddisfare.
Altri ancora (Berkley, Planning Associates), considerano il fenomeno un alienazione
lavorativa, "il limite oltre il quale un operatore si separa, si ritira dal significato
originale o dallo scopo del suo lavoro, il grado in cui un operatore esprime
estraniamento dai pazienti, dai colleghi e dall'ente per cui lavora".
Molto interessante è la tabella 1, proposta da Cherniss e tratta da Berkley, Planning
Associates che rappresenta i segni e sintomi dello stress lavorativo e del burnout negli
operatori dei servizi socio-sanitari.
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E' importante dire, che non occorre che tutti i segni e sintomi, elencati in questa tabella,
siano presenti per affermare che una persona si trova in uno "stato di burnout".
Nel 1983 Harvey J. Fischer proponeva di distinguere il burnout dal "wearout"
(logoramento). Verso il burnout andrebbero incontro quelle persone dinamiche che
descrisse Freudenberger; questi sono individui che si creano da soli eccesso di stress
perché non sanno mai dire di no e finiscono per bruciarsi. Il wearout deriverebbe,
invece, da circostanze esterne, le persone più a rischio sarebbero quelle passive, con
scarse ambizioni, senza obiettivi chiaramente definiti e senza la necessaria dose di
decisione e sicurezza per raggiungere gli obiettivi.
Negli Stati Uniti, è stato recentemente introdotta un'altra categoria detta in modo
dispregiativo "rustout" (arrostiti); queste persone per farsi compiangere si atteggiano a
vittime dello stress e delle numerose sconfitte, senza però, in realtà, mai aver dimostrato
intraprendenza o valore.
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TABELLA 1: Segni e sintomi dello stress lavorativo e del burnout negli operatori
dei servizi socio-sanitari
1. Alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno
2. Sensazione di fallimento
3. Rabbia e risentimento
4. Senso di colpa e disistima
5. Scoraggiamento e indifferenza
6. Negativismo
7. Isolamento e ritiro (disinvestimento)
8. Senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno
9. Guardare frequentemente l'orologio
10. Notevole affaticamento dopo il lavoro
11. Perdita di sentimenti positivi verso gli utenti
12. Rimandare i contatti con gli utenti; respingere le telefonate e le visite
13. Avere un modello stereotipato degli utenti
14. Incapacità di concentrarsi o di ascoltare ciò che l'utente sta dicendo
15. Sensazione di immobilismo
16. Cinismo verso gli utenti; atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti
17. Seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate
18. Problemi di insonnia
19. Evitare discussioni sul lavoro con i colleghi
20. Preoccupazione per sé
21. Maggiore approvazione di misure di controllo del comportamento come i
tranquillanti
22. Frequenti raffreddori e influenze
23. Frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali
24. Rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento
25. Sospetto e paranoia
26. Eccessivo uso di farmaci
27. Conflitti coniugali e familiari
28. Alto assenteismo
Tratto da Berkeley Planning Associates (1977), Freudenberg (1974), Maslach (1976), e
Schwartz e Will (1961)
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1.2 Burnout e stress
Dal momento che Cherniss definisce burnout come un "processo nel quale un
professionista precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta
allo stress e alla tensione sperimentata sul lavoro", è fondamentale riuscire a chiarire il
termine stress per evitare confusione.
La parola stress, di origine latina, nel corso dei secoli si è evoluta attraverso molte
definizioni. Nel XVII secolo, questo termine, era collegato a "durezza, sforzo,
avversità", mentre nel XVIII e XIX secolo cambiò significato per diventare "forza,
pressione" che agisce su una persona o su un oggetto.
Hinkle afferma che la visione di stress come "forza", ha senz'altro avuto un influsso
sull'attuale significato del termine. Egli scrive "la definizione di stress del XIX secolo
raffigurava un oggetto o una persona su cui agivano forze esterne, che opponeva
resistenza all'effetto di queste forze, nel tentativo di mantenere l'integrità e conservare
l'equilibrio originale. La scienza ha fatto propria la parola con questo significato e
probabilmente l'uso scientifico del termine, ha rinforzato il significato popolare ".
Attualmente il termine si intende come una reazione fisiologica di adattamento, quando
l'organismo deve affrontare un'esigenza o deve adeguarsi ad una novità.
Alcune delle più comuni definizioni e concetti di stress sono state sviluppate da Hans
Selye, Basowitz, Cofer e Appley, Selye indica lo stress come una sindrome di
adattamento divisa in tre fasi:
1. la prima consiste in una reazione di allarme formata dallo shock iniziale ed
attivazione dei meccanismi di difesa corporei,
2. la seconda è una fase di resistenza con adattamento psico-fisico dell'individuo;
3. le prime due fasi portano all'esaurimento caratterizzato dal crollo del
comportamento di adattamento.
Basowitz sviluppò il concetto di stress in termini di ansia; egli proponeva che la risposta
allo stress potesse essere di adattamento (che rende l'individuo in grado di adattarsi) o
patologica.
Cofer e Appley (1964) definiscono lo stress come "lo stato di un organismo, che
subentra quando l'individuo ha riconosciuto che la sua salute (o la sua integrità), è in
pericolo e che egli deve impiegare tutta l'energia disponibile per difendersi e
proteggersi".
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Ad un convegno sullo stress nel 1976 Jeanne Benoliel lo descriveva in termini
sociologici: definiva lo stress sociale come "una situazione che pone richieste obiettive
sull'individuo, superiori alle sue capacità di adattamento".
Come esempio di stress sociale, Benoliel parlava dell'infermiere che lavora in area
critica, che deve affrontare giornalmente un lavoro pesante, situazioni difficoltose, un
ambiente di lavoro spesso con grossi problemi di comunicazione. Per riuscire a vincere
questi stress sociali, l'infermiere deve imparare come far fronte sia fisicamente sia
mentalmente alla richiesta della situazione di lavoro.
Aakster definisce lo stress usando un approccio sistemico: per raggiungere i suoi
obiettivi, un sistema si deve adattare ai vari squilibri che sorgono all'interno del suo
ambiente, le forze che creano questi squilibri sono dette stressors.
In qualsiasi modo si definisce lo stress è utile distinguere le fonti dalle risposte allo
stress.
Lo stress può sorgere da situazioni minacciose, difficoltose o che cambiano
rapidamente, può essere il risultato di terapie, di attività precedentemente pianificate,
può sorgere in anticipo ad eventi stressanti (per es. un intervento chirurgico).
Le risposte sono varie e si dividono in risposte fisiologiche (aumento della frequenza
cardiaca, della pressione arteriosa, perdita del controllo degli sfinteri, aumento della
sudorazione), risposte comportamentali (tempo di reazione aumentato, tremori), risposte
soggettive (ansia, depressione), risposta psicologica (uso di meccanismi di difesa come
negazione e rifiuto o repressione).
La risposta allo stress è in relazione alla personalità dell'individuo, al modo personale in
cui risponde agli eventi stressanti, o come percepisce il problema.
Nonostante queste differenze nella risposta allo stress che sono individuali, gli studiosi
hanno dedotto che tutte le persone:
- hanno esperienze di frustrazioni e stress quando i bisogni non sono soddisfatti;
- tendono ad evitare stress così come il dolore;
- reagiscono in modo simile agli stress estremi;
- tendono ad adattarsi allo stress e a soddisfare i bisogni di base modificando l'ambiente
esterno deliberatamente;
- tendono a mantenere uno stato di equilibrio di fronte a stress interni ed esterni.
Nel burnout, lo stressore attivo è rappresentato da una situazione lavorativa non più
tollerabile che quindi si manifesta come conseguenza dell'esaurimento dell'individuo.